domenica 26 novembre 2023

Mi sono rotto il c**zo di 'sti gin tonic!

Il sommo Toni Servillo mi scuserà se prendo a prestito le parole di uno dei personaggi da lui interpretato (il neomelodico Tony Pisapia, una sorta di Franco Califano in salsa partenopea) per descrivere il mio stato d'animo. No, non ce l'ho con una consorte che non ha comprato i lime occorrenti per una caipirinha da realizzare in casa - tra l'altro io preferisco altri tipi di cocktail, dal Vesper Martini al White Russian. Piuttosto ho le metaforiche tasche alquanto piene di giustificazioni, scuse, non-gioco, disastri sportivi. In una domenica in cui finalmente l'Italia del tennis ritrova il massimo splendore con una Coppa Davis da godere, in cui l'Italia dei motori festeggia il bis del binomio Pecco Bagnaia-Ducati, la nota stonata è la solita Nutribullet che perde. E perde male, restando l'unica squadra di un campionato nazionale professionistico a quota zero punti dopo nove turni.

L'avevo detto e lo ribadisco: sì, la squadra costruita in estate aveva e ha dei problemi. La regia, tanto per cominciare, per proseguire con la difesa. Pensare di risolvere tutto dopo una sola partita dall'arrivo dei rinforzi, entrambi bisognosi di recuperare il ritmo-gara, è pura utopia. Però qualcosa di diverso me lo sarei aspettato. Non tanto da Scoop Robinson, che si è presentato con una discreta pancetta, o da Osvaldas Olisevicius che comunque è stato il meno peggio dei suoi. Avrei voluto una reazione finalmente positiva, propositiva ed assennata da parte di chi sinora è rimasto al riparo dalle critiche dello staff tecnico. Mi riferisco a quel D'Angelo Harrison che è sempre troppo croce e ben poca delizia di TvB. Tolti i primi minuti di partita, l'ex Brindisi è tornato quello di sempre. Ossia un solista che gioca in un modo solo, in isolamento, senza coinvolgere nessuno. Nulla di meglio ha saputo fare Ky Bowman, altro fedele scudiero di Frank Vitucci, che si è esibito nel solito tiro contro il mondo ed i cui unici lampi sono costituiti dalle stoppate in recupero. Ed anche l'allenatore ha dimostrato di non percepire fino in fondo i problemi di una formazione che almeno in parte ha costruito e che palesemente non esegue i suoi dettami.

Harrison, pagato carissimo, doveva essere l'elemento imprevedibile ma con il compito di infondere fiducia e tranquillità. Al contrario, il giocatore sa solo trasmettere nervosismo, specie quando non ce n'è bisogno. Quando la palla non gira, il tiro non entra, i giochi non riescono, l'ultima cosa di cui si abbia bisogno è una guardia nervosetta che litiga con avversari ed arbitri. Credete sia una caso che a Pesaro l'unica effimera rimonta (dal -22 sino al -10) sia avvenuta con la presunta stella a sedere? Io no. Così come non dimentico che in quel quintetto da smallball c'era Olisevicius da 4, unica mossa interessante della serata, con Faggian cui è stata data licenza di utilizzare il fisico e Zanelli da manovratore. Questi sono gli elementi da cui Treviso deve ripartire. Assieme ad un Paulicap che è tornato in doppia-doppia grazie soprattutto ai passaggi in post che Olisevicius gli ha recapitato - Young quando riceveva il pallone tirava e basta. Come dicevo, sarà anche un caso ma il lituano, il mottense, l'italo-argentino ed il pivot di origini haitiane sono gli unici elementi ad essersi salvati nel marasma generale della Vitrifrigo Arena.

Il resto? Da mani nei capelli, per chi li ha. Detto di Harrison e di Bowman, non si può dire che gli altri abbiano fatto qualcosa di buono. Robinson è imballato, ancora deve digerire alcuni schemi (e forse pure il tacchino del Ringraziamento) oltre a dare una registrata al mirino. Camara pecca sempre di ingenuità, per quanto si sbatta. Mezzanotte dopo la prestazione-monstre contro Napoli è tornato nell'anonimato, sintomo di un malessere di squadra per l'assenza di risultato. E Allen? Prima del colpo fortuito alla bocca rimediato da Mazzola, era già un fantasma. Pensato come equilibratore di una squadra con tanti (troppi) tiratori, ora che quel ruolo è stato preso da Olisevicius l'americano è divenuto inutile. 

