domenica 27 dicembre 2020

Follie televisive

Doveva essere una vetrina post natalizia. Un po' come l'anno scorso, in cui il calendario ebbe la cortesia di regalare due scontri ravvicinati altamente appetibili per la platea di appassionati e spendibili anche con occasionali e profani. Invece è stato un autogol. Parliamo ovviamente della diretta pomeridiana su Rai2 di Virtus Bologna vs. Olimpia Milano, un teorico spot per la pallacanestro d'Italia spinto dal ritorno di Marco Belinelli alle nostre longitudini dopo tredici anni di circo oltre Atlantico.
Com'è andata? Dal risultato sportivo si evince una vittoria meneghina ma a far notizia - più del sopra menzionato Belinelli, più di Teodosic e del suo nervosismo da flopping, più di Messina che si prende una rivincita - è l'interruzione da parte della seconda rete nazionale per trasferire lo spettacolo sul canale specifico (RaiSport) al fine di liberare spazio nel palinsesto alla discussione politica in corso alla Camera dei Deputati per il voto sulla manovra finanziaria.

Scandalo? Mancanza di rispetto? Accordi saltati? Nulla di tutto ciò. Semplicemente si è registrata l'ennesima conferma di un prodotto difficilissimo da vendere, figurarsi da valorizzare. E non certo per la durata temporale delle singole partite, ché il volley offre molte meno certezze in materia. Il basket in Italia non trova un adeguato spazio perché si porta appresso un cumulo di problematiche da troppo tempo, senza mai risolvere nulla radicalmente e cambiando sin troppe volte strada invocando presunte soluzioni definitive che poi non sono mai tali.

Quando il satellite non esisteva, quando internet era qualcosa destinato solo alle comunicazioni governative e militare, quando i telefonini erano per pochissimi e permettevano solo di effettuare e ricevere chiamate vocali, l'italica pallacanestro mungeva miliardi di lire a Mamma Rai. Merito del prodotto, dei campioni presenti, dei mecenati che spendevano senza ritegno? Forse. Anche se credo che fosse in fondo solo una gran bella cambiale politica ottenuta da un pezzo da 90 nel periodo della Milano da bere, della grandeur nostrana, dei prezzi senza senso. Diciamocelo, il basket non valeva all'epoca quelle cifre palesemente gonfiate così come in seguito non valeva i rinnovi al ribasso o i contratti riveduti in corsa con più operatori di vari settori, dalla televisione generalista alla pay. Sicuramente il rapporto con la Rai si è incrinato allora e non solo perché Tangentopoli ed una grave malattia hanno privato il movimento dei suoi due numi tutelari, cioè il politico di peso ed il giornalista appassionato e competente, nel breve volgere di pochi mesi.

Alzi la mano chi ricorda le dirette dei secondi tempi al pomeriggio su Rai3, le interruzioni improvvise, le telecronache affidate a chi di basket non sapeva davvero nulla e dunque improvvisava. Quando arrivò il satellite, i cestofili italiani non sapevano se esserne contenti o contrariati, visto che comunque la parabola era qualcosa per pochi. E quando si virò decisi sulla pay-tv, giacché il servizio pubblico si era dimostrato ben poco interessato e la concorrenza commerciale non aveva neppure dato un cenno di interesse o di diniego, ci fu il giubilo. Certo, l'allora ancor giovane Sky, nata dalle macerie di Tele+, contava su mezzi tecnici all'avanguardia, voci autorevoli, varie possibilità. Ma era per pochi. E fu anche per questo che nel 2011 la Legabasket colse la palla al balzo per tornare in chiaro, approfittando dello switch del digitale terrestre con conseguente moltiplicazione dei canali. Una scelta che doveva portare visibilità ma che si sarebbe risolta in un autolesionismo che continua ancora oggi, con Eurosport che grazie allo streaming si è imposta come referente privilegiata di un prodotto che resta assai povero.

La realtà è triste. Ed il problema resta insoluto. Se nel costante cambio di piattaforme il basket non attira interesse né spettatori - un anno fa per il ritorno su Rai2 non si fece nemmeno mezzo milione di telespettatori ad episodio, in pomeriggi festivi privi di concorrenza seria sul piccolo schermo - significa che il nocciolo della questione non va rintracciato nella piattaforma utilizzata ma nelle politiche di marketing. Facciamo un passo indietro di 16 anni: pare un'eternità ma nel 2004 il basket italiano aveva a disposizione la migliore pubblicità possibile e non sfrutta l'occasione. 

Ricordate quell'estate assurda? La Nazionale di Recalcati, con Soragna, Bulleri, Pozzecco, Basile, Galanda, Chiacig, Marconato, Radulovic, Righetti prima dà una sonora legnata agli americani in amichevole - e qui non sappiamo se benedire o maledire la scelta di trasmettere la partita attraverso SportItalia, emittente per pochi - e poi si arrampica sul podio olimpico di Atene mettendosi al collo una bellissima medaglia d'argento, eguagliando il risultato di Mosca 1980 con la differenza che stavolta gli USA non hanno boicottato i Giochi per motivi politici ma ci osservano dal gradino più basso del podio, incazzati e delusi. Il momento è perfetto, milioni di italiani hanno visto la semifinale contro la Lituania, c'è la possibilità di capitalizzare. Invece non si fa nulla: la Federazione non coglie l'attimo e preferisce godersi la gloria effimera piuttosto che investire, la Legabasket è più impegnata a trattare con Sky che a capire come fare squadra unica per un momento storico. Un anno dopo la stessa Nazionale si fa eliminare precocemente all'Europeo ed in via Vitorchiano hanno la bella pensata di comprare la wild card per Mondiali e tutto il resto, pensando possa bastare per garantire il futuro.

I frutti avvelenati di scelte scellerate, compresa la scarsissima comunicazione del fenomeno NBA, li raccogliamo oggi. Quando capiterà ancora di avere una Nazionale da argento olimpico? E di avere per tre anni di fila atleti italiani scelti al primo giro del Draft? Non è dato sapere ma se oggi ci si esalta per un ragazzo che viene selezionato al secondo giro e girato in G-League, tanto dovrebbe bastare per far capire quanto si sia caduti in basso nel giro di tre lustri. Quindi non lamentiamoci se la Rai interrompe una diretta per dare spazio a trasmissioni degne di un servizio da Prima Repubblica: si ha ciò che si merita. E il basket italiano, a livello comunicativo e politico, oggi ha un appeal talmente basso che non mi stupirei se nel 2021 si dovesse assistere ad un ulteriore declassamento. Magari a favore del burraco o della canasta.
 

martedì 8 dicembre 2020

Sorridete, siete su "Scherzi a parte"!

Ventidue ore da disoccupati. E con il metronomo della squadra che, evidentemente infastidito dalla vicenda, pubblica un post di protesta nei social e prepara le valigie per tornare in Serbia. Poi le telefonate al mattino, l'incontro nel pomeriggio all'ora del the e l'allenamento da dirigere subito dopo. La vicenda surreale dell'esonero lampo di Sasha Djordjevic e Goran Bjedov alla Virtus Bologna si chiude con un reintegro per molti inaspettato. Una vicenda, quella bianconera, che ripercorre la storia del club stesso e di un altro esonero a sorpresa con relativa marcia indietro.

12 marzo 2002. La Vu Nera vincitutto dell'anno precedente che appena un mese prima si è confermata in Coppa Italia perde il suo condottiero. Marco Madrigali, presidente-proprietario del club, ha deciso a sorpresa di liberarsi di Ettore Messina dopo una sconfitta della squadra con Pesaro. Motivazioni e tempistiche dell'esonero fanno sorgere sospetti un po' ovunque ed il giorno dopo la reazione è evidente. La squadra si schiera col coach trombato, il main sponsor Kinder (che in fondo ha già deciso di chiudere il rapporto) pure, il pubblico si rivolta contro Madrigali tanto da bloccare l'inizio della partita interna contro Trieste del 13 marzo e da costringere il patron prima a scappare in auto e poi a proclamare il ripensamento. Messina torna in panca, il tempo di concludere la stagione senza però vincere più nulla. Rapporto comunque finito, quello del tecnico mestrin-catanese che migra volentieri a Treviso mentre la Virtus imbocca la spirale che la porterà in un anno sull'orlo del baratro sino a sparire temporaneamente dalla cartina geografica della pallacanestro italiana.

Altri tempi. altre persone, altri presupposti. Ma in fondo aveva ragione Marx: la Storia si ripete, la prima volta come tragedia e poi come farsa. Ed eccoci al licenziamento inaspettato di un coach che non ha l'esperienza di Ettore ma che sa come lavorare con i giovani (chiedete a Pajola oggi, a Ale Gentile e a De Nicolao in precedenza) e che aveva improntato un discorso tecnico specifico con risultati evidenti l'anno scorso - diciamocelo: senza la pandemia quella Virtus 2019/20 lo scudetto non poteva che vincerlo - e che per la stagione in corso poteva contare su massicci investimenti ed ampie prospettive di crescita.

Suona paradossale eppure il motivo del contendere alla fine aveva il nome, il cognome e la faccia di Marco Stefano Belinelli, giocatore pagato a peso d'oro da patron Massimo Zanetti per riportarlo a Bologna dopo 13 anni di NBA e che doveva debuttare domenica contro Sassari. Invece, sorpresa: nel match tra Segafredo e Dinamo l'ex Spurs resta seduto per tutti i 40 minuti, guardando prima l'espulsione del suo capoallenatore e poi i nuovi compagni subire la furia di Spissu e Bendzius. Da quel momento la narrazione si fa tragicomica: pare che nessuno dei dirigenti abbia avuto la delicatezza di avvisare proprietà ed amministratore delegato del fatto che venerdì, nell'allenamento di rifinitura, lo stesso Belinelli avesse accusato un affaticamento muscolare e che dunque non potesse giocare. Non conoscendo il particolare e pensando che Djordjevic avesse fatto di testa sua con un giocatore costosissimo ma reputato fuori forma e quindi inutile, il club ha preso una decisione avventata facendo fuori capo, vice e preparatore.

Ad arricchire il quadro delle assurdità ci si mette pure Stefan Markovic che, saputo dell'esonero a sorpresa, si sfoga via Instagram. Ed annusata l'aria, il 32enne chiama il suo agente e gli chiede di trovare una via d'uscita. Senza chi l'ha voluto fortemente in un determinato telaio tattico, lui non intende restare a Bologna un minuto in più. E qui si aprono altri scenari, giacché se in seguito al licenziamento di Djordjevic erano circolati i nomi di papabili sostituti (Banchi l'unico credibile ma debole, inarrivabile Obradovic, già smentito seccamente Scariolo), ecco diffusa la voce che vorrebbe Markovic in fila al "Marconi" per prendere il primo aereo per Belgrado e passare dal bianconero felsineo al medesimo cromatismo del Partizan.

Evidentemente da qualche parte qualcosa deve essersi mosso nelle ultime ore. Perché dopo una nottata di ipotesi e di arrabbiature, già in mattinata la Virtus si è adoperata per ricomporre i cocci del vaso che aveva gettato a terra. Operazione conclusa, non senza fatica, alle 17 cioè mezz'ora prima dell'allenamento pomeridiano già in scaletta. Djordjevic ed i suoi collaboratori restano, Markovic è confermato e riceverà solo una multa per l'improvvida uscita a mezzo social. Tutti amici come prima, scusate abbiamo scherzato.

