domenica 14 febbraio 2021

Pagellone a coccarda

-VOTO 10 a Jasmin Repesa. Era sparito dai radar dopo essere finito nel tritacarne milanese in cui comunque qualche risultato positivo l'aveva raggiunto. Pareva destinato all'oblio, schiacciato da un passato diviso tra successi e delusioni ed un presente composto da una generazione di allenatori arrembanti. Invece Jasmin ha compiuto un miracolo: vincere la Coppa era impossibile, eliminare Sassari e Brindisi invece era teoricamente possibile ma alla vigilia pareva ugualmente fuori portata. Anche perché Pesaro è la stessa società che un anno fa a quest'ora ospitava la Final Eight da retrocessa virtuale e che in estate ha investito più sul nuovo tecnico che sulla squadra. A dimostrazione che una guida tattica è fondamentale per costruire un progetto sportivo, Repesa ha colto due bei successi e la sua Vuelle pur senza centro di scorta, pur con un reparto ali tra asilo e geriatria, pur con un play con le valigie in mano direzione Francia, pur con mille difetti è lì a giocarsi un posto nei playoff. Giù il cappello.

-VOTO 9 a Ettore Messina ed alla sua Milano. Il pronostico stavolta era chiuso sin dall'inizio e non ci sono stati rischi di sorta: se il banco di prova reale era il quarto di finale contro Reggio Emilia, si è capito subito come sarebbe finita. Prima partita con difesa efficace e buona circolazione di palla, poi un crescendo a triturare i malcapitati avversari. Quest'anno all'ombra della Madunina possono fare tutti gli scongiuri che vogliono ma lo Slam italiano è bersaglio facile. E pure in Europa questa Olimpia può dire la sua tranquillamente. Il segreto? La progettualità, un elemento che nei diciassette anni di era Armani quasi mai si è visto e che ora fa la differenza.

-VOTO 8 a Frank Vitucci ed alla sua Brindisi che è arrivata a giocarsi le Final Eight senza il miglior realizzatore e con il più forte tra i lunghi con la schiena ancora bloccata. Non bastasse, in semifinale si è fatto male pure Bell che non sarà un fenomeno ma in situazioni di emergenza come quella attuale fa comodo. Con gli uomini contati il tecnico veneziano ha rimescolato le carte valorizzando ancora Udom e Gaspardo, si è fidato del talento del neo-papà Thompson (a proposito, auguri!) e ha ottenuto risposte di carattere da Visconti. Che in semifinale ha sbagliato la lettura dell'assalto decisivo ma che sta dimostrando di poter valere questo livello.

-VOTO 7 a Venezia cui stavolta non sono bastati i lampi di Tonut per tornare a giocarsi un trofeo. La vittoria iniziale sulla Virtus fa morale tuttavia senza due lunghi e con un Daye tornato ad essere il solito elemento ondivago (eufemismo) era impensabile fare di più. I limiti della squadra di De Raffaele ormai sono noti: il gruppo è solido sì ma il peso degli anni si avverte e la prevedibilità di un gioco sin troppo perimetrale e condizionato dalle lune di Stone e del già citato Daye diventa stucchevole alla lunga. La stagione dell'Umana rischia di risultare deludente, con l'uscita prematura dall'Eurocup e le avventure in Supercoppa e Coppa Italia concluse prima della finale. Resta sempre lo scudetto ma contro questa Milano...

-VOTO 6 a Trieste che ha pagato non solo la disabitudine a giocare questo tipo di partite ma soprattutto l'assenza di quell'equilibratore che è Grazulis. Peric, il suo sostituto, è in netta fase calante e si è visto che senza un 4 capace di aprire l'area e ribaltare il gioco in maniera efficace l'Allianz deve affidarsi agli acuti di Fernandez o Doyle. Nota positiva sicuramente la crescita di Upson cui l'avvicendamento tra Udanoh e Delia ha fatto sicuramente bene.

-VOTO 5 a Sasha Djordjevic che ha gestito malino (altro eufemismo) la partita contro Venezia. Inutile nascondersi dietro le assenze, per quanto quella di Pajola sia indubbiamente una mazzata per un sistema come quello virtussino che prevede sempre almeno due portatori di palla in campo. L'Umana era teoricamente debole sotto canestro, con il solo Watt superstite alla sfortuna, mentre il punto di forza dei lagunari era lo stato di forma di Tonut. La scelta di accoppiare quest'ultimo a Teodosic e la gestione sbagliata dei lunghi ha portato ad una cocente sconfitta. Se è vero che l'obiettivo stagionale della Vu Nera è vincere l'Eurocup per approdare in Eurolega c'è da chiedersi che senso abbia spremere energie in competizioni in cui non si dovrebbe nemmeno credere. Ma se hai quel simbolo sul petto, se alle tue spalle c'è un patron che spende bei soldi e se le ambizioni sono tutto fuorché segrete, dovresti sempre lottare per vincere.

-VOTO 4 a una Reggio Emilia in profonda crisi di nervi, più che tecnica. Sutton è arrivato da appena un mese e ha già litigato con mezza squadra e società, Elegar si è stufato e ha deciso di fare i bagagli, Bostic è pure lui con il biglietto di sola andata in mano. I segnali visti al Forum sono stati pessimi soprattutto per quel che riguarda la serenità di un gruppo che avrebbe due obiettivi da qui in avanti, cioè la competizione FIBA (brutta e scarsa, ma è pur sempre Europa) e un posto nei playoff. Il bel lavoro svolto da Martino sino a poche settimane fa invece potrebbe finire in fumo per le bizze di due-tre giocatori e per dei clamorosi errori di valutazione. Intanto con Sims si è bruciato l'ultimo visto extra a disposizione, senza contare che il taglio di Sutton non lo renderà appetibile sul mercato interno. Sempre che qualcuno sia disposto a prenderselo.

-VOTO 3 a Gianmarco Pozzecco. La clamorosa sconfitta della Dinamo nei quarti di finale, per quanto giunta al termine della partita più bella dei quattro giorni di competizione, è in buona parte di sua pertinenza. Vero è che il clima era pessimo, che gli arbitri avevano il fischietto allegro e la Grande T fin troppo facile. Però un allenatore deve capire che le partite si vincono anche se non soprattutto con la gestione dei nervi oltre che delle risorse. Stefano Gentile è stato eroico ma non va dimenticato che Sassari si è fatta risucchiare il vantaggio precedentemente accumulato in seguito alla cacciata dal campo del suo allenatore e non sapendo attaccare una zona sì mobile ma tutto sommato prevedibile. 

-VOTO 2 alla classe arbitrale nei quarti di finale. La situazione è migliorata cammin facendo ma nelle prime quattro partite si è visto di tutto. A che servono l'instant replay, il precision time, i microfoni con auricolare ed ogni possibile strumento elettronico se poi non si è capaci di gestire in maniera elementare un match tutto sommato semplice? Di certo l'abuso del fallo tecnico e per certi versi anche dell'antisportivo sta rendendo i direttori di gara sempre meno calati nel contesto e sempre più protagonisti. L'esatto contrario di quel che dovrebbe essere.

-VOTO 1 ad Umberto Gandini che nel pomeriggio della finale risponde con supercazzole diplomatiche a domande imbarazzanti sul futuro di LBA. Della questione franchigie si discute dai tempi della defunta Superlega a 11 (era il 2000, pare un secolo), ma ci si dimentica sempre che senza l'assenso della Federazione non si potrà mai fare nulla. Ed è inutile ancora oggi pensare ad un sistema chiuso che premi le eccellenze assolute e sostenibili se tesseramenti, arbitri, antidoping sono ancora gestioni di competenza FIP. Paradossale poi la questione dell'emersione dei giovani talenti: se davvero si intende creare una Lega dei migliori è pacifico che le società premeranno sempre più per abolire le quote protezionistiche e per poter ingaggiare i migliori giocatori per rapporto qualità/prezzo. Che non sono certo gli italiani visto che i pochissimi fenomeni costano cifre spropositate, che gli elementi da rotazione nostrani non sono comunque a buon mercato e che pochissimi credono ancora nella potenzialità dei vivai. Al solito, a volte è meglio tacere o glissare.

-VOTO 0 a Mamma RAI che crede così poco in un prodotto comunque acquistato da non proporre nemmeno un passaggio in prime time in una delle reti ammiraglie. Non nel weekend in cui magari c'è fin troppa concorrenza ma neanche al giovedì, serata in cui il massimo della concorrenza è rappresentato da qualche talk e da Masterchef. Per carità, apprezzabile lo sforzo di produzione per rendere meno desolante il vuoto del Forum a porte chiuse, però resta sempre quel retrogusto amaro in bocca di un "potrei ma non voglio" esatto contrario del famoso adagio. E la promozione del basket in televisione? Un'altra volta, più avanti, forse, chissà.

venerdì 5 febbraio 2021

Quando il Destino gioca a dadi

In un gruppo social ho visto oggi una foto che mi riporta indietro di oltre vent'anni e che somma due talenti purissimi della pallacanestro anni '90 (ed anche oltre) che divisero a metà una città appassionata. D'altronde la storia sportiva è stata scritta anche dalle spaccature del tifo: chi preferivate, Coppi o Bartali, Rivera o Mazzola, Biaggi o Rossi, Lauda o Hunt? Non si può negare che Bologna, la Basket City italiana che per alcuni anni visse quelle che furono chiamate "Guerre Stellari" a suon di ingaggi miliardari, si è retta sulla dicotomia non solo tra Virtus e Fortitudo quanto su Sasha Danilovic contro Carlton Myers.

La foto cui accennavo riporta appunto i due ex rivali in posa per un brindisi, oggi, a oltre vent'anni dal ritiro del serbo che smise a causa di un fisico segnato dai troppi infortuni e ad un decennio circa dalle ultime apparizioni sul parquet dell'ex portabandiera olimpico. Un sorriso, una bottiglia di birra in mano, anni luce distanti dalle tensioni dell'Euroderby di fine millennio e dalle polemiche dell'epoca. Oggi Sasha è un dirigente, presidente della Federbasket serba, Carlton ha una sua agenzia di atleti: diversi sempre, nell'interpretazione del ruolo così come nelle scelte, mentre De Pol e Andrea Meneghin tanto per citare altri protagonisti sul parquet del medesimo periodo sono diventati commentatori televisivi.

Danilovic, Myers, Andrea Meneghin vent'anni fa, dov'erano? Il primo era in disparte, gli altri due in campo a raddrizzare quella che doveva essere una corazzata inaffondabile ma che si sarebbe rivelata la declinazione cestistica dello "Hood": nave possente alla vista, fragile e scarsamente solida alla prova dei fatti. Torniamo indietro all'estate 2000, quella che ridisegna tanti destini, quella delle Sliding Doors rese in precedenza famose da un film con Gwyneth Paltrow. Cosa accade, in quella benedetta estate olimpica sul fronte del basket nostrano? Abbastanza da poter scrivere un libro di ipotesi o congetture, le famose ucronie storiche che in Dick e Harris hanno trovato grandi autori e fragorosi successi di pubblico.

Facciamo una bella panoramica del momento, partendo dalla Virtus Bologna. Che nel 2000 ha cambiato padrone, passando dal self-made-man Cazzola al (presunto) magnate dei videogiochi Madrigali. E proprio il nuovo padrone decide non solo di confermare la linea politica degli anni precedenti ma di scommettere in materia pesante per riportare la Vu Nera, reduce da due anni affatto brillanti, sul tetto sia nazionale che continentale. Il passaggio di consegne d'altronde comprende uno zoccolo duro su cui costruire o ricostruire - sono i contratti di Rigaudeau, Sconochini, Bonora, Abbio, David Andersen e dello stesso Danilovic, oltre allo staff tecnico capitanato da Ettore Messina - e tanti contatti avviati in sede di mercato per riempire le caselle mancanti. Sul fronte opposto del Reno la gioia dello scudetto a lungo inseguito e finalmente centrato non si è ancora spenta tanto che in via San Felice si pensa alla cosiddetta FortItalia, una Fortitudo a trazione quasi completamente azzurra: via quasi tutti gli stranieri, qualche ritocco qua e là (ad esempio cambio della guardia tra i perticoni, con il lituano E. Zukauskas a sostituire il sempre più logoro Vrankovic) e fiducia ampia a coach Recalcati. Per entrambe le bolognesi però si apre il dilemma dell'ala piccola, un ruolo e forse pure un nervo scoperto. La Virtus ha fatto un mezzo disastro affidandosi al pessimo Darnell Mee, la Fortitudo non ha più voglia di tenere Karnisovas e pur avendo già preso Sandro De Pol (che si rivelerà un 4) preferisce esplorare le alternative.

Entrambe le contendenti si fissano su un nome e cognome, quello di Andrea Meneghin. Che è in uscita da Varese, che è un punto fermo in Nazionale, che ha talento e può garantire quel mix di imprevedibilità e di capacità di attaccare il ferro che tutte e due le squadre cercano. Nella miglior tradizione di Basket City per settimane l'asta a distanza è serrata a suon di rilanci: quello decisivo è della Fortitudo che convince il figlio d'arte con un pluriennale principesco. La Virtus quindi vira sul Piano B, prendendo un argentino cercato in precedenza anche dalla Benetton che però anch'essa ha cambiato idee e piani tattici. Il nome diverso è quello di Emanuel Ginobili, un ragazzo che ha prima riportato Reggio Calabria in Serie A1 e poi l'ha condotta ai playoff con sufficiente autorità. Ginobili è pure seconda scelta del Draft, quindi malaccio non dev'essere, anche se la prima scelta era Meneghin ritenuto a lui superiore.

A proposito di Draft, pure oltre Atlantico il Destino si diverte a giocare a dadi. Nella Lotteria c'è un altro ragazzo che arriva da Bologna, è serbo anche se viaggia volentieri con un passaporto greco che è utilissimo in regime di Bosman. Si chiama Marko Jaric, ha passato due anni a studiare da playmaker dopo un passato non brillantissimo da guardia e si ritiene pronto per il grande salto. La Fortitudo da cui proviene lo ha già salutato pensando che sarà materiale da primo giro, quindi inutile investire soldi per un rinnovo impossibile. Invece nella notte di Minneapolis succede l'imprevisto, accade che i 76ers chiamino Speedy Claxton alla 20 e che l'altra point guard in lizza assieme a Jaric ovvero Erick Barkley finisca a Portland con la 29. Il serbo è il primo selezionato del secondo giro, vale a dire contratto biennale non garantito e nulla più, non abbastanza (almeno all'epoca, oggi le regole sono diverse) da indurre un 22enne a fare la traversata e a tentare il salto. Difatti Jaric in America ci andrà più avanti e su di lui, lesta, si muove la Virtus che lo inchiostra con un bel biennale mentre i fortitudini sorridono pensando di aver rifilato un mezzo bidone ai cugini.

Non paga di aver scompaginato parecchio le carte, la Sorte continua a divertirsi in quell'estate pazzerella e nei mesi a seguire. E cosa fa? Prima di tutto, fulmine a ciel sereno: Danilovic si ritira. Davvero un qualcosa di inaspettato per la stessa dirigenza bianconera che aveva inseguito Meneghin e poi firmato Ginobili per consentire a Sasha di tornare a giocare in pianta stabile da guardia tiratrice. Invece no, il Ragno non ce la fa più, è tormentato dagli infortuni e decide di smette. A trent'anni. E il virtussino medio si dispera domandandosi se non sia una disgrazia all'inizio della stagione del rilancio. Sempre a proposito di virtussini, un altro che però siede in panchina e fa l'allenatore opta per una scelta che farà discutere: è Piero Bucchi, al secondo anno a Treviso dove ha vinto la Coppa Italia e ha portato una Benetton tradita da uno dei suoi americani in finale scudetto. Bucchi prima era a Rimini dove aveva costruito buona parte delle sue fortune su un centro irlandese letteralmente "di peso". E per portare nella Marca tutta quella massa corporea che risponde all'identità di Alan Tomidy, Bucchi è disposto a tutto, anche a dare a Rimini un italo-americano fresco di passaporto nostrano ed ancora misconosciuto ai più a dispetto di un buon background in Germania.

Non è finita qui, ovviamente. Abbiamo parlato di Virtus, di Fortitudo, di Benetton. C'è pure una seconda Virtus, quella romana, che sta vivendo una transizione dal ticket Corbelli-D'Antoni (Sergio) al futuro proprietario unico Toti via Malagò. La Virtus giallorossa si è presentata al gran ballo con meno lustrini del passato ma con un bel biglietto da visita che è la Supercoppa vinta dopo la pessima formula allargata, in finale a Siena contro la Kinder di Messina mentre le finaliste scudetto si sono fermate poco prima. A metà dicembre arriva un altro regalino della Sorte beffarda che lancia nuovamente i dadi ed elimina un elemento tra le fila della Vu Nera: Hugo Sconochini è risultato positivo all'antidoping, la notizia si conosce dieci giorni prima di Natale ma riguarda un match giocato due mesi prima. L'argentino è sospeso, poi squalificato e licenziato, coach Messina si ritrova privo di una pedina utile sul perimetro ed al suo posto arriva Fabrizio Ambrassa, non esattamente un nome di peso ma un onesto giocatore di sistema.

Il risultato di tutte queste marachelle del Destino infido le conosciamo. Senza gli ingombranti (caratterialmente ed anche tecnicamente parlando) Danilovic e Sconochini la Virtus vincerà tutto, dal derby di Natale al triplete coccarda-scudetto-Eurolega. Con la formula italiana, con lo strapagato Meneghin che però non è determinante, richiamando anche Vrankovic la Fortitudo farà cilecca e Myers la lascerà tra mille lacrime aprendo una nuova fase, sua e per il club. La Virtus romana, illusa dalla Supercoppa in bacheca, si lancerà negli anni successivi in una frenetica corsa al vertice senza raccogliere gioie ma solo tante amarezze. La Benetton, regalato Joey Beard a Rimini dove avrebbe fatto tre triple-doppie di cui una in faccia a Fucka, sarebbe stata appesantita dall'impresentabile controfigura sovrappeso di Tomidy e si sarebbe pure azzoppata da sola rinunciando a Isma Santos prima dei playoff, lasciando ad ammuffire in panchina i talenti in rampa di lancio ma ancora incompresi Boki Nachbar e Massimo Bulleri.

Volete sbizzarrirvi con le ipotesi? Ed allora provate ad immaginare una Virtus che non rinuncia a Meneghin ma rilancia e che lascia andare Ginobili a Treviso o all'estero, convincendo Danilovic a non ritirarsi e salvando Sconochini dal collirio allo steroide. Oppure pensate ad una Fortitudo che prova ugualmente a tenere Jaric, che non lascia libero Karnisovas e che evita le suggestioni azzurre investendo su un centro utile e non sulla macchinosità di Zukauskas o sulla ciccia di Damiao. O ancora idealizzate un passato alternativo in cui Treviso si tiene stretta Beard, valorizza i suoi giovani e non si ostina a riprendere un Naumoski reduce da un anno di vacanza pagata dall'Efes. Cosa sarebbe accaduto? Non lo sapremo mai, però a volte è bello domandarselo.