domenica 11 dicembre 2022

Preferisco il materasso

Credo che domattina per prima cosa manderò un messaggio ad una cara amica che lavora per una nota catena di negozi di letti e materassi: le chiederò se il caro, vecchio metodo di stipare i risparmi tra federe, imbottiture e coprilenzuola sia possibile anche con i moderni ritrovati in memory foam o altre diavolerie che ti promettono sogni d'oro. Con i venti di crisi che soffiano più forte della gelida tramontana di queste sere di dicembre e dopo la sua orripilante prestazione nel derby con Verona, mai e poi mai rispetterei il motto "Money in the Banks" che accompagna (forse da troppo tempo) la carriera della guardia classe 1986. Non solo non gli affiderei i miei risparmi ma nemmeno lo farei giocare un elemento con un linguaggio del corpo così evidente e che denuncia malesseri interni ad una squadra che - chi lo nega è cieco o è complice - non è costruita a sua immagine e somiglianza. 

Se pensavate che bastasse prendere da Brindisi un fedele scudiero (Zanelli) ed un viceallenatore (Morea) per ricreare la magia di quella Happycasa e per ritrovare l'Adrian Banks MVP del campionato, vi sbagliavate. E non è una questione anagrafica: semplicemente quella Brindisi aveva un cervello pensante come play titolare ossia quel Darius Thompson (e prima Wes Clark) che è stato il vero segreto delle fortune pugliesi assieme ovviamente a coach Frank Vitucci. In un sistema che prevedeva ali realmente intercambiabili, un pivot atipico ma efficacissimo (qualcuno ha detto John Brown III?) ed una difesa attenta soprattutto sulla palla, allora il talento offensivo di Banks poteva essere ben sfruttato. Se invece si crede che il summenzionato talento sia valido ovunque e comunque, anche in formazioni che non hanno cabina di regia se non adattata, che hanno una coppia di centri da mani nei capelli, che mancano di personalità nei ruoli chiave e che nelle rotazioni degli italiani hanno ben poca roba, allora vale tutto. Vale anche il fatto che persino gli adulti possano credere a Babbo Natale, che si possa ritenere che Elvis non sia morto ma sia stato rapito dagli alieni o che qualcuno possa ancora pensare che la terra sia piatta, che i vaccini facciano parte di un oscuro piano di dominazione mondiale e che Donald Trump abbia vinto le scorse presidenziali in America. Insomma, qualunque fesseria potrebbe acquisire improvvisamente valore, al confronto.

Intanto si è giunti al tanto atteso aut aut. Che è andato in scena dopo la partita tra Treviso e Verona, con Sokolowski che ha sparato alzo zero contro "chi rompe il gioco, pensando che a basket si vada ognuno per sé" e Marcelo Nicola che è stato ancor più diretto. Senza mai citarlo, l'argentino ha comunque detto chiaro e tondo cosa c'è che non va: Banks. Ossia quel giocatore che dovrebbe infondere serenità, che dovrebbe aiutare i compagni nei momenti di difficoltà, e che invece si dimentica gli schemi, perde palloni banali in maniera assurda, sbaglia scelte, gioca uno contro il mondo. "Ne parleremo con la società", ha detto Marcelo a proposito. Quindi il messaggio è chiaro: coach ed almeno qualche giocatore non vogliono più tra i piedi la guardia di Memphis, giudicandolo un peso. Difficile dar loro torto, almeno ricordando le 7 palle perse del solo Banks sulle 22 totali di squadra, le percentuali deficitarie al tiro, le proteste sciocche, le letture errate, gli avversari persi in rotazione. Certo, Banks non è l'unico colpevole ma è evidente che la squadra non lo segua e che lui in fondo voglia essere assecondato ma non intenda mettersi al servizio di nessuno. E dubito che tutto possa magicamente risolversi con un taglio: semmai servirebbe anche rispedire in Finlandia quel fantasma di Jantunen (ma che ci hanno visto in lui? Boh!), cambiare Cooke con un pivot almeno decente e continuo ed anche lasciare che lo stesso Sokolowski si trovi un'altra squadra. Mi rendo conto che tutti assieme sono movimenti utopistici e dunque immagino che alla fine si opterà per una soluzione semplice. Via uno, poi nel caso si vedrà.

Restano i però di una situazione che, come scritto appena una settimana fa, è figlia di troppi problemi. La partita TvB non l'ha persa sugli errori ai liberi o su mancati fischi arbitrali o sull'errore di Sokolowski che ha banalmente consegnato un pallone comodo a Casarin. No: la partita è stata persa sul 26-13 del sesto minuto, quando la Tezenis  faticava a reagire di fronte ad un gruppo (la squadra è un'altra cosa) che stava giocando finalmente con un minimo di cattiveria agonistica. I cambi, i dannati cambi che hanno portato Banks in campo al posto di Jurkatamm e Jantunen a rilevare Sorokas hanno girato l'inerzia. Con loro due sul parquet, manovra Nutribullet ferma e Scaligera sempre più libera di ridurre il divario e poi di mettersi al comando. Ora vi chiedo: chi ha deciso di affidarsi a quei due, già deleteri una settimana fa a Scafati? Chi li ha messi in campo e poi riproposti, nonostante fosse evidente che non fosse serata? Chi ha voluto insistere sino allo sfinimento? E chi li ha cercati e ha premuto sulla dirigenza affinché fossero firmati in estate, nonostante ci fosse abbondanza di alternative nei ruoli? Da quanto si sa, il responsabile è sempre lo stesso. Ossia quello che stasera si è apertamente dichiarato deluso dal rendimento di un suo giocatore. Che non è Faggian, il quale meriterebbe spazio e minutaggio, ma lo straniero più pagato di questa TvB. Soldi non in cassaforte né in banca, ma immeritati a fronte del rendimento deficitario.

Martedì sera in Fonderia ci sarà una apericena natalizia della società: sarà l'occasione per tastare il polso e capire qualcosa di più. Immagino che già domattina qualche telefonata verrà fatta e non sarà verso il negozio di materassi più vicino. La scorsa settimana la società TvB in verità qualcosina ha fatto, tra chiamate ad agenzie e procuratori per sapere se Tizio sia libero, se Caio sia disponibile, se Sempronio possa accettare una proposta, e dichiarazioni ai giornali abbastanza estemporanee. Non basta minacciare qualcosa, che siano le dimissioni da un ruolo o una multa, per ottenere un risultato. Serve un segnale chiaro, quello che manca da tempo e che fa arrabbiare sempre più il pubblico. Era dal match dello scorso aprile con Napoli, quello prodromico alla cacciata di Max Menetti, che non si sentivano fischi e cori di protesta provenire dagli spalti. Stavolta ci sono stati pure gli striscioni, una novità in dieci anni di TvB: nemmeno al PalaCicogna nel disastrato anno della Serie B si vide qualcosa del genere. Segnali inequivocabili, qua la sterzata deve essere decisa ma non confusionaria. Se si vuol cambiare, lo si faccia con una strategia. Altrimenti tanto vale dichiarare che l'obiettivo reale non è la salvaguardia della categoria ma l'azzeramento dei passivi degli ultimi due esercizi: così almeno la gente smetterebbe di illudersi e di essere illusa, comincerebbe a riguardare la A2 aspettando il ritorno di trasferte comode a Mantova, Ravenna, Ferrara ed il recupero della classicissima con la Fortitudo. Che con Treviso Basket condivide tanti aspetti: la wild card per la B nel 2013, la promozione in A nel 2019, la crisi dovuta alla scelta scellerata di partecipare alla BCL senza avere la necessaria solidità. E l'ingaggio di Adrian Banks con il sommo equivoco di aver firmato teoricamente un campione, salvo ritrovarsi con la più pesante ed economicamente cara delle zavorre.

domenica 4 dicembre 2022

I troppi motivi di una crisi annunciata

Non fosse storicamente una persona imperturbabile e di poche parole, scommetterei su un David Logan sorridente e con voglia di festeggiare in questa fredda serata di dicembre. D'altronde non è da tutti infilare 24 punti in una gara LBA a tre settimane dal proprio quarantesimo compleanno. E farlo contro una ex squadra avrebbe un sapore ancor più dolce, se non fosse che David non si è mai curato non solo delle questioni anagrafiche ma nemmeno del suo passato storico in altri club, recenti o remoti che siano. Fatto sta che Logan ha chiarito ancora una volta perché gli sia stato affibbiato il soprannome di "Professore": ha spiegato pallacanestro a modo suo, con i movimenti che ripete da una vita, con estrema calma e tranquillità, trasmettendo ai suoi compagni i medesimi valori e portando quella Scafati che era ultima appena un mese fa a risalire la china. Ed a spese di una squadra che con Logan era arrivata alle soglie delle Coppe europee e che invece senza di lui...

Per una volta voglio dedicarmi al Gioco Dei Se. Cosa sarebbe successo se Treviso Basket nell'estate 2021 non avesse lasciato andare David Logan, giudicato troppo vecchio e condizionante, per prendere e bruciare una guardia dopo l'altra, dai prestiti annuali di Dimsa (pessimo) e Bortolani (oggi rimpianto) sino alla cazzata fatta da qualcuno con Casarin jr. ed alla scelta di puntare su un mostro di incostanza quale Adrian Banks? Ma poniamo anche il caso che, superata non senza fatica la passata stagione, qualche piccola lezione fosse stata accolta ed elaborata da TvB... quindi, cosa sarebbe successo se invece di confermare Marcelo Nicola in virtù di un contratto a basso ingaggio si fosse puntato su un allenatore di altra caratura e costo ovviamente superiore? E se al posto di Banks si fosse richiamato Logan (che ha trascorso l'estate a casa sua in attesa di una chiamata) o si fosse convinta Milano ad estendere il prestito di Bortolani? E se si fosse compreso che Jantunen era acerbo, Iroegbu non era un play, Cooke impresentabile, Zanelli e Simioni in difficoltà col livello del campionato, Sorokas buon comprimario ma nulla più, Sarto destinato alla panchina col concreto rischio di bruciare un anno? E se si fosse evitato di prendere in fretta i primi giocatori disponibili sul mercato, seguendo le precise direttive dello staff tecnico, ricordando che col passare delle settimane le pretese si abbassano, i campioni a spasso chiedono meno soldi e c'è la possibilità di fare qualche vero affare? E se si fossero colti i segnali di evidente insofferenza di Sokolowski, desideroso di lasciare Treviso ben prima dell'Europeo e talmente arrabbiato da licenziare il suo agente polacco perché non è stato capace di trovare un accordo per lasciarlo libero di andare altrove?

Mi rendo conto che i se sono davvero troppi per poter trovare una risposta decente a tutti quanti gli interrogativi. Quello che so è che determinate scelte, obbligate dal taglio del budget per la prima squadra al fine di far quadrare i conti o avallate per accontentare qualcuno, hanno rotto il giocattolo. Bisogna dire che qualche mea culpa, seppur tardivo, è stato pronunciato: Menetti ad esempio si è scusato per la scelta di Sims, da lui voluto e poi ripudiato, ammettendo di aver compiuto un grossolano errore di valutazione. Meglio tardi che mai, direte voi. Nessuno invece si è ancora scusato per aver firmato quel contratto biennale con Casarin padre per avere il figlio, ovviamente senza blasfeme benedizioni di alcuno spirito (men che meno santo). Nessuno ha detto di aver sbagliato valutazioni, compiendo il passo più lungo della gamba con quella Coppa che è costata tanto in termini di energie più che di soldi e che ha svuotato tutto l'ambiente invece che rilanciarlo ulteriormente. Nessuno si è assunto la responsabilità della campagna abbonamenti 2021 che ha creato arrabbiature e disaffezione da parte del primo patrimonio del club ossia il pubblico, che non ha gradito e ha reagito di conseguenza anche dodici mesi dopo. Nessuno ha spiegato come mai un dirigente già contattato ed addirittura annunciato internamente come primo nuovo volto di TvB a maggio scorso sia stato lasciato dove stava, con grandi imbarazzi facilmente immaginabili. Nessuno ha ancora svelato i motivi e le modalità che portarono alla scelta di Marcelo Nicola come allenatore in seguito al tardivo esonero di Menetti. Nessuno ha dichiarato apertamente che Francesco Tabellini è stato mandato via nonostante avesse ancora un anno di contratto ed a dispetto di un lavoro eccellente svolto nei suoi otto anni trascorsi qui; che la rinuncia a Matteo Imbrò è maturata per motivi di soldi, perché si voleva risparmiare prendendo uno Zanelli che voleva tornare a casa a costi inferiori rispetto all'empedoclino; che la partenza di Matteo Chillo non è stata generata solamente da richieste inevase di ritocchi all'ingaggio ma anche da differenza di vedute tattiche con l'attuale allenatore.

Insomma, nessuno parla. Eppure gli argomenti ci sarebbero e ne ho elencati solo alcuni. Nel frattempo il gioco delle ipotesi si ferma e ci si scontra con una realtà che parla chiaro. Il bilancio dopo 9 turni è 2-7, con gli unici successi ottenuti per episodiche prestazioni maiuscole di un paio di stranieri e per contemporanee complessità interne alle avversarie di turno - Sassari aveva appena capito che Onuaku era un peso morto ma non sapeva ancora come comportarsi; Brescia solamente nelle ultime settimane ha compreso quanto Mitrou-Long sia insostituibile nel sistema di gioco di Magro, dovendosi in sua assenza affidare ai capricci di Della Valle. In compenso si sono sprecate occasioni ghiotte come Varese e Napoli, potenziali vittorie gettate al vento per incapacità di gestire i vantaggi o di attaccare una zona, e si sono perse partite come quelle di Trento e Scafati per impreparazione, problemi tattici, inadeguatezza dei singoli e del sistema di gioco. Tornando nel campo delle ipotesi, sono convinto che, se Sokolowski non avesse sbagliato tutto lo sbagliabile a Masnago e se al PalaBarbuto non ci fosse stato un suicidio collettivo di squadra nel momento in cui era sufficiente assestare un colpetto ad una Napoli specularmente brutta e confusionaria, nessuno solleverebbe in pubblico i tanti dubbi sul valore reale di questa Treviso Basket tra campo, panchina e scrivanie. Invece il re è nudo, nessuno si illude più e non c'è nemmeno un motivo per ridere.

Poi ci si mette di mezzo anche il Destino che, come Dio, si diverte a giocare a dadi. Ed allora forse non è un caso che a sancire la crisi di TvB sia stato Logan con Scafati e che tra una settimana tocchi alla Verona di Bortolani, che potrebbe benissimo scaraventare ancor più in basso la Nutribullet verso l'anticamera per il ritorno in A2. In fondo la situazione di Treviso è simile a quella di Varese un anno fa e, per averne riprova, basterebbe chiedere a Paulius Sorokas che l'ha vissuta in prima persona: un gioco imperniato su un elemento ingombrante e troppo accentratore (Gentile lì, Banks qui); un allenatore inadatto a gestire la situazione; una squadra costruita con idee tattiche sbagliate. Varese voltò pagina cambiando manico ed attori, affidandosi ad un sergente di ferro olandese e sacrificando un pezzo pregiato dopo l'altro pur di ricostruire una parvenza di ensemble. Non so quanta volontà ci sia dentro TvB di compiere le stesse mosse, a cominciare dal cercare un altro tecnico per poi reperire degli acquirenti per Sokolowski, Banks e Cooke. Certo è che non ci si può accontentare del mal comune, ossia i mal di pancia in laguna dove una bella fetta della Reyer rema contro De Raffaele, oppure dell'oramai imminente secondo esonero consecutivo di Menetti che a Reggio Emilia, con una squadra molto più costosa e profonda, ha la stessa posizione di classifica di Treviso. Ad ognuno la propria croce. E pur non invidiando nessuno in tale posizione, spero davvero che prima o poi ognuno si assuma la relativa responsabilità: sarebbe un bel passo in avanti, anche a costo di una retrocessione.

domenica 16 ottobre 2022

Life on Mars?

Barlumi di speranza, piccole consolazioni, il ritorno in pista di uno scorer, una variazione sul tema invocata anche su queste pagine virtuali, alcune magagne croniche, il coraggio dei giovani, ritmo in crescendo nel finale e risultato finalmente positivo. Tutto questo è stato TvB-Dinamo, partita che da pronostico avrebbe dovuto avere un padrone definito nei sardi e che invece... "Vedete com'è il basket", ripeteva Aldo Giordani per far capire come nello sport dei canestri non vi sia granché di deciso a priori. C'è da credergli, visto il risultato del Palaverde che leva momentaneamente dalle secche la Nutribullet, distanziando Trieste e Scafati che restano ultime a quota zero e regalando una settimana, quella che va a cominciare, di relativa tranquillità in casa bluarancio.

Tutto è bene quel che finisce bene, si diceva una volta. Soprattutto se nel risultato conclusivo trovano posto due ragazzi come David Torresani (classe 2005) e Leonardo Faggian (2004) che tutto fanno fuorché demeritare. Con i due juniores in campo Treviso rimonta dal -8, si riporta in linea di galleggiamento, dà un sonoro giro di vite in difesa e riparte con quella transizione che dovrebbe essere pane quotidiano per la squadra di coach Nicola. Viene voglia di chiedere perché questi giovani non giochino di più - e mettiamo pure Alvise Sarto nella lista, che sta facendo prezioso apprendistato di Serie A - senza dover pescare stranieri improponibili o il prodotto nemmeno di qualità delle giovanili altrui. E se a qualcuno dalle parti della laguna fischiano le orecchie, pazienza: sarà un caso, sarà una coincidenza, ma dopo Casarin jr. pure Alessandro Simioni si sta rivelando un gran bel bidone. A differenza del predecessore, Simioni non solo gioca in altro ruolo ma ha un'età anagrafica e cestistica superiore che tuttavia non equivale a risultato: un tabellino che recita zero punti con 0/1 al tiro al piccione (mi rifiuto di chiamarlo tiro da 3), una palla persa, 4 falli fatti in nemmeno 4 minuti trascorsi sul parquet... beh, ditemi voi che cosa sia. Roba da rimpiangere non dico Matteo Chillo, che in estate si è trasferito proprio a Mestre seguendo motivazioni non solo economiche, ma addirittura un Federico Poser - lascio stare Simone Barbante perché quella è stata davvero una scelta infelice.

Bene dunque i ragazzini. Bene finalmente Adrian Banks che aveva bisogno di tempo per rimettersi in forma e per tornare a prendersi le dovute responsabilità: si è visto nell'ultimo quarto quanto sia essenziale un giocatore come lui per una squadra che necessita di un punto di riferimento nei momenti topici. Bene Sokolowski, al netto degli errori in lunetta: giocare da point forward fa bene a lui ma anche a chi gli sta attorno ed è una mossa tattica che andrebbe cavalcata anche se non soprattutto al rientro di Iroegbu. A proposito, benedetto fu il pestone al piede destro del nigeriano poiché se senza di lui la Nutribullet riesce a giocare anche a metà campo, è tutto di guadagnato. In progresso Jantunen, buon apporto di Sorokas, utile persino Jurkatamm come agente difensivo mentre Zanelli ha sempre i soliti difetti ma se la cava con quella tripla nel finale che strappa applausi.

Manca qualcuno? Ah sì, il Superman mancato, all'anagrafe Derek Cooke junior. Voglio pensare che lo 0/2 in lunetta nel finale di Kruslin sia figlio anche dell'effetto prolungato dello spavento subito dal croato che si è visto piovere addosso una massa di muscoli che pensava di spiccare il volo verso il canestro e che invece si è schiantata fuori controllo. Citando il sommo Sergio Tavcar, il giocatore è scarso. Ma non è solo una questione di talento, che è notoriamente assente: qua manca proprio la base ossia la concentrazione. Quello che dovrebbe essere il rim protector di Treviso è stato avvistato troppe volte svolazzare a casaccio, perdendo la posizione a rimbalzo ed i palloni da conquistare e trattenere peraltro in una serata in cui il temutissimo Onuaku ha deciso di non giocare - dicono che il bizzoso pivot della Dinamo abbia altri pensieri in testa, forse c'è un secondo caso-Selden all'orizzonte? Tornando alle cose di casa TvB, se già Simioni è inadeguato alla categoria non è pensabile che il titolare nel ruolo di pivot sia un americano così farfallone, irritante per pochezza e per deconcentrazione costante. Più di qualcuno rimpiange Aaron Jones, che sarà stato anche follemente innamorato dell'alley-oop ma, vivaddio, qualcosa di buono alla fine lo faceva sempre e costava pure meno di questo soggetto che vorrebbe emulare Dwight Howard senza averne le doti e l'acume.

Insomma, pur giocando con una regia rimediata e senza centri, Treviso cancella lo zero alla voce "vittorie stagionali ufficiali". E lo fa alla terza giornata di andata, quando più di qualcuno temeva di dover attendere le trasferte a Varese o Scafati. Sospirone di sollievo, ora si può tornare in apnea ché se la Virtus Bologna vera (e senza Hackett, Teodosic, Shengelia, Weems... robetta insomma) è quella che schianta a domicilio Verona con un 5-28 di break in dieci minuti, allora domenica prossima si potrebbe benissimo mandare in campo non solo Torresani e Faggian ma tutta l'Under19 e risparmiare la fatica agli elementi più preziosi. Nel frattempo, visto che su Marte il Cratere Galle ci ricorda che possiamo sperare in qualcosa di positivo anche quando l'orologio dell'apocalisse è a un minuto dalla mezzanotte nucleare, consoliamoci con David Bowie e con lo sport. Finché dura.

martedì 11 ottobre 2022

La solita manfrina

Autunno è la stagione delle zucche, dei marroni, delle foglie cadenti, dicono anche della malinconia. Di sicuro, autunno nel basket è la stagione delle fughe. Dopo oltre vent'anni non ho metabolizzato l'addio di quel talento matto ma assoluto di Rodney Buford a Rimini, che senza di lui retrocesse, figurarsi come possa commentare la notizia dell'improvvisa partenza da Verona di Wayne Selden - l'amico e collega Mario Poli l'ha già ribattezzato "Solden" e non certo per motivi sciistici. Buford, da autentico incontrollabile ed ingestibile, pensò bene (o male, dipende dai punti di vista) di accompagnare il suo imbarco sull'aereo che lo avrebbe riportato negli States con un epico "Me ne vado perché a Rimini ci sono soltanto due McDonald's", parole che suonano ancora oggi come un insulto per la terra dell'ospitalità culinaria in cui è davvero molto difficile trovare un ristorante che non sappia saziare anche il più largo ed esigente degli stomaci. Selden invece se ne va per altri appetiti, quelli di banconote fruscianti.

E qui scatta subito il primo interrogativo: è l'ennesima questione di stipendi non saldati o di prospettive di guadagno superiore in altri lidi? A giudicare tanto dalle (pessime) parole di Charles Misuraca, agente del giocatore, quanto dal comunicato emesso dal club gialloblu, l'ipotesi corretta è la seconda. Dopo un esordio col botto in LBA, con tanto di tripla vincente da dieci metri al supplementare contro Brindisi, l'entourage dell'esterno deve essersi domandato se il talento del ragazzo non fosse sprecato in una squadra neopromossa a fronte di una monetizzazione rapida in un contesto differente. Così ieri sera è andata in onda la prima parte della manfrina: Selden saluta e se ne va, con il summenzionato agente che si premura di contattare un sito web per spiegare i motivi dell'improvvisa scelta.

Quali sarebbero, questi motivi? Una escape NBA/Eurolega, viene detto. Peccato che a Selden non siano arrivate proposte di contratto né da una parte, né dall'altra. Ed allora, colpo di teatro: Selden se ne sarebbe andato perché non pagato, anzi perché lo stipendio non arrivava puntuale. Senza scomodare i "ritardi fisiologici" di petrucciana memoria, è buffo che un giocatore se ne vada di punto in bianco perché (a suo dire) il bonifico sarebbe giunto a destinazione qualche giorno dopo quello concordato. E la maschera grottesca cade oggi, con il comunicato del club che annuncia azioni legali oltre alla ricerca di un sostituto, mentre si apprende che in realtà Selden non avanzerebbe un quattrino, anzi avrebbe avuto la prima mensilità saldata pure in anticipo.

Non siamo dunque di fronte a scenari come quello dello scorso novembre, protagonista Brandon Ashley che scappò alla prima occasione da una Fortitudo pericolante lamentando anch'egli di non essere stato pagato - e chissà se nel frattempo le sue lamentele hanno trovato accoglimento da qualche parte. Non siamo nemmeno davanti a casi di conversioni mistiche, di crisi famigliari o di ripartenza dopo lockout NBA, tutte tipologie franche per giustificare le fughe di giocatori. Semplicemente è una via di mezzo tra il citato episodio di Buford, che difatti tornò a casa perché perdonato dal dorato mondo di Jerry West per poi riapparire in Europa ma nel ben più ricco PAO, e quello di Johndre Jefferson che sette anni e mezzo fa fece le bizze per costringere Mantova (in A2) a liberarlo dal contratto in favore di Varese (in A). Selden dunque ha scelto di provare un azzardo per ottenere di più, sperando di avere in qualche modo strada libera. Di sicuro dopo questa manfrina la Scaligera non lo vorrà più rivedere, nemmeno in fotografia, ma al club veronese resta l'arma della liberatoria. Già perché se la storia dei ritardi nei pagamenti non è vera, sarà ben difficile per Selden ed il suo agente dimostrare al BAT della FIBA la correttezza del proprio operato, chiedendo al contempo una liberatoria d'ufficio. Liberatoria che dovrebbe concedere Verona, sempre che non si vada per carte bollate e che il caso non si trascini per mesi. Ed anche dovesse esserci il lieto fine, chi si prenderà un giocatore sì talentuoso ma ormai bollato come bizzoso e poco avvezzo al rispetto dei contratti firmati? Certo, se si pensa che persino un Victor Sanders ha trovato squadra (è in Romania, a Cluj) dopo la notte brava dello scorso marzo con doppio fermo di polizia e denunce assortite, allora c'è speranza anche per Selden.

domenica 9 ottobre 2022

AAA regia cercasi

Datemi pure del nostalgico. Oppure fatemi dei finti complimenti - possibilmente senza intimidazioni e minacce successive, ché lì avrei già dato. Potete anche dire che dovrei passare dall'oculista (vero, l'ultima visita è stata per il rinnovo della patente). Io però continuo a dire che il gioco della pallacanestro non può prescindere da quello che dovrebbe essere mente pensante e braccio esecutivo in campo dell'allenatore. Ossia il playmaker. 

Senza il regista non ci può essere gioco. Almeno, non si può credere di organizzare una singola manovra efficace in attacco. Si può rinunciare al playmaker al campetto, dove in sostanza comanda il più talentuoso, anche il più pazzo, comunque chi sa segnare e non è timido nel tirare. In un campionato professionistico non è concepibile affidare la sfera a guardie adattate o a giocatori che non possono reggere il confronto sulle lunghe distanze. Il rischio è di vedere la propria squadra ferma in attacco, in impaziente attesa che accada qualcosa di utile. Quindi qualunque cosa che non sia la penetrazione frontale su pick'n'roll (prevedibile come lo zampone con le lenticchie a Capodanno) o il solito giochino di finti blocchi e consegnati sperando che qualcuno prima dello scoccare del 24° secondo decida di tentare la sorte al tiro da 3.

Lo dico? Ok, lo dico: era dai tempi nefasti delle Benetton di Chalmers e di Kus che non vedevo una Treviso dei canestri esprimersi in maniera così confusa, disordinata, senza capo né coda. E se in prestagione si poteva pensare che il punto debole di una formazione destinata a soffrire per inseguire la permanenza in categoria fosse la posizione di pivot - Cooke insufficiente già a Trieste tre anni fa, Simioni inadeguato per la categoria - già alla seconda giornata di campionato è evidente che non vi sia un'idea chiara su come eseguire uno schema a difesa schierata. Finché si può correre in transizione, tutto bene; appena ci si deve fermare e pensare, cominciano i guai. E qui troviamo le dolenti note, ossia la scelta della coppia di registi. Alessandro Zanelli voleva tornare a casa, rappresentava una scelta più conveniente rispetto al contrattone di Matteo Imbrò ed in un'ottica di riduzione dei costi il suo ingaggio poteva avere una logica; però Zanelli ha dimostrato in Serie A di poter essere un buon play di appoggio solo se può agire alle spalle di un fuoriclasse come Darius Thompson, mentre con onesti mestieranti (Wes Clark) o ibridi equivoci (Josh Perkins) ha sempre e solo faticato.

Accoppiare dunque Zanelli ad un Ike Iroegbu è stato un azzardo. Prima di tutto perché si è puntato su un titolare nel ruolo che sa esprimersi ad una sola velocità, quella supersonica; in secondo luogo, perché risulta più efficace quando viene spostato nella posizione di guardia tiratrice. Il risultato è che, se non può spingere la transizione, Iroegbu va in cortocircuito, non trova letture alternative al pick'n'roll e diventa tragicamente prevedibile; Zanelli, come suo backup, si trova a dover rimettere in carreggiata una squadra che sbanda e che dopo un po' vede i suoi solisti isolarsi. Aggiungiamo al quadro un Banks in evidente ritardo di condizione, uno Jantunen che si sta ancora adattando al livello di un campionato ben più fisico rispetto alle sue abitudini, i noti problemi nello spot 5 ed il disastro è servito. Non è un caso che Treviso sia in coda alla classifica di squadra degli assist (14 di media, peggio fanno solo Napoli, Trento e Brindisi) e che non vi siano punti di riferimento assoluti per la gestione dei palloni. Così come non è casuale che nelle sconfitte con Reggio Emilia ed a Trento i protagonisti tra gli avversari siano stati Andrea Cinciarini e Diego Flaccadori. In che ruolo? Avete indovinato: regista, seppure con enormi differenze per caratteristiche, storia personale e modalità d'interpretazione.

Come se ne esce? La soluzione drastica passa per dei tagli. Sempre se ci sono soldi da spendere, aspetto affatto marginale. La Nutribullet attuale è stata costruita in relativa economia rispetto a quella dell'anno scorso ma non vi è tutta questa abbondanza di denaro da reimpiegare sul mercato per dei correttivi. Col senno di poi si potrebbe dire che in estate si sarebbero dovute ponderare meglio certe scelte, magari valutando profili alternativi rispetto agli stranieri che per ora stanno deludendo - Iroegbu, Cooke ma anche Banks. Le alternative sono un cambio radicale del playbook oppure una suddivisione delle responsabilità. La prima Treviso di Menetti cambiò marcia sì con l'innesto di Logan al posto della zavorra Wayns ma prima ancora con l'idea tattica di sopperire ai problemi in regia tramite un playmaking diffuso che coinvolgeva quattro esterni (Imbrò, Logan, Burnett e Uglietti). L'attuale Nutribullet può chiedere uno sforzo in appoggio alla regia anche a Banks ed a Sokolowski, col polacco che ha già dimostrato di poter essere prezioso da point forward purché non gli venga chiesto anche di fare bottino e di difendere per tre. Se un suo sacrificio come portatore di palla potesse liberare l'estro dei colleghi di reparto sul perimetro, allora si potrebbe sperare in qualcosa di diverso rispetto allo spettacolo deprimente di queste prime due partite ufficiali. Viceversa la lotta per retrocedere si preannuncia già ora assai dura: Trieste (a proposito di squadre fatte in economia) è battagliera, Napoli non ha ancora ingranato e Scafati si affiderà ai tanti veterani. La scommessa per rimanere in Serie A è tutta qui.

PS: per chi si è domandato che fine avesse fatto, Maalik Wayns si è ritirato più di due anni fa dopo aver provato a giocare ancora tra Francia, Bielorussia e Iran. Come detto dal suo agente italiano, ben prima della firma con TvB la carriera del giocatore era finita: la combinazione tra caviglie fragili e tendenza cronica ad accumulare peso corporeo si era rivelata letale. Peccato che all'epoca lo staff tecnico e dirigenziale di Treviso ignorò tali problemi pensando di aver risolto tutto in regia con lui e con l'ingaggio in prospettiva del lungodegente Giovanni Tomassini. La storia andò altrimenti.

domenica 12 giugno 2022

Un conto biblico, finalmente saldato

Ci provava da anni. E puntualmente arrivava la bastonata, la delusione. In questa stagione non ci provava, almeno non nelle dichiarazioni ufficiali o semiufficiali di inizio campionato, ed invece è salita. Parlo di Verona che, col 3-1 nella serie di finale contro Udine, ha ritrovato la Serie A esattamente quattro lustri dopo quel tristissimo episodio del fallimento che privò a lungo il Veneto dei canestri di una piazza storica, appassionata, di tradizione e che tanto ha dato al nostro basket.

Verona era Vicenzi, l'industriale del biscotto che si innamorò della pallacanestro negli anni '70 dedicando risorse economiche notevoli per la scalata verso l'alto. Ma Verona era anche la Glaxo, multinazionale del farmaco che per redimersi dal peccato originale insito nella propria natura chimica decise per anni di regalare miliardi a pioggia allo sport locale. E poi era la Verona di Andrea Fadini, manager tanto burbero quanto geniale, scopritore di talenti americani in serie: aveva portato lui in Italia il compianto Henry Hi-Fly Williams, preso inizialmente a gettone per coprire l'infortunio di Corey Crowder e poi divenuto protagonista indiscusso del nostro campionato, con quelle movenze de Michael Jordan mancino che fecero innamorare legioni di appassionati. E poi Mike Iuzzolino, Randy Keys, Hansi Gnad, Sweet Lou Bullock, Misha Beric: la Scaligera era passata per le mani di questi campioni. Ed anche di Paolino Moretti, Ricky Morandotti, Kempton, Schoene, Brusamarello, Dalla Vecchia, Savio che nel 1991 fecero la storia, portando per la prima ed unica volta una squadra di A2 (ok, uno squadrone, ma pur sempre da A2) a vincere la Coppa Italia di A1.

Verona era loro. Ed era un giovane Ale Frosini, che poi è tornato come dirigente dopo i primi passi da giocatore. Ed un imberbe Jack Galanda, emblema di quel 4 perimetrale che divenne con Marcelletti prima e con Andrea Mazzon poi il marchio di fabbrica della Scaligera da piani alti della classifica. Era una Verona bella, frizzante, allegra, fortissima. Una Verona che spesso e volentieri si incuneava nelle prime quattro in campionato e che in Europa faceva un gran bella figura, contendendo al Real la Coppa delle Coppe e vincendo la Korac al Pionir a Belgrado. Nel 2000 la società aveva toccato il suo apice con la semifinale scudetto, l'ingresso nella neonata Eurolega Uleb che poteva rappresentare la definitiva consacrazione - ironia della sorte, proprio quando lo storico patron Vicenzi aveva deciso di passare la mano ad una nuova proprietà rappresentata da Edoardo Fiorillo, patron dell'emittente Match Music.

Tanto faticosa era stata la salita, quanto era stata ripida, veloce e brutta la discesa. Una squadra costosa ma con evidenti difetti, a cominciare dal pericoloso dualismo tra Bullock ed il rientrante Williams per proseguire con la dolorosa perdita di Beric. L'Eurolega che dura poco, con l'uscita agli ottavi di finale. La crisi in campionato, un decimo posto che esclude dai playoff e che apre il cassetto dei dubbi. Ed un patron che si rivela insoddisfatto ed improvvisamente privo di stimoli, che vorrebbe vendere ma non trova acquirenti, che perde uno sponsor (Skipper, che firma con la Fortitudo in un memorabile voltafaccia estivo) e che nel mezzo della stagione successiva, con una squadra fatta in economia ma comunque coraggiosa e godibile, smette di pagare gli stipendi. Quella crisi fragorosa, assurda, inconcepibile in una città ricca come Verona ma in cui pare che lo sport sia sempre affare di qualcun altro quando occorre mettere mano al portafogli, quella crisi fu la fine della vecchia Scaligera. Salva sul campo ma fallita, cancellata dalla mappa, con le targhe, i trofei, persino le maglie ed i borsoni all'asta per soddisfare i creditori.

Verona era ripartita dal basso. Molto in basso. Dalla San Zeno, creatura dei Vicenzi che doveva essere una ciambella di salvataggio per un settore giovanile che comunque lavorava bene - ho avuto la fortuna di giocare qualche partita nelle minors con ex ragazzi usciti da quel vivaio, quindi so di cosa parlo. Poi era tornata la voglia di riprovarci, di tentare nuovamente la scalata effettuata dall'uomo dei savoiardi partendo da una C2: qualche titolo comprato o scambiato, le difficoltà per arrivare in A2, le cocenti delusioni iniziali, per arrivare al 2015. Anno in cui sulla panchina siede Alessandro Ramagli che ha costruito una squadra da promozione: De Nicolao in regia, Umeh guardia, Boscagin (reduce del vivaio) e Ndoja ali, il massiccio Monroe come centro ed una panchina irrobustita da Giuri, Reati e Gandini. Primato in classifica in A2/Gold, vittoria della Coppa di Lega a Rimini, tutti i pronostici a favore. Fino all'incrocio mortale con Agrigento che, superato l'ostacolo a sorpresa Treviso negli ottavi, ai quarti fa il colpaccio.

Da quel ko, sembrava che la Scaligera non si fosse più ripresa. Non l'aveva fatto l'anno dopo con Crespi in panca ed una squadra se possibile ancor più completa e costosa - Spanghero, Lollo Saccaggi, Ray Rice, Cortese, ancora Boscagin, Pippo Ricci, Da Ros, Chikoko, Michelori. Non ci era riuscita con santoni della panchina come Frates e Dalmonte, né con Andrea Diana. Non si era rimessa in corsa per risalire nemmeno prendendo un campione NBA come Sasha Vujacic, un lusso per la categoria. Insomma, Verona sembrava l'eterna incompiuta e quel -3 figlio di una incredibile disattenzione burocratica pareva la ciliegina su una torta amarissima.

Invece serviva qualcosa di diverso, a Verona. Serviva riscoprire la voglia di riscatto di Ramagli e Spanghero, due che avevano ingoiato bocconi amari proprio in riva all'Adige. Serviva una squadra operaia, con un 3 adattato a 4 (Xavier Johnson), un play occulto (Rosselli), un veterano d'area (Pini) ed un bomber troppo sottovalutato (Karvel Anderson). Serviva anche un progetto sui giovani, con Sasha Grant e Liam Udom protagonisti ancor prima dell'arrivo di un Casarin jr. immaturo per la Serie A ma utile per il piano di sotto. Un gruppo ben assortito, eterogeneo, determinato, ottimamente diretto. Quanto bastava per fare strada nei playoff e per far nuovamente innamorare una città, saldando al contempo un conto che si era fatto biblico. Ecco, il miglior messaggio che lancia Verona al movimento è rappresentato dal doppio sold out di pubblico dell'AGSM Forum in gara3 e gara4: è una bella iniezione di fiducia dopo che due anni di pandemia hanno fatto allontanare i tifosi da tanti palasport. Bentornata Scaligera, la Serie A aveva bisogno di te.

domenica 8 maggio 2022

Uno scudetto (e tante vite) in un libro

Leggere significa prima di tutto allenare il cervello e preservare la memoria. Il fatto che nel nostro Paese si leggano sempre meno libri dovrebbe suonare come un doppio campanello d'allarme, per la nostra salute e per la conservazione del nostro retaggio storico. In un'epoca dominata dall'eccessiva rapidità, dagli smartphone, dalle news convulse, da aggiornamenti costanti, il semplice gesto di sedersi ed aprire un volume rappresenta quasi qualcosa di rivoluzionario, lontano dagli schemi (e dagli schermi, soprattutto), una rottura con il quotidiano. E se una lettura ci trasporta in altre dimensioni, in altre epoche, in posti differenti, a volte un libro può farci vivere l'esistenza altrui, può farci sperimentare le sensazioni tanto positive quanto negative provate da chi ha vissuto sulla propria pelle determinate esperienze destinate a passare alla Storia.

Il 9 maggio 1992 è una data che resta impressa nella mente di ogni sportivo trevigiano. Quel giorno la Pallacanestro Treviso, la Benetton Basket, conquista il suo primo, memorabile scudetto. Non sarà l'unico né l'ultimo trofeo, ma è il trionfo che conserva nel tempo un fascino immutato e sconvolgente. Forse per la grande umanità di chi compì quell'impresa, forse per l'epica di un periodo storico a cavallo tra gli ultimi grandi botti della Prima Repubblica e l'imminenza di Tangentopoli, forse per le tante singolarità di una squadra condannata a vincere ma sino a quel momento a digiuno di trionfi e quasi maledetta dalla sorte. La Treviso che fece l'impresa, la Benetton in verde che si incuneò nel ristretto club dei miliardari di successo nella pallacanestro nostrana fu tutto ciò: ragazzi di talento e con spirito di sacrificio, un proprietario innamorato perso dello sport, un allenatore dall'incredibile umanità, un ambiente pervaso dalla goliardia ma terribilmente serio nei momenti decisivi.

L'idea di un libro per celebrare quell'impresa era nata due anni fa, subito prima della pandemia. Febbraio 2020: all'Eden Cafè (oggi ahimè non più esistente) la coppia composta da Alessandro Toso e Simone Fregonese imbastisce una serata amarcord dedicata a "lo scudetto degli scappati di casa" (testuale). Loro, gli ex ragazzi del microfono che avevano raccontato quella stagione come giovani telecronisti, avevano pensato di rompere il ghiaccio con una sorta di tabù - mai si era pensato di celebrare degnamente la ricorrenza di quello scudetto, neanche fosse stato qualcosa di tremendamente ordinario. La serata era stata un successo, grazie soprattutto a Massimo Iacopini che aveva coinvolto Ciccio Vianini più alcuni ex ragazzi di allora (Pellacani, Morrone, Mian, Mayer, Generali) per dei video proiettati nella sala del locale affollatissimo, col notaio Enrico Fumo ed il dottor Angelo Motta in prima fila. Qualche giorno dopo la reunion di vecchie glorie aveva coinvolto anche coach Pero Skansi che aveva ritrovato i suoi adorati, terribili giocatori di allora al Palaverde, riabbracciandoli. Pero stava già male eppure solo rivedere la sua vecchia squadra gli aveva fatto dimenticate ogni sofferenza ed anzi lo aveva portato a compiere un passo decisivo: occorreva fare qualcosa per il trentennale dello scudetto, il 2022 era dietro l'angolo, un libro sarebbe stato l'ideale.

Poi vennero la pandemia, il lockdown, le notizie dei contagi, la paura, l'incertezza per il domani. Non si pensava ad altro che a sopravvivere. Per un po' nessuno parlò più di anniversari, di libri, di celebrazioni. Ad ottobre scorso, un martedì mattina mi ritrovai con Iaco in un caffè a S. Antonino per una colazione: dovevo ricavare materiale per un articolo sui Moana's da pubblicare in un mensile di storie di pallacanestro. E mentre Iaco apriva il cassetto dei ricordi vedevo i suoi occhi brillare di una luce mai vista prima: per lui quei trent'anni non erano mai passati, era sempre il ragazzone empolese che amava scherzare con il suo sodale Black Nino e che coinvolgeva nelle trovate comuni il complice silenzioso Vianini, il mago del contropiede Generali, lo Struzzo Mian, i bersagli designati Morrone e Mayer. A colazione conclusa e appunti trascritti, nel salutarci, Iaco disse qualcosa che non avrei dimenticato: "Ho parlato con Nino, il libro lo facciamo, avremo bisogno del tuo aiuto".

Sarebbero trascorsi tre mesi da quella promessa. Ora, scrivere un libro di ricordi ma soprattutto di emozioni non è semplice, soprattutto se bisogna sentire tutti i protagonisti. Eppure ci siamo riusciti e pure in brevissimo tempo. Gennaio 2022: sono seduto ad un tavolo del Makallé in Restera con Iaco e Alessandro Toso. Ale è uno scrittore metodico, ha già pensato un menabò del volume da scrivere, stringiamo i primi accordi e si decide di riaggiornarsi di lì a breve per iniziare. Intanto per non partire al buio decidiamo entrambi di sondare i nostri contatti, chi un editore, chi il Consorzio UniVerso, chi un giornale locale, chi VerdeSport per ottenere quanto più materiale fotografico possibile e magari anche qualche soldo per coprire i costi. Ale, Iaco ed io siamo già d'accordo su un punto: il libro che nascerà non porterà un centesimo nelle tasche di noi tre, devolveremo tutto ad un ente benefico individuato nell'ADVAR.

A febbraio, pranzo in Ghirada. Suddivisione dei compiti, chi contatta chi tra i protagonisti di allora, come ristrutturare alcune parti del menabò, eccetera. Il pranzo si conclude con una memorabile videochiamata Zoom a Nino Pellacani a Bologna per darsi appuntamento in seguito: Nino è in isolamento, la figlia piccola è positiva al tampone ma è chiaro che con lui e Iaco non ci si può limitare ad un'ora di chiacchierata al telefono, semmai ci sarà da andare a casa sua per trascrivere la storia ed i dialoghi di due vecchi, inseparabili amici. Nel frattempo Ale ed io ricontattiamo un po' tutti gli altri oltre a tifosi, giornalisti, dirigenti, membri dello staff di quell'epoca. L'obiettivo è consegnare tutto il materiale a Nino, che si occuperà di impaginazione e grafiche, entro il 31 marzo.

3 marzo 2022, Iaco ed io scendiamo a Bologna. Anzi, a San Lazzaro di Savena dove vive Nino. Giornata memorabile: immaginate sedere ad un tavolo con questi due, che avranno anche un'età da nonni ormai ma che dentro non sono mai invecchiati restando i ragazzi di un tempo, mentre ricordano come si sono conosciuti, i rispettivi percorsi, le stupidaggini fatte, cosa leggevano, chi frequentavano, cosa combinavano. E poi le foto emerse da quel periodo, i leggendari Moana's e non solo. La pausa pranzo alla Croara, col classico umarell bolognese un po' tappo che vedendoci alle sue spalle - in scala io (1.91m), Iaco (2 metri) e Nino (2.05m) - ci chiede se siamo giocatori di pallacanestro ed annessa risposta di Pellacani che si mantiene serio mentre lo percula alla vecchia maniera. E le moke di caffè, le pause per la paglia, la comune passione mia e di Nino per Frank Zappa e gli Skiantos con immancabili digressioni a parlare di musica, radio e libri. Al ritorno in auto, dalle parti di Padova, arriva la chiamata da Est: c'è Pero al telefono, fatica a parlare ma vuol sapere come sta procedendo il libro. Pero ci tiene moltissimo, qualche giorno prima Iaco ed Ale sono stati a trovarlo al mare in Croazia e hanno raccolto i suoi ricordi. Tutti e tre sappiamo che Pero sta combattendo una battaglia impossibile col male e tutti e tre desideriamo solo che possa tener duro, che ci sia al momento della presentazione. In fondo, mancano due mesi e stiamo marciando spediti - per la cronaca, il libro viene scritto da Ale e dal sottoscritto rubando tempo alle nostre rispettive professioni in una corsa contro il tempo.

Un mese dopo Pero non c'è più. A quel punto, superato il dolore per la perdita di una persona unica, si matura l'idea di dedicargli il libro che viene modificato in corsa con l'aggiunta di alcune pagine dedicate proprio a lui e scritte dal suo capitano, da quel ragazzone di Empoli che Pero in persona aveva voluto come capofila dello spogliatoio. Il resto è storia recente: la stampa delle copie, l'evento programmato nei social, le telefonate dei tifosi ("Ma quand'è? E dove? Quanto costa? E chi viene? Ma davvero, proprio tutti? Ma... a che ora?"), gente come Ruggero e Carlo che non sta nella pelle dall'attesa, il pomeriggio in Ghirada con le nuovissime generazioni che magari andranno a vedere su Youtube chi erano Iacopini & soci, la serata alla Tenuta Santomè a Biancade. Ed il volume, quel libro che abbiamo scritto a tempo record, che diviene qualcosa di meraviglioso, ricercatissimo, emozionante. 

Ok, ora basta. Non aggiungo altro. Volete saperne di più? Comprate il libro, leggetelo, immergetevi nelle storie e nelle vite di chi allora c'era. Poi semmai potrete dire che è stata una perdita di tempo, che Ale ed il sottoscritto non sanno scrivere, che i Moana's erano dei debosciati, che quella squadra giocava a ping pong e non a basket o altre cattiverie. Intanto resta il ricordo di un gruppo stupendo, di persone vere e dolcissime, di grandi interpreti della pallacanestro e non solo. Restano anche le memorie di chi purtroppo non c'è più ed invece avrebbe apprezzato questo nostro lavoro, anche solo come esercizio: Ciano Bortoletto, Josha Blazic, il signor Gilberto Benetton, Beppe De Stefano. Ed ovviamente Pero, cui va tutto l'affetto mio, di Ale, di Iaco e degli altri per averci regalato pagine di umanità ed un sogno chiamato scudetto.

lunedì 4 aprile 2022

Giornalisti e giornalai

Ogni volta in cui il Signor Nessuno, archetipo del cittadino medio che nell'era dell'internet facile crede di avere accesso allo scibile intero, mi attribuisce l'etichetta di "giornalaio", mi scappa un sorriso. Prima di tutto perché non ha evidentemente idea di cosa significhi vendere, men che meno nell'ambito dell'informazione. Poi perché se crede che la nomea di giornalaio possa ritenersi un insulto, dovrebbe prima di tutto rivedere la propria scala valori. Infine perché la categoria degli edicolanti, anch'essa preda della grave crisi dell'editoria, merita solamente rispetto per i gravi sacrifici sostenuti a favore di un popolo che legge sempre meno e che al contempo è sempre più saccente, supponente, ignorante rasentando in certi casi l'analfabetismo funzionale o quello vero e proprio.

Esaurita la doverosa premessa, passo al nocciolo della questione. In troppi, oggi, si improvvisano giornalisti. E sempre per la solita, assurda credenza della facilità di reperire informazioni e della semplicità di divulgazione. Peccato che la stragrande maggioranza dei critici - "è più semplice criticare che fare", ripete un vecchio proverbio - non abbia la minima idea di cosa sia un codice deontologico o una Carta dei Doveri o un Glossario. Ciò nonostante, chiunque si sente autorizzato a criticare abbandonando a volte i freni inibitori o pensando di poter insegnare ad altri a compiere un mestiere che prevede regole rigide ed una adeguata preparazione.

Da anni leggo questa invettiva ("giornalai") riferita tanto al sottoscritto quanto ai colleghi che, secondo il Signor Nessuno di turno, non farebbero adeguatamente il loro dovere. Che è informare e non alimentare i bassi appetiti del popolino quanto a curiosità o sete di sputtanamento pubblico. Da quando poi le conferenza stampa hanno smesso di essere tali perché coperte dai cosiddetti new media che ampliano la platea ben oltre gli addetti ai lavori, l'invettiva si ripete e si moltiplica. Al Signor Nessuno ed ai suoi tanti cloni dunque spiego qualcosa di basilare: la conferenza stampa smette di essere tale quando è aperta a chiunque, quando esiste un pubblico (anche virtuale) che pretende di partecipare con commenti, suggerimenti, critiche. A quel punto è uno show. Ed in uno show, prevale l'attore ovvero chi è capace di indossare i panni del protagonista di una commedia o di una tragedia, immedesimandosi alla perfezione e recitando un ruolo. Non è nulla di autentico, quindi è inutile fare domande incalzanti poiché una risposta mai ci sarà, perché chi è abituato a recitare su un palcoscenico o davanti ad una telecamera saprà come reagire per scansare il pericolo e mostrarsi sempre in pieno controllo della situazione. 

Chiudendo e rivolgendomi ai Signori Nessuno che abusano del termine "giornalai" pensando di arrecare un'offesa ad una categoria, mi concedo un'unica reazione. Una risata liberatoria. Perché se è vero che nulla è più potente ed incontrollabile dello sberleffo, è altrettanto vero che ridere è il miglior modo per reagire a delle critiche assurde provenienti da profani della materia. E se i Signori Nessuno vogliono davvero cimentarsi con la professione, possono accomodarsi seguendo le regole: gavetta, praticantato duro, Esame di Stato scritto ed orale. Solo allora potranno criticare con pieno senno e conoscenza della materia. E posso garantire loro che allora non solo io non riderò più, ma nemmeno loro proveranno ad avventurarsi in arditi parallelismi tra professionisti dell'informazione e commercianti.

domenica 3 aprile 2022

Si salvi chi può!

Manca poco. Pochissimo. Quasi nulla. A cosa? Ma al ritorno in A2 di Treviso Basket. E nemmeno a tre anni dalla notte di Capo d'Orlando che doveva costituire un nuovo punto di partenza e che invece, oggi, appare come l'inizio del periodo più contraddittorio della storia di un club che non ha ancora compiuto il proprio decimo anno di esistenza. Come si è giunti a ciò? Passare dall'esaltazione della piazza per la Serie A ritrovata e successivamente per il ritorno in Europa sino alla desolazione totale di risultati pessimi, di giocatori svogliati, di un allenatore che ha perso il contatto con lo spogliatoio, di una società che non riesce ad intervenire per correggere la rotta?

Ci sarà sicuramente tempo per i processi, tanto che accada l'imponderabile (leggi: salvezza contro ogni pronostico), quanto che la retrocessione oggi teorica diventi realtà assoluta ed assodata. Nel frattempo però sarebbe utile raccogliere i segnali inviati da questo 2022 finora così infausto per TvB. Le vittorie in campionato nell'anno solare sono solamente tre - a Pesaro al supplementare, in casa ed in maniera rocambolesca con Tortona e Trento - più i due referti rosa del play-in di BCL. Cinque successi a fronte di... quante sconfitte? Sette in LBA (e manca sempre il recupero con Milano...), sei su sei nel girone europeo. Bilancio finale, 5-13. Un ruolino da ultima della classe o quasi. 

Qualcuno potrebbe obiettare che, in tutto ciò, andrebbe conteggiata l'infezione da Covid-19 che ha decimato la squadra a gennaio condizionandone il rendimento successivo. Ma davvero si può attribuire al solo virus l'origine dei mali di questa squadra? Sarebbe miope farlo, per quanto una colpa la pandemia ce l'ha di sicuro: quella di aver ritardato delle valutazioni che altrimenti sarebbero state prese tempo prima. Ad esempio su Henry Sims: firmato con un contratto a ribasso in estate puntando sulla voglia (o presunta tale) di riscatto del giocatore dopo delle esperienze tutt'altro che positive, ci si è accorti in ritardo che in realtà il pivot questo è. Cioè un elemento condizionante in attacco, nullo in difesa, dalle buone statistiche personali ma troppo ondivago, troppo distratto, troppo incostante. Insomma, un ottimo centro per la A2 (che difatti giocò con Roma, con buoni risultati) ma un lusso difficilmente sostenibile in una Serie A con due retrocessione a stagione. Men che meno in una squadra da doppio impegno settimanale.

Il fatto che un lungo meno appariscente ma più concreto difensivamente di Sims fosse necessario, lo si è capito a fine febbraio, poco prima della gara casalinga malamente persa con la Fortitudo. Quella partita ha segnato il contrappasso per le due realtà: i bolognesi da allora hanno ricominciato a giocare ed a vincere, legittimando le possibilità di salvezza; al contrario Treviso è crollata non riuscendo nemmeno ad ottenere i pochi punti utili alla salvezza da raggranellare contro avversarie alla portata. Ma le colpe non sono solamente di Sims o del mancato arrivo di Derek Cooke o successivamente del paradosso Kuzminskas - giocatore convinto, contratto pronto, club russo che rifiuta di liberarlo gratis. I problemi sono nati la scorsa estate quando si sono compiute delle scelte troppo azzardate per non dire completamente errate.

Vogliamo fare un elenco? Partiamo dalla conferma di Russell. Play veloce, in crescita di rendimento (a fine stagione scorsa), con margini grazie alla conoscenza maturata nel nostro campionato. Ma condizionante perché fisicamente incapace di tenere la maggior parte dei pariruolo, figurarsi in situazioni di cambio sistematico dove spesso e volentieri finisce accoppiato ad un lungo spalle a canestro che se lo divora in un boccone. Poi, la scelta di Sokolowski come leader in tutto e per tutto: il polacco è intelligente, sa fare tante cose utili ma non è mai stato né sarà mai un protagonista assoluto, non gli si può chiedere di giocare più ruoli, aiutare a rimbalzo e nel playmaking, di difendere su piccoli e lunghi, di mantenersi lucido e di segnare caterve di punti tutto assieme. Passiamo poi a Dimsa, giocatore con stipendio quasi da Eurolega (prestito Zalgiris, d'altronde) che in confronto all'ancor più pagato Logan doveva offrire identica capacità offensiva, possibilità di inventare dal palleggio, maggiore freschezza atletica, possibilità di giocare due o tre ruoli, un minimo di difesa... invece si è assistito al trionfo dell'incostanza, della partita da cecchino seguita da due o tre prestazioni impalpabili, oltre alla conferma di come il lituano sia una guardia purissima che non sa appoggiare il play e che da 3 tattico è un buco nero.

Non basta? Ed allora ecco altri prestiti. Quello di Bortolani poteva avere un senso con una filosofia identica a quella adottata con Moretti nel 2016/17, ossia un giovane da valorizzare in una singola stagione: come il figlio di Paolo, anche il siciliano non sa cosa sia la difesa, quindi l'unico modo per sfruttarlo appieno sarebbe costruirgli un quintetto difensivo che ne mascheri le lacune. Il mai abbastanza rimpianto Pillastrini inventò un quintetto con due esterni fisicamente forti (Fantinelli ed il tandem DeCosey-Perl), più un 4 poco atletico ma di stazza importante ed un doppio pivot che combinasse centimetri e teorica intimidazione con l'esperienza ed i muscoli. La stessa cosa si doveva fare appunto con Bortolani ma è apparso chiaro sin da subito che non potesse giocare in una formazione il cui asse play-pivot era composto da una coppia da abbonamento al Telepass Family. C'era anche l'accordo (addirittura biennale, follia!) con Casarin jr., un casinista senza ruolo preciso, il predestinato al taglio invernale giunto come una benedizione invocata da tutti entro Capodanno. Peccato che il suo sostituto a basso budget, Jurkatamm, si sia fatto male dopo pochissimo, troppo in fretta per esprimere un giudizio completo. Senza dimenticare il fatto che giocare una Coppa con un 5+5 a rotazioni ridotte poi a 8 è da suicidio - evidentemente la strategia "botte piena+moglie ubriaca" non riesce ad oltrepassare i limiti autoimposti di inseguire un premio italiani che, ironia della sorte, verrebbe cancellato in caso di retrocessione.

In questo quadro inseriamo lo smarrimento di un tecnico che ha perso la bussola e che, tra febbraio e marzo, ha pure rimediato delle sonore scoppole nei punteggi. Ormai è chiaro che la squadra non segue Max Menetti il quale non riesce proprio ad invertire i trend negativi in corsa. Lo si è visto troppe volte nelle ultime settimane per pensare che sia un caso, così come è evidente che le vittorie episodiche con Derthona e Trento siano state frutto di autogestione di un gruppo che ha poche teste pensanti (Imbrò e Sokolowski) e qualche apprezzabile lottatore a basso costo (Chillo e Jones). Facendo una somma complessiva, ce n'è abbastanza per preoccuparsi. Ed il quadro peggiora alla luce di quel che si è visto contro Napoli: i 3 punti in un quarto - nemmeno in CSI! Detto da chi, in CSI, ha giocato sino a qualche anno fa - ma anche la prima, sonora contestazione del pubblico e persino i mal di pancia evidenti dei consorziati. Il rischio più grave è che una retrocessione in A2 possa bruciare tutto il lavoro svolto sinora, già comunque minato da qualche scelta discutibile come dimostrato dall'ultima campagna abbonamenti e dalla difficile transizione nell'epoca post pandemia. Scendere di categoria da un lato libererebbe il club dai pochi contratti per la prossima stagione (cioè Sokolowski e Menetti), ma dall'altro sarebbe uno shock profondo. Prima di tutto per il pubblico, ridottosi nei numeri e nella passione in questi ultimi due anni; poi nel Consorzio, dove il malumore serpeggia al punto da non escludere uscite di soci; infine tra i ranghi della società, in cui i risultati odierni comporteranno per forza di cose a rivedere più di un dettaglio.

Qualche giorno fa, chiacchierando con un collega di lungo corso quale Stefano Valenti, si valutavano le conseguenze di una eventuale retrocessione di Treviso Basket. Scherzando, si diceva che una delle poche note positive sarebbe stata la riproposizione nello streaming LNP di un paio di voci a commento delle partite scomparse dal radar con il passaggio al piano superiore ed al pacchetto obbligato Eurosport/Discovery+. Ho la vaga impressione che, con questo andazzo, tra qualche mese dovrò scaldare l'ugola oltre che sottoscrivere nuovamente il contratto con LNP Pass. E di certo non per diletto o per battuta.

domenica 27 marzo 2022

Questioni di (dado) STAR

Per chi non lo conoscesse, Don Zauker è l'esorcista molto particolare nato dalle menti e dalle matite del duo Pagani-Caluri (alias, I Paguri) per "Il Vernacoliere". Sboccato, misantropo, armato fino ai denti, tatuato, sessuomane e cleptomane, incarnazione dei peggiori vizi dell'umanità a dispetto della tonaca indossata, Don Zauker è divenuto celebre per i modi spicci, per le trovate geniali, per la sua dissacrante modalità di approccio tanto alla teologia quanto alle questioni quotidiane. E pure per aver dato ad un famoso ritrovato culinario italiano, il dado da brodo, una nuova funzione: quella di caramella. "Non provoca carie, dà energia e lascia in bocca un gradevole sapore di bollito", dice il nostro al malcapitato di turno che reagisce disgustato all'offerta. 

Per quanto Don Zauker preferisca la marca Knorr (già oggetto degli sberleffi di Nino Pellacani con la sua maglietta "Odio Il Brodo", adorata ed utilizzata anche dal compianto Freak Antoni), se si parla di dado alimentare non si può certo dimenticare l'altro grande brand del settore, la STAR. E qui termina il gustoso preambolo fumettistico per calarci nella triste realtà fattuale. Una realtà fatta di scelte tecniche e tattiche e di decisioni prese con un certo ritardo. Non è ancora possibile stabilire se saranno utili al caso ma un dato è certo: esse segnano la bocciatura definitiva di un progetto mal sviluppato ed in definitiva abortito.

Mi ha strappato un sorriso un pochino mefistofelico leggere i piagnistei di alcuni tifosi determinati dalla scelta, che reputo tardiva, dell'esclusione di Henry Sims jr. dal roster attivo di Treviso Basket. Una decisione arrivata nell'imminenza di una gara delicata di stagione regolare - persa non certo per l'assenza di Sims quanto per una serata di disgrazia di tre dei quattro stranieri superstiti che giocano in ben altri ruoli - ma che era auspicabile e preventivata da settimane. Diciamo pure che, senza l'imprevisto della permanenza in Israele di Derek Cooke, Sims si sarebbe accomodato in tribuna già da una decina di giorni non schiodandosi da lì sino al termine della stagione o, nel migliore dei casi, al raggiungimento di un accordo di risoluzione anticipata del contratto. Come evidente a chiunque, il giocatore da mesi ha imboccato l'ormai consueto percorso in discesa nel rendimento personale, trasformandosi da potenziale punto di riferimento in attacco a vuoto pneumatico sui due lati del campo. Più che inutile, dannoso dunque. E non è solamente colpa del Covid, che pure qualche strascico l'ha lasciato: Sims è da anni un giocatore in parabola discendente tanto da aver cambiato sempre più squadre e da non essere rimpianto da nessuna di queste. Casualità?

E dire che la scorsa estate, perso Mekowulu per una questione di soldi e di prospettive (Sassari gli garantiva la regular season di BCL e qualche migliaio di euro in più, argomenti su cui TvB poteva ribattere sino ad un certo punto), la strategia del club ex biancoceleste ed ora azzurro/arancio fu ambivalente: proposta a Sims, al ribasso rispetto alle recenti abitudini pungolandone l'orgoglio; contratto per Aaron Jones, non un mostro di soluzioni offensive ma opportunità difensiva a basso costo e potenziale ottima resa. I risultati? Il rapporto qualità/prezzo di Jones, tanto criticato da presunti esperti di pallacanestro, si è rivelato eccellente mentre Sims... beh, non occorre ribadire cosa è successo con lui. Ma se proprio ci tenete, ecco un ripasso veloce: partenza al fulmicotone tra settembre e ottobre, ultimi lampi a novembre, poi un calo costante, inesorabile. Sino all'infezione da coronavirus che lo tiene lontano dal campo un mesetto, complici le visite mediche che lo bocciano; a seguire, prestazioni sempre più deludenti, la perdita del quintetto a favore di Jones (che già lo aveva sostituito egregiamente durante la convalescenza), una sorta di depressione mista a deconcentrazione, sino alla decisione ultima ovvero l'esclusione dal roster. 

Mi fa sorridere in tutto questo che ci sia chi ritiene che Sims sia la stella di questa squadra. Anzi, la STAR, scritto proprio così, in maiuscolo. Buffo che chi scrive certe corbellerie non abbia ancora capito che il credo tattico di Menetti preveda che l'unico elemento che possa agire fuori dagli schemi sia un piccolo e non un lungo: a Reggio Emilia era Kaukenas, a Treviso è stato Logan. In questa Nutribullet lo sparatore folle doveva essere uno tra Sokolowski e Dimsa, ma il polacco è un ottimo secondo violino cui finora è stato richiesto troppo per poter risultare efficace, mentre il lituano è degno dell'enciclopedia illustrata alla voce "discontinuità di rendimento". Sims non doveva certo sostituire Logan ma Mekowulu, portando in dote una identica pericolosità offensiva corroborata da una superiore esperienza - per la questione difensiva, come detto era stato preso appositamente Jones. Ma Sims non era certo la star di questa formazione. Tutt'al più, col passare delle settimane e dei mesi si è capito perché due anni fa la Fortitudo lo liberò senza pensarci troppo e perché nella passata stagione Reggio Emilia, firmatolo come teorico sostituto di Frank Elegar, lo abbia relegato al ruolo di rincalzo per poi tagliarlo a poche giornate dalla fine. Sims non è una stella, né una star: al limite è un buon succedaneo del dado alimentare prodotto dalla famosa marca un tempo di proprietà dell'IRI. La STAR appunto. Cui Don Zauker preferisce la Knorr, ma è pur sempre questione di gusti ed io su questo non discuto.

Cosa accadrà ora? L'obiettivo di Treviso Basket è salvare il salvabile, cioè la categoria. Lo si ripete ormai da settimane e sarebbe sciocco pensare ad altro in questo momento. Non è dato sapere se l'ennesimo sforzo del Consorzio (che già ha dato e cui viene chiesto ancor di più) porterà come effetto tangibile l'arrivo di un'ala-pivot che sia al contempo un'alternativa complementare ed un puntello per un Jones ammirevole ma terribilmente solo là sotto e, dunque, destinato alla spremitura continua. Sarebbe auspicabile un intervento a strettissimo giro di posta, anche perché domenica al Palaverde potrebbe esserci addirittura Arturas Gudaitis come rinforzo di una Napoli che non ha problemi di budget e che non vuole assolutamente retrocedere dopo appena una stagione in Serie A. Treviso Basket invece deve decidere cosa fare: come detto, la mossa su Sims è stata tardiva e tanto vale completarla con un addio già scritto; l'importante è non compiere un passo deciso senza la necessaria copertura. Io intanto ripenso al buon bollito misto del ristorante di Egidio Fior a Castelfranco Veneto, sapori e profumi che nessun dado potrà mai imitare. Ed osservo anche che, con l'arrivo della primavera, la stagione del carrello dei bolliti si è esaurita: semmai è giunto il periodo delle grandi pulizie.

lunedì 21 febbraio 2022

Cameriere, il conto!

Non si è ancora placata l'abbuffata di Pesaro, dove la solita Milano ha momentaneamente soddisfatto la sua atavica fame di titoli e di trofei con la seconda Coppa Italia consecutiva e dove la Virtus è ripiombata nell'ormai abituale digiuno quaresimale (anticipato), che c'è chi ha già chiesto il conto senza aver bevuto nemmeno il caffè. No, non si tratta del meraviglioso Derthona di Ramondino, unico motivo vero per guardare delle Final Eight che scimmiottano lo sportismo americano o le inutili passerelle del calcio. Anzi, va detto che senza i bianconeri piemontesi ed i guizzi di Brescia più un pizzico di Trento, sarebbero state delle finali assai scialbe, povere di sale e di pepe, quasi insapori ma fin troppo rumorose ed autoreferenziali.

Il conto lo ha chiesto nei giorni pesaresi la ComTeC ad una società che alla Vitrifrigo Arena non aveva la propria prima squadra impegnata sul parquet. Si tratta di quella Fortitudo su cui da ormai due anni si annidano nubi nere gonfie di problemi e che finora ha scansato i guai a volte per un soffio, a volte per miracolo. Cos'è successo, la scorsa settimana? Mentre a Pesaro si giocava, i signori dei controlli dei conti hanno fatto il solito giro dei club per verificare che i rapporti ricavi-patrimoni-indebitamenti siano in equilibrio e che non sussistano pendenze pericolose con soggetti terzi. Insomma, una routine che serve a non arrivare impreparati a giugno, quando si devono presentare le pratiche di iscrizione alla stagione successiva e quando è il momento di accertare se i contratti stipulati in precedenza siano stati o meno rispettati.

La visita ComTeC dunque era annunciata anche in Fortitudo, reduce dal marasma delle scorse settimane tra giocatori in uscita, giocatori rilasciati anzi tenuti controvoglia (qualcuno ha detto Groselle?), giocatori fermi da nove mesi e nei cui confronti a breve potrebbe scattare il taglio per ragioni mediche, proprietà al solito silenziosa e presidente dimissionario. Un quadro complicato, sì, ma in fondo recuperabile sul piano sportivo. Meno invece sul piano finanziario, visto che dalla visita in via Giacosa gli esperti contabili della Lega sono usciti senza grossi sorrisi ma con una reale preoccupazione. Già perché le voci allarmanti che circolano da un paio d'anni hanno trovato fondamento: la Fortitudo è indebitata, e pure parecchio. La scorsa estate la società felsinea aveva ottenuto l'iscrizione al campionato per il rotto della cuffia, dopo che l'Agenzia delle Entrate aveva accordato un piano di rientro graduale del debito accumulato; ora però i passivi interni al club non risultano affatto ridotti, tanto che la ComTeC ha dato i canonici cinque giorni di tempo alla Fortitudo per rimediare prima che arrivi la sanzione. Cioè un -2 in classifica immediato che porterebbe la Effe sempre più sul baratro della retrocessione.

Non è finita qui, ovviamente, giacché non c'è solo la spada di Damocle della penalizzazione in graduatoria. La Gazzetta dello Sport in edicola oggi parla chiaramente di ipotesi di blocco al mercato in entrata, quindi nessuna operazione di correzione del roster mentre si susseguono voci di uscita: dopo Totè e in attesa di capire che ne sarà dell'indesiderato Groselle, si parla ancora di Benzing che sarebbe stato invitato a confrontarsi col proprio agente per trovare un'altra sistemazione. In questo clima surreale risulta paradossale la calma che filtra dagli ambienti bolognesi, dove si continua a parlare di nuovi ingressi in società che teoricamente dovrebbero portare denari sonanti. Ma saranno abbastanza per tappare almeno in parte le tante, troppe falle di un club che dallo scoppio della pandemia in avanti ha denunciato una difficoltà dopo l'altra? Certo che alla luce di quanto avvenuto negli ultimi cinque mesi sono perfettamente comprensibili le parole con cui Jasmin Repesa annunciò le proprie dimissioni: il croato disse senza mezzi termini che sin dal primo giorno del suo ritorno a Bologna aveva lavorato per rimettere in sesto la società - compito che non dovrebbe spettare ad un allenatore, va ribadito - e che la situazione era diventata ormai insostenibile. Additato poi come primo responsabile dei problemi della squadra, Repesa aveva lasciato denunciando problemi di salute ma le sue parole non erano mai state smentite. Ora, alla luce degli ultimi sviluppi, trovano nuovi fondamenti mentre la Fortitudo si prepara a vivere le prossime 48 ore col fiato sospeso e col rischio concreto di nuove polemiche.

lunedì 31 gennaio 2022

La FIP ci deve delle spiegazioni

Prendo a prestito il titolo dell'ultimo album di studio degli Skiantos, quel "Dio ci deve delle spiegazioni" che vedeva ancora il compianto Freak Antoni al microfono, per aprire questo mio intervento. Che sì, è di natura fortemente polemica verso vari soggetti. E no, non intendo essere diplomatico stavolta. Nemmeno un pochino. Neanche per accalappiare qualche fugace simpatia. Voglio essere sincero, anche brutale, scorretto se serve, pur di affermare ciò che è palese ma che pochi hanno il coraggio di affermare.

Punto primo, questo campionato è tutto fuorché regolare. Paradossalmente aveva una maggiore pretesa di regolarità la scorsa stagione, cominciata con l'incertezza, proseguita con le soste improvvise, i rinvii, le calendarizzazioni riviste, i recuperi, il calendario dei playoff pasticciato all'ultimo. Almeno un anno fa si avevano le scusanti dei vaccini inizialmente non disponibili e poi in lenta somministrazione, dei palasport chiusi al pubblico, dei protocolli stabiliti solo dalle autorità sanitarie. Ora invece siamo allo sbando totale, tanto che gli organi di governo sportivo sono dovuti intervenire dopo che la squadra X e il club Y avevano sventolato un divieto della ASL che bloccava la trasferta, anche se i positivi erano pochi, anche se le normali rotazioni non avrebbero risentito granché, anche se in fondo non esisteva rischio concretamente riscontrabile di diffusione del virus e peggio ancora di ospedalizzazione.

Ma cosa ha prodotto, questo intervento? Il solito topolino all'italiana, una normativa cervellotica che si contraddice da sola. Il famigerato documento dice che si può giocare se il parco giocatori professionisti presenta meno del 35% di positivi, vale a dire, 7 sani su un roster a 10 o 8 su una rosa di 12. Però un conto è autorizzare una partita, ben altra questione è il return to play, cioè quegli accorgimenti varati dal CONI per restituire la certificazione medico-sportiva agonistica agli atleti risultati positivi al tampone. Già perché se la FIP stabilisce che si possa giocare se la percentuale di negativi è pari o superiore al 65% tra gli atleti professionisti (esclusi dunque i giovani di formazione), il CONI prevede che senza superamento dei controlli ECG, Doppler a contrasto ed ergometria con elettrocardiogramma non si possa riottenere l'abilitazione. Quindi in linea teorica un club può anche riscontrare la negativizzazione di tutto il gruppo squadra ma rischia di essere obbligato a giocare con una Under18 più pochi senior se i referti dei tamponi arrivano troppo tardi per prenotare le visite specialistiche richieste. E se il problema è stato evidente per Treviso in una regular season che continua a procedere zoppa a causa dei recuperi e con lo spettro di ulteriori rinvii, cosa potrebbe accadere nei playoff in cui di norma si gioca ogni 48 ore (o ogni 24, come accaduto lo scorso anno)? Vedremo forse una Milano o una Virtus costrette a inserire in fretta e furia i ragazzini in rosa perché i senior sono sì negativi ma privi delle visite mediche necessarie? Follia.

Se la Federazione deve dunque delle corpose spiegazioni a tutti i club e magari pure un riassetto delle norme per la disputa delle partite in epoca Covid, c'è chi deve delle belle scuse ad Aaron Jones. Che una volta di più ha dimostrato di essere forse lo straniero col miglior rapporto qualità-prezzo del triennio di Treviso in Serie A. Non sarà appariscente, non avrà statistiche da top scorer o da re delle stoppate, ma a differenza del collega di reparto e connazionale Henry Sims l'ex Merlins (il cui contratto è davvero un affare quanto ad economicità) ha un pregio innegabile: la costanza. Difficilmente Jones stecca più partite in fila, assai di rado si concede pause di concentrazione, mai rifiuta di difendere anche sui cambi più insidiosi. Nel basket la difesa è tutto, almeno se si vuole vincere qualche partita - sì, la dimensione offensiva è accattivante a livello estetico, ma se il proprio avversario segna di più si è spacciati: lo aveva capito persino un offensivista convinto come Mike D'Antoni che vent'anni fa prese Charlie Bell per coprire le amnesie di Chikalkin e Stojic. Nelle due partite consecutive giocate senza Sims in post basso, al Pireo contro il Lavrio e a Pesaro, l'area della Nutribullet è stata difesa con maggiore efficacia anche senza movimenti atletici eclatanti: merito di un giocatore che ha un senso della posizione molto buono e che non ha paura di piegare le gambe e di usare le maniere forti. Un lottatore.

I critici hanno imputato per settimane e mesi ad Aaron Jones una abulia offensiva prolungata, come se un americano in un roster 5+5 debba solamente produrre punti (o rimbalzi, dipende da ruolo). Forse sono gli stessi presunti esperti che non hanno mai capito come potesse la terza TvB di Pillastrini permettersi un telepass difensivo come Davide Moretti in quintetto - a proposito: Imbrò ancora ringrazia per ieri. O forse sono quelli che piangevano per Antonutti quando coach Menetti volle dare un giro di vite, proteggendo Tessitori con l'atletismo di Lombardi e la silenziosa concretezza di Severini. Chi lo sa. Io intanto mi godo un Aaron Jones che difende l'area, che accetta i cambi, abbassa il sedere, fa a sportellate e, se richiesto, sa anche colpire frontalmente o con l'amato alley oop. Ai critici professionisti lascio volentieri il piacere relativo di chiedere invano la testa di ora questo, ora quel giocatore. Per fortuna non siedono in panchina ma su una seggiola del Palaverde o sul divano di casa, pontificando a casaccio con lo smartphone in mano. Buon per loro ma soprattutto per Treviso Basket.

martedì 25 gennaio 2022

Caro basket, quanto mi costi! (E con la pandemia, poi...)

Beato sia chi ancora oggi, nel 2022, può contare sul mecenate col portafogli a fisarmonica! Da mezza Italia cestistica si levano ormai grida di dolore o di aiuto o anche semplici lamentele da non sottovalutare legate a questioni di mera pecunia. Il basket è sempre costato caro, anche quando l'economia correva e i vari presidenti, sponsor e proprietari sfoggiavano sorrisi a 32 denti e fatturazioni a pioggia. Oggi, con 12 club su 16 che devono barcamenarsi con equilibri costanti di budget ed una pandemia che dimezza o azzera la voce di incassi al botteghino che vale una percentuale oscillante tra il 30 ed il 45% di entrate per ciascuna realtà, chi non ha le spalle coperte da un Armani o da un Zanetti o da un Brugnaro o da un Gavio, trema. Ed a ragione.

Prendete la solita, schizofrenica Fortitudo. I colleghi del "Carlino" riportano oggi di un tentativo in extremis di salvare la baracca con un'operazione spalma-debito. Già perché, fatti due conti, la Effe è sotto. Ma non solo in classifica, dove è penultima: all'appello mancano tre milioni di euro più interessi ed oneri accessori (quindi facciamo anche tre milioni e mezzo) di mancati versamenti all'Agenzia delle Entrate. In pratica, una cifra pari al contratto di Belinelli con la Virtus, con la differenza sostanziale dell'assenza in casa biancoblu di un mecenate quale il re trevigiano del caffè che possa risolvere tutto in pochi minuti semplicemente staccando un assegno. Quindi, come si risolve la questione? Spalmando il debito. O almeno, preparando tutte le carte necessarie per la domanda di ridefinizione dell'esposizione debitoria, sperando poi che l'Erario accetti e conceda i famosi dieci anni di tempo per rientrare. Sempre che nel frattempo non accada qualcosa di traumatico, come ben sanno dalle parti di Bologna dove ancora oggi si ricorda il buco milionario del mutuo del PalaDozza.

Ma sono parecchie le realtà che non se la passano bene. Pensate a Treviso, che ha proposto ai soci del Consorzio un aumento della quota annua per coprire il passivo lasciato da un anno di Palaverde chiuso al pubblico. Già l'impianto di Villorba è uno dei palasport più cari d'Italia come costo da sostenere a singola partita; se a questo affatto trascurabile dettaglio si somma un prolungato periodo di azzeramento del botteghino, è chiaro che il gioco si faccia sin troppo oneroso. E così si spiegano (soprattutto per chi ancora oggi si lamenta di ingaggi di medio profilo) la formula 5+5, la sostituzione dell'immaturo Casarin con l'invisibile Jurkatamm, la scelta di non inseguire le rivali che spendono senza ritegno preoccupandosi di pagare forse domani, forse dopodomani, forse chissà quando. E dire che la somma da coprire in casa TvB è di un decimo rispetto al debito della Fortitudo: bazzecole, in proporzione. Ma si sa, in Veneto si bada alla sostanza prima di inseguire qualunque chimera.

Chissà quando si tornerà ad una normalità. Intanto però mi domando cosa stia succedendo in certe piazze e dentro certi club. Perché se Treviso non spende, se Trento che pure ha l'appoggio tangibile di una ricca Provincia Autonoma ha tirato la cinghia già a luglio (difatti oggi dà spazio a quegli italiani che prima facevano numero a referto), se Trieste si guarda attorno per capire come tamponare il prossimo addio di Allianz, se Pesaro ha smesso di cercare un 4 per sostituire l'impresentabile Demetrio, se la pur ricca Brescia non sostituisce il pessimo Lee Moore perché deve ancora pagare il residuo di Luca Vitali e di Esposito, mi domando dove trovino i soldi altre realtà che pure non contano su bacini enormi o su industriali disposti ad aprire la borsa in continuazione. Mi chiedo come faccia Brindisi, che ha sì fatto qualche scommessa (sbagliata) al ribasso tipo Myles Carter ma che ora si è iscritta alla corsa per Alessandro Gentile, un giocatore difficile da imbrigliare e soprattutto con un costo notevole per chi, come la NBB, abitualmente denuncia un monte-stipendi modesto. Mi domando cosa stia avvenendo a Sassari, che sinora ha cambiato tecnico, manico in regia e un esterno, nell'anno dell'annunciato disimpegno del Cardinal Sardara e senza garanzie assolute di prosecuzione dell'attività. Vorrei sapere cosa sia successo a Reggio Emilia, che un mese e mezzo fa scontentava Artiglio Caja che chiedeva a gran voce la sostituzione di Johnson con Vene (che costa assai di più) e che oggi torna sul mercato per trovare un'alternativa al suo numero 4 titolare. E chissà quanti nuovi sponsor deve aver trovato patron Aldo Vanoli per aver regalato non uno ma due nuovi giocatori a Paolino Galbiati per provare la seconda missione impossibile di una salvezza da ultimi in graduatoria - giova ricordare che la stessa Cremona dovrebbe essere viva per miracolo, dopo il "liberi tutti" del giugno 2020 e l'iscrizione al successivo campionato formalizzata appena dodici ore prima della deadline grazie all'ingresso in società di forze fresche ma non preponderanti.

Poi magari qualcuno mi spiegherà pure le mosse di Varese che sinora ha attentato seriamente al primato della schizofrenia fortitudina facendo e disfacendo in spogliatoio, sulla panchina e dietro le scrivanie. L'apertura della compagine societaria a favore del General Scola e dello sponsor non sono bei segnali, almeno per un club che aveva puntato tutto una dozzina d'anni fa sul Consorzio e che ora vede lo stesso Consorzio ridurre la propria presenza in nome di altre questioni. Peggio ancora è il quasi totale rinnegamento del progetto tecnico estivo, col solo Beane reduce dello starting five: Egbunu e prossimamente Gentile salutati dopo delle liti, Jones che alla prima occasione se ne è andato in una squadra di Eurocup, Kell ceduto in tutta fretta a Milano contornano il licenziamento di Adriano Vertemati che aveva chiesto solo tempo e pazienza. Merce rara, troppo preziosa o forse, al contrario, valutata non sufficiente per giustificare una ricostruzione faticosa.

Faticosa come un altro rifacimento quasi totale. Quello della Fortitudo, con cui ho aperto questo post e con cui chiudo. Le dimissioni di Pavani non sono ancora rientrate ma alla luce dell'operazione con l'Agenzia delle Entrate diventano una questione cruciale: è chiaro che in un frangente così delicato la proprietà, per quanto frammentata e fumosa, non abbia voglia di cercare un altro soggetto che si faccia carico della trattativa più difficile. Già dentro la pancia della balena biancoblu ci sono sin troppe problematiche (contratto residuo di Sacchetti, Fantinelli mai disponibile, botteghino di nuovo ridotto, tifoseria in subbuglio); se a ciò si aggiunge la definizione tutta da raggiungere di un complesso accordo di rateizzazione fiscale, allora sarà bene armarsi di pazienza e di parecchie pastiglie di antiacido per digerire bocconi amari. Sperando che tutto ciò serva e che a giugno non si debba piangere l'ennesima scomparsa.

domenica 23 gennaio 2022

Un addio annunciato, forse tardivo

Non sapete come contrastare quella terribile noia (non ho detto gioia, per citare il Califfo) che vi pervade tra una serata con sole repliche in televisione, il ritrovamento da parte di vostra moglie della collezione intera di Rakam che speravate avesse perso nell'ultimo trasloco e il vicino appassionato di Tenco che rispolvera tutta la discografia del suo idolo? Provate con la Fortitudo, difficilmente resterete delusi. Già perché dopo l'allenatore ed i giocatori, se n'è andato anche il presidente con l'ennesimo colpo di teatro dell'assurdo della società forse più schizofrenica della palla a spicchi nostrana.

Diceva di avvertire un buon odore, Christian Pavani, nei giorni del ritiro estivo a Lizzano in Belvedere. Chissà, forse si riferiva alle colazioni di Aradori che sono divenute un vero tormentone sui social. Oppure aveva annusato l'ultimo deodorante alla moda utilizzato da uno dei giocatori spediti a svolgere una presunta preparazione atletica sull'Appennino - dico presunta perché in quei giorni il bollettino dell'infermeria biancoblu pareva un resoconto di guerra. O ancora aveva forse avvertito un pungente sentore rispolverando dall'armadio dei ricordi e delle memorabilia il vecchissimo stemma societario da appiccicare sulle divise da prestagione, un'operazione che ancora oggi viene gabellata come nostalgica e non come un tentativo di bypassare la questione commerciale di un logo a pagamento. Curiosità a parte, chissà qual era veramente il messaggio che Pavani voleva trasmettere all'ambiente. Quel che è certo è che, dopo quella tragicomica dichiarazione olfattiva, non ne è andata una per il verso giusto alla Fortitudo.

La Supercoppa delle continue sconfitte, la trattativa grottesca con Kigili, il mistero Fantinelli, coach Repesa che alla prima occasione sbotta e se ne va sbattendo la porta, il richiamo in corsa di Martino, la telenovela Langford, il taglio di giocatori prima imprescindibili e poi zavorre, la fuga di Ashley, la ricostruzione che inizia con un greco di assai dubbio talento appena silurato da Venezia dove aveva giocato poco e male. Questa è stata la Fortitudo da settembre a dicembre, con qualche vittoria occasionale a punteggiare un'annata balbettante e con mille interrogativi. A cominciare dalla solidità della società: dopo l'iscrizione al campionato per il rotto della cuffia e gli enormi debiti ereditati dalle ultime due stagioni, gli ultimi (ovviamente costosi) stravolgimenti non hanno lasciato indifferente nessuno, anzi qualcuno inizia a porsi delle giustificate domande sullo stato di salute del club.

Pavani lascia con la squadra penultima in compagnia di Cremona, alle spalle c'è la sola Varese (altra realtà in chiara difficoltà anche gestionale) che comunque ha qualche partita da recuperare e dunque potrebbe anche rimontare. Ma lascia dopo anni di questioni aperte, di dubbi, di problemi, di situazioni al limite. Tutti paiono ricordare la manfrina di Metano Nord, la sponsorizzazione annunciata con tanto di nuove maglie griffate e poi sparita in seguito alle proteste dell'azienda che nulla sapeva del presunto contratto con la Fortitudo. Anche all'epoca Pavani si prese la piena responsabilità della vicenda dichiarandosi disponibile a farsi da parte: la proprietà (ma quale? Anche qui bisognerebbe dire qualcosa, prima o poi) respinse al mittente confermando la fiducia.

Ma Pavani era stato anche altro. Non solo l'uomo di fiducia di Gianluca Muratori, ex presidente del club e direttore di quel Consorzio Innova il cui marchio campeggia ancora oggi sulle maglie da gara. Era stato il soggetto individuato per avviare il progetto immobiliare che doveva fornire respiro ad una Fortitudo rinata nel 2013 ma presto afflitta dai vecchi mali: l'idea del nuovo palasport per sostituire il fascinoso ma limitato PalaDozza è finita in un cassetto, ben prima della pandemia, una volta analizzati costi e tempistiche; non è andata meglio al centro multifunzione a Borgo Panigale, campi da basket e da paddle da realizzare in un vecchio capannone industriale: la sede oggi c'è, del relativo business però non vi è traccia. Mistero.

Pavani era stato anche tra i protagonisti di quella serata di follia al Palaverde, fine maggio 2016. Sì, la sera del controsoffitto, dei seggiolini divelti, della gazzarra, dello schiaffo al questore. C'era anche Pavani là in mezzo, almeno finché un dirigente della Questura non gli disse senza mezzi termini di non intromettersi e di sgombrare. Anche di quella storia non si è più saputo nulla, se non per un Daspo poi rientrato. Eppure tutto fa parte del ritratto di un personaggio che verrà ricordato per aver riportato la Fortitudo in A dopo dieci anni dal pomeriggio orribile di Teramo ma anche per aver condotto campagne acquisti da album delle figurine, per ingaggi ed esoneri di allenatori come se si fosse dentro ad un frullatore, per aver avuto idee un po' bizzarre quanto al marketing scatenando l'ilarità del tifo avverso, quello virtussino, che si è visto servire su un piatto d'argento talmente tante occasioni di sfottò da non dover far altro che ringraziare e passare all'incasso.

La domanda che ora in molti si pongono è "E adesso?". Già. Adesso che succede? Prima di tutto bisognerà capire se la proprietà (ridajela...) accoglierà o respingerà nuovamente le dimissioni. E se vi sarà conferma, chi prenderà il posto di Pavani, con che mansioni, con quali incarichi, con che tipo di limiti e di obiettivi. Giova ricordare che nemmeno un anno fa la Fortitudo ha salutato Valentino Renzi che della società doveva essere una sorta di nume tutelare a livello amministrativo: nemmeno in quel caso si sono chiarite le condizioni dell'addio, che ai più è parso legato non tanto all'annata sportiva da incubo, con la salvezza maturata nello scontro decisivo con Cantù, quanto alla situazione economica interna. Da allora la Effe ha lasciato scoperto il ruolo, incamerando piuttosto un direttore commerciale che però pare sia stato scavalcato da Pavani nella trattativa più importante, quella per il main sponsor stagionale garantito proprio da un viaggio settembrino dell'oramai ex presidente in Turchia. Il tifoso medio sogna un ritorno dei Seragnoli, magari identificati nella moglie di Stefano Mancinelli - d'altronde il connubio già garantisce un supporto a livello di sponsorizzazione. Oppure un cambio di ruolo in corsa proprio di Mancinelli, che come giocatore ha abbondantemente dato ed al quale i numerosi acciacchi consigliano oramai un addio alla dimensione agonistica. Ma così fosse, potrebbe un ex giocatore fungere da paracadute e parafulmine per un club finora preda della schizofrenia e vittima spesso di scelte incomprensibili per non dire assurde? Aspettiamo e vediamo.