I giapponesi utilizzano un termine particolare, "kintsugi", per definire la riparazione delle ceramiche attraverso l'oro fuso o mescolato con la lacca. Il prezioso metallo riempie dunque le fessure che un atto violento ha aperto sanando le ferite aperte in precedenza. In pratica è l'applicazione della resilienza, un gesto positivo di reazione ad un evento traumatico. Occorrerà dunque capire se la miscela utilizzata dai dirigenti virtussini per risolvere un guaio da loro stessi procurato riuscirà a reggere le sollecitazioni da qui sino a fine stagione. E se, come avvenne per Messina nell'ormai lontano 2002, questa vicenda paradossale lascerà degli strascichi tanto nelle strategie quanto nella salute interna del club bianconero che solo la scorsa settimana aveva confermato a parole di voler tornare grande.

lunedì 7 dicembre 2020

Bologna: la dotta, la grassa... l'inquieta

Da non credere. Prima la Fortitudo, poi la Virtus. Prima Sacchetti, poi Djordjevic. La stracittadina a Bologna non finisce davvero mai, nemmeno quando si vuole dare una scossa all'ambiente, mossa che inevitabilmente si traduce con esonero del capoallenatore (o addirittura dello staff). Non si sta mai tranquilli sotto le Due Torri e per un motivo o per l'altro non ci si annoia di certo. Distinte da strategie, disponibilità finanziarie, obiettivi oltre che da simboli e cromatismi, F e V si ritrovano a distanza nel cervellotico turbinare del management, dall'una e dall'altra parte, con scelte ritardate o pazzesche per tempistiche e motivazioni.

Andiamo con ordine. Sabato la Lavoropiù incappa nell'ennesimo stop confermandosi ultima in classifica - il caos Roma per ora non lo calcoliamo. Da settimane Meo Sacchetti era sulla graticola: risultati carenti nonostante un mercato estivo scoppiettante e molto dispendioso e correttivi autunnali decisamente costosi. Gli avvisi erano già partiti da tempo ma alla fine la società ha deciso. Ciao, non è stato certo un piacere, la porta è quella. L'epilogo era comunque già scritto, con la tifoseria che rimpiangeva Antimo Martino e che rinfacciava al CT zero grinta e poche idee parecchio confuse. Lo avevano etichettato come umarell, il vecchietto un po' rinco che, borsetta di plastica dietro la schiena, passeggia per la città godendosi la pensione INPS (beato lui, verrebbe da dire) e commentando qualunque cantiere stradale si possa incontrare nel corso della solita camminata. Di certo Sacchetti non era arteriosclerotico e sapeva di aver scommesso male la scorsa estate, lasciando Cremona che era sì in cattive acque ma dove aveva costruito un modello di squadra basato sulla propria idea di basket. In Fortitudo aveva ritrovato quell'Aradori con cui aveva litigato in Nazionale e già lì si era partiti male; aveva sloggiato Henry Sims, altro con cui non andava d'accordo, per riprendersi Happ; ma il paracarro Mancinelli restava intoccabile (grazie, garantisce una bella sponsorizzazione!) e alcuni innesti come Totè e Palumbo erano già stati decisi. La Fortitudo alla fine non aveva gioco, si esprimeva per individualismi più che individualità e proprio per questo perdeva a ripetizione. Dopo tre mesi di disastri la società è intervenuta e ha deciso per l'avvicendamento. Perché così tardi? "Non volevamo mandare un allenatore tagliato a guidare la Nazionale in Estonia, ne andava del prestigio italiano e del club", hanno fatto sapere da Torreverde. Io lo chiamo paraculismo, voi fate un po' come vi pare.

Se per Sacchetti dunque era solo questione di tempo, per Djordjevic si tratta di fulmine a ciel sereno. O al limite appena appena nuvoloso ma senza gocce di pioggia. La Virtus è prima in Eurocup ma in campionato sta faticando, con quattro sconfitte in casa che pesano nell'economia di campionato. Quel che a quando pare non è piaciuto a Baraldi, unico uomo di fiducia di Massimo Zanetti, è la gestione dell'affare-Belinelli. Presentato in pompa magna come grande investimento, ci si aspettava che fosse in campo già ieri, contro Sassari. Invece qualcosa è andato storto e forse si è verificato un cortocircuito comunicativo tra staff tecnico, preparatori atletici e club, tant'è vero che il nuovo giocattolo milionario è rimasto mestamente in panchina, inutilizzato, a guardare i suoi nuovi compagni regalare spazio e bombe a Marco Spissu (ex di turno, tra l'altro) e ad Eimantas Bendzius. Il Banco ringrazia e passa all'incasso, per la rabbia di Mister Segafredo. Di qui l'esonero di Sasha, peraltro dopo essere pure stato espulso nel primo quarto proprio ieri. Ma se sull'opposta sponda del Reno a saltare era stata solo la testa del capoallenatore, qui ha pagato l'intero pacchetto: fuori Djordjevic, il suo vice Goran Bjedov e pure il preparatore. Squadra affidata al terzo allenatore in attesa di trovare un nuovo manico. La prima scelta Trinchieri non è disponibile, il mercato offre Luca Banchi. Non il massimo se si vuole davvero contrastare la Milano di Ettore Messina che stavolta sì pare una squadra fatta e condotta con logica, senno e benefizio (per il giubilo, si aspettano sviluppi). Intanto la squadra non l'ha certo presa bene e se Markovic ha già mostrato il proprio disappunto via social chissà cosa penserà la superstella Teodosic che aveva accettato Bologna dopo la NBA grazie anche alla presenza in panchina del connazionale Djordjevic.

Insomma, nel giro di pochi giorni la Bologna dei canestri muta faccia senza perdere però le sue abitudini di piazza inquieta. Qualcuno forse ricorderà che il fumantino Boniciolli venne silurato dopo un derby vinto perché osò rinfacciare all'Emiro Seragnoli di essere riuscito ad ottenere un risultato nonostante la pressione psicologica. O che Pino Sacripanti venne cacciato senza troppi complimenti per far spazio proprio a Djordjevic (e a Mario Chalmers, in arrivo), in tempo per vincere una Coppa FIBA ma anche per far escludere la Vu Nera dai playoff con un anonimo nono posto. Si è visto di tutto negli ultimi tempi, persino capitani a volte non giocatori messi fuori squadra e ceduti ai rivali. Se c'è ancora qualcuno che crede nei valori della programmazione a medio-lungo termine è pregato di farsi vivo e di citofonare a Fortitudo e Virtus ricordando loro che entrambe hanno vinto solo quando hanno ingoiato rospi amari in nome della progettazione. Quand'è che è crollata la Virtus? In quella sera primaverile in cui Madrigali decise di licenziare Messina salvo doverci ripensare dopo una sommossa a Casalecchio. Quando è scoppiata la bolla Fortitudo? In quell'estate in cui, sparito Seragnoli, il nuovo tagliatore di teste Martinelli decise che Enzino Lefebre era inutile per mantenere in piedi una baracca sostenuta da fantasiose sponsorizzazioni, contributi a fondo perduto e un mutuo ventennale impossibile da onorare. La Storia ci dirà cosa faranno le due metà di Bologna dopo questo dicembre 2020 che rispetta in pieno l'andamento disastroso di un anno da dimenticare in fretta. E non solo da parte del basket.

venerdì 4 dicembre 2020

Un problema chiamato ala piccola

Storicamente e tatticamente, quello del numero 3 nella pallacanestro moderna è il ruolo più delicato. Ciò non solo perché lo sviluppo dei giocatori ha reso le ali piccole autentiche merce rarissima - oggi nel ruolo vengono impiegati spesso dei 2 di stazza o dei 4 perimetrali adattati - ma a causa talvolta delle peculiarità richieste dal playbook. L'ala piccola è molto di più di un esterno in più o di un occasionale aiuto a rimbalzo: può attaccare il ferro, aiutare a portar palla, difendere su più ruoli. E' dunque il vero segreto di un team di successo, a patto che la sua scelta sul mercato sia stata oculata (non mi riferisco solo al budget, eh...) e che l'allenatore preveda dei giochi specifici in cui esaltarne le doti in campo. Viceversa, ci si ritrova di fronte ad equivoci o a situazioni imbarazzanti.

Per informazioni sulle ultime ipotesi, citofonare Treviso Basket. Che sia per sfortuna, per calcoli errati o per questioni caratteriali, TVB non azzecca una scelta nel ruolo da tempo immemore. Persino in Serie B l'ingaggio di Matteo Maestrello si rivelò un errore: in un campionato in cui si gioca moltissimo con le guardie ed in cui le uniche ali davvero utili sono i 4 che spesso e volentieri giostrano da 5 tattico, un 3 puro con stimmate di tiratore e zero propensione al rimbalzo come lo jesolano era pressoché inutile se non dannoso. Ed i risultati furono lo specchio di tale e di altre scelte (Parente su tutti). In A2 si è visto un acerbo Quenton DeCosey, assurto suo malgrado al non invidiabile ruolo platonico di peggior straniero visto in biancoceleste (almeno prima della fugace avventura di Tyler Cheese): non era malvagio, anzi, e le sue doti stanno emergendo anno dopo anno ma all'epoca non aveva specializzazioni, non sapeva cosa fare e doveva dannarsi l'anima per difendere anche per Davide Moretti al fine di lasciare che il ragazzo prodigio potesse liberare tutto il suo talento offensivo. Al posto del vituperato americano si pescò l'ungherese Perl che malaccio non era ma che sarebbe stato sacrificato in una visione strategica azzardata cioè iniziare una stagione ad alto livello senza uno straniero da inserire in corsa, a primavera.

Ma fin qui abbiamo parlato di passato, senza neppure rispolverare le ammuffite memorie del triste La Torre e dell'equivoco Musso. Ma da quando Max Menetti si è insediato sulla panchina trevigiana il problema nel ruolo è diventato una paurosa costante. Giocatori scelti e poi scartati, promossi e poco dopo bocciati, accolti e respinti, osannati e poco dopo ripudiati. Un frullatore. Ecco una panoramica.

  • Davide Alviti: uno dei primi acquisti dell'estate 2018, in realtà prenotato mesi prima assieme a Tessitori. Ragazzo in rampa di lancio, un due metri vero che da appena un anno e mezzo era stato spostato nel ruolo di 3 dopo essere stato impiegato con scarsi risultati da 4. Doveva essere l'ala piccola del quintetto titolare con un play italiano ed un'ala forte americana, si ritrovò ad occupare medesimo ruolo dovendo però patire i problemi fisici di Wayns in regia e le incomprensioni (eufemismo) di Antonutti nell'altro ruolo di ala. Finì la prima annata, quella della promozione, come quinto esterno per scivolare in rotazione a sesto in Serie A. Perché inadeguato? No. Semplicemente perché si pensava che fosse solo un tiratore sugli scarichi e nulla più. Giubilato in maniera poco elegante in un'estate che sarà difficilmente dimenticabile, sta dimostrando tra Trieste e la chiamata in azzurro di non essere soltanto un terminale da ricezione e tiro.
  • Lorenzo Uglietti: doveva essere il backup di Alviti in A2, si ritrovò a giocare da play d'emergenza. E senza nemmeno sfigurare neanche al piano di sopra. Pure lui salutato in maniera fin troppo frettolosa senza ricordarsi che una guardia versatile, con ottima attitudine difensiva, portata al gioco di squadra e dallo stipendio contenuto non andrebbe mai salutata a cuor leggero. E' tornato di A2 dove nel sistema di Sacripanti a Napoli funge da equilibratore.
  • Dominez Burnett: discorso simile a quello di Uglietti, a parte ovviamente nazionalità, stipendio e capacità offensive. Aveva dimostrato di essere un ottimo giocatore a livello europeo già prima di arrivare a Treviso, nella Marca si era confermato swingman di talento e meritava una chances ai piani alti. Bruciato per un calcolo di budget: occorreva recuperare parte del suo stipendio per investirlo sul prestito di Aleksej Nikolic. Migrato a Minsk ha ripreso ha giocare come sa.
  • Jordan Parks: preso perché si alternasse tra i due ruoli di ala, si è capito solo dopo tre mesi di arrabbiature, sconfitte ed equivoci che in fondo era efficace soprattutto da 4. Resta una scommessa parzialmente vinta perché prima della cancellazione della stagione per pandemia aveva dimostrato di poter reggere il livello. Ha pagato la sciocchezza della fuga in America (a differenza di Logan però...) e la scelta della società di puntare su un pariruolo italiano come Akele. Pure lui è oggi a Napoli in A2 dove sprigiona tutto il suo atletismo in una squadra costruita per la promozione.
  • Elston Turner: pochi se ne ricorderanno ma doveva essere lui il 3 titolare della De' Longhi 2019/20. Una vera scommessa, non sul talento che è noto ma sulla testa del giocatore. Quotata pochissimo dai bookmakers, il motivo lo si è capito ad agosto: due voli per l'Italia persi con scuse che variavano dal matrimonio al mal di pancia, al suo arrivo si è capito che era in forma-Tomidy ed impresentabile a breve-medio termine. Rispedito al mittente in tutta fretta e con un mezzo sospiro di sollievo.
  • Charles Cooke III: al posto dell'impresentabile Turner, ecco un connazionale teoricamente simile, almeno sul piano tecnico. Peccato che la testa non fosse quella giusta. Tagliato in preseason dopo neanche dieci giorni dalla squadra tedesca che l'aveva inizialmente scelto, a Treviso si vede un Cooke spesso deconcentrato, autore di giocate paradossali (vedi il piccione viaggiatore a Cremona che poteva valere una clamorosa vittoria in rimonta) e di pochissime partite decenti. In rottura prolungata da metà dicembre in avanti, viene tagliato ad inizio gennaio per manifesta dannosità.
  • Ivan Almeida: pescato a sorpresa nella stagione dei saldi, il capoverdiano salta la prima partita per un pasticcio burocratico di tesseramento con rimpallo di colpe tra club, agenti, funzionari e forse pure doganieri. Gioca due partite facendosi notare per l'insofferenza al clima atmosferico (si copre costantemente con maglie pesanti) e per la volontà di agire da point forward grazie anche alla piena licenza concessagli da Menetti. Poi arriva la pandemia e si chiude in casa con l'apprezzabile dichiarazione di non voler rischiare di portare il virus in patria azzardando un eventuale volo. Rimarrebbe volentieri ma a maggio gli fanno capire che non ci saranno soldi per lui, quindi fa fagotto e si sposta in Israele. Resta il rammarico di non averlo potuto testare più a fondo. Intanto è tornato a Wloklawek dove evidentemente si trova bene, visto che è alla terza firma in tre anni.
  • Jeffrey Carroll: arriviamo al presente. Curriculum corposo, è pur sempre un giocatore che è stato in orbita Lakers e già testato in Italia. Ma in A2, in una squadra di basso livello (Bergamo) dove poteva fare bello e brutto tempo a piacimento. Affidabilità? Tutta da verificare. Si presenta in Supercoppa bombardando senza troppi pensieri, approfittando anche di avversari imballati a livello fisico o che non ne conoscono doti e difetti. Appena si fa sul serio cioè con la stagione regolare avviata, ecco l'involuzione. Mirino sempre più storto, incursioni in area sempre più rare a dispetto di gambe piuttosto buone, difesa zero. E quando arriva Sokolowski la sua crisi si acuisce tanto da dimostrare mancanza di fiducia nei propri mezzi, nonostante continui a partire in quintetto base.
  • Michal Sokolowski: arrivato all'ultimo al posto dell'impresentabile Formaggino alias Tyler Cheese che passerà alla storia come il bidone sportivo più clamoroso di sempre - spacciato per un all around di 196cm, si rivela una guardia mancina di 187 centimetri che non tira, non va a rimbalzo, non difende sull'uomo e sa giusto palleggiare e passare il pallone... un visto sprecato. Il polacco è indubbiamente più solido, più stazzato e ha maggiori doti sui due lati del campo. Ma non può sempre coprire tutti i lati del letto a fronte di una coperta corta.
L'elenco si ferma qui. Ma a fronte di nove giocatori alternatisi in un ruolo in due anni e mezzo è lecito domandarsi se tutta questa frenesia, queste sliding doors continue in un ruolo così delicato non siano frutto di un singolare allineamento planetario foriero di somma sfortuna oppure di equivoci tecnici e tattici continui, tra valutazioni affrettate e questioni caratteriali o comportamentali. O ancora, il fatto che da fine 2018 in poi gli schemi per il 3 nella De' Longhi si siano assottigliati sempre più riducendosi a due opzioni: tiro sullo scarico oppure "inventa tu, ché a me va bene tutto". Io l'ho ribattezzato lo "schema Kaukenas-Logan" e credo che non serva chiedere spiegazioni riguardo al nome. 

domenica 29 novembre 2020

Il lupo perde il pelo...

Niente da fare: gli insegnamenti morali dei proverbi trovano puntualmente conferma. L'ultima di queste, in ordine di tempo, giunge dalle aule di giustizia dove Ferdinando Minucci, ex potentissimo padrone della fu Mens Sana Basket, ha raccontato la sua versione dei fatti in merito a quello che giustamente è stato definito come il più grande e grave scandalo in un secolo di pallacanestro italica. 

Cos'ha ribadito Minucci davanti ai giudici? Di aver agito in stato di necessità taroccando la contabilità per competere con mecenati che avevano capacità di spesa superiori alla sua Siena. Di aver comprato ed utilizzato una testata giornalistica internet perché agisse da megafono personale. Di non essersi arricchito a scapito della decotta società sportiva. Cicero pro domo sua. Ma andò davvero così? Proviamo un'analisi punto per punto.

  • Dice Minucci: "Ho utilizzato fatture sovrastimate, è stato un errore e sono pronto a pagarne le conseguenze. Lo abbiamo fatto per poter competere con altre società che avevano alle spalle i mecenati: la Mens Sana aveva un capitale sociale basso e la proprietà non era disposta ad aumentarlo. Lo so, non è una giustificazione. Ci tengo a precisare che non mi sono mai arricchito personalmente". Se analizziamo il lungo interregno del manager a capo della società sportiva si può anche credere a tale ricostruzione, ad una piccola Siena che vuole confrontarsi con i Goliath del basket italiano ed europeo senza disporre di coperture straordinarie. Ma la scalata al successo della Mens Sana parte vent'anni fa quando lo stesso Minucci convince Monte dei Paschi ad assumere un ruolo di primo piano con una sponsorizzazione diretta dopo anni di appoggio esterno (ricordate le sponsorhip "Ducato" o "Fontanafredda"?). Da quel momento il club non insegue più gli americani a poco prezzo o gli scarti altrui ma compra di tutto e a prezzi salati. Prima gli azzurri Scarone e Chiacig, poi Gorenc, Stefanov, Kakiouzis, Turkcan, il povero Alphonso Ford, Vanterpool, Galanda, David Andersen. Nel 2004 il primo scudetto, cui segue l'ingaggio di Carlton Myers. Certo, i soci del club non aumentano vertiginosamente il capitale sociale ma la banca concede volentieri un ampio sostegno. E nello stesso periodo, mentre Seragnoli esce dalla pallacanestro e Benetton ridimensiona, solo il neoarrivato Giorgio Armani spende in grande stile. Quindi non si può certo dire che nel suo periodo di massimo splendore (2006-2013) la Mens Sana fosse una pulce costretta a combattere contro pachidermi e che per questo dovesse ricorrere a mezzucci non esattamente legali. La favola della Siena società modello si infrange tanto con la realtà storica quanto con la situazione di declino di un sistema in cui il mecenatismo aveva già imboccato una evidente parabola discendente - occorre forse ricordare le rese di altri grandi finanziatori della pallacanestro come Scavolini, Snaidero, Vicenzi, Bulgheroni, Castiglioni, Cazzola o Stefanel? 
  • Ancora Minucci: "Noi vincevamo molto battendo Roma e Milano, hanno iniziato così a prenderci di mira, colpendoci alle spalle. Il coach di Milano Scariolo fece la famosa dichiarazione sull’aria rancida, riferendosi a presunti arbitraggi a nostro favore, una tattica già utilizzata in Spagna e Russia". Le dichiarazioni pubbliche fanno parte del gioco. E se un addetto ai lavori decide di lamentarsi di qualcosa che secondo lui non quadra, lo fa a proprio rischio e pericolo, conscio che eventuali dichiarazioni false o calunniose potrebbero provocare conseguenze affatto fauste. Non mi pare che Scariolo, la cui infelice uscita sulla famigerata "aria rancida" è passata purtroppo per lui alla storia rovinandogli un'immagine precedentemente solida, abbia sussurrato in segreto, dietro le spalle di qualcuno, frasi infamanti. Scariolo rilasciò interviste, disse che c'era qualcosa che non gli quadrava, si lamentò pubblicamente degli arbitraggi. Aveva ragione? I fatti finora lo smentiscono giacché non è stata riscontrata alcuna corruzione sistematica della classe dei direttori di gara per favorire Siena. Ma di fronte a parole pronunciate davanti ai microfoni o ai registratori dei giornalisti ci sono diversi modi di reagire. Il primo è liquidare il tutto con un sorriso compassionevole. Il secondo è replicare con gli stessi termini o argomenti. Il terzo è reagire ad un'accusa di complotto creando le basi per una diffamazione sistematica.
  • Ancora lui: "Il presidente Proli ci denunciò alla Procura Federale e Armani iniziò a muoversi: Gazzetta dello Sport, Corriere della Sera, i grandi giornali ci iniziarono a bersagliare. Nel 2012 chiesi aiuto a David Rossi di MPS, che però non poté fare nulla. E così pensammo a un sito internet, Basketnet, per difenderci dagli attacchi". Per la cronaca, la denuncia in Procura Federale finì in una bolla di sapone. Ma le parole di Minucci delineano uno scenario in cui, stando alla sua vulgata, vi sarebbe stata una sorta di spaccatura del mondo dell'informazione. Da un lato i quotidiani disposti a partecipare ad una sorta di mortificazione della nomea vincente senese in nome di campanilismo, invidia o peggio ancora partigianeria nei confronti di un club e del suo proprietario; dall'altra il povero manager di provincia che prova a difendersi chiedendo aiuto al capo della comunicazione della banca-sponsor e che poi ricorre ad un sito internet piuttosto seguito per una campagna di presunta contro-informazione. Peccato che anche in questo caso la realtà smentisca le ricostruzioni di Minucci. Senza approfondire il coinvolgimento nell'inchiesta Time Out di un giornalista senese, accusato di aver intascato denaro proveniente dalle distrazioni di fondi della Mens Sana e scagionato solo dall'impossibilità di accertare il curioso reato di ricettazione contestatogli, basta ripescare le diffamazioni che quel sito cui fa riferimento Minucci ospitò per un periodo sino a quando la redazione decise in segno di protesta di fare fagotto ed andare altrove. I corsivi firmati con pseudonimo da presunti personaggi inesistenti ("Attilio Giglio" ed altri) non erano altro che palesi attacchi a carico di professionisti del mondo della pallacanestro. Non delle società rivali, Virtus Roma o Olimpia Milano, ma di singoli giornalisti o manager invisi al potere senese. "Unum castigabis, centum emendabis": Mao Zedong ne sarebbe stato fiero.
Ci si potrebbe fermare qui. Tuttavia è bene ricordare cosa fu davvero il metodo Minucci. Basterebbe bussare a Desio per capire come la Mens Sana riuscì a reclutare Tagliabue. O chiedere al Buducnost cosa spinse la squadra montenegrina imbottita di prospetti NBA a giocare in maniera oscena l'ultima gara del girone di qualificazione di Eurolega 2002/03 contro una Siena bisognosa ad ogni costo di una larga vittoria. O ricordare chi i club scelsero quale presidente della Legabasket pochi mesi prima che l'intervento delle manette della Guardia di Finanza scoperchiasse il Vaso di Pandora. O verificare il declino mediatico del basket che offriva ampi spazi al ridottissimo mercato senese mentre il resto d'Italia mendicava le briciole portando infine ad una rivoluzione peggiorativa delle condizioni sia con le televisioni che con Euroleague. Ma mentre pochi protestavano - e tra questi il mai abbastanza rimpianto Enzo Lefebre - ammonendo la maggioranza a non piegarsi ad una logica distruttiva, tutti applaudivano la truffa di un club che esprimeva sì una squadra vincente ma senza averne i mezzi finanziari tanto da dover ricorrere ad una finanza sin troppo creativa per poter garantire la propria esistenza e l'iscrizione ai tornei.