E poi c'è Frank. Che chiede scusa, ammette gli errori, dice che tutti sono incazzati e che ci si dovrebbe vergognare. Giusto, ha ragione e ci mette la faccia. Ma mi chiedo a questo punto chi abbia scelto o avallato gli acquisti in estate di Booker, di Young, di Allen oltre all'operazione di trapianto brindisino che da mesi dà segnali di crisi da rigetto. Forse il primo errore è lì, pensare che le ottime annate brindisine fossero replicabili o che certi risultati fossero frutto di un consolidamento. In Puglia, dove poche ore fa hanno colto il primo successo in campionato della stagione (e contro la Virtus...), hanno aperto gli occhi: quelli vissuti in precedenza sono stati anni irripetibili, frutto di varie congiunzioni fortunate e di scelte felici ed a volte fortunose. Brindisi, come Treviso, è partita commettendo errori marchiani: Vito Catozzo Corbani non era un allenatore su cui puntare, JaJuan Johnson non è un 5, Mitchell non andava bene, Morris non è adatto ad un certo tipo di gioco. Per invertire una tendenza pericolosissima, Brindisi ha compiuto il primo avvicendamento da quasi un mese. E lo ha fatto in panchina. Brutto a dirsi, ma se una squadra non segue l'allenatore, ci sono poche soluzioni per risolvere il problema.

Sfogliando gli almanacchi più recenti si trovano due partenze peggiori di TvB in Serie A. Pesaro nel 2019-2020 vinse la prima partita al 18° turno ossia ad inizio del girone di ritorno. Quella Vuelle era condannata a scendere, poi arrivò il Covid e si salvò per annullamento della stagione. Nel 2014-15 Caserta impiegò quindici giornate per cogliere il primo successo, masticando e sputando giocatori ed allenatori. Quella Juve, comunque già sulla strada per il tracollo finanziario, fece miracoli nel ritorno ed arrivò a giocarsi la salvezza nello spareggio di Pesaro. Perso ma neutralizzato dopo qualche settimana dalla decisione di Roma di autoretrocedersi. Entrambe le formazioni citate voltarono pagina dopo dei cambi in panchina: i marchigiani richiamando il santone Giancarlo Sacco, i campani scommettendo su Enzino Esposito. Con questo non voglio mettere sulla graticola gratuitamente Frank Vitucci, ma mi rendo conto che se la squadra costruita da lui e da Giofrè non rende, significa che occorre essere più radicali nelle scelte. Occorre coraggio assieme ad un bel po' di pelo sullo stomaco. Si sono giubilati giustamente Booker e Young, il primo per immaturità ed il secondo per inadeguatezza comportamentale oltre che tecnica. Se l'attuale tandem tecnico intende evitare una retrocessione in A2 che costerebbe carissimo a Treviso Basket, è giunto il momento di tagliare i ponti col passato brindisino smettendo di credere che un Harrison o un Bowman possa fare pentole e coperchi. Testa bassa, gambe piegate, sudore, fatica, anche smadonnamenti come insegnerebbe il buon Matteo Maestrello: chi non ci sta, chi crede di poter fare la star o di godere di privilegi, può prendere il primo aereo e tornarsene a casa. Se retrocessione dev'essere, che almeno abbia un significato. Come ho già scritto un mesetto fa, preferisco vedere in campo un Faggian con tutti i suoi limiti: prendere qualche botta e qualche tranvata in faccia gli farà bene, lo aiuterà a maturare, invece di fungere da decimo in rotazione con poco spazio ed ancor meno considerazione.

Ed ora vi saluto con la cosa che ho più cara al mondo: la notte. Se volete, fatevi una caipirinha ripensando al basket bello, quello di qualità, quello in cui si difendeva anche duro e sporco, quello con meno americani e più anima, quello che non abusava del tiro da 3 e che viveva di tattica raffinata. Io mi ritiro in buon ordine riascoltando la voce roca di Tony Pisapia che ci ricorda una cosa semplice ma verissima. Ancor di più in questo Paese delle assurdità, della violenza e delle esagerazioni che promette e non mantiene, che illude e poi delude. La lezione è questa: "La vita è 'na strunzata!"


domenica 19 novembre 2023

Non ho voglia di parlare di basket...

...eppure devo farlo. Non avrei voglia di scrivere di basket, ma è parte del mio mestiere, quindi lo faccio. Ma in questo spazio che gestisco in autonomia posso anche divagare, quindi per una volta lasciate che spenda qualche parola sull'ultima follia di questa società marcia, di questo mondo ignobile, di questa umanità così disumana da non riuscire a recuperare un briciolo di dignità per correggere la rotta. Da sabato pomeriggio non riesco a non pensare a Giulia Cecchettin, la studentessa uccisa da un soggetto mosso da un sentimento malato e da una concezione sbagliata tanto dell'individuo quanto dei rapporti interpersonali. Da sabato pomeriggio non riesco a non pensare a quante Giulia abbiamo visto nelle pagine di cronaca nera, a quanti episodi crudi e disgustosi di disumanità mascherata da visioni disturbate di ciò che dovrebbe essere amore ma è ben altro. Da sabato pomeriggio non riesco a non pensare al fatto che Giulia avrebbe potuto essere una sorella, una cugina, l'amica d'infanzia, la vicina di casa, la figlia di conoscenti, una collega o semplicemente una ragazza del mio quartiere incrociata migliaia di volte. Non riesco a togliermi questo pensiero dalla testa. Assieme ad un altro: "potevo fare qualcosa?"

Quel senso di impotenza, di frustrazione, di vuoto interiore che mi assale, leggendo di un epilogo già scritto eppure che ho rifiutato per giorni anche solo di immaginare, mi accompagna da più di 24 ore. E se il mio mestiere è spesso ingrato nella sua indelicatezza, occorre dire che qualche colpa va attribuita anche a noi, esponenti del mondo dell'informazione. Perché non dovremmo solo veicolare le notizie ma far sì, almeno in questi casi, che una tragedia non debba vivere repliche continue, sempre più brutte, sempre più ignobili, sempre più sconfortanti. Oltre a trasmettere ciò che sappiamo, dovremmo comunicare dei valori o almeno stimolare un dibattito utile a far crescere la società. Invece troppo spesso abbiamo scelto di ridurci a stenografi, raccogliendo quel che ci viene detto o fornito senza un minimo di senso critico. Ed è questa la peggiore sconfitta della mia categoria, condannata poi ad un supplizio tantalico: dover pubblicare a cadenze quasi fisse la stessa notizia, terrificante, che cambia solo nelle generalità della vittima e dei suoi aguzzini.

In un weekend del genere, spero quindi che mi perdonerete se ho poca voglia di parlare di pallacanestro. Per cui quel poco che ho da dire lo condenserò in tre punti schematici:

  1. Nel gioco della pallacanestro si agisce di squadra, tanto in attacco quanto in difesa. Quindi assemblare un gruppo di solisti che comprende elementi in fase nettamente calante di carriera, egoisti, gente abituata a pensare a segnare prima di costruire qualcosa non è esattamente il miglior viatico per ottenere qualcosa di buono. Napoli ha rotazioni ridotte (gioca in 7-8) ma ha scelto la qualità oltre ad un sistema di gioco che sappia variare in corso d'opera. Merito della presenza contemporanea di tre o addirittura quattro trattatori di palla sul parquet. Il tanto vituperato e fischiato Sokolowski ha dimostrato la sua utilità anche stasera, assieme ad un Zubcic chirurgico nei momenti chiave e ad un Pullen che migliora col tempo. Al contrario Treviso continua ad essere tutto fuorché una squadra di pallacanestro. Le cose migliori si sono viste con Zanelli in regia e con Mezzanotte da finto centro. Non è un caso che, in un'epoca di esasperazione dettata dal tiro da 3, a far la differenza sia la capacità di far circolare la sfera, tanto contro la difesa a zona quanto contro quella a uomo. In uno scenario del genere dovrebbe essere chiaro che non si possono ottenere grandi percentuali affidandosi agli uno contro il mondo di questa o quella guardia. E che è meglio inserire un passatore in più a scapito di un (presunto) realizzatore.
  2. Di recente Dino Meneghin ha affermato che, se avesse un desiderio cestistico da esprimere, tornerebbe indietro nel tempo per accettare la proposta degli Atlanta Hawks che lo selezionarono al Draft 1970 (con l'improbabile nome Dean Mengham, vabbè...) per provare a convincere il management della franchigia di poter giocare nella NBA dell'epoca. Posto che non ci credo nemmeno sotto tortura e che lo stesso Meneghin una quindicina d'anni fa disse il contrario, ossia che rifiutò di approfondire la cosa per paura di essere considerato professionista e dunque straniero in un periodo storico in cui lo sport italiano era dilettantistico al 100%, io al posto della Portaerei avrei chiesto altro. Ad esempio l'abolizione dello stramaledetto tiro da 3 che, come detto prima, ha snaturato lo spirito del gioco trasformando questo sport in una sorta di tiro al piccione in versione atletica. Trent'anni fa si tirava molto di meno dall'arco e si impostava molta più tattica, senza che i punteggi delle partite ne risentissero granché o che lo spettacolo fosse inferiore alle attese. Poi si è deciso di cambiare qualcosa, i 24 secondi, i quattro quarti al posto dei due tempi, l'area di nuova dimensione, l'arco allontanato di mezzo metro, pensando che queste modifiche potessero apportare dei benefici. Ebbene, a me sembra che la qualità sia crollata e che le poche squadre che davvero giocano qualcosa di simile al basket siano delle meravigliose mosche bianche. 
  3. Con tre mesi e mezzo di ritardo in casa TvB ci si è accorti che il cosiddetto play titolare mette in ritmo i compagni solo a folate episodiche - e dire che il deficit era parso evidente già a settembre... - e che la cosiddetta ala piccola titolare è stata sputata dalla NBA perché a fronte di mezzi tecnici notevoli non ha mentalità né continuità, oltre a non voler difendere nemmeno sotto tortura. Così si è corsi ai ripari. Nei prossimi giorni è previsto l'arrivo dei rinforzi ossia Scoop Robinson, che rispetto a Booker dovrebbe dare un po' di ordine e non solo di spinta, e Osvaldas Olisevicius che si spera sia in buona forma oltre che disponibile, visto che Milano ha pensato bene di tentare Langston Galloway. Se Reggio deciderà di mollare la presa sul lituano, può darsi che a Pesaro domenica prossima si veda una Nutribullet diversa, meno farfallona dietro e più concreta nella costruzione del gioco. Intanto il tassametro corre, lo score recita 0-8 e le possibilità di chiudere il girone d'andata con meno vittorie della passata stagione (che furono 5 su 15) è sempre più concreto.

domenica 5 novembre 2023

No play, no party, no game, no victory

Odio dire "ve l'avevo detto". Odio ancor di più riscontrare la fondatezza delle mie convinzioni. Chi mi conosce di persona sa quanto preferirei essere smentito anche nettamente, piuttosto di dover incassare la classica ragione che non raddrizza un torto né un errore marchiano. Così quando un mese e mezzo fa confidavo i miei timori per la cabina di regia della Nutribullet, acuiti da un precampionato in cui la circolazione di palla e la costruzione dei giochi mi avevano fatto inarcare ambo le sopracciglia, speravo in cuor mio di aver preso il metaforico e classico granchio. Che non è quello blu di cui non si parla più, assodato che l'opinione pubblica ormai è presa da ben altri argomenti di distrazione tra il ciuffo dell'ex First (play)Boy, le promesse elettorali puntualmente rimangiate e risputate, il maltempo che torna a far danni, le chiacchiere sul presidenzialismo e la spaventosa crisi in Medio Oriