martedì 10 dicembre 2019

Ieri Torino e Avellino. Domani...?

Ha destato curiosità l'anteprima della Gazzetta dello Sport di alcuni giorni fa relativa alla posizione difficile (anzi, in un caso davvero critica) di tre club di Serie A. Ed è subito partita la caccia alla possibile nuova candidata all'esclusione per riportare il massimo campionato ad un numero pari di partecipanti - la mostruosità a 17 non piace alle alte sfere federali che si sono già pronunciate in merito. La ridda di voci su chi sarà la nuova Auxilium o la nuova Scandone da escludere a maggio-giugno, vittime di ispezioni disposte dall'alto che non lascerebbero scampo a chi fosse in posizione traballante, è continuata per giorni, salvo affievolirsi. Occorre però rimanere vigili sulla questione per non rischiare il classico fulmine a ciel sereno.



Ma chi saranno mai queste tre società in difficoltà? Se ne sono sentite di ogni colore. Secondo alcuni, la più inguaiata sarebbe Trieste che all'epoca dei controlli era ancora scoperta del main sponsor e con una situazione societaria ben diversa dall'attuale - fuori Mauro e chiusa del tutto la storia Alma, spazio nuovamente a Ghiacci e avanti con il triennale Allianz. L'auspicio è che gli alabardati abbiano davvero risolto la questione non solo assicurandosi tranquillità a medio termine ma prima di tutto tappando le falle relative alla precedente gestione. In città c'è ottimismo e si respira un'atmosfera diversa rispetto a quella di un mese fa, tutti segnali indice di un cambiamento che si spera reale e concreto.

In difficoltà, anche se nessuno lo dice, è Brindisi. Non si capisce esattamente il motivo, ma l'HappyCasa risulta avere qualche debito con i vari giocatori e relative agenzie, tant'è vero che di fronte ai sondaggi effettuati per rimpiazzare l'infortunato Martin diversi procuratori hanno chiesto al club pugliese di saldare prima le pendenze attuali, rinviando ad un secondo momento ed a bonifici incassati ogni discorso per eventuali modifiche del roster. Non un bel biglietto da visita per chi attualmente occupa una posizione di rilievo in classifica di campionato ed è impegnato anche sul fronte europeo.

Girano sussurri insistenti anche su Cantù, a dispetto della recente firma di Ragland e dell'apporto extra budget fornito dal main sponsor e da un ulteriore contributore che apparirà a breve sulle maglie. In Brianza la spada di Damocle sarebbe rappresentata dall'eredità di Gerasimenko: anche qui, debiti ancora da quantificare con giocatori pronti a rivolgersi al celeberrimo tribunale FIBA per chiedere giustizia. L'attuale proprietà sta compiendo sforzi encomiabili per ridare solidità e credibilità alla piazza lombarda dopo la dimenticabile stagione delle illusioni russe ma qualora dovessero arriva BAT a pioggia la situazione tornerebbe a farsi preoccupante.

La stagione difficile del nostro basket insomma continua. Mentre diverse società chiedono di adottare una formula mista tra l'attuale professionismo ed il dilettantismo LNP al fine di abbassare i costi di gestione, non passa giorno che non vi siano notizie che riguardano crisi finanziarie o richieste di risarcimento. Ed ogni tanto spunta il nome della Fortitudo che pare il bersaglio preferito di tutti: colpa, è bene dirlo, delle sciagurate proprietà della precedente incarnazione, dalle macerie lasciate da Seragnoli sino ai disastri marchiati Sacrati. E proprio un giocatore che non impressionò positivamente nell'ultimo anno di Serie A della defunta società si è rifatto vivo per chiedere il saldo. Il contro presentato da DJ Strawberry è pesantuccio anche se, alla luce del precedente di Sharon Drucker, è praticamente impossibile che venga accolto dal sopra menzionato tribunale svizzero. Resta tuttavia insoluto un interrogativo: per quale motivo proprietari e dirigenti continuano da decenni a ingaggiare atleti senza avere le coperture finanziarie necessarie? In Serie A non giocano amatori ma professionisti che devono per forza sfruttare le poche stagioni agonistiche a loro disposizione per costruire la propria dimensione lavorativa. Non pagarli significa tanto affossare di debiti la società quanto danneggiare dei lavoratori. O davvero crediamo ancora che l'americano, il lituano o il russo di turno vengano nel Belpaese per fare i turisti e giocare ripagati solo dei pasti e dell'affetto dei tifosi?

martedì 5 novembre 2019

Una questione di civiltà

Nel 1975 nei cinema di tutto il mondo esce "Rollerball". Un film violento e poetico al tempo stesso che induce una profonda riflessione sulla dimensione alienata e distruttiva della società, modellata in senso corporativistico e salutistico ma marcia internamente al punto di sfogare le peggiori frustrazioni e gli istinti animaleschi in arene in cui gli atleti devono combattere fino alla morte.

Un'estremizzazione, non c'è dubbio. Tuttavia gli ululati, gli insulti, gli sputi(!) e tutto il corollario che ormai accompagna le esibizioni in stadi e palasport sono diventati una ben triste abitudine. Gli sportivi rispettano un codice di comportamento mentre tutto intorno a volte si scatena un inferno verbale o addirittura fisico, neanche si trattasse di una sommossa. E puntualmente, a fattaccio avvenuto, parte la caccia al responsabile. Anzi, allo scaricabarile.

Assisto in queste ultime ore all'ennesimo esempio negativo, quello che riguarda la presidentessa della Leonessa Brescia Graziella Bragaglio ed il suo entourage. Provo una sensazione di fastidio pensando che i dirigenti di una società debbano sopportare due ore di becerume assortito ed essere alla fine costretti a lasciare il proprio posto a sedere causa l'inciviltà di chi evidentemente non vive una partita come un fatto sportivo e non si reca in un'arena per godersi uno spettacolo ma solo per dar libero sfogo alla parte peggiore di sé.

Di fronte al fatto, le reazioni sono molteplici. Un imprenditore, parte in causa, ha diramato una lettera di protesta. Forse esagerata nei toni e con conclusioni un po' eccessive, ma legittima. Sul fronte opposto, la teoria difensiva è interamente improntata ad un ritornello vomitevole: "Se l'è cercata". Ora, a chiunque può capitare di incappare in uscite incongrue o inopportune, così come c'è chi dimentica le esigenze della diplomazia lasciandosi scappare qualche parola di troppo. Però... 

...però mi domando: davvero è lecito tollerare due ore di insulti, di urla, di ululati, di versi scimmieschi, persino di sputi nei confronti di un ristretto gruppo di persone? Ed in nome di cosa, di un'idea distorta di tifo sportivo, di una visione malata di passione, di un'identificazione errata tra club e tifosi (sempre che si possano definire tifosi)? Davvero non è possibile fare qualcosa? Penso ad un richiamo dello speaker sollecitato dalla società ospitante, oppure al varo di un codice etico per i club che impegni tutti a promuovere il fair play anche sugli spalti. Così da marcare la differenza tra sfottò e offesa, tra goliardia e violenza, tra passione e idiozia. Così da costruire una autentica cultura di base che sostenga dei valori senza mischiarli con la parte peggiore della società. Così da fornire un esempio positivo alle giovani generazioni: non voglio più assistere a spettacoli indecorosi di genitori che si sporgono dalle balaustre per vomitare il loro odio nei confronti di avversari con frasi volgari ed offensive sotto gli occhi atterriti dei loro figli. Quei bambini meritano una società migliore. Quei bambini non meritano un futuro da "Rollerball".

lunedì 7 ottobre 2019

Tra il dire ed il fare...

Non ho davvero compreso la reale portata della rottura del rapporto tra David Blatt e l'Olympiacos Pireo. La versione ufficiale recita "rescissione consensuale del rapporto" ma i contorni della vicenda restano poco chiari. Spiego il perché: in estate Blatt annuncia al mondo di essere malato di sclerosi multipla, una malattia degenerativa autoimmune. Lo fa attraverso una lettera, pubblicata dal sito ufficiale di OAKA, in cui tra le altre cose si riafferma la volontà di ambo le parti, vale a dire il tecnico e la società, di proseguire il rapporto lavorativo. Bel gesto che consente al club pireota di raccogliere simpatie un po' ovunque - merce rara, specie dopo la pantomima primaverile che ha scaraventato i Reds nel secondo campionato greco.

Fin qui tutto bene ("L'Odio", gran film francese).
Poi arriva il banco di prova rappresentato dal debutto nella nuova regular season di Eurolega. Come prevedibile, l'Olympiacos viene rullato senza troppi complimenti dall'Asvel, quest'ultimo debuttante nell'attuale formula di EL, ed iniziano i malumori. Blatt lamenta percentuali ridicole dei suoi, dice chiaramente quel che pensa - è al contempo un suo pregio ed un suo limite. Leggendo tra le righe si capisce tutto: dove si crede di andare con una squadra che farà fatica ovunque, che punta a rifarsi in patria e poco altro? E qui si tocca il nocciolo della questione: qual è il vero motivo della retrocessione a tavolino dell'Oly? E perché ECA si è rimangiata il vecchio vincolo di competitività (la famosa formuletta che portò all'esclusione di Virtus, Fortitudo, Treviso e Roma in passato), salvando la presenza di una formazione che teoricamente sarebbe dovuta sparire dal radar?

Tempo due giorni e arriva la separazione tra le parti. Consensuale o brusca, non è ben chiaro quale delle due, specie se non si badano ai comunicati di facciata che augurano sempre i migliori futuri ma che spesso sono intrisi di ipocrisia. Il dubbio lo ha insinuato anche Sarunas Jasikevicius, un altro personaggio abituato più ai fatti che alle parole: non si caccia un allenatore per una sconfitta singola, né è corretto addebitare al tecnico tutte le ragioni di un fallimento annunciato. E qui torniamo ai precedenti interrogativi: Blatt si è dimesso, ha deciso di farsi da parte, è stato cacciato o cos'altro?

Pacifico che nessun club con una dirigenza nel pieno delle proprie facoltà intellettive ammetterebbe mai in pubblico e probabilmente nemmeno in privato di aver sollevato dall'incarico un allenatore colpito da una grave malattia. Sarebbe a livello mediatico una mazzata da cui non si potrebbe recuperare in alcun modo. Così come la storiella degli arbitraggi pro-PAO nei playoff con conseguente decisione di non scendere in campo e conseguente retrocessione a tavolino è come il pesce marcio: puzza dalla testa. L'affaire di famiglia interno agli Angelopoulos è lungi dall'essere risolto e più d'uno ha adombrato il sospetto di permanenze locali tra i giocatori (l'eterno Spanoulis ma anche Printezis) dettate più dalla volontà di provare a recuperare un'annata di stipendi promessi e mai intascati che dal reale amore per la maglia. Insomma: si digerisce a viva forza l'A2 sperando di vedere qualche euro nel conto corrente. Lo stesso Blatt in estate era offerto sul mercato degli allenatori e si era fatto il suo nome anche per Milano prima dell'accordo con Ettore Messina. Tutto tace sul fronte societario anche se in Grecia sono tanti a mormorare e dalle parti del Pireo il brusio comincia a diventare una costante.

Al posto di David Blatt per il momento si è insediato il suo fedelissimo vice Kestutis Kemzura. Bravo, preparato ma non un leader assoluto. Un ottimo assistente, questo sì. E difficilmente resterà in sella tutta la stagione. Chissà chi prenderà la patata bollente pireota, sperando ovviamente di non ustionarsi. Nel frattempo faccio a David i miei auguri per la sua battaglia personale contro il male. E spero che ECA, così attenta ai dettagli, trovi del tempo per risolvere l'equivoco di una squadra di A2 sì infarcita di vecchie glorie e di qualche apprezzabile straniero, ma impresentabile al gran ballo continentale.


giovedì 3 ottobre 2019

Ricchezza e povertà

Il campionato LBA ha avviato la stagione 2019/20 da più di una settimana. A far notizia finora, almeno sui campi di gara, gli exploit di qualche outsider, alcuni scivoloni a sorpresa, le prestazioni di singoli selezionati. Ma sono argomenti che non mi interessano, almeno in questa sede. Voglio offrire invece uno sguardo d'insieme al campionato.

Osservando lo stato dell'arte della pallacanestro professionistica d'Italia, non possiamo certo parlare di ritorno all'età aurea. Per quanto i recenti ingaggi dei vicecampioni mondiali Luis Scola e Marcos Delia da parte rispettivamente di Olimpia Milano e Virtus Bologna - neanche a dirlo, le vere favorite per lo scudetto, con buona pace di tutte le altre - abbiano scosso il panorama generale, con lieve scossa tellurica in quel di Trento per il rientro in Italia dell'eterno incompiuto Ale Gentile, i tempi delle guerre stellari sono tramontati e consegnati ai libri di storia della pallacanestro nostrana. I miliardi di allora ed i milioni di oggi sono mossi da pochissimi mecenati, merce davvero pregiata che va esaurendosi, imprenditori mossi dalla passione ma soprattutto da interessi slegati allo sport. La stragrande maggioranza delle società è gestita con budget che un tempo avremmo definito medio-piccoli, con forme consortili piuttosto che di azionariato diffuso. Alcune funzionano, altre arrancano.

Questo si traduce in una segmentazione del livello competitivo del campionato. Sono tramontati i tempi in cui il Pool di Varese poteva concorrere allo scudetto con una squadra di scommesse, prestiti, sottovalutati, scartati, pagati tutti il giusto (o pagati da altri), mentre una Pesaro del magnate (vero) Valter Scavolini retrocedeva in A2 a dispetto di stipendi faraonici e risaliva successivamente pagando a carissimo prezzo una stagione fallimentare in cadetteria, acquisto dell'indebitata Gorizia compreso. Oggi chi può permettersi cifre iperboliche non bada a spese, a cominciare dalla panchina e dirigenza per poi proseguire con la squadra: se Milano ingaggia Scola e prima ancora Rodriguez, se la Virtus si permette Delia ed in estate Teodosic, è anche perché i rispettivi front office hanno lavorato sodo per comporre un progetto. Costoso sì, ma con una logica definita.

Chi può ambire ad insidiare le posizioni di testa, lo fa o per superiore disponibilità economica rispetto alla media (Venezia, forte anche di un gruppo collaudato ed implementato di conseguenza) o per solida capacità programmatica (Trento, Sassari). Alle altre resta la scommessa singola o la fiducia ad un allenatore di lungo corso. La stessa Dolomiti Energia ha costruito le sue fortune sulla lunghissima era Buscaglia, terminata la scorsa estate ma contraddistinta da salite e risalite, dalla B2 all'Eurocup, facendo crescere giocatori e consentendo una maturazione del club. Il rischio di fallire l'obiettivo e di ritrovarsi invischiati in lotte salvezza è comunque dietro l'angolo. Così come è sempre presente lo spettro dello sponsor insolvente o del presunto magnate che improvvisamente alza bandiera bianca chiedendo ad altri di coprire i propri impegni. Senza parlare degli eccessi visti e rivisti, amministratori dalle mani bucate o frodatori del fisco.

Il campionato è partito con un numero dispari di squadre e terminerà con un numero dispari di squadre. Giannino er laziale si è pronunciato chiaramente: l'anomalia a 17 è figlia, secondo lui, dell'apertura all'A2. Vagli a spiegare che aver partorito una seconda serie a 32 (ora a 28) è e resta una mostruosità al pari di un torneo pro con una sola retrocessione. E vagli sempre a spiegare che con qualche controllo in più forse non sarebbe stato necessario estromettere squadre in corsa tra A, A2 e B, né rifiutare iscrizioni in estate, trovando dunque un punto di equilibrio. L'ultimo precedente di una Serie A con 17 iscritte risaliva al 2011/12: altro pasticcio federale, una norma (la wild card, subito tolta) scritta in maniera pedestre che spalancava le porte ai ricorsi. All'epoca si risolse tutto grazie ai guai altrui - segnatamente, il mancato passaggio di consegne tra Benetton e Consorzio Universo con rinuncia del primo soggetto all'iscrizione ed impervia strada dell'articolo 148. C'è da scommettere che a primavera inoltrata matrigna FIP farà le pulci ai conti delle squadre meno solide finanziariamente per scoprire una nuova Caserta, Torino ed Avellino. Però ricordate: il movimento è in salute. 

venerdì 27 settembre 2019

La scommessa (vinta) di Giovanni Favaro

Per una volta non parliamo di aspetti tecnici o agonistici. Parliamo di organizzazione. Quindi rivolgo un plauso sincero al direttore generale di Treviso Basket Giovanni Favaro. Devo anche spiegarvi perché? 

Guardate la foto, sintesi di un Palaverde pieno come un uovo, come era stato nelle scorse finali promozione di A2 ed in poche altre occasioni. Scontato? Non direi, viste le tante polemiche attorno. Perché oltre alla questione parcheggi, stucchevole e ripresa in maniera abbastanza fuori luogo da un quotidiano locale oggi, c'era il problema di fondo del match fuori abbonamento.

Qualcuno può esserselo dimenticato ma la partita contro Milano era stata esclusa dalle tessere stagionali e l'annuncio, rilasciato alcuni mesi fa, aveva fatto subito discutere. Giusta o sbagliata, la decisione aveva scatenato la solita ridda di voci ed il consueto rumore di sottofondo, il brusio o brontolio, tipico del trevigiano medio. Accuse di voler speculare, di voler far cassa, di non rispettare gli abbonati. E lo spettro di offrire una cornice non del tutto degna all'occasione, cioè il gran debutto in Serie A - o, se si preferisce, il ritorno della piazza di Treviso nel massimo campionato.

Invece ieri sera in quel meraviglioso catino che è il Palaverde non avanzava spazio nemmeno per uno spillo. Gente in piedi, gente seduta sulle scale, tutti impegnati a gustarsi lo spettacolo della Serie A ed a sostenere dagli spalti. La scommessa si è rivelata vincente.

Tutto bene? Non proprio. E non mi riferisco alla partita. Si può ancora crescere e migliorare. Il presidente Vazzoler auspicava ieri sera che il ruggito del pubblico trevigiano, quello udito nelle finali contro Capo d'Orlando e che aveva stupito tutti lo scorso giugno, diventasse una costante. Ecco, quel ruggito va recuperato. Il successo della stagione di Treviso Basket passerà anche per questi dettagli.

venerdì 6 settembre 2019

Oh Romeo, Romeo...!

...perché non sarai più tu il commissario tecnico dell'ItalBasket, Romeo?

Perdonate la licenza teatrale ma già prima della partenza della carovana azzurra per l'Oriente era risaputo del rischio corso dalla guida tecnica del convoglio. Risultato buono (traduzione: ingresso nelle migliori otto) oppure tanti saluti ed arrivederci. Con nome di rincalzo già pronto. Ed è un nome che ricalca in buona sostanza la tipologia schizofrenica delle scelte federali in almeno tre casi negli ultimi dieci anni.

Sacchetti pagherà caro, pagherà tutto. Colpe ne ha, intendiamoci, ma non è il solo. Le sue responsabilità sono da ricercare in un gioco troppo prevedibile per essere efficace sul lungo periodo - rotazione ossessiva per il ricciolo o lo scarico sul perimetro - e su alcune scelte in fase di selezione preliminare, per quanto condizionate da fattori esterni. Certo, non è colpa di Sacchetti l'improvvisa indisponibilità di Melli che ha privilegiato il sogno NBA (capitolo su cui tornerò più avanti), né l'ormai evidente assenza di lunghi di ruolo spendibili in ambito internazionale.

I pochi sostenitori di Pietro Aradori forse staranno gongolando, pensando che se il loro beniamino fosse rimasto in gruppo forse qualcosa sarebbe cambiato. Forse. Magari. Ma quello è un discorso anche caratteriale ed è indubbio che a volte un CT voglia dare un segnale forte allo spogliatoio facendo capire che il posto non è garantito a nessuno. La questione del figlio, giocatore che peraltro non mi è mai piaciuto, non la voglio nemmeno toccare: si sono sprecati fiumi di inchiostro per negare un nepotismo mai esistito e paventato da ignoranti della materia. Brian Sacchetti è ed è sempre stato un'ala perimetrale con poco talento, tanta voglia di difendere duro (a volte troppo) ed un pizzico di ignoranza cestistica: in un gruppo fortemente operaio aveva una sua logica. La sua colpa non è stata essere figlio dell'allenatore ma essere l'ennesimo doppione di ruolo di un roster carente di centimetri, di gioco in post basso e spalle a canestro ma fin troppo ricco di tiratori e di elementi involuti.

Abbiamo troppe guardie, troppe ali. Pochi play, e quei pochi suddivisi tra equivoci, giocatori a volte scartati e poi ripescati, ibridi. Quasi nessun centro: per il Paese che ha sfornato Dino Meneghin, il povero Ciano Vendemini, Arione Costa e la coppia Marconato-Chiacig, sembra una bestemmia. E qui iniziano i veri mali del nostro basket. Perché la produzione del ruolo si è assottigliata, perché oggi in Nazionale vanno un Biligha paurosamente deficitario di centimetri che non sempre può compensare con la grinta o un Tessitori che a 25 anni è digiuno di basket di alto livello e paga l'ingenuità - a casa resta Cervi che somiglia sempre più ad un caso di centimetri rubati al volley. Il discorso è complesso, parte dalla mancanza di progettualità, da istruttori che non vedono riconosciuti i loro meriti e dopo un po' si stufano e lasciano perdere, da società che vedono nei settori giovanili un costo obbligatorio e non una vera risorsa; si passa poi a regolamenti del piffero, iper-protezionistici per i panda nostrani che passano 2-3 anni a fare panchina senza giocare perché Under e che poi si trovano la strada sbarrata dall'americano di turno che dura (se va bene) una stagione, perché ingaggiare un USA&getta costa sì e no 120mila-150mila dollari più tasse a stagione, mentre un giovane da crescere richiede un investimento costante per 4-5-6 anni, col rischio di sbagliare qualcosa e dover rinunciare. Ed infine c'è matrigna FIP che il risultato lo vuole, eccome se lo vuole, ed il premio di risultato alias NAS lo ha imposto uccidendo il sistema, già malato tra l'altro, ché i vivai non sono certo rinati né gli allenatori che lavorano con i giovani e li fanno maturare vengono premiati con contratti più remunerativi o possibilità reali di carriera.

Immagino la faccia di Giannino er laziale qualora dovesse leggere queste mie righe. Sarebbe identica al dottor Eldon Tyrell (Joe Turkel) di "Blade Runner": "Tutto questo è accademia!". Sì, certo, può darsi. Ma è anche accademia, dannosa peraltro, naturalizzare l'ennesimo 3-4 ininfluente ad altissimo livello invece di tappare la falla in area cercando qualcosa di meglio in un ruolo scoperto. Perché Jeff Brooks, altra scelta discutibile a più livelli, non pare aver fatto compiere il salto di qualità ad un gruppo quasi a fine corsa. Appare qui paradossale come l'ultimo naturalizzato davvero utile alla causa sia stato Nikola Radulovic, uno scarto della Croazia, un giocatore sbocciato a 28 anni grazie al matrimonio con la figlia della compianta Mirja Poljo. Eppure Radulovic fu davvero la panacea ad un male passeggero, la mancanza temporanea di un'ala pura con centimetri e tiro da fuori: una lacuna che ad inizio anni 2000 era evidente e che poi si è colmata ottimamente. Ma all'epoca si pensò giustamente in funzione del problema immediato, confidando in sviluppi positivi per quel che sarebbe stato in seguito.

Ecco, bisognerebbe iniziare a ragionare sul futuro. Che non è soltanto il Preolimpico, obiettivo minimo centrato grazie alla ridicolaggine delle Filippine ed all'inadeguatezza dell'Angola. Il futuro significa la squadra che verrà e che dovrà essere per forza di cose rivoluzionata. Belinelli ha 33 anni, Datome e Hackett 32 (Daniel a fine 2019), Gallinari 31 come Aradori. Bargnani, che ne avrebbe 34 tra poco, è sparito dal radar tre anni fa. In parole povere la generazione NBA, quella del salto di qualità, ha fallito. La Nazionale andrà ricostruita su Della Valle, doppione tra l'altro di Belinelli che in questo Mondiale è tornato ad essere lo #SDENG! di dieci anni fa, confermando la parabola discendente di carriera in azzurro; con lui, si potrebbe riprendere il discorso con Biligha e Tessitori, a patto che possano compiere l'ultimo balzo in avanti. Ci sono Mussini e Moretti che spingono per avere spazio (il secondo sta dimostrando di poter davvero far qualcosa di buono). C'è Fantinelli che è alla prova decisiva della carriera. C'è Tonut che merita maggiore considerazione. C'è Gaspardo che potrebbe ricevere l'ultima chance. C'è Flaccadori cui l'estero potrebbe far bene. Bisogna capire cosa ne sarà di Melli. Ed occorrerà ragionare appunto sui senatori attuali, a costo di fare altre scelte impopolari. La Francia diventò una Nazionale credibile quando rinunciò a far ragionare tatticamente Tariq Abdul Wahad, non convocandolo più: forse sarebbe il caso di imitare tale decisione, smettendo di illuderci che Gallinari possa sempre cavare il coniglio dal cilindro o che a Belinelli e Gentile si riapra la vena giusta.

Torniamo al titolo. Romeo Sacchetti quasi sicuramente saluterà tutti al rientro in patria. Al suo posto dovrebbe accomodarsi WDR alias Ovosodo: una personalità difficile, un altro innamorato del tiro da 3 (e ridajela...) col pregio di avere la capacità di riuscire, talvolta, a trovare il giusto mezzo in situazioni tattiche complesse rese ancor più difficili dall'ego dei giocatori. Ma il livornese non sarà la panacea di tutti i mali. In primis perché lavorerà part-time per la Federazione e già questo è un grosso problema. In secundis perché erediterà una Nazionale da svecchiare ma priva già ora di lunghi autentici e con qualche giocatore che non lo ama (qualcuno ha detto Biligha?). Infine perché la Nazionale non è il club in cui si è protetti ed assecondati in tutto ma richiede notevole capacità politica e diplomatica per conciliare aspettative, obiettivi, richieste, possibilità e risorse a disposizione. E la Federazione, dopo l'addio a Recalcati, ha troppe volte cavalcato la tigre del successo del momento pensando che l'allenatore in auge (Pianigiani, Sacchetti) avesse la bacchetta magica. Così non è, dunque... Auguri!

mercoledì 19 giugno 2019

Da zero a dieci, passando per A2

Chiudiamo una stagione affatto banale con le pagelle, anche se un pelino fuori ordinanza.

Voto 10 e lode alla scaramanzia di coach Max Menetti. Lino Banfi, vedendolo, potrebbe prenderlo a modello per una remake di "Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio" o di un altro classico quale "L'Esorciccio". Il sale, la benedizione a borraccia, le scarpe, la pizza prima di una partita importante, l'aggiustata alla cravatta... e ce ne sarebbero ancora parecchie da raccontare.

Voto 10 alla faccia di bronzo di David Logan alias l'uomo che sorride di rado. Arriva, gioca in ciabatte, vince la Coppa. Poi prende ritmo ma si fa male (poco). Sta fermo, rientra piano, gioca nuovamente in ciabatte, due accelerazioni e rivince. Nel mezzo, incassa i premi previsti. Sempre senza battere ciglio.

Voto 9 ai ragazzini terribili di Capo d'Orlando. E quando cappero gli ricapita di giocare una finale di A2 da protagonisti? Intanto hanno dimostrato che gli Under non servono solo a far numero ma possono tenere il campo: società assortite, prendete nota.

Voto 8 ad Andrea Pecchia. Che assomiglia sempre di più al più vecchio dei Cinciarini, sia nel modo di giocare che per gli attributi abbondantemente portati a spasso sul parquet. Merito anche di Adriano Vertemati, è chiaro, ma la personalità non si insegna, al massimo si forgia. E per farlo occorre sbattere il naso qualche volta. Bravo lui che l'ha capito.

Voto 7 agli speaker professionali che svolgono un onesto mestiere senza eccedere in protagonismi. Perché il pubblico ha bisogno di tutto fuorché di essere aizzato da qualcuno che al tavolo dovrebbe soltanto dare le informazioni di gioco. Bravi loro.

Voto 6 alle intemerate di Pedrollo sr. e di Pedone che ravvivano l'atmosfera prima, durante e dopo l'uscita dal gioco delle rispettive squadre. Con l'augurio che l'anno prossimo tocchi a Verona ed Udine salire in Serie A.

Voto 5 a chi ha collocato nei calendari la Final Four di B (comunque un obbrobrio che scomparirà con somma gioia di tutti) nel bel mezzo della serie di finale di A2, obbligando lo staff LNP a fare i salti mortali, stante l'assenza di teletrasporto e l'impossibilità di essere ovunque.

Voto 4 a Sportitalia, ormai Calcioitalia: nella sera di gara3 di finale riduce al minimo indispensabile il tempo a disposizione per dare spazio alle solite chiacchiere vuote e fumose della consueta pedata. Come prendere a calci la passione di migliaia di spettatori.

Voto 3 ai palasport italiani, in larga parte vecchi, malmessi, in qualche caso nemmeno in muratura e soprattutto sprovvisti di aria condizionata. Se il meteo ha regalato un maggio tutto sommato fresco per giocare, le settimane di giugno sono state un vero inferno. Possibile che non si possa far nulla?

Voto 2 alle dichiarazioni inappropriate di Giannino er laziale. Anni fa propugnava le grandi piazze... poi Napoli e Torino sono saltate. Ora ha benedetto in fin troppo largo anticipo il ritorno ad alto livello delle città storiche: tra Treviso, Bologna e Roma in quanti stanno controllando scaramanticamente la consistenza del proprio scroto?

Voto 1 agli arbitri di A2. Che il secondo campionato nazionale abbia dei fischietti spesso inadeguati e talvolta imbarazzanti o impresentabili non è concepibile. Il colmo si è toccato con Masi, direttore di gara fiorentino: per comportamento, largamente il peggiore ed un pessimo spot per la categoria.

Voto 0 ad un preciso quotidiano locale. Che in 8 mesi ha alternato una dozzina abbondante di firme differenti per lo stesso argomento, talvolta lasciando interdetto il lettore, privo di punti di riferimento. Una gestione gattopardesca: "cambiare tutto affinché nulla cambi". Nunzio Filogamo ringrazia.

lunedì 29 aprile 2019

Tanto tuonò che...

Torino è fuori da LBA. Un potenziale titolo ad effetto, forse un pelino fuorviante per l'uomo della strada abituato a leggere più le locandine dei quotidiani che un articolo circostanziato ed accompagnato da ragionamenti e dati. Quindi, spieghiamo: Auxilium Torino è stata esclusa dal consesso dei soci della Lega Basket Serie A. Il club gialloblu è stato espulso dall'associazione delle società partecipanti al massimo campionato nazionale di pallacanestro.

Attenzione: la squadra partecipa ancora regolarmente al campionato in corso. La cacciata della società da LBA non comporta certo l'immediata esclusione dalla competizione sportiva. Fino al termine della stagione regolare Torino scenderà in campo. Poi si aprirà una lunga parentesi punteggiata da interrogativi legati al futuro.

Non si può parlare di fulmine a ciel sereno. Se ne era parlato anche in questo blog qualche giorno fa quando giunse la notizia del presunto salvagente russo targato Dmitry e proveniente da Cipro. Più che un canotto di salvataggio a quasi tutti l'iniziativa di Gerasimenko è parsa la classica ciambella avvelenata: buona ed utile a saziare nell'immediato l'appetito, ma guasta e destinata da provocare una colica in breve tempo. O un'occlusione intestinale.

Consentire ad un personaggio quale il presunto magnate dell'acciaio di rientrare dalla finestra nella pallacanestro nostrana dopo i disastri combinati a Cantù era follia pura. Oppure la classica soluzione disperata di una dirigenza priva di alternative credibili. O ancora, il metodo ideale per chiudere una situazione debitoria pesantissima senza onorare i pregressi e scaricando il peso morto sulle spalle di un colpevole ideale.

Torino rischia grosso. E non solo a causa del latitante alloggiato sotto il Pentadattilo. L'espulsione da LBA apre il conto alla rovescia in casa Auxilium. Ci sono 31 giorni di tempo per rinnovare l'iscrizione a FIP (fattibile). Sono invece 47 (brutto numero per chi crede nella Smorfia) i giorni a disposizione per rientrare in LBA: per riuscirci però occorre un cambio al vertice, il subentro di uno o più soci che possano rilevare le quote di Gerasimenko che ad oggi è l'azionista di maggioranza con il 60%. Oppure una massiccia ricapitalizzazione che faccia scendere in maniera decisiva l'incidenza del russo, relegandolo in un angolo. Senza queste premesse, la Lega non consentirà mai all'Auxilium il reingresso. E senza il placet dell'assemblea dei club, FIP non potrà ratificare il diritto dei gialloblu a restare in A.

A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca. Massima non mia ma di quel volpone ciociaro che rispondeva al nome e cognome di Giulio Andreotti. Ebbene, la pedata nel deretano torinese è arrivata a stretto giro di posta dalle dichiarazioni di Bianchi e Petrucci di una decina di giorni fa, quando si sparse la voce riguardo un possibile ingresso di Gerasimenko nell'Auxilium. Che dunque ha costituito il pretesto ideale per togliere la seggiola sotto il sedere del club della Mole in una particolare riedizione del giochino musicale. Appena lo stereo ha iniziato a suonare "Kalinka", tutti hanno capito chi sarebbe rimasto in piedi, fregato. E puntualmente ecco l'esclusione, propedeutica ad una riduzione già auspicata ed invocata del numero di squadre in A.

L'espansione a 18 ancora non è realtà e già rischia di diventare a 17, dunque. Sempre che entro il prossimo luglio la ComTeC non muova qualche rilievo ad un'altra tra le realtà in bilico, annullando lo spettro di un campionato dispari - ultima volta nel 2011/12 con il pasticcio della wild card tra Teramo e Venezia. Sarà una primavera interessante, in attesa di un'estate calda, almeno sul fronte delle carte bollate.

mercoledì 24 aprile 2019

Insalata russa con sorpresa

Dal sole asciutto di Cipro all'umida Torino: cinque ore e mezza di volo, comode e con tutti i comfort. Il biglietto? Mezzo milione di euro, offre zio Dmitry. Non stupitevi, lettori del blog: ormai non c'è più nulla di autentico (Controllo, "La Talpa"), nemmeno la sincerità. Così Gerasimenko, disarcionato da Cantù ed inseguito da mandati di arresto per bancarotta ed appropriazione indebita, rientra in gioco con una robusta iniezione di denaro per la moribonda Auxilium in cambio di un sostanzioso pacchetto azionario.

Un vecchio collega insegnava che nel giornalismo le domande importanti sono due. La prima, perché introduce l'argomento. E la seconda, perché inchioda l'intervistato mendace, reticente o che pensa di poter addomesticare il suo interlocutore. In questa vicenda, gli interrogativi abbondano. Alcuni, almeno a me, paiono retorici, ma proverò ugualmente a seguire la regola aurea per fare un po' di chiarezza sulla vicenda che si sta sviluppando.

Partiamo dalla prima domanda. Perché cercare Gerasimenko? Facile supporre che il presunto magnate in esilio rappresenti l'unica ancora di salvataggio per quel Titanic di debiti che si chiama Torino. Con buona pace di chi si illudeva che la sponsorizzazione Fiat potesse essere la panacea di ogni male. Ciò significa che la situazione è disperata, che nessuno è disposto ad investire (recte: buttare) soldi nel buco nero gialloblu, che i bilanci sono affossati da passivi quasi insostenibili. Altrimenti per quale motivo in questi due mesi di appelli da parte dell'ambiente piemontese non ci sarebbero state risposte concrete, al di là della buona volontà di Terzolo di offrire il suo progetto giovanile a supporto? Il passivo dunque è importante ed è comprensibile che non ci sia interesse a ripianare. E qui entra in gioco l'alternativa del diavolo, i soldi di zio Dmitry. Che indubbiamente non si è stufato del giochino, visto che si è dichiarato disponibile a dare una mano. E che probabilmente ha ancora qualcosina da parte, dopo che in patria la magistratura gli ha fatto terra bruciata.

Allora passiamo alla seconda domanda. Cosa comporta Gerasimenko? Affidare buona parte del pacchetto societario ad un latitante con precedenti gestionali affatto edificanti proprio nel basket non sembra certo un'idea da cavalcare. In fondo, Gerasimenko fa rima con la chiusura del Krasnji Oktjabr' Volgograd, spolpato sino all'osso, e con la crisi prolungata di Cantù, risolta in extremis da un gruppo di imprenditori locali quando la pietra tombale stava per calare definitivamente. Non un bel biglietto da visita. A Torino zio Dmitry avrebbe chiesto il posto di general manager ed anche questo è un dettaglio che dovrebbe far riflettere: quella poltrona garantisce ampia discrezionalità ed enorme margine di manovra in ogni ambito, non solo agonistico ma prima di tutto finanziario.

Ma sopra ogni cosa ci sono Mamma FIP e Zia LBA. Vale a dire due entità che per ora si limitano ad osservare ma che sono pronte ad intervenire con una sola finalità: tagliare il ramo secco. Non è un mistero che Federazione e Lega muoiano dalla voglia di cancellare in tutta fretta l'espansione a 18 richiesta a gran voce per tre anni da LNP ed alla fine ingoiata a viva forza da tutti, club di Serie A in primis. Una sparizione farebbe comodo per accelerare i tempi. E fornirebbe pure il pretesto per spulciare altri conti di soggetti a rischio - Trieste? Avellino? La neopromossa Roma che rischia di essere azzoppata dalle vicende personali di patron Toti? - e sfoltire ulteriormente la rosa delle partecipanti al prossimo massimo campionato, senza abbandonarsi a ripescaggi. Da 18 a 16 in un battito di ciglia. O in una seduta di Consiglio Federale, chiamato a deliberare l'ammissione ai prossimi campionati e che potrebbe con le giuste motivazioni escludere qualche avente diritto. E qui, spiace dirlo, Torino può davvero tremare: il faro resta acceso, Dmitry o non Dmitry. Parola di Giannino er laziale.

L'insalata russa che si sta apparecchiando rischia davvero di essere indigesta. Proprio quando pareva spuntare un raggio di sole, con l'idea di trasformare il titolo sportivo delle società dilettantistiche in un asset cedibile a terzi senza costringere l'acquirente a farsi carico dei debiti. La maionese montata sotto la Mole potrebbe nascondere insidie tossiche per LBA e per il movimento, rovinando l'appetito dei tifosi e chiudendo lo stomaco degli investitori. Mentre l'unica riforma davvero necessaria, quella della Legge 91, resta ancora un'utopia invocata da alcuni e disattesa dai più che si accontentano dei lustrini di una Serie A che fatica comunque a decollare e che attende il ritorno delle piazze tradizionali come un Messia che distribuisca pani e pesci. Chi si accontenta gode, dicono. Evidentemente c'è chi riesce a saziarsi anche con poche briciole.

giovedì 18 aprile 2019

Dentro l'uovo di Pasqua...

...un bel Time Out.
Confesso di aver letto con gusto ed attenzione il libro di Flavio Tranquillo dedicato alla vicenda della Mens Sana Siena. Arguto, attento, ricco di materiali: quasi un reportage. Già prevedo gli strali dei tifosi senesi, affatto teneri nei confronti di Tranquillo che era già "il nemico" ai tempi di Tele+ e Sky e che è diventato ancor più antipatico in Toscana dopo che ha iniziato a prendere le distanze dal sistema-Siena denunciandone le storture - nonostante un pagamento in nero a suo favore per una occasionale presentazione nel 2004, peccato confessato in autonomia e che non può certo né deve sminuirne l'onestà professionale.

Ma Tranquillo non ha scritto nulla di inventato. E non ha nascosto nulla. Anzi, ho trovato avvincente il suo tomo proprio perché non si è limitato al lato sportivo. Ha approfondito con dovizia di particolari il lato finanziario della torbida vicenda, non risparmiando nulla e nessuno. Forse qua e là ha ecceduto - il velato coinvolgimento della massoneria mi è parso davvero esagerato, nonostante l'inchiesta abbia lambito Stefano Bisi - ma credo l'abbia fatto con pieno spirito investigativo.

Cosa emerge? Prima di tutto, un cumulo di macerie. Non solo quelle della Siena cestistica, affaristica, sociale. Il basket italiano è stato torturato da tre lustri di cura-Minucci: un periodo in cui si è cristallizzata la situazione per favorire una piccola realtà di provincia, uccidendo la concorrenza, anestetizzando il movimento, demolendo le alleanze che sino a quel momento avevano lavorato per il bene comune. Se nei 15 anni di ascesa e caduta della dittatura mensanina non si sono registrate spinte propulsive di rinnovamento ma solo una mediocrità affatto aurea a contorno di un solo protagonista, c'è ben poco da negare. La colpa è di chi ha permesso che ciò avvenisse, a vari livelli.

Diceva bene Giorgio Buzzavo nelle interviste che mi ha concesso negli anni scorsi. Con buona pace dei soliti tifosi che si nascondono dietro scudetti meritati sul campo ma figli di una gestione truffaldina. L'allarme era suonato più volte ma nessuno l'aveva voluto ascoltare. Ci si è beati di lustrini fasulli a riverberare un successo effimero e molto relativo, dimenticando che, mentre le mani dei soliti noti si spellavano ad applaudire il gioco spumeggiante e cannibale della squadra di Pianigiani ed i presunti successi manageriali di Minucci, i vivai continuavano a vegetare, gli sponsor fuggivano, i proprietari mollavano il colpo, i palasport diventavano rapidamente obsoleti, il prodotto-basket peggiorava sino a diventare invendibile.

Poi, allo scoppiare del bubbone, via allo scaricabarile. Con l'ex divinità Minucci trasfigurata in ladro. Da idolatria ad iconoclastia, come bene ha scritto Tranquillo. Ma l'origine del male non sono certo i 5 milioni e spiccioli drenati dall'ex dirigente e dai suoi sodali in una decina d'anni. Per un club che nello stesso periodo ha movimentato oltre 130 milioni di euro, l'eventuale cresta compiuta da un manager e dai suoi complici nel sistema di fatturazioni fantasma e di finanza creativa sono soltanto un peccatuccio veniale.

Il vero problema, quello negato dai più a Siena ma comprensibile da molti altri altrove, risiede nelle modalità di gestione di un club che aveva un solo, vero polmone finanziario: la banca, Babbo Monte, il soggetto che aveva neutralizzato i debiti della vecchia gestione e che dopo un lungo corteggiamento aveva deciso di intervenire in prima persona sostenendo la qualità della vita del cittadino senese medio così come già faceva elargendo fondi a Università, ospedale, associazioni, Palio.

Vincere costa. Ed in Italia costa anche di più, a causa di un sistema fiscale penalizzante per lo sport professionistico. Rispettare le regole è difficile, bypassarle richiede creatività ma espone a rischi. Ed è esattamente quel che è accaduto a Siena. Lo affermano gli inquirenti, lo ribadisce Tranquillo. Carte alla mano, nessuna invenzione. Il metodo Minucci serviva a questo: inventarsi modi alternativi per ingaggiare grandi campioni senza pagare il dovuto a Erario e ENPALS (oggi INPS).

Porto una testimonianza diretta, giusto a sgombrare il campo dai dubbi. Gennaio 2012, cena informale con Claudio Coldebella ed alcuni colleghi della stampa casertana. Si parla anche di soldi: la Benetton Basket sta per chiudere i battenti, Enzo Lefebre sta battendo ogni strada per trovare nuovi finanziatori, la squadra è stata fatta con pochi spiccioli ed appena poche settimane prima si è sacrificato il futuro di Ale Gentile per acquistare due giocatori, averne un terzo già pagato da Milano e confermare l'unico contratto oneroso in scadenza. "Che volete che vi dica? - disse il dirigente castellano - Ditemi voi come si fa a competere in condizioni normali con chi propone un biennale a David Andersen da 3 milioni. Uno dichiarato e due in nero". Avessi pubblicato quelle parole all'epoca, Claudio ed io avremmo ricevuto una corposa querela. Ma era verità assoluta, come si sarebbe visto appena pochi mesi dopo quando Banca MPS tirò i remi in barca e costrinse Minucci a piazzare al Fener il suo pivot australiano con annesso contrattone fuori mercato.

Oggi sappiamo che in quella storiaccia tipicamente italiana c'era di tutto. Restano ancora le chiacchiere malevole ma mai provate sui rapporti con gli arbitri italiani dell'epoca, sussurri e maldicenze. Poi ci sono le certezze, anche se smentite dal Minucci stesso. Come nel caso Lorbek, quando l'ex dirigente con candore oggi afferma di un de relato di Diego Pastori che lui si sarebbe premurato soltanto di riferire al presidente di Lega Enrico Prandi. Peccato che alla stazione dei Carabinieri di Casalecchio di Reno non si sia presentato né Pastori né Prandi per sporgere la denuncia da cui partì l'indagine (archiviata un anno e mezzo dopo) per presunta frode sportiva. E peccato che non fu né Pastori né Prandi ad introdurre l'argomento nella riunione di Lega post Coppa Italia. Fu soltanto uno dei tanti episodi di destrutturazione del sistema basket italiano operato da un manager che voleva tiranneggiare, forte di un supporto finanziario che credeva eterno e del relativo potere, anche politico. Ma tutto ha una fine. Ed a volte la fine è ingloriosa.

giovedì 4 aprile 2019

Gogna e controgogna

Sto assistendo allibito agli sviluppi della vicenda che vede protagonisti Selvaggia Lucarelli ed Andrea Rovatti. In sé, si tratta della classica lite via social che non meriterebbe più di due righe per descrivere la stupidità di un commento sessista. Ma gli strascichi della questione stanno varcando i confini del buonsenso ed a questo punto qualche riflessione credo sia utile.

Piccolo riassunto delle puntate precedenti. Selvaggia Lucarelli, blogger e giornalista pubblicista, ha polemizzato attraverso i propri canali social per un filmato della trasmissione televisiva "Le Iene" in cui i genitori di un ragazzo morto impiccato in seguito ad una tragica e stupida sfida appresa online accusavano la stessa Lucarelli: in un lungo post l'opinionista aveva rovesciato la responsabilità del fatto proprio sulla famiglia del giovane, la quale avrebbe raccontato una versione di comodo per giustificare un suicidio. La Lucarelli, come molti altri personaggi che mescolano informazione, spettacolo, divismo e influencing, ha deciso di scatenare l'ennesima tempesta nel web cui è seguita, immancabile, l'ondata di commenti tra lo sdegno, la solidarietà, il distacco, la polemica ed ovviamente l'insulto. In quest'ultimo ambito si è distinto - si fa per dire - Andrea Rovatti. Un ragazzo di 23 anni che gioca a basket in Serie A2 nell'unica squadra sarda del campionato. Rovatti esce dal seminato, non coglie la trappola imminente e nella discussione in Instagram utilizza un epiteto volgare e sessista per definire la Lucarelli. La quale in poco tempo risale all'identità dell'autore dell'offesa e lo sputtana urbi et orbi tirando in ballo persino la squadra per cui è tesserato, la Dinamo Lab Cagliari. La quale, vista la mala parata, multa e sospende il giocatore.

Fin qui la ricostruzione dei fatti. Ora mi concedo due riflessioni molto semplici.
La prima riguarda Andrea Rovatti. Che alla sua età dovrebbe pensare ad allenarsi duramente, magari organizzare il proprio futuro (anche extra basket, ché la carriera non è eterna) e poco altro. Se oggi Andrea Rovatti non comprende la stupidità di esprimere il suo eventuale dissenso nei social con un becero insulto, è un problema che riguarda il ragazzo e la sua famiglia che evidentemente non gli ha insegnato a comportarsi in maniera adeguata. Un rabbuffo è necessario, ci mancherebbe, ma a farlo dovrebbero essere mamma e papà Rovatti. Oppure c'è la via delle carte bollate, un sistema più severo e diffuso di tramandare il bon ton. Sono certo che una shitstorm su un 23enne e sul suo ignaro ed estraneo datore di lavoro non sia né una amorevole correzione né il succedaneo del sonoro ceffone di un genitore.

La seconda riguarda l'origine del problema. Selvaggia Lucarelli si è comportata da bullo di periferia. Chiede il consenso pubblico, si fa forte di una pletora di follower e parte all'attacco di chiunque non le vada a genio. Ma questa non è informazione e non è nemmeno un atteggiamento deontologicamente corretto. Si tratta solo di una cattiveria gratuita, una sorta di "colpiscine uno per educarne cento". Ma qui non c'è educazione, c'è solo un gioco al massacro. Perché alla fine della fiera restano il dolore di una famiglia per un ragazzo morto a 14 anni ed un 23enne che si vede additato al pubblico ludibrio in diretta mondiale e che rischia di perdere il lavoro oltre alla faccia. Una doppia gogna dunque, per Rovatti e per il club sardo che lo annovera tra i tesserati che, non sapendo come reagire all'improvvisa e sgradita notorietà, adotta l'unica soluzione d'emergenza prevista: sanzione pecuniaria ed esclusione.

Come concludere questa riflessione? Con cinque suggerimenti.
  • ad Andrea Rovatti: imparare dagli errori è utile... quindi meno social e più palestra; nel frattempo, due righe di scuse possono essere utili anche a riabilitare l'immagine personale
  • alla Dinamo Lab Cagliari: inutile assecondare la malvagità della rete, molto meglio riaffermare la propria estraneità ai fatti invitando la signora Lucarelli ad una partita per farle capire che la pallacanestro è sport e non pettegolezzo
  • agli utenti dei social: attenzione, Internet non è zona franca, non è l'osteria dove una stupidaggine detta in un momento di euforia alcolica viene derubricata e dimenticata all'istante; siate accorti ed usate il cervello quando digitate
  • a Selvaggia Lucarelli: "Dei delitti e delle pene", godibilissimo ed attualissimo pamphlet di Cesare Beccaria, utile per comprendere il principio di proporzionalità tra offesa e sanzione e per capire la stupidità della messa alla berlina; lo legga e lo rilegga
  • all'Ordine dei Giornalisti della Lombardia: una convocazione della Lucarelli, tornata da poco più di due mesi nell'Albo Pubblicisti, avanti alla Commissione Disciplinare per discutere del comportamento di un giornalista non solo nei suoi scritti credo sia d'uopo.



martedì 2 aprile 2019

L'ottimismo è il profumo della vita

Ghiacci senior non si chiama Gianni ma Mario. Non ha le physique du rôle del compianto Tonino Guerra e ha un carattere che ricorda Lucianino Perozzi: vede tutto, nota tutto, scrive tutto e non sorride mai. Però ha un pregio innegabile: è una persona pragmatica. Non si concede voli pindarici e preferisce da dura realtà a prospettive sognanti. Lo ha dimostrato anche ieri quando con disincanto ha pronunciato parole dure, taglienti, che potrebbero far male: "Se non ci saranno i presupposti economici, cederemo il diritto di Serie A e ripartiremo dall'A2". Come dire, meglio abbassare le pretese che morire. D'altronde nel giro di una settimana Trieste conoscerà qualcosa del proprio futuro. Con Scavone ospite del contribuente al bagno penale (che non è una località termale) e lo sponsor-proprietario Alma che oggi garantisce il 60% del budget e che domani potrebbe uscire definitivamente di scena, la scelta è tra l'azzardo di sedersi al tavolo verde bluffando o dimostrarsi seri e concreti e pianificare una differente strategia.

Posto che il cosiddetto scambio di titoli in realtà è un qualcosa di più complesso - teoricamente la FIP non ammette la possibilità, nella pratica occorre spostare di sede due società accettando di ereditare tanto asset (parametri NAS) quanto oneri (le situazioni debitorie sono sempre accompagnate da rischi) - ebbene chi potrebbe essere interessato dalla prospettiva? Osservando l'A2, dopo la conquista matematica della Fortitudo della promozione restano in lizza ad Est due robuste pretendenti ed una contender concreta ma meno attrezzata. E non è escluso che una tra le deluse dei prossimi playoff possa interessarsi della prospettiva adombrata da Ghiacci. Perché sarà impossibile accontentare tutte, tra Treviso, Verona ed Udine. Una salirà, due resteranno al palo.

Chi ha scommesso pesantemente, inutile nasconderlo, sono le due venete che con ingaggi di peso nel mercato di riparazione di gennaio-febbraio hanno colmato alcune lacune e si sono potenziati con giocatori di sostanza e di personalità, senza badare a spese. Questo è il vero ossimoro del momento: svenarsi finanziariamente per arricchire la squadra e tentare il tutto per tutto nella lotteria dei playoff, con il minimo comun denominatore di una esperienza notevole del nuovo faro della squadra. TVB ha puntato su Logan, la Scaligera ha scelto Vujacic: due guardie con trascorsi da play, due tiratori, due uomini da spogliatoio. Più basso, smaliziato e tiratore l'americano di passaporto polacco; più fisico e versatile lo sloveno. C'è già chi pregusta un'eventuale finale tra De' Longhi e Tezenis: come ai bei tempi della Coppa Italia 1994, Raf Addison contro il povero Hi Fly Williams, o della semifinale scudetto 1997, con il predicatore di Indianapolis in biancoverde ad affrontare il suo passato e l'estro di Mike Iuzzolino.

Poi c'è Udine. Camaleontica, contraddittoria, forse anche impaziente. Afflitta da difetti atavici in vari ruoli, con la regia affidata stabilmente al promettente Penna (davvero nessuno si è informato su Spanghero prima di ingaggiarlo come presunto play?) ed una pletora di mangiapalloni nel reparto ali. Eppure è ambiziosa l'Apu che ha cambiato pelle passando da Cavina al Martello Martelossi, prendendo Cavallo Pazzo Amici e scoprendo strada facendo che Ciccio Pellegrino sarà anche morbido in difesa ma sul fronte opposto può far male a chiunque. Una scheggia impazzita. E non è detto che incrociarla ai playoff sia un bene.

Sono queste le reali aspiranti alla promozione. Poi ci sono le altre, dal guazzabuglio forlivese alle coraggiose occidentali Bergamo e Orlandina, fino a Montegranaro. Che sì, è terza ad Est e per un po' è sembrata alternativa credibile allo strapotere Fortitudo. Ma la Poderosa non è così radicata sul territorio e non possiede oggi la solidità per poter davvero effettuare il salto di categoria, né sul campo né con acquisto o scambio di titoli. Poi con un pizzico di ottimismo si può sempre provare a sognare. Salvo riaprire gli occhi all'improvviso e scoprire che la realtà è ben differente.

domenica 31 marzo 2019

La potatura sistematica delle spine

Nella domenica in cui la Fortitudo ritrova in anticipo la Serie A, confermando quanto si era scritto a fine gennaio in questo blog (e sarcastici complimenti ai fenomeni da tastiera che danno prova di maturità ed intelligenza insultando Matteo Fantinelli), Treviso Basket conferma i favori del pronostico per i prossimi playoff con una prestazione corale ai limiti della perfezione. Ok, gli Sharks rosetani sembrano più che altro degli innocui palombi da dorare in padella piuttosto che dei predatori assetati di sangue cestistico. Ma ciò che conta è la lucidità e la capacità di riconoscere le insidie strada facendo, trovando soluzioni alla bisogna maggiormente efficaci.

Lo ha dimostrato ancora una volta la Menetti Band. Come? Compensando la serataccia al tiro di David Logan con la ricerca dell'alternativa ad alta percentuale in maniera scientifica. Se all'inizio Roseto chiude spazi a Tessitori in post affidandosi alla marcatura fisica o al raddoppio, ecco la circolazione di palla ad imbeccare i tiratori. Se il cecchino principe si esprime con un 1/7 facendosi sputare dal ferro almeno un paio di triple facili facili, nessun problema ché l'abbondanza di bocche da fuoco in tutti i ruoli non può far pesare l'occasionale defaillance. E se improvvisamente la retroguardia abruzzese abbozza un minimo di pressione sul perimetro, nessuna paura perché tra Tessitori e Chillo sotto canestro ce n'è in abbondanza per apparecchiare la tavola del banchetto.

Si potrebbe obiettare per il passivo a rimbalzo, già visto a Forlì e stavolta accentuato da un -10. Ma Roseto, pur piccolina, è squadra verticale ed atletica, un gruppo più di atleti che di giocatori tecnici, con un solo vero specialista del tiro pesante (Pierich, il migliore dei suoi) e tanti elementi che si esprimono al massimo quando possono sfoderare potenza e velocità aggredendo il canestro. Non deve sorprendere dunque la voracità rosetana di palloni da catturare nei pressi dell'area. Perché questa foga e l'eccessiva gioventù si paga con una marea di possessi offensivi gettati alle ortiche (22: record?) e con una circolazione di palla quasi inesistente. 

L'esatto contrario di una De' Longhi oliatissima nei meccanismi, spietata nella difesa sia sull'uomo che sulla palla, lesta ad approfittare della minima distrazione. In un aggettivo, cinica. In un secondo, profonda. Per la prima volta coach Menetti ha consentito a Logan di partire dalla panchina, al pari di Lombardi, riportando Alviti in quintetto e responsabilizzando Severini. Scelta tattica? Più che altro, lungimiranza: non si possono spremere i giocatori come limoni ed il tecnico reggiano lo sa bene. La sua filosofia prevede sì rotazioni a 9-10 elementi ma anche un impiego medio di circa 25 minuti o poco più per i giocatori chiave. Nei playoff, scendendo in campo ogni 48 ore, profondità e capacità di recupero rapido saranno le armi decisive, quindi quanto visto stasera è stato solo un antipasto di quel che sarà tra un mese. Non sorprendiamoci dunque.

Piuttosto, tempo di pagelle:

Tessitori 6,5 - Non il miglior Tex di sempre, specie alla luce di qualche difficoltà iniziale. Molto positivi i due recuperi ottenuti contro avversari atipici e dunque ostici da fronteggiare.
Logan 6,5 - Ad un certo punto scuote la testa vedendo il ferro che gli sputa letteralmente una tripla. Pazienza, succede. Ma con la testa resta lì, difende, recupera, smazza assist.
Burnett 7,5 - Forse qualche scout NBA, in tribuna per il reclamizzato ma deludente Eboua, avrà annotato anche il suo nome. Il connazionale Person lo rivedrà nei suoi peggiori incubi.
Sarto 6,5 - Presente quando c'è ancora partita, con tanto di tripla dall'angolo ad inaugurare il secondo quarto. Poi torna sul parquet in pieno garbage time.
Alviti 7 - Il feeling col canestro c'è ancora. Dopo diverse partite ritrova il quintetto base e le responsabilità offensive, partecipando con gioia all'orgia di triple.
Saladini ng
Barbante ng
Imbrò 7 - Una regia puntuale e ben orchestrata. Scelta dei tiri quasi impeccabile, a parte una tripla fuori contesto presa causa scadere del tempo. Da applausi un suo recupero a centrocampo.
Chillo 6,5 - Contro l'atipicità di Sherrod si trova a meraviglia. Un po' meno quando deve gestire un contropiede.
Uglietti 7 - Solito play di scorta, solita difesa solida, solito contributo di sostanza. Insomma, una sicurezza.
Severini 7 - Da lontano ci ha preso gusto e raddrizzato la mira: non più sassate ma triple chirurgiche. E sotto le plance lotta sempre come un gladiatore. Antonutti chi?
Lombardi 6,5 - Abbassa il voto con due falli in attacco in fotocopia che gli costano un po' di minutaggio. Positivo invece sulle linee di passaggio con ben 4 recuperi a referto.
Menetti 7 - Compito piuttosto facile, non deve ricorrere ad alchimie tattiche e deve solo dosare energie e falli e dei suoi.

Giordano 6,5 - Sarà stato anche garbage time ma 7 punti al Palaverde dopo un solo minuto giocato in stagione sono da ricordare. Quindi, martedì paste in spogliatoio.
Person 5 - Dicono abbia la congiuntivite, tuttavia la sua prestazione è largamente insufficiente su ambo i fronti anche senza invocare le scusanti del referto medico.
Cocciaretto ng
Rodriguez 6 - Senza Nikolic deve sobbarcarsi la cabina di regia. Commette anche degli errori ma in simili condizioni cerca di non sfigurare e di tenere la barca a galla.
Ianelli 5,5 - Non fa nulla. Letteralmente.
Pene' 6 - Già qualcosina di più rispetto a Ianelli.
Eboua 4,5 - Per lui ci sarebbe una caviglia in disordine come scusante. Ma il posizionamento errato in difesa, i liberi sbagliati e i falli sciocchi spesi non passano attraverso un certificato. Non una bella figura davanti agli osservatori.
Bayehe 5,5 - Una cavalletta a rimbalzo, inizia positivamente ma si perde nel prosieguo. E quando Severini si allarga per il tiro commette l'errore massimo di non seguirlo.
Sherrod 5 - Il nano-pivot impensierisce Tessitori solo nei primi due minuti, levandogli punti di riferimento in area. Poi sparisce.
Akele 6 - Ci teneva a fare bella figura davanti alla numerosa famiglia, lui che è nato a Montebelluna. Ci riesce giusto a rimbalzo. Ma non può bastare.
Pierich 6,5 - All'andata era stato tra i peggiori in campo. Stavolta sfrutta il suo bagaglio di esperienza per colpire con l'unica arma mai avuta a disposizione: il tiro sullo scarico. Abbastanza per evitare a Roseto un passivo esagerato.
D'Arcangeli 6 - Guida un gruppo giovane che si ritrova per metà azzoppato e privo da un giorno all'altro del cervello pensante in campo (Nikolic): è già tanto aver retto per un quarto di gioco.

giovedì 28 marzo 2019

Excusatio non petita...

Mi hanno fatto sorridere, in maniera amara, i comunicati emessi in rapida successione da Pallacanestro Trieste 2004 a smentita di qualsivoglia coinvolgimento della società alabardata nella vicenda che riguarda il suo presidente Luigi Scavone e lo sponsor-proprietario Alma. Non un sorriso di scherno o di compatimento ma di semplice presa d'atto: si smentisce ciò che nessuno ha ancora esplicitamente detto o scritto. Però intanto dai comunicati sparisce il nome dello sponsor. Appunto: excusatio non petita, accusatio manifesta. Per chi non vanta familiarità con i brocardi della lingua latina, "la prima gallina che canta è quella che ha fatto l'uovo".

La situazione triestina è precipitata a velocità da valanga. In 48 ore si è passati dall'ostentare tranquillità al dichiarare di non voler entrare nei playoff per non dover sopportare un aggravio di spese. In aggiunta, le indiscrezioni sulla cifra mancante alla chiusura della stagione corrente, la ventilata possibilità di sgravare il monte ingaggi da qualche contratto pesante (Dragic ma non solo), il blocco del rinnovo con coach Dalmasson. Tutto tace per ora sul fronte Allianz che attualmente rappresenta la prima e forse unica ancora di salvezza per la società biancorossa, anche a fronte di trattative ben avviate e del naming concesso al PalaRubini giusto dieci mesi fa. Sabato ci sarà il CdA e mi piacerebbe essere una mosca per poter volare in quella stanza e vedere chi parteciperà, visto e considerato che Scavone occupava la quasi totalità delle poltrone (non tanto per la stazza corpulenta ma per il pacchetto azionario detenuto). Nel frattempo l'AD Gianluca Mauro è stato convocato dalla Procura Federale con procedura d'urgenza: fa sorridere anche la parabola di questo dirigente che meno di due anni fa disarcionò Giovanni Marzini dalla presidenza reclamando una poltrona di peso in funzione dei soldi spesi dallo sponsor ora innominabile. Si potrebbe parlare di karma e di dottrina confuciana anche se Marzini con invidiabile signorilità ha augurato al sodalizio sportivo di superare il momento di crisi.

Intanto dalla parte opposta del Settentrione prosegue la telenovela Torino. Qui lo sponsor ci sarebbe - sempre che FCA non si stanchi prima e che il progetto del polo commerciale a fianco del PalaVela non venga bloccato - ma la proprietà è sempre più debole. Mancano soldi per chiudere la stagione (non ridete: è così), ci sono lodi da saldare, non v'è uno straccio di programmazione non dico a lungo ma nemmeno a medio termine. E lo spettro retrocessione e possibile sparizione aleggia sempre. Sotto la Mole l'unica via d'uscita pare rappresentata da un ritorno di Mister PMS Terzolo, a patto che in dote porti abbastanza liquidità da coprire i passivi che sono importanti e che hanno fatto fuggire il Gruppo Leonis. Ci si può interrogare su come sia possibile che una società rifondata appena quattro anni fa possa aver accumulato passività talmente schiaccianti da farla boccheggiare, tra l'altro in una città economicamente tutt'altro che depressa e con un main sponsor di portata internazionale.

Situazione fluida anche a Cantù, dove si spera in un raggio di sole di normalità dopo tre stagioni di promesse russe difficilmente rispettate. Ma con certe premesse è lecito domandarsi se la prossima Serie A sarà davvero allargata a 18 o se manterrà il format a 16 causa rinunce o esclusioni. Che l'aumento degli ingressi sia un boccone amaro da digerire per far tollerare alle società la prospettiva di una doppia retrocessione in A2 è il classico segreto di Pulcinella, così come il desiderio nemmeno troppo velato di quasi tutti i club di LBA (Milano in testa) di tornare a 16 in un lasso di tempo ragionevole. Meglio se breve. Non mi stupirei se a luglio i controlli ComTeC dovessero evidenziare una o due situazioni di estrema difficoltà inducendo il Consiglio Federale ad escludere qualcuno dalla prossima Serie A. Il tutto ricordando le immortali parole di Giannino er Laziale: "Il basket italiano è in salute". Sì, come no...

martedì 26 marzo 2019

Riciclaggio mon amour

"Senza soldi non si fa nulla, nemmeno la carità!"
"Non si può mandare avanti una chiesa con le Ave Maria!"
(noto prelato american-lituano di Cicero, Illinois, circa 1982)

Santa Manetta colpisce ancora nel mondo del basket. E si ripresenta stavolta tra due golfi, quello triestino e quello napoletano, annunciando mare in tempesta. Anzi, burrasca. L'arresto di Luigi Scavone, padre-padrone di Alma e munifico sponsor di basket e motociclismo riapre vecchi discorsi riguardanti la fatturazione nel mondo sportivo. Il ricorso ad artifici contabili per nascondere evasioni fiscali o per riciclare denaro non è una novità e rappresenta un elemento che ciclicamente ritorna in auge nelle notizie giudiziarie connesse allo sport.

Stavolta tocca a Trieste, almeno nella palla a spicchi, oltre al Team Pramac. Entrambi balzano ai disonori delle cronache per una questione che affossa ancor di più il sistema di sport business italiano che si dimostra incapace di compiere un decisivo passo in avanti verso la modernità rimanendo invece ancorato ad un passato composto da finanza creativa e da piccole furberie. Sembra impossibile che nel 2019 possano emergere ancora questioni che sembravano appartenere agli anni '90. Invece le vicende odierne smentiscono ancora una volta le presunzioni di progresso riportandoci indietro.

Luigi Scavone è stato fermato in procinto di partire per Dubai, nello zainetto 200mila euro in fascette di banconote. Peggio dei vecchi spalloni che facevano la spola tra la Milano da bere o la Brianza dei mobilieri ed il paradiso fiscale vista lago di Lugano. Sarà piuttosto difficile per lui dimostrare che non esistono connessioni tra una singolare sovrabbondanza di liquidità (letteralmente) in saccoccia e le accuse di evasione fiscale e riciclaggio che gli vengono mosse dagli inquirenti. A meno che non si possano creare eccezioni tra le normative anticiriclaggio sempre più stringenti che ormai impediscono di movimentare contante per cifre a tre zeri, consentendo invece di viaggiare con una comoda compagnia di biglietti verdi, gialli e fucsia.

Staremo a vedere. Ma questo è l'ennesimo brutto segnale di un periodaccio per il basket. Giusto nelle ultime settimane si è consumato l'ennesimo capitolo di quella farsa - perché come ci insegna Marx, la prima volta la storia si presenta come tragedia - della Mens Sana Siena. Una società decotta a nemmeno cinque anni dalla ripartenza. Peggio della Fulgor Libertas gestione Boccio&Chirisi, anche se lo schema è paurosamente simile. Debiti su debiti, impossibilità a saldare, proprietari che alzano una cortina fumogena già prima di Natale, soldi finiti, fuggi fuggi generale ed infine l'esclusione dal campionato e l'arrivo in sede delle Fiamme Gialle a sequestrare i faldoni. Un film purtroppo già visto a varie latitudini. Con un tempismo pessimo, visto che a giorni uscirà il libro di Flavio Tranquillo dedicato all'Operazione Time Out e che a breve giro di posta potrebbe essere disponibile anche la Versione di Ferdinando, cioè la verità di parte del Minucci che, dopo aver patteggiato, dovrebbe spiegare come sarebbero andate le cose nel corso del suo regno quindicinale all'ombra della Torre del Mangia.

Periodo buio per il basket si diceva. Giusto un anno fa esplodeva il caso Viola, destinato a scoperchiare una storiaccia di fideiussioni false, di auto-sponsorizzazioni, di mancati pagamenti che ha portato oggi un'altra gloriosa società ad essere di fatto commissariata in attesa di una inevitabile liquidazione. Poi la pagliacciata settembrina di Metano Nord in casa Fortitudo, dove già bisognerebbe chiarire le reali prospettive del progetto Torreverde e far luce sui due soci non pubblici della Fondazione. A seguire Siena, di cui si è già detto. Nel mezzo i guai di Cantù, forse finalmente uscita dal sequestro in cui l'aveva costretta il presunto magnate russo, e di Avellino, stretta nella morsa della contrazione del mercato del gas da cui dipende al 100% il patron De Cesare. Ora tocca a Trieste che lo scorso giugno aveva festeggiato la partnership futura con Allianz (ritorno al futuro visto che il gigante tedesco dell'insurance ha assorbito il Lloyd Adriatico) ed il ritorno in Serie A 14 anni dopo il fallimento della vecchia società.

Nella città della Bora si è punto ed a capo. La squadra, bella ed ambiziosa, concluderà la stagione. Ma con la dirigenza decapitata, senza sponsor nell'immediato e forse anche nel futuro - Allianz onorerà l'accordo dopo aver visto il proprio nome accostato ad una vicenda così squallida? - ci si domanda se possa esistere un futuro. Quando nel 2001 Telit lasciò per gestione non più sostenibile e mollando un'eredità composta più da passività che da asset vennero poste le basi per il successivo crack. Il classico passo più lungo della gamba e senza trovare appoggi in una città in cui le opportunità non mancano. Certo, dispiacerebbe vedere di nuovo il PalaRubini dedicato a concerti e convention con il basket relegato a fastidiosa presenza occasionale per partite di bassa serie - i lunghi anni della B2 ce lo ricordano. Ma molti si domandavano da dove venisse realmente la pioggia di quattrini manifestatasi improvvisamente nel 2016 dopo che la rinata Pallacanestro Trieste era stata costretta per anni a fare le nozze con i fichi secchi, peraltro costruendo in casa un paio di talenti niente male del calibro di Michele Ruzzier e Stefano Tonut. Ora forse si farà luce su tutti quei lustrini e quelle paillettes che hanno coperto una situazione tutt'altro che idilliaca. Sperando davvero che sia anche l'ultima volta per il nostro disastrato basket.

domenica 24 marzo 2019

Sassate vincenti

A volte un successo passa attraverso i dettagli. Che possono essere la calma serafica in lunetta di un pivot che solitamente si esprime col 64%, la lucidità di chi rientra in campo dopo aver beccato una gomitata sulle gengive per gestire dei possessi decisivi o la faccia tosta di prendere e segnare una fiondata da tre punti che vale una bella fetta di fattore campo nei prossimi playoff. Treviso Basket riparte da qui, dalla vittoria ottenuta a Forlì lottando e sudando, sprecando parecchio ma facendo emergere ancora una volta il carattere del gruppo. Aspetto da non sottovalutare, specie nella corsa suicida ad eliminazione che inizierà tra un mesetto.

Ci vuole fegato. Per fare 6/6 dalla linea della carità quando il punteggio è in bilico ma anche per accettare un tiro sì aperto e pulito ma dopo uno 0/3 in partita ed arrivando all'appuntamento con un misero 20% nella specialità. Ma a decidere il risultato di un match inizialmente semplice e poi complicato da sciocchezze e distrazione sono stati loro, Amedeo Tessitori e Luca Severini. Poca sorpresa per il primo, abituato a caricarsi di responsabilità ed ormai raddoppiato in area da qualunque difesa. Bella scoperta il secondo, arrivato come quarto lungo di sostanza difensiva ed ora pedina sempre più solida delle rotazioni di coach Menetti. 

I talebani di Michele Antonutti immagino si stiano lustrando gli occhi con i 21 punti in 26 minuti segnati dal loro idolo oggi nella partita vinta dalla modesta Biella contro la mediocre Tortona. Ma se Severini ha concluso il match con soli 5 punti all'attivo è anche vero che il successo di TVB in Romagna è merito non solo di quella bomba ma anche del ruvido lavoro sporco in difesa, tra marcatura ed anticipi sino alla lotta a rimbalzo. I dettagli talvolta sono poco appariscenti ma incidono in maniera ben più determinante. E per il gioco di Menetti è ben più funzionale lo sgraziato Severini del suo talentuoso predecessore.

C'è un'altra bella notizia per TVB in chiave playoff: il sacco del PalaSavelli ad opera della Verona che, recuperando Mattia Udom e rinunciando all'acerbo Dieng, è ora più quadrata e meno dipendente dal tiro da 3. Riacciuffando in classifica Montegranaro, la De' Longhi torna padrona del proprio destino. Il calendario di Treviso non è facile, con le partite casalinghe contro una Roseto in ascesa ed una Udine nervosa intervallate dalle trasferte a Ravenna (campo tradizionalmente ostico) e Piacenza sponda Assigeco (la sconfitta dell'andata grida ancora vendetta). Riusciranno i nostri eroi a non complicarsi la vita evitando altre regalie agli avversari dopo aver concesso punti in stagione anche a Cento, ormai quasi condannata alla retrocessione, ed aver sprecato proprio oggi un comodo +12 a Forlì? Si vedrà.

Intanto ecco le pagelle:

DiLiegro 5 - Più passa il tempo e più mi convinco che certi giocatori faticherebbero a trovare ingaggio se non avessero la giusta combinazione di chili, centimetri e status. Il caso del pivot oriundo di Forlì è emblematico: a 30 anni compiuti ancora non ha capito come evitare uno sfondamento contro un piccolo ad un metro e mezzo dal canestro.
Giachetti 7 - L'esperienza non si insegna. La furbizia, nemmeno. La malizia, non ne parliamo proprio. Vecchio e pelato ma sempre velenoso. Piuttosto deve maledire chi gli ha fatto un bendaggio insufficiente al sopracciglio, una disattenzione che lo obbliga in panchina quando la sua squadra sbanda in mezzo alle uscite per falli.
Marini 4,5 - Partire dalla panchina non gli piace, evidentemente. In campo azzecca forse un paio di scelte ma fa anche parecchie fesserie. E non si riesce a capire se il vero Marini sia questo o il mitragliatore folle che a volte incendia le retine anche con due difensori addosso. Mistero.
Donzelli 6 - Parte da 4, gioca in avvicinamento, poi si sposta in ala piccola. Ma la fine del match la vede dalla panca. Bei voli a rimbalzo (9), vanificati qualche volta da eccessi di foga.
Bonacini 5,5 - Volenteroso, questo sì. Un passo indietro in regia quando deve gestire la sfera al posto di Giachetti.
Oxilia 6,5 - Non era dispiaciuto fino a quando un movimento sbagliato non lo tradisce. Rivedendo le immagini si teme rottura di un tendine o di un legamento. In bocca al lupo.
Lawson 3 - Lasciamo stare le triple su scarico, un qualcosa che ha sempre saputo fare. L'unica scintilla di una partita al buio è un rimbalzo offensivo volante con tap-in nell'ultimo quarto. Ma non difende nemmeno sotto tortura e nel primo tempo è un fantasma. Il rapporto tra stipendio e rendimento è da profondo rosso.
De Laurentiis ng - Lasciato in panca quasi fino alla fine, buttato in campo per assenza di alternative, peraltro fuori ruolo perché costretto a giocare ala piccola.
Johnson 5 - Altro bel rebus. Ma per il suo staff tecnico più che per le difese avversarie. Si accende ad intermittenza, difende poco e male, si prende responsabilità eccessive quando non serve. Forse un visto ed uno stipendio sprecati.
Nicola 6 - Non allenava in prima persona da anni. Prende in corsa una squadra costruita da altri, la vede annaspare, le ridà un minimo di fiducia senza alzare troppo la voce. Arriva anche a +4 contro una autentica corazzata, ma gli mancano le alternative ai pochi giocatori davvero di livello di cui dispone.

Tessitori 7,5 - Glaciale sia in lunetta che nelle scelte offensive, trovando sempre la giusta tempistica tra finta, appoggio ed elusione della difesa forlivese. Pecche? Solo un paio di falli che avrebbe potuto risparmiarsi.
Logan 6 - Giusto per i 5 assist che smazza. I ferri del PalaFiera gli sputano anche i tiri buoni e l'Unieuro gli leva parecchio spazio sul perimetro. Meglio negli ultimi tre minuti.
Burnett 6 - Media tra un primo tempo perfetto ed un secondo da mani nei capelli. Menetti vorrebbe divorarlo intero, scarpe e fascetta incluse, dopo la schiacciata solitaria in contropiede spedita sul secondo ferro. Almeno fa qualcosa per emendare gli errori.
Sarto ng
Alviti 6 - Due bei recuperi nel primo tempo con canestri di atletismo e rapina. Poi scompare dai radar per riapparire, anonimo, nell'ultimo quarto dove dimentica il taglio a rimbalzo offensivo di Lawson.
Imbrò 7 - Scoppiettante e concreto all'inizio, in ombra nel mezzo. Si becca una gomitata gratuita sulle gengive (visita dal dentista prenotata?) e rientra nel finale per un paio di buone difese.
Chillo 6,5 - Cerca di non far rimpiangere Tessitori. Missione compiuta.
Uglietti 6 - Troppi falli ingenui. Positivi i due giochi da tre punti che si guadagna e converte.
Severini 7,5 - Ci vogliono attributi giganteschi per gettarsi sui palloni, lottare spalla contro spalla con DiLiegro e Lawson e per accettare l'assist di Logan per quella tripla scaccia-incubi. Sarà anche grezzo e taciturno ma ben venga un giocatore così silenziosamente prezioso.
Lombardi 4,5 - La nota stonata. Non è un caso che Menetti lo tenga a lungo in panchina: le rinunce sul pick'n'roll farebbero imbufalire chiunque.
Menetti 6 - Rischia di perdere una partita piuttosto semplice. Gliela risolvono i lunghi, specialmente più tecnici.

domenica 17 marzo 2019

Alla fiera del girone Est...

...per qualche migliaio di dollari (al mese) la De' Longhi un alieno comprò.

Perdonate la riedizione di una classica filastrocca per bambini ma la tentazione era troppo forte. Si è da poco conclusa la partita del PalaRuggi e, qualora vi fossero ancora dubbi, si è capito che David Logan con questo campionato di A2 c'entra pochissimo per non dire nulla. Certo, il solito lezioso esercizio porta a domandarsi dove sarebbe in classifica questa Treviso Basket se avesse potuto disporre dall'inizio tanto del marziano che da un mese indossa il biancoceleste quanto di Luca Severini che si sta confermando prezioso collante difensivo sotto le plance. Domanda sciocca perché inutile ed a poco giova ricordare chi c'era, chi non c'è più e chi c'è ora.

Piuttosto vanno evidenziati i risultati. Con Logan finora TVB è 6-0 in gare ufficiali, compresa la Coppa portata a casa contro l'acerrima rivale Fortitudo. La quale sta tirando un grosso sospiro di sollievo per aver affrontato la banda Menetti in largo anticipo, quando Logan era solo un sogno lontano e quando i peggiori incubi trevigiani vestivano il numero 9. A Bologna manca pochissimo per centrare il grande balzo, la partita decisiva potrebbe essere quella di fine mese in casa contro Ferrara. Con Montegranaro in ritardo i 4 lunghezze e la De' Longhi a -6, entrambi afflitte dall'handicap di un bilancio negativo tra scontri diretti e differenza canestri nei confronti dei felsinei, in Emilia è partito il countdown. Soltanto la Fortitudo stessa può riaprire una corsa alla promozione diretta che lei aveva chiuso il 27 gennaio e che sempre lei aveva parzialmente riaperto mostrando di soffrire gli impegni ravvicinati. Non è un segreto che Antimo Martino abbia plasmato la sua creatura per vincere la regular season e così accadrà.

Treviso invece guarda con fiducia ai playoff. Dove potrà liberare tutta la potenza di Logan Il Marziano. Non ha pelle verde né orecchie a punta o altre singolarità somatiche ma quel che l'ex sassarese fa sul campo è incredibile. Le sue nove triple a bersaglio contro Imola rappresentano un record. Ancor di più, la concentrazione con cui si esprime sul campo e la tranquillità che riesce a trasmettere ai compagni fanno assumere all'esterno fattezze da alieno del livello tecnico. Se Fortitudo (in Coppa) e Montegranaro avevano provato a fermarlo con l'arma della staffetta difensiva, l'Andrea Costa ha pensato di ricorrere alla zona, una soluzione indotta anche dalle iniziali difficoltà di tutta TVB a trovare il fondo della retina. Come già era accaduto alle Final Eight, al Marziano basta pochissimo per accendersi e per svoltare una partita. Lo ha fatto ancora strappando applausi. 

Passiamo alle consuete pagelle:

Montanari 5 - Ha due compiti, surrogare Bowers in cabina di regia e dare fiato alle guardie imolesi sui due fronti. Non ne azzecca una.
Crow 5 - Non dispiace nel break tra primo e secondo quarto. Ma è troppo evanescente per incidere davvero e spesso e volentieri si fa preferire Magrini. Nel finale viene provato anche da 4 tattico in un quintetto da corsa senza sortire effetti.
Fultz 5,5 - Tre triple in apertura di gara probabilmente non le infilava dai tempi di Reggio Emilia. Con Bowers si scambia i ruoli ma resta un play. E quando il tiro non entra più sono dolori.
Bowers 7 - Solo una palla persa a sporcare una prestazione molto buona. Il tiro da fuori non è mai stato la specialità della casa (1/5); piuttosto non devono sorprendere i 7 assist.
Rossi 5,5 - Buona tenuta a rimbalzo ed un fallo in attacco ottenuto ai danni di Tessitori. Il resto è da dimenticare.
Simioni 5 - Ok il tiro frontale ma in difesa sbaglia tutto il possibile confermandosi troppo morbido. Deve ancora maturare parecchio.
Raymond 7 - Ad un certo punto gli viene chiesto anche di fare il play. E nel finale l'allenatore lo schiera pure da finto centro. Non gli si può rimproverare granché a parte un paio di passaggi spediti in tribuna. Ma era davvero il suo compito?
Magrini 5,5 - Bravo a caricare di falli gli avversari speculando in lunetta. Non del tutto efficace sugli esterni di TVB.
Di Paolantonio 6 - Per trenta minuti spera nel colpaccio, speculando su una zona con adattamenti e sulle iniziali difficoltà di Treviso ad inquadrare il canestro. Logan evidenzia le falle del suo sistema difensivo colpendo ogni ritardo sugli adeguamenti. Poi, più per disperazione che per convincimento, schiera un quintetto microscopico che arriva sino al -7 ed al tiro del possibile -6. 

Tessitori 7 - Contro la zona Menetti non si fida di lui. Col passare dei minuti però si nota la sua importanza. Da manuale un paio di movimenti in avvicinamento irridendo tanto l'esperienza di Rossi quanto la giovinezza di Simioni.
Logan 10 - Abbiamo già detto tutto. Non c'entra un cappero con questo campionato.
Burnett 6 - I falli di Imbrò lo obbligano a giocare molto di più in appoggio che in percussione. Dominez soffre la situazione ma si adegua.
Alviti 6,5 - Molto presente in difesa, recupera un paio di palloni e si dimostra utilissimo a rimbalzo. Nel palasport che fu suo denota di aver perso un po' il feeling con i ferri che sputano quasi tutti i suoi tentativi.
Imbrò 5 - La prima partita negativa dopo tante ottime prestazioni. I due falli iniziali complicano il lavoro di tutta la De' Longhi costringendo Burnett ed Uglietti agli straordinari. L'unica nota positiva della sua serata è la bomba del 58-66. Nel finale a suon di palle perse rischia di riaprire la partita.
Chillo 6,5 - La scelta tecnica di Menetti prevede sempre di sfruttare il bolognese come boa per affrontare una zona. Da ex della contesa si esprime su buoni livelli,tripla su scarico inclusa. Eccede solo nei falli.
Uglietti 6,5 - Come detto, i problemi del capitano ricadono a cascata anche su di lui che deve gestire i possessi ed amministrare attacco e difesa nel momento più critico, il secondo quarto coinciso con il massimo svantaggio. Se la cava comunque egregiamente, pur senza brillare in assoluto.
Severini 7 - Messaggio a chi rimpiange il suo predecessore: anche il ragazzo di Loreto sa colpire sugli scarichi dall'angolo. Ma a differenza del friulano la sua difesa si sente.
Lombardi 7 - Peccato per quei due liberi falliti nel finale. Intanto si conferma tiratore affidabile sul pick'n'roll e consueto ombrello a rimbalzo.
Menetti 6,5 - Per tre quarti Imola lo impensierisce, anche se il problema vero consta nella trasparenza di Imbrò. A togliergli le castagne dal fuoco ci pensa Logan. Negli ultimi quattro minuti vorrebbe prendere a mazzate almeno un paio dei suoi giocatori che sprecano un cospicuo vantaggio.

domenica 10 marzo 2019

Non è un campionato per deboli

Dopo la Coppa torna la regular season. Neanche se ne fosse andata da qualche parte, direbbe lo spiritosone di turno. Cosa ci ha detto questo 24esimo turno di campionato di Serie A2, girone Est? Molto, moltissimo, quasi nulla (di nuovo). Ma scendiamo nel dettaglio.

Partiamo dal big match dell'ora di pranzo. Tra un panino, un tramezzino ed un pasticcino ho visto due squadre affrontarsi a viso aperto, sbagliando molto ma senza farsi frenare dalla paura né da timori reverenziali. Poi, è chiaro, soltanto una squadra può emergere vittoriosa ed è giusto e logico che sia la De' Longhi. Per la solidità dimostrata a dispetto della prima partita normale di David Logan. L'importanza di un sistema che redistribuisce onori ed oneri si è appurata ancora una volta. A partire dalla difesa, autentico marchio di fabbrica di qualunque squadra vincente. Prendete il terzo quarto odierno: TVB che scivola a -7, colpita duro da Corbett, ex tanto rimpianto quanto amato al Palaverde. Momento topico, momento caldo, momento difficile. E Treviso come reagisce? Giro di vite in difesa, l'accoppiata Uglietti-Alviti che difende in maniera forsennata recuperando palloni e togliendo sicurezze ad una Montegranaro più Orgogliosa e Furiosa che Poderosa. Ed ecco materializzarsi il riequilibrio della gara propedeutico ad un finale in cui tutti, nessuno escluso, portano il mattoncino utile per l'ennesima vittoria. Segnali di mentalità da grande squadra: bando alle individualità e testa (non Filippo) all'obiettivo comune. Un capolavoro firmato Mad Max Menetti che da quando ha detto addio alla V8 Antonutti per l'onesto truck Severini ha cambiato molto, pur senza rinunciare a grinta e determinazione. Un vero guerriero del parquet.*

In serata si attendevano notizie da Ravenna dove era impegnata la Fortitudo. Che è tornata a vincere ma non a convincere. Nonno Mancinelli sta approfittando di una seconda giovinezza portata dal vento di primavera mentre tanti altri protagonisti tirano il fiato. Quel che finora appare abbastanza evidente è che Delfino con questa squadra c'entri poco o nulla e c'è da scommettere che Antimo Martino stia contando i giorni mancanti al rientro del talismano Cinciarini. Senza di lui Bologna è prevedibile e troppo legata alle lune degli americani e di Rosselli. Il successo in Romagna ridà fiato ai felsinei, ora a +4 (e differenza canestri a favore) su Montegranaro: lo striscione del traguardo è sempre più vicino, la Serie A potrebbe arrivare anche a fine mese. Salvo sorprese.

Positivo nel risultato il debutto di Sasha Vujacic in A2, campionato che con gli ultimi botti di mercato è diventato una via di mezzo tra la vecchia Serie A ed una succursale geriatrica dell'Europa dei canestri che fu. Gli atavici problemi di Verona costruita con una pletora di ali ed un solo regista e badando quasi solo al tiro da 3 restano, ovviamente, ma la Scaligera spera di aver posto rimedio affiancando ad Amato un giocatore che nei giorni belli della carriera poteva permettersi di giocare in tutti e tre i ruoli esterni senza farsi troppi problemi. Con Verona c'è anche Udine che ha gioco facile con Jesi mentre alle spalle di Forlì merita attenzione la clamorosa risalita di Roseto, oggi settima e legittima pretendente ad un posto nei playoff. In coda invece vedo una Cento sempre più inguaiata per poter sperare davvero di agganciare il terzultimo posto, posizione ambita anche da Bakery, Jesi e Cagliari. Chissà chi resterà deluso a fine stagione regolare...

Intanto facciamo le solite pagelle al match di TVB:

Tessitori 7 - Brutto cliente Simmons, un'ala forte riciclata pivot che dopo mesi trascorsi a dare e prendere ceffoni sotto canestro decide di allargarsi per tirare (e segnare) persino dall'arco. Ma il peggior avversario per Tex è la contrattura che ad un certo punto lo costringe a rientrare in panca per affidarsi alle cure del massaggiatore. Al rientro ci mette l'anima il pisano, pur giocando a denti stretti. Nel mezzo comunque tante cose buone, tutte facenti parte del repertorio, ovvero tripla frontale, stoppate, recuperi, schiacciate.
Logan 6,5 - E' umano anche lui ed è questa la prima notizia. Tre quarti complicati da una difesa asfissiante e da qualche problemino di falli. Poi la bomba liberatoria e la freddezza di infilare i liberi decisivi. Se Treviso riesce a sopperire anche alle sue occasionali difficoltà, forse davvero potrebbe essere l'anno buono.
Burnett 7,5 - Invoca (a ragione) qualche fallo non fischiato ma a prescindere da questo dettaglio Dominez gioca in modo estremamente efficace. Anche perché le guardie di Montegranaro non tengono il suo passo.
Alviti 7 - Sorpresa? Per una volta non soffermatevi sullo 0 alla voce punti segnati ma riguardate la sua difesa sugli esterni e la voglia con cui si butta a rimbalzo. Si vince anche così, specie nelle partite a basso punteggio.
Imbrò 7,5 - Totale, come sempre. Regia, tiro, difesa, aiuti, rimbalzi. La cosa giusta quando serve. Dettaglio ulteriore, si sciroppa 16 minuti filati in apertura senza godere di un cambio, nemmeno per due secondi. Applausi per lo stoicismo.
Chillo 6 - Non ha le doti tecniche di Tessitori quindi certe giocate offensive non gli riescono. Compensa ottimamente in altri frangenti. Unica pecca, si fa surclassare a rimbalzo da Amoroso.
Uglietti 7 - L'energia profusa nel momento delicato ripaga ottimi dividendi. Non è un caso che il secondo miglior plus/minus di tutta la De' Longhi sia il suo, vi pare?
Severini 5 - Per darsi da fare, non c'è dubbio che si impegni. Non è baciato dalla fortuna e con lui da ala forte si paga dazio spesso. Unica nota stonata del matinée.
Lombardi 8 - Lo battezzano dall'arco e lui mette due bombe. Poi si fa trovare prontissimo anche nei pressi del canestro e pur senza effetti speciali mette forse la giocata decisiva, quel gioco da 3 punti che vale il 60-54 ed anticipa i titoli di coda.
Menetti 7 - Ha il coraggio di osare quintetti fisici contro un'avversaria che vive di rapidità. Gli va riconosciuto il merito di trovare soluzioni alternative a Logan che non è soltanto una coperta di Linus ma un leader silenzioso. 

Treier 5,5 – L’unica voce positiva del bilancio dell’estone sono i rimbalzi catturati, sei, di cui due in attacco. Per il resto la sua prestazione è impalpabile.
Testa 5 – Utilizzato come agente speciale difensivo, si alterna in staffetta su Logan. Ma con Imbrò e Burnett non riesce proprio a far nulla.
Mastellari 4,5 – Dovrebbe garantire punti dalla panchina, si esibisce in uno 0/5 dal campo deleterio. Il Palaverde non è il PalaDozza e le sue polveri sono bagnate.
Simmons 7 – Sorprende la facilità con cui gioca fronte a canestro sfruttando gli scarichi per colpire anche dall’arco. Battagliero in area, contro Chillo ha buon gioco ma Tessitori gli oscura spesso la visuale.
Palermo 6,5 – Ordinato, preciso, puntuale. Quando occorre si assume responsabilità pesanti in attacco. Nel finale però patisce il redivivo Logan.
Petrovic 4,5 – Troppo morbido, la cattiveria agonistica di Treviso lo sovrasta.
Negri 5 – Sfortunato il suo ritorno da avversario in quel palasport che lo ha amato per quattro anni. Non trova spazio per incunearsi a canestro come ai bei tempi ed i falli gli tarpano le ali.
Corbett 7,5 – A lui invece i ferri di Villorba sono sempre piaciuti. E lo dimostra tirando dalla media e dalla lunga oltre che incuneandosi nella retroguardia biancoceleste per calamitare falli e guadagnare viaggi in lunetta.
Amoroso 7 – Fischiatissimo dal pubblico locale, si esibisce in una doppia-doppia (12+12) accompagnata da 4 assist. Polemizza eccessivamente con gli arbitri.
Traini 4 – Entra e commette subito due falli. La sua partita si chiude già nel secondo quarto.
Pancotto 6 - Fino a quando il quintetto base tira la carretta, tutto bene. Perfetta la scelta difensiva su Logan, rivedibile la gestione di un paio di situazioni. Incomprensibile invece la polemica post partita sulle differenze di budget.


*NOTA FINALE: confesso, mentre sto scrivendo queste righe sto riguardando la trilogia originale di Mad Max. Prima o poi suggerirò a Menetti di vestire il cuoio e gli spallacci di Rockatansky e di cercarsi una Ford Falcon nera del '73 cui aggiungere un compressore. Intanto mi godo le sue lucide sfuriate ed il suo essere freddo persino nei momenti più caldi.