Il capolavoro minucciano resta sicuramente lo scandalo Lorbek, una trappola in piena regola. Quando  quella sera di febbraio 2007 Ferdinando Minucci presentò quella denuncia per frode sportiva alla stazione dei carabinieri di Casalecchio di Reno non c'era nessuna autodifesa da mecenati o da giornalisti invidiosi. C'era solo la volontà di sfruttare l'errore di un ufficio federale, la fesseria del dirigente di un club rivale e la sete di potere del segretario di Lega per escludere una potenziale rivale dal piatto ricco dell'Eurolega. Minucci sapeva cosa stava facendo ed ottenne il suo obiettivo tramite una sentenza-farsa di colpevolezza per un reato impossibile da commettere. Sfogliate pure il Codice penale: la tentata frode non esiste. E fu per questo che qualche mese dopo la tragicommedia della giustizia sportiva arrivò la disposizione del Tribunale della Repubblica: frode impossibile da consumarsi quindi inesistente. Ma il danno alla rivale era stato cagionato, Minucci aveva sgombrato il campo da una possibile contendente al suo strapotere. Fuori Treviso e fuori la Fortitudo avviata ad una mesta fine, quelle preziose licenze pluriennali per l'Eurolega, sfuggite sul campo a causa di risultati inferiori alla concorrenza nonostante una parità di budget, Siena se le era prese speculando sulle altrui disgrazie o soffiando sul fuoco di presunti scandali.

L'unico scandalo vero ed accertato resta invece il declino della pallacanestro italiana. Se oggi pare un miracolo il concretizzarsi di un secondo mecenate dietro il solito Armani, se ci si meraviglia della competizione tra Milano e la rinata Virtus Bologna sul mercato dei giocatori, se pare incredibile che qualcuno possa scalfire dal basso l'immagine vincente di colossi finanziari, questo è dovuto non al presunto coraggio del modello senese ma alla capacità di ricostruzione di un sistema che ha recuperato stille d'energia dalle periferie. Ma senza partite di giro, senza contabilità taroccate, senza contratti d'immagine a sei zeri, senza vendite fasulle di diritti commerciali, senza siti internet compiacenti, senza scandali costruiti ad arte, senza denigrazione dell'avversario. Sassari, Venezia, Trento, Reggio Emilia, persino la piccola Cremona hanno dimostrato che non occorre inventarsi metodi truffaldini per vincere e convincere. Basta programmare con un serio piano economico rapportato al modello sportivo. Con buona pace di chi pensava di costruire un impero con le fatture gonfiate o i bilanci falsificati.

giovedì 26 novembre 2020

Ritorno al futuro a Bologna

Mentre Napoli piange la scomparsa di Diego Armando Maradona e si prepara ad intitolargli lo stadio, una notizia giunge come fulmine a ciel sereno qualche centinaio di chilometri più a nord, nella mai sonnacchiosa Bologna. Il suo figliol prodigo per eccellenza sta per tornare a casa: Marco Belinelli ha deciso di rientrare nella città che l'ha visto nascere, crescere, maturare ed esplodere come talento della pallacanestro del nuovo Millennio.


Sorpresa (ma anche no): il contratto è l'ultima trovata della Virtus di patron Zanetti. Non della Fortitudo che Belinelli ha sempre dichiarato di amare, ricambiato dai tifosi. Ma è comprensibile quello che a qualcuno potrebbe sembrare un voltafaccia. Da quando il re del caffè ha scelto il basket come veicolo pubblicitario del suo impero e come strumento di business laterale, la Vu Nera è tornata a splendere ed a spendere. L'esatto contrario di una F scudata che dopo aver dilapidato discrete risorse in A2 e prima ancora in B ed aver nuovamente dovuto confrontarsi col tribunale FIBA di Ginevra, ha dovuto riporre in un cassetto ben prima della pandemia il progetto del nuovo palasport e della cittadella e tornare a spulciare la contabilità per capire se sia possibile correggere in corsa un progetto attualmente sbagliato e sballato.

Gongolano i virtussini e ne hanno pieno diritto. A 34 anni suonati Belinelli è ancora un gran bel giocatore per l'Europa. Non più per la NBA dove ormai era relegato al ruolo di specialista e dove nessuno sembra più disposto ad offrirgli un contratto importante. Ma da questo lato dell'Atlantico Belinelli ha estimatori e capacità di riscoprire doti diverse dal semplice tiro in uscita dai blocchi. Abbastanza per ingolosire chi può ancora spendere parecchi soldi alla ricerca di un elemento che faccia compiere un piccolo salto di qualità alla propria squadra. Nel sistema di Djordjevic che prevede tante guardie capaci di portar palla e di assecondare il dinamismo dei lunghi e la vena artistica di Teodosic, più che Abass o Adams si sentiva la necessità di un giocatore simile.

La carriera americana di Belinelli, iniziata 13 anni fa col Draft e proseguita tra tanti cambi di casacche - a S. Antonio le parentesi più felici - ripartirà dalle sue origini. Pochi forse lo ricordano ma lui fu uno degli ultimissimi prodotti validi del vivaio virtussino (l'altro era Michele Vitali) prima del crack di Madrigali. A 16 anni Belinelli era già in prima squadra anche se quella Virtus era qualcosa di inguardabile: Tanjevic aveva pensato ad una cabina di regia diffusa con Becirovic e Rigaudeau più Mladen Sekularac ma il serio infortunio estivo dello sloveno determinò una valanga in anticipo. Lo swingman serbo appena scelto dai Mavs era acerbo ed inadatto al ruolo di point forward, il supporting cast era rivedibile per non dire di basso livello e tra cambi di allenatore in corsa e porte girevoli nel roster - persino Le Roi ne ebbe abbastanza migrando a Dallas a stagione in corso - la formazione felsinea disputò una delle stagioni peggiori della sua storia buscandole persino da Fabriano dove non pagavano gli stipendi nemmeno al custode del palasport. In quel casino biblico l'unica nota lieta era un giovanissimo Belinelli che nell'estate successiva fu preso al volo da Enzino Lefebre per la Fortitudo nell'ambito del gentlemen's agreement che vide Gheradini prelevare Bargnani dalla Stella Azzurra e Minucci inchiostrare un giovanissimo Datome in uscita da Olbia. 

Altri tempi, altre storie. Belinelli è maturato alla Fortitudo e doveva esserne il perno dopo i primi due anni d'apprendistato. Fece in tempo a vincere lo scudetto dell'instant replay ed una Supercoppa. Poi vide l'anticamera di un altro fallimento, quello della F post-Seragnoli, e seppur con un anno di ritardo sulla tabella di marcia fece le valigie. Ora ritorna, ma alla sua alma mater. E chissà cosa penseranno i tifosi dell'Aquila più oltranzisti, quelli che obbligarono Lestini a far le valigie per una vecchia ruggine o che infamarono Jaric dopo che rimandò lo sbarco in NBA per passare in Virtus e portare l'allora Kinder al Grande Slam.

A proposito di Fortitudo. Il conto presentato da Strawberry era pesante e rischiava di di gravare sulle casse del club già azzoppato dalla mancanza di entrate dal botteghino, consueto polmone finanziario. La campagna acquisti estiva e gli innesti di riparazione sono costati un bel po', quindi a dispetto dei mugugni per l'ultimo posto in graduatoria e del desiderio di buona parte della tifoseria di dare il benservito a Meo Sacchetti il front office dovrà continuare ancora un po' ad ingoiare bocconi amari facendo finta che siano dolci prelibatezze. Certo, a meno che la Fondazione non tiri fuori il cappello dal cilindro o che lo sponsor personale portato dal capitano sempre meno giocatore non decida di aumentare la propria contribuzione. Per amore, solo per amore? No, per evitare di ripetere quanto avvenne nel 2008/09.

martedì 24 novembre 2020

I conti in tasca, Covid permettendo

 Approfittando della pausa per le Nazionali ed al netto dell'emergenza sanitaria che purtroppo prosegue ovunque, facciamo un primo, parziale bilancio della stagione di Serie A. Due calcoli sulla situazione di classifica delle squadre, sulle potenzialità espresse o meno, sugli spunti emersi e sulle criticità evidenziate dal campionato in tempo di pandemia.

OLIMPIA MILANO (bilancio 9-0) - Capolista solitaria del campionato, la compagine meneghina sta dominando come da pronostico. Rispetto all'anno scorso coach Messina ha costruito una squadra più armonica e logica, con tantissime alternative in un po' tutti i ruoli e tanti giocatori che possono adattarsi a varie esigenze. Pecche? Forse una, la politica giovanile che cozza immancabilmente con l'obiettivo di vincere tanto e subito. Moretti non ha molto spazio ed il controllato Bortolani anche meno. VOTO 9

BRINDISI (8-1) - Alzi la mano chi in estate pensava che l'Happycasa potesse ripetere gli exploit delle ultime due stagioni senza poter contare sul collaudato asse Banks-Brown. Invece coach Vitucci ha sostituito egregiamente i tanti partenti senza sacrificare eccessivamente la dimensione italica, tanto da sfruttare al meglio non solo i confermati Zanelli e Gaspardo ma anche Udom e Visconti, pescati in A2 ed adeguatamente valorizzati. E Willis è una piacevolissima scoperta. VOTO: 10

VIRTUS BOLOGNA (5-3) - Doveva essere la prima se non l'unica avversaria di Milano. Invece la Vu Nera ha faticato un bel po' finora dovendo accontentarsi della terza piazza. Mietendo qualche vittima illustre (leggi Venezia) ma scivolando su bucce di banana inaspettate (Cremona). Ufficio inchieste già preallertato per Abass che non riesce proprio ad adattarsi alla tattica di Djordjevic mentre confortano i progressi di Hunter e soprattutto di Pajola. VOTO: 7

VL PESARO (5-3) - Dalle stalle ad una posizione non stellare ma comunque solida. Bella e particolare la parabola della Prosciutto di Carpegna (nota personale: pecunia non olet... ma chiamare così un club fa sorridere) che è a ridosso delle posizioni di testa grazie ai massicci investimenti compiuti in estate dopo che nella precedente stagione le scommesse al ribasso non avevano pagato. All'appello mancherebbe sempre il centro di scorta ma i soldi non ci sono e si farà altrimenti, sempre sperando che prima o poi la voce botteghino trovi realizzazione. VOTO: 7,5

REYER VENEZIA (5-3) - Squadra che vince non si cambia. Difatti in estate i lagunari hanno inserito appena due volti nuovi - o meglio, uno più un utile sparring partner - nel telaio preesistente. L'età media sempre più alta però inizia a farsi sentire e così si spiegano gli acciacchi nel reparto lunghi che hanno tenuto diversi elementi più in infermeria che sul parquet. Nel frattempo Casarin jr. si sta ritagliando qualche meritato spazio. VOTO: 7

DINAMO SASSARI (4-4) - Ci si aspettava qualcosa di più da parte del Banco che finora non ha certo entusiasmato. Qualche problema fisico unito alle difficoltà di Tillman di adattarsi al ruolo di centro hanno condizionato il cammino dei sardi, sinora in equilibrio ma senza acuti particolari. Intanto Spissu ottiene importanti conferme e questo è bene anche per il movimento nazionale. VOTO: 6

VARESE (4-5) - Sia benedetta la longevità di Luis Scola! A 40 anni suonati l'argentino è la piacevole costante della Openjobmetis che prosegue un po' a singhiozzo. Recentemente si è svegliato Toney Douglas, a lungo sul banco degli imputati ed a rischio taglio, ma ci si continua ad interrogare sulla reale tenuta del reparto lunghi in cui, Scola a parte, non si vedono grandi certezze. Per ora comunque la posizione di classifica è più che soddisfacente. VOTO: 6,5

AQUILA TRENTO (4-5) - Partita malissimo, la Dolomiti Energia si è raddrizzata strada facendo ma regalando un bel po' di punti qua e là. Di sicuro Browne non è Craft e JaCorey Williams è fin troppo condizionante nel gioco di Brienza che dipende molto anche dalle condizioni di Kelvin Martin come vero equilibratore in campo. Anche qui, buone notizie dal fronte interno con prove abbastanza convincenti dei prodotti locali Conti e Ladurner. VOTO: 6

REGGIANA (3-3) - Covid-19 a parte, la mano di Martino si è vista. Una squadra quasi interamente rifatta (unico superstite dell'anno scorso, Leo Candi) ha offerto quando è scesa in campo un'immagine di concreta solidità esprimendo un basket a tratti anche divertente. La speranza lungo la via Emilia è riposta nel fatto di aver pagato interamente il debito nei confronti della pandemia dopo aver avuto l'intera squadra a letto col virus. VOTO: 6,5

TREVISO (3-3) - Tantissime scommesse a prezzi d'occasione; una bocciata sonoramente, qualche altra ancora in piedi anche se malferma, qualcuna più convincente. E poi l'eterno Logan, in gara con Scola per il trofeo del capocannoniere ignorando la carta d'identità. Quel che è certo è che, dimenticando i rinvii per malattia altrui, dall'arrivo di Sokolowski la squadra di Menetti ha assunto una fisionomia più quadrata esaltando le doti anche di Chillo. VOTO: 6

CANTU' (3-4) - Anche in Brianza si è tagliato qualcosa al budget privilegiando qualche scelta conservativa ma dando anche molto spazio ad un giovane locale. Procida si sta adattando in fretta, Kennedy è il degno erede di Hayes e Pecchia si conferma una bella pescata. A non dare grandi garanzie invece sono i veterani, con Smith frenato dal coronavirus e Leunen che non sembra più quello di qualche anno fa. VOTO: 6

TRIESTE (2-3) - Appena cinque partite per i giuliani prima che il coronavirus entrasse in scena. Luci ed ombre nel bilancio parziale, con la cabina di regia italiana e un buon Alviti a sciogliere in sorriso il volto duro di Dalmasson. Tanti gli infortuni muscolari e forse troppi i rimpiazzi occasionali, con due tesseramenti per rimpiazzi già bruciati. VOTO: 5,5

CREMONA (2-4) - Per un club che a inizio luglio pareva destinato a chiudere definitivamente, già esserci è un successo. Vincere poi un paio di partite con un roster costruito in meno di dieci giorni, mixando americani da scoprire, un vecchio marpione (Poeta), un italiano in cerca di rivincite (Mian) e il comunitario dal costo più economico del campionato (Palmi) non è da sottovalutare. Quindi, per quel poco che si è visto, giù il cappello davanti a coach Galbiati. VOTO: 7

VIRTUS ROMA (2-7) - Altra società che teoricamente non si sarebbe nemmeno dovuta iscrivere. Ma se la Vanoli ha reperito le risorse necessarie per coprire l'annata, nella Capitale si è ancora una volta scommesso al buio basandosi su promesse verbali. Il tanto teorizzato cambio di proprietà ancora non c'è stato e si sono già viste due presunte cordate abbandonare il campo. Bucchi fa quel che può ed è già tanto, grazie soprattutto all'abnegazione di Baldasso e Campogrande. Fa sorridere amaramente ancora una volta la presenza di un giocatore pagante, oltretutto americano, tanto per far capire la disperazione di un club costretto ad elemosinare dei soldi in ogni modo. VOTO: 5

BRESCIA (2-7) - Persino Joe Bastianich si direbbe diluso da quel che sta facendo la Germani. Un roster teoricamente di primo livello sta faticando enormemente ad esprire il potenziale. Colpa di chi? Di Esposito, che già due volte ha minacciato di dimettersi? Di Ristic che pare la copia serba di Ancellotti senza però giustificare la differenza di ingaggio? Di Vitali che fa emergere tutte le proprie pecche in regia? Bel mistero. E finora l'ultimo posto è evitato solo dal regalo di Treviso alla terza di campionato. Vuoi che muoro? VOTO: 4,5

FORTITUDO BOLOGNA (1-7) - Un disastro. La tifoseria rimpiange Antimo Martino e non ha tutti i torti: Sacchetti non ha dato finora nemmeno un'impronta offensiva chiara ad una squadra con troppi solisti per poter essere diretta in maniera organica. Non basta appellarsi agli infortuni di Fantinelli e di Happ ed agli errori di mercato (lista lunga: Toté, Palumbo, Withers, Fletcher) per spiegare un bilancio in profondo rosso. Ed a proposito di conti, la situazione potrebbe precipitare visto che all'appello mancano sempre i soldi del botteghino che rappresentano una grossa fetta di introiti e che all'orizzonte c'è il lodo di Strawberry da pagare. VOTO: 3

domenica 4 ottobre 2020

L'ingrediente sbagliato

Max Menetti, per chi non lo sapesse, ha completato in gioventù il percorso scolastico conseguendo il diploma di maturità in un istituto alberghiero. Amante della buona tavola - ottima dote, questa - e buon conoscitore non solo di pallacanestro, sa bene che il segreto di una ricetta riuscita è l'amalgama (ahia...) tra ingredienti e sapori, riuscendo a trovare il giusto equilibrio e le dosi corrette. In caso contrario, un piatto potenzialmente eccellente può risultare passabile, appena mangiabile, mediocre insomma. O addirittura pessimo. E' questione semplice e complessa al tempo stesso. E come tutti gli chef sanno, una ricetta affonda le proprie radici nella spesa alimentare precedentemente effettuata.

Ora, che la dispensa di Treviso Basket non sia ricca come l'anno scorso credo sia palese. Che la società abbia dato un profondo giro di vite alla capacità di spesa per gli approvvigionamenti della cucina è il segreto di Pulcinella. Che quasi tutti - sottolineo il quasi - gli ingredienti siano stati presi o confermati al ribasso, è risaputo. Ma se il segreto di un grande chef poggia sul saper esaltare anche i sapori più poveri o sottovalutati, ci sono alcuni azzardi che non sono accettabili. Neppure di fronte a ristrettezze economiche.

Perché diciamocelo chiaramente, sempre restando in ambito di metafore culinarie: se ho a disposizione una Toma Piemontese magari non pregiatissima ma già testata in due ricette di successo, non la baratto con una insipida e sconosciuta Alfredo Sauce che nasconde al suo interno chissà quali mediocrità. Soprattutto se il costo è praticamente il medesimo. E se ho bisogno di un puntello di sapori e sostanza, non lo cerco alle pendici del Montello dove al massimo trovo della casatella che può giusto pulire la bocca dopo un pasto, ma esploro ogni possibilità offerta dal mercato alimentare. Insomma, anche se i soldi sono quelli e se non c'è tutta l'abbondanza del passato, occorre capire come, dove e quando azzardare. Altrimenti, per citare quel volpone di Joe Bastianich, avremo solo dei piatti "diludenti".

Attualmente il carrello della spesa di TVB presenta una cinquina di prodotti abbastanza buoni, tra elementi freschi e molto malleabili ed altri al massimo della stagionatura. Le alternative però sono poche e carenti sotto diversi punti di vista. E francamente, la Alfredo Sauce è proponibile forse nelle tavole calde e nelle mense aziendali in cui si devono riempire gli stomaci senza badare alla qualità ma solo rispettando dettami di quantità. "La cucina è un'altra storia" (B. Barbieri).

E' chiaro che in questo momento chiunque vorrebbe essere al posto di chi possiede cucine di alto design o di chi può contare su un robusto caffè a fine pasto: gli chef con queste doti attualmente in Italia sono soltanto due e, per loro somma fortuna, non devono barcamenarsi tra bilanci da far quadrare e diktat dalla proprietà o dalla gestione del ristorante quanto a spese. Confrontare le possibilità di chi ha una dispensa ridotta con chi invece può scegliere di volta in volta la marca di champagne per pasteggiare è privo di logica ed irrispettoso per entrambe le parti. Ma se si vuol sognare, se si chiede di andare oltre i confini dell'ordinarietà nel gusto, la scelta oculata degli ingredienti base è fondamentale.

P.S.: anni fa un cestista americano di indubbio talento ma assolutamente privo di un qualsiasi rudimento di cucina lamentò l'assenza in Italia di un noto condimento americano per pastasciutta, gabellato come "prodotto tipico". De gustibus non est desputandum... ma qualcosa mi dice che se mai avesse pronunciato quelle parole in una qualsiasi edizione di "Caseus Veneti", il buon Chris Douglas-Roberts sarebbe stato sottoposto a tortura medievale. Magari tramite cottura per immersione a fuoco lento nella sua adorata Alfredo Sauce.

giovedì 1 ottobre 2020

Bollicine e caffeina

Leggo con un pizzico di curiosità della partnership annunciata stamani tra Virtus Bologna e Astoria Wines. Un rapporto singolare, per chi non comprende la dinamiche che travalicano il semplice dialogo tra azienda e società sportiva. Un filo logico, se pensiamo al core business dei due imprenditori coinvolti ed alla gestione comunicativa dell'intera faccenda.

Piccolo passo indietro. Anno 2016, la Virtus Bologna per la prima volta nella sua storia conosce l'ignominia della retrocessione in A2 - lasciamo stare le vicende di Madrigali e la ripartenza di Sabatini col fu Progresso Castelmaggiore - e si ritrova teoricamente nei guai. Dico teoricamente perché qualunque imprenditore sa che il momento propizio per subentrare nella gestione e proprietà di un'azienda sana è proprio dopo un'improvvisa difficoltà. Anno 2016, la Virtus scende a sorpresa in A2 e si materializza un nuovo sponsor. Chi è? Massimo Zanetti, il re trevigiano del caffè, Mister Segafredo. Non uno sprovveduto né un personaggio digiuno di sport: in carriera ha sponsorizzato scuderie di Formula 1 e società di calcio, arrivando anche a rivestire cariche di spessore nel mondo del pallone da cui però si è allontanato per dissapori di carattere gestionale.

Zanetti a Bologna è conosciuto, Segafredo è una potenza e la Virtus conta comunque su un bel seguito e su potenzialità forse inespresse. Il neo sponsor entra in società con un munifico contributo ma il piano è quello di salire progressivamente nella partecipazione: prima della fine della stagione agonistica, chiusa con l'accoppiata Coppa di Lega-promozione, il manager è padrone della Vu Nera. Di più: Zanetti col passare del tempo capisce che c'è un ampio margine non sfruttato di movimento, che il bistrattato basket se ben gestito può dare ottimi ritorni d'immagine e che un fondo di business c'è sempre. Se l'appetito vien mangiando, il neo-patron non si fa mancare nulla e nel giro di pochi anni riporta il club felsineo nei piani nobili dello sport italiano togliendosi anche lo sfizio di interrompere il lunghissimo digiuno europeo della pallacanestro italica. Al contempo coglie una duplice occasione fornita dalla vetustà dell'impiantistica sportiva e dallo sviluppo progettato dalla Fiera per teorizzare la Segafredo Arena. Che oggi è solo un capannone con le gradinate in tubi Innocenti ma che un domani dovrà diventare una struttura fissa, in muratura, da gestire 365 giorni l'anno per sport, convention, concerti ed altri eventi.

Zanetti resta ovviamente un imprenditore ed a capo del ramo sportivo ha messo uomini di sua fiducia, tra cui quel Luca Baraldi che forse farebbe meglio a misurare qualche frase a beneficio di pubblico e media ma che il suo lavoro lo sa fare eccome. Nell'ambito del core business vale a dire la caffetteria, Segafredo si sta muovendo da tempo per competere alla pari con altri due marchi italiani, cioè la triestina Illy e il derby tutto in casa Zanetti con Hausbrandt. La forza della concorrenza poggia non solo sulla solidità dell'immagine: tanto Illy quanto Hausbrandt battono da anni la strada dei locali brandizzati, di proprietà o in franchising. E lo stesso sta facendo, gradualmente, anche Segafredo. E qui entra in gioco Astoria Wines, marchio conosciutissimo ed apprezzato che porta in dote sia visibilità e contatti che un prodotto spendibile in una distribuzione selezionata. Se in un Hausbrandt Café si trova la birra Theresianer (marchio di casa), in un Segafredo Café non posso gustare le bollicine di un Prosecco DOC Astoria: giusto? Il ragionamento fila, la partnership pure ed il gioco è fatto.

Ecco spiegata una sponsorizzazione che travalica la semplice facciata della magnum da stappare in una cena con la squadra dopo una vittoria. Oggi si chiama B2B, Business to Business; una volta si diceva "rete d'impresa". Il concetto è sempre quello, far lavorare assieme persone, aziende e marchi. Quindi non stupiamoci dell'ovvio né indigniamoci per scelte affatto discutibili. Sono gli affari, baby.


domenica 27 settembre 2020

Essere o non essere (squadra): questo è il problema

 Buona la prima, per Treviso Basket. Pessimo debutto, per l'Aquila Trento. In sintesi, la partita di avvio della stagione regolare 2020/21 in un Palaverde trasformato in teatro dalle normative anti-Covid ha fornito indicazioni piuttosto chiare. Per praticità le riassumerò in punti progressivi.

1. CIRCOLAZIONE DI PALLA - Inutile nascondersi dietro un dito: oggi come ieri e prima ancora, vince chi riesce a muovere la sfera creando opportunità e sfruttando le falle nella difesa altrui o le distrazioni dei singoli. Nel primo tempo c'è riuscita Treviso che poi, a fronte di un'Aquila più cattiva e determinata nel pitturato, ha faticato a far circolare il pallone oltre le solite linee perimetrali. Nel confronto ai punti inteso come statistiche ma anche come impatto generale, il piccolo Russell ha surclassato il più stazzato Browne trovando invece un avversario più tosto nel veterano Forray. Non è un caso che la vittoria di TVB sia coincisa con gli sprazzi migliori del suo play titolare (9 assist, doppia-doppia sfiorata), così come non è un caso che Trento le cose migliori le abbia fatte con Ladurner sotto le plance al posto di un Williams sì funambolico in attacco ma disastroso dietro e condizionante negli equilibri.

2. SCELTE - Treviso vince nonostante un tremendo gap a rimbalzo (26-45, regalando 22 carambole offensive). In condizioni teoricamente normali, la differenza sotto le plance dovrebbe garantire un facile successo a chi può godere su 11 possessi offensivi in più, che diventano 5 se si conta il maggior numero di palle perse. Dunque, dove sta la verità? Forse nella scelta di Menetti di affidarsi nei momenti critici al quintetto mignon con Russell-Imbrò-Logan che in difesa è utile solo su anticipi sulle linee di passaggio o con raddoppi blitz. O forse nella sorprendente solidità di Matteo Chillo che dopo le deludenti prove di Supercoppa si riscatta sostituendo al meglio Akele nel quintetto che vale il risultato. Ma anche nella sopra accennata questione del centro in casa Dolomiti Energia: la gara dei trentini muta volto quando JaCorey Williams commette terzo e quarto fallo in un amen - e chissà cosa sarebbe accaduto se gli arbitri si fossero accorti del suo quinto invece di sanzionare Forray, lesto ad alzare il braccio autoaccusandosi di qualcosa che non gli apparteneva. Ladurner non avrà mai la combinazione di atipicità e dinamismo dello statunitense ma sta dimostrando una mentalità da Serie A mantenendo la necessaria concentrazione per limitare brutti clienti (primo della serie, Mekowulu). Le statistiche confermano: con il prodotto locale in post basso, Trento è a +7, con Forray in regia arriva addirittura ad un teorico +9, mentre Williams vale un -11 e Browne addirittura -14; sul fronte opposto, il numero di Chillo non è il 15 di maglia ma il 9: come i punti fatti, il bottino di valutazione e soprattutto la voce positiva di Plus/Minus (miglior dato di squadra).

3. ASSENZE (VERE O PRESUNTE) - Lo stucchevole giochino del "se fosse..." può trovare un nuovo episodio per gli amanti del genere. Cosa sarebbe successo se Trento invece di dover spremere Sanders e Martin avesse potuto evitare che Morgan si facesse male al ginocchio nell'allenamento di rifinitura? Cosa avremmo visto in campo se il piede di Luke Maye fosse stato sano? E cosa sarebbe Treviso se al posto di Cheese ci fosse un esterno meno triste e più utile? Non lo sapremo mai. Intanto però possiamo dire che la Dolomiti Energia ha un assoluto bisogno di un 4 solido e perimetrale per variare il gioco in avvicinamento di Pascolo e Williams - e Mezzanotte, ahilui, non è quel tipo di giocatore vista la recente involuzione mentale ancor prima che tecnica; che tra Sanders e Browne si rischia l'autoscontro di neuroni e di finte incomprensibili, quindi un esterno in più che difenda e non lasci troppo solo Martin sarebbe necessario; che persino il vituperato Uglietti potrebbe dare molto di più del rookie statunitense di TVB che dopo un paio di cosette buone in Supercoppa è tornato così anonimo da far rimpiangere Cooke e DeCosey.

4. PROSPETTIVE - Calendario alla mano, la vittoria è un'ottima notizia per Treviso che ora è attesa da due partite proibitive e da una trasferta ad alto rischio. Iniziare con un ko casalingo con la prospettiva di collezionare sconfitte a Milano e Brindisi oltre che in casa con Brescia non sarebbe stata certo una bella notizia. Con i primi due punti di stagione Menetti può stare un po' più tranquillo ben sapendo che le sfide da vincere a tutti i costi nei prossimi due mesi saranno il 25 ottobre (in casa con Cantù), il 1° novembre (con Reggio Emilia) e il 15 novembre (con Cremona). Discorso diverso per i bianconeri che tra due giorni inizieranno la stagione europea in Turchia: il doppio confronto con un roster monco e con i problemi sopra descritti potrebbe rivelarsi deleterio in termini di dispersione delle energie e di quadratura della tattica di squadra. Oggi Treviso è un team con dei difetti ma che riesce a sopperire puntando sulle capacità custodite dal roster; al contrario Trento è una bella collezione di potenzialità con poche menti lucide e troppi egoisti e la differenza si nota.


Passiamo alle pagelle:

-DeWayne Russell VOTO 8: dimentichiamoci pure le difficoltà delle prime tre partite di Supercoppa, ché se il vero play scelto da TVB (con contratto biennale, tra l'altro) è questo, c'è da essere più che soddisfatti. Ottima lettura delle situazioni, tanto coraggio al tiro, fastidioso per gli avversari in difesa.

-David Logan VOTO 7: lo si conosce ormai. Sarà pure in fase calante, accuserà pure dei passaggi a vuoto in cui potrebbe credere di fare tutto da solo al di fuori degli schemi, ma le sue responsabilità se le prende. Anche a costo di sbagliare, vedi tiro libero fallito nel finale che fa correre qualche brivido lungo la schiena.

-Tyler Cheese VOTO 4: come il numero di maglia. Triste, anonimo, inutile, insapore. Nel pomeriggio chi scrive era in giuria aurea a Caseus Veneti e nemmeno tra i vari tavoli dei prodotti caseari presenti c'era qualcosa di così inespressivo da lasciare tanto delusi. Dovrebbe essere un valore aggiunto, per ora è più deludente di una specie di Galbanino affumicato.

-Giovanni Vildera VOTO 4,5: ne azzecca poche. Ma proprio poche poche. Buttato nella mischia dopo pochissimo a causa di due falli precoci di Mekowulu, non fa granché per farsi notare positivamente. Soliti blocchi aggiustati in attacco, solite difficoltà a rimbalzo offensivo. 

-Matteo Imbrò VOTO 8: una semplice annotazione, basta non farlo giocare play. Da guardia l'empedoclino è una sentenza (4/4 al tiro da 3, mica bruscolini) e ha l'indubbio merito di non nascondersi quando la gara pare scivolare in direzione Trento. Chissà, forse in Serie A c'è davvero spazio anche per lui.

-Matteo Chillo 7,5: sbaglia solo una tripla piedi a terra, quella che avrebbe chiuso la gara con un minuto di anticipo. Per il resto offre una solidità inaspettata in retroguardia facendosi preferire ad Akele nella rimonta finale.

-Christian Mekowulu VOTO 6: potrebbe fare molto di più anche se contro Ladurner fatica a trovare spazi e palloni giocabili. La voglia non gli manca e soprattutto non si deprime se non riesce sempre a giocare come vorrebbe.

-Jeffrey Carroll VOTO 6: si presenta carico e scoppiettante sul fronte offensivo però in difesa fa pochino e contro Martin non sa trovare contromisure a rimbalzo. Menetti così lo mette a sedere preferendo la fanteria leggera.

-Nicola Akele VOTO 6: stesse cifre di Chillo ma troppe difficoltà nella gestione dei falli e nel confronto con le ali trentine. Vale lo stesso discorso fatto per Carroll, in presenza di alternative valide resta a guardare dalla panchina.

-Max Menetti VOTO 6,5: partita a più volti, prima agevole poi in salita. La risolvono il 50% al tiro da 3, arma determinante ancor più dell'anno scorso per le sorti di squadra, ed una maggiore solidità mentale prima che tecnica di Russell, Imbrò e Chillo. 


-Kelvin Martin VOTO 7: non ancora al top della forma, mostra ugualmente ciò di cui è capace. Cioè appoggi, incursioni, rimbalzi. E quella tripla che quasi riapre i giochi a pochi secondi dal gong. Chissà cosa potrà fare quando sarà a posto fisicamente.

-Davide Pascolo VOTO 5,5: oscurato da Williams che gli occupa spazi e gli sottrae opportunità, trova una ragione d'essere a fianco di Ladurner. Poi ripiomba nell'anonimato e si fa preferire Mezzanotte che però non ne azzecca una.

-Luca Conti VOTO 6: utile in copertura su Imbrò quando il siciliano è chiamato a fungere da play, spuntato in attacco dove si prende un solo tiro, sbagliandolo.

-Gary Browne VOTO 5,5: la solita scarica offensiva del terzo quarto in mezzo ad una regia confusa ed a scelte spesso rivedibili. Nota positiva i 7 rimbalzi catturati che però non può far archiviare il -14 di Plus/Minus.

-Andrés Forray VOTO 7: in quintetto per l'assenza di Morgan, è probabilmente il più ordinato tra le guardie della Dolomiti Energia e già questo pare un paradosso. Incomprensibile il fatto che veda le ultime azioni dalla panchina lasciando spazio a colleghi molto meno attenti.

-Victor Sanders VOTO 5: meriterebbe l'etichetta di "uomo finta". Non palleggia ma balla il samba cercando di intontire l'avversario: mossa che può funzionare una prima volta, poi diventa prevedibile e che si traduce in 4 palle perse e relativi contropiede regalati.

-Andrea Mezzanotte VOTO 4: che gli è successo? Dicono che abbia lavorato sodo per irrobustire la massa muscolare ma quello che si vede ciondolare in campo pare il gemello scarso ed indolente del ragazzo che solo due anni fa pareva destinato ad essere materiale da Nazionale maggiore. In 16 minuti, due palle perse e due airball dall'arco.

-JaCorey Williams VOTO 5,5: la combinazione tra gambe reattive, muscoli e istinto non si insegna. La disciplina invece sì ed in questo il centro dell'Aquila difetta parecchio. Non è un caso che la squadra patisca col suo pivot statunitense in campo e che giri a meraviglia quando al suo posto giostrano elementi meno dotati fisicamente ma più propensi al gioco di squadra.

-Maximilian Ladurner VOTO 7: pivot classico, di quelli che sembravano destinati ad un futuro da fossile nei musei. Ruvido, essenziale, presente: bei tagliafuori, tanto movimento sotto, puntuale nel prendere rimbalzi e nello sfruttare gli scarichi vicino a canestro. Un consiglio per Trento: dategli fiducia e minutaggio.

-Nicola Brienza VOTO 5: nel momento migliore della sua squadra propiziato da un quintetto quasi obbligato per i falli di Williams, non corregge gli errori già evidenti e commette lo sbaglio assoluto di richiamare in campo il suo centro titolare, a sedere da un quarto d'ora. La frittata è fatta. Una domanda: di chi è la colpa della paurosa involuzione di Mezzanotte?

lunedì 21 settembre 2020

Cosa resterà...

 ...di questa maxi Supercoppa?

Prendo spunto da una vecchia canzone di successo di Raf per una riflessione sui contenuti emersi dall'inutile torneo di preseason voluto da LBA per ravvivare l'interesse nei confronti della pallacanestro dopo la pausa per il lockdown. Una manifestazione, diciamolo pure, di dubbio valore tecnico e con tutte le stigmate delle amichevoli precampionato, pur con una patina di inutile ufficialità. Fosse almeno stata una novità assoluta si sarebbe potuto giustificare il tutto con la voglia di fare qualcosa di diverso. Invece no, perché una Supercoppa comprendente tutte le squadre di Serie A si era già vista esattamente venti anni fa. Correva l'anno 2000, si era agli sgoccioli della compresenza tra A1 ed A2 e qualcuno pensò che un evento estivo di grande portata potesse non solo dare pubblicità al movimento ma aiutare le squadre a rodare i meccanismi.

Come andò lo sanno tutti. Per chi ha la memoria corta, ad emergere dalle qualificazioni furono le due Virtus, Bologna e Roma, mentre Fortitudo e Treviso (menomate dalle assenze estive azzurre) erano già in possesso del pass delle semifinali in quanto detentrici rispettivamente di scudetto e coccarda. Nel deserto di quella bruttura architettonica del PalaMensSana di Siena vinse la Virtus inattesa, quella capitolina, con Jerome Allen protagonista: un successo che avrebbe contribuito da lì a poco a convincere l'ingegner Toti a prendere le redini del club ma che rimase gioia isolata in un ventennio avarissimo di soddisfazioni con solo tre finali disputate (tutte ovviamente perse). Per gli amanti della cabala - e non della Qabbalah - potrebbe essere curioso il parallelo con il presente, con Milano che vince il trofeo contro la Vu Nera invertendo teoricamente le gerarchie dell'anno scorso. I tifosi meneghini sono autorizzati a sfoderare l'arsenale di scongiuri ed esorcismi al fine di sperare che questa Supercoppa in formato fin troppo allargato non sia foriera di illusioni come avvenne per Er Proggggetto der Ciglione

I virtussini, scottati dal ko casalingo e pure da qualche errore qua e là nelle qualificazioni, possono sicuramente ambire ad un ruolo di contender. Tornando a vent'anni fa fu necessario attendere il derby di dicembre, quello del Grande Freddo, per poter affermare con certezza che sì, quella Virtus era davvero un mostro inarrestabile. Sulla sua panchina sedeva il Prode Ettore, ormai consacrato tra i grandi allenatori, ed in campo la prematura decisione di ritirarsi di Danilovic e la positività all'antidoping di Sconochini furono due inattese benedizioni che permisero di varare il backcourt più forte mai visto in Italia con Jaric-Rigaudeau-Ginobili. E pure la Fortitudo ci mise del proprio spendendo follie per prendere Meneghin jr. quasi obbligando i cugini a ripiegare su Jaric, scaricato dalla metà biancoblu di Felsina e scivolato al secondo giro del Draft.

Il tempo avrebbe detto che quella Virtus, imbattibile o quasi sul parquet, aveva i piedi d'argilla a causa di un proprietario megalomane e poco avvezzo alla cura dei bilanci di casa propria. Col senno di poi, forse la malinconia di Rashard "Miglio Verde" Griffith era solo un presagio di quel che sarebbe avvenuto. Oggi la Virtus è nelle salde mani di Massimo Zanetti, l'uomo della tazzina che da quando ha rilevato la società dopo l'ingloriosa discesa in A2 ha improntato un progetto ambizioso. I soldi ci sono e sono dannatamente tanti e veri, i progetti sono reali, l'allenatore non sarà il santone Messina ma è un fascio di nervi ed una massa di cervice come Sasha Djordjevic. La squadra è nuovamente costruita sul canovaccio della Serbia con il duo Teodosic-Markovic a prendersi la scena e teoricamente dispone di più alternative rispetto alla passata annata. Manca ancora qualcosina in termini di pieno rodaggio ma col passare delle settimane questa Segafredo non potrà far altro che crescere.

Milano dopo due anni di bastonate assortite ha riaperto la bacheca con la pallida latta della LBA. Un successo che fa morale e che dovrebbe nel breve periodo far dimenticare i tantissimi errori commessi in precedenza, non solo sul mercato. Certo, sbagliando si impara, ed a questo punto c'è da domandarsi se Davide Moretti non abbia capito di aver fatto un errore terribile ad accettare non tanto il contrattone meneghino ma la prospettiva di far parte del roster attivo dei biancorossi. Per migliorare ed accumulare la necessaria esperienza è fondamentale giocare e - ça va sans dire - sbagliare a profusione, senza che il supremo interesse di un risultato di club tarpi le ali ad un giovane. Invece finora Davide si è visto pochino, con un ruolo marginale, richiamato in panca ai primi errori. Nel biennio trevigiano l'ottimo Stefano Pillastrini gli concedeva spazio anche a costo di qualche sbaglio da matita blu purché crescesse: Pilla pagò quella scelta con lo 0-2 iniziale nei quarti playoff del 2017 contro la Fortitudo ma ciò contribuì alla maturazione del ragazzo. Resto convinto che il miglior modo per una società di investire nei giovani sia spedirli in prestito dove possano davvero aver minutaggio senza troppe preoccupazioni di classifica: sono curioso quindi di capire cosa farà in stagione Giordano Bortolani, già star a Biella in A2 ed ora chiamato al grande salto col prestito annuale a Brescia. Temo però che la politica cannibale di Milano che è già costata cara in chiave azzurra - ricordate i passaggi a vuoto di Fontecchio, Della Valle, Pascolo, Abass? - non preveda granché di buono.

Dietro le due big ci sono le solite due pretendenti al ruolo di sorpresa. Cioè Venezia, sempre più vecchia e legata al tiro da 3 oltre che alle lune di Stone e Daye, e la pazza Sassari di Pozzecco. "Squadra che vince non si cambia", hanno pensato in laguna: invece di far tesoro di quanto avvenuto lo scorso inverno con tutti i segnali d'allarme raccolti - Stone che fa una fesseria casalinga e diventa ingestibile, Daye primadonna senza freni, Bramos sempre più macchinoso e prevedibile, De Raffaele che senza la zona 3-2 fatica a far quadrare la difesa - si è preferito continuare con lo stesso identico gruppo, giubilando il solo Udanoh per inserire un Fotu più utile in post basso in Italia e pareggiando il conto degli italiani firmando D'Ercole che già faticava nella natia Pistoia e che ora più dello sparring partner in allenamento non è in grado di fare. Sassari invece ha cambiato molto, più per esigenze altrui che per reale convinzione. Tillman è la nuova attrazione principale della Dinamo in cui la cabina di regia italiana è ormai consolidata. Il cardinal Sardara, fallita l'operazione Torino, è riuscito a strappare la follia della bolla di Olbia in un resort già tacciato di essere un potenziale focolaio di infezione: potenza della politica sarda o semplice paraculaggine?

Poi vengono tutte le altre. C'è la Fortitudo di Meo Sacchetti che sta faticando non poco a trovare la quadra; c'è Reggio Emilia che forse ha fatto un affare con Antimo Martino ma che pecca ancora di ingenuità; c'è Cantù che è un cantiere aperto in cui i giovani come Pecchia e Procida avranno spazio nella corsa alla salvezza; c'è Trento che finora sopravvive sull'esperienza dello zoccolo duro in attesa che i nuovi americani capiscano come approcciare mentalmente il campionato italiano; c'è Cremona che sul fronte societario si è salvata quasi in extremis e ha costruito la squadra puntando molto sulla dimensione statunitense; c'è Varese che, caso più unico che raro, ha esonerato l'head coach in preseason affidandosi ad un debuttante di carattere; c'è Trieste che ha costruito un gruppo dinamico e decisamente adatto al gioco di Dalmasson ma che richiede uno stato di forma eccellente per rendere al massimo; c'è Pesaro che dopo le ristrettezze passate ha speso soldi veri su giocatori e tecnico di assoluto pedigree, sperando che bastino; c'è Brescia che con la nuova proprietà aspira ad un futuro da grande e che scommette sulla continuità tecnica di Esposito; c'è Brindisi che ha salutato di malavoglia gli americani che l'avevano portata in alto e che ora spera di non doverli rimpiangere; c'è Roma che è la prima candidata a retrocedere ma che è più attenta ad un'altra partita, quella fuori dal campo, per il futuro della società.

E c'è Treviso. Che ha iniziato male la Supercoppa e si è riscattata strada facendo, anche per demeriti altrui. Una Treviso costruita in economia, che ha perso per strada nomi di peso in campo ed anche ottimi ed entusiasti professionisti fuori dal campo. Una Treviso ancora aggrappata al talento di David Logan e che spera che quanto fatto possa bastare per evitare la discesa al piano di sotto, salutato con giubilo appena 15 mesi fa. Nel mezzo, per tutte o quasi, vige l'incertezza sulla presenza di pubblico, una voce che incide tra il 25 ed il 40% per i bilanci dei club. L'impossibilità di far cassa in estate tramite gli abbonamenti si sta traducendo nei primi mal di pancia autunnali, appena appena mitigati dalla prima timida apertura governativa. Certo, non saranno 700 spettatori a partita (quanti paganti, tolti sponsor e accrediti?) a salvare i conti della maggior parte delle società, ma è già qualcosa. L'obiettivo affatto nascosto è di graduale crescita per arrivare ad almeno 2mila persone a palazzo di media entro Natale per poi recuperare una parvenza di normalità nel girone di ritorno. Basterà a salvare il basket italiano nell'anno dei dubbi esistenziali?

sabato 5 settembre 2020

ANTICIPI, TRANSIZIONE E TIRO DA 3: IL SEGRETO DI PULCINELLA

 Zero a tre. A guardare i freddi numeri, la Supercoppa di Treviso Basket è da tragedia. Tre partite, tre sconfitte, due con scarti in doppia cifra. Che il torneo prestagionale inventato da LBA servisse giusto a calibrare la situazione di formazioni in gran parte nuove o profondamente rimaneggiate era cosa risaputa. Che TVB abbia scommesso pesantemente in costruzione della squadra su pochi elementi di talento completando il contorno con giocatori non di categoria era altrettanto lapalissiano. Ma non si era mai vista una squadra, seppur in precampionato, perdere nel modo in cui la Menetti Band ha regalato referto rosa e prima soddisfazione ad una Dolomiti Energia ostaggio delle lune delle sue guardie americane.



Partiamo da una considerazione semplice. Dopo un avvio disastroso, la De' Longhi pare trovare la quadra in una maniera elementare. Si pronuncia aggressività, si traduce in lavoro sporco sulle linee di passaggio: a suon di anticipi e transizione primaria o secondaria, TVB costruisce il suo vantaggio. Ma con un dettaglio fondamentale, cioè la percentuale ridicola al tiro da 3 di Trento che nel primo tempo tira sassate al ferro - 1/15 cioè 6,7%, neanche nei peggiori campi UISP o CSI nelle fredde serate di gennaio. Per poter sperare di esprimere una difesa efficace sulla palla senza ricorrere alla zona vera e propria è necessario sì che esterni e lunghi siano pronti ad intervenire in ogni momento leggendo le situazioni ma anche che, di fronte alla difficoltà di servire in area o negli angoli ali e centri, le guardie avversarie non riescano ad inquadrare il canestro da lontano.

Fino a quando le percentuali dall'arco dell'Aquila sono rimaste bassissime, tutto bene. Quando un certo Gary Browne, passaporto portoricano e passato da giramondo dei parquet, ha avvertito la possibilità di invertire il trend sparando con fiducia dai 6,75m e prendendosi falli e gite in lunetta, la musica è cambiata. Ed in quel frangente sono emersi i soliti difetti, ormai acclarati. Perché non serve avere un veterano come sesto uomo se a dispetto della nomea di tiratore si esibisce in un tiro al piccione persino su ripetute occasioni; perché è inutile insistere con un rookie che in difesa abbocca alle finte e che riesce a far qualcosa in attacco solo prendendo a spallate in penetrazione gli avversari; perché un play di 1,80m con le scarpe e che pesa (forse) 70 chili apre varchi in difesa se la sua unica opzione è tentare l'anticipo; perché se dietro la coppia di lunghi titolare c'è solo un onesto mestierante da A2 ed un volenteroso giovane (Chillo assente per dolore alle costole), ai primi problemi di falli in area gli avversari possono banchettare.

A girare la partita alla fine sono stati i tiri liberi, una vera e propria valanga, e l'8/9 da 3 di Trento nella ripresa. Sì, 8/9, cioè l'88% abbondante: neanche giocando alla Playstation. E dire che alla Dolomiti Energia mancavano anche un paio di americani piuttosto interessanti, altrimenti chissà cosa sarebbe successo. Ci si potrebbe forse consolare col fatto che ormai Mekowulu è una garanzia o che Akele sta dimostrando solidità nei due ruoli di ala. Troppo poco. L'obiettivo di questa De' Longhi è uno solo, la salvezza, un traguardo che oggi risulta assai arduo da raggiungere. Tolta l'incompleta ed assai malmessa Roma e forse le indebolite Cremona e Cantù c'è ben poco da stare allegri o sereni. A proposito di serenità, chissà se qualcuno ha raccontato a Max Menetti che un allenatore energico quanto lui, perfezionista come lui, sanguigno come lui ma meno religioso è stato licenziato nelle scorse ore, in piena preseason, per una divergenza di vedute con un veteranissimo fortemente cercato e voluto in sede di mercato. Cos'hanno in comune Luis Alberto Scola Balvoa e David Logan? Sono entrambi dei senatori, entrambi all'ultima stagione agonistica della propria carriera, entrambi con un ruolo di cambio di lusso in squadre da salvezza, entrambi con un ingaggio pesante. L'argentino ha fatto saltare la panchina di Caja, lo statunitense di passaporto polacco è da due anni e mezzo il talismano dello scaramantico tecnico reggiano. Funzionerà ancora?

PAGELLE: 

00# Russell - Quando segna i primi punti della sua squadra qualcuno deve aver dato un'occhiata al meteo per domattina per verificare non si arrivino nevicate in pianura o solleone da 30 gradi all'ombra sulle Dolomiti. La non-difesa su Browne nella ripresa e le solite transizioni verticali senza costrutto fanno tirare un sospiro di sollievo per le condizioni meteorologiche delle prossime 24 ore. VOTO 5,5

1# Logan - La foto della sua partita: metà terzo quarto, 46-55, recupera su Morgan e si arresta sull'arco per il tiro... SDENG! Rimbalzo miracoloso di Russell, di nuovo Logan in penetrazione per una lacrima fuori misura... altro rimbalzo offensivo, palla persa, contropiede rapido di Morgan che fa canestro e fallo. Da un veterano con quello stipendio ci si attende altro. VOTO 5

4# Cheese - Qualcosina fa, bisogna dargliene atto. La sorte lo assiste anche in un paio di occasioni in cui lancia la sfera verso il canestro e l'alitata divina fa il suo dovere premiandolo con due punti. Dovrebbe essere un collante difensivo ma continua ad abboccare alle finte come un ragazzino delle superiori e da ala piccola è semplicemente impresentabile. VOTO 5

8#Vildera - Lo ripetiamo, in A2 è un ottimo centro di complemento, ma in Serie A pare la copia barbuta di Lechthaler. Con la differenza che quest'ultimo per la sua squadra è il quinto-sesto lungo, utile solo per gli allenamenti, non un giocatore di rotazione. VOTO 5

9# Bartoli - La vera nota lieta della serata. Si impegna in difesa, recupera un pallone, segna nel pitturato. Meriterebbe anche un fischio amico quando Pascolo, scippato della sfera, lo atterra tenendolo per la spalla sinistra, ma la differenza di pedigree si nota subito. VOTO 6,5

12# Imbrò - Quando entra in campo al posto di un Russell fin troppo casinista si avvia il parziale di 20-0 della De' Longhi a cavallo della prima sirena. Una casualità? Purtroppo però non può né deve essere lui il play o la guardia titolare di questa squadra. VOTO 6

21# Mekowulu - Il tiro da 3 sugli scarichi sta diventando una piacevole costante che costringerà le difese a rispettarlo. Teoricamente questo dettaglio dovrebbe aprire l'area alle penetrazioni degli esterni ed al lavoro delle ali ma finora tutto ciò si è visto assai di rado. Il nigeriano resta la sorpresa positiva di questo precampionato ma continua a soffrire di solitudine là sotto. VOTO 6,5

30# Carroll - Finalmente in quintetto, forse più per l'assenza di Chillo che per reali condizioni fisiche, pare la copia americana del famoso Loris Batacchi: lo Spatolatore Folle più che fare colpo sulle ragazze rifà il bordo del ferro del palasport tridentino ammaccandolo da più posizioni. E non solo quando l'asfissiante marcatura avversaria lo costringe a tiri impossibili. VOTO 5,5

45# Akele - Esce per falli dopo aver provato in ogni modo ad aprirsi la via verso il canestro. Necessita ovviamente di essere servito nelle posizioni migliori per poter essere continuo ed efficace, altrimenti il montebellunese soffre. Gioca alla pari contro Pascolo e questo basta a regalargli la sufficienza. VOTO 6

Coach Menetti - Non si riesce a capire se i tagli backdoor siano scomparsi dal suo playbook in nome di una curiosa rinuncia tattica o se i suoi giocatori non abbiano capito come sfruttare appieno i raddoppi difensivi avversari facendo circolare la palla e liberando lo spazio con Akele e Mekowulu che si aprono ai 6 metri. La sua difesa si regge solo sull'anticipo, poi è notte fonda. Ok, oggi Roma è più debole e Cremona e Cantù paiono affatto irresistibili ma basterà per salvarsi? VOTO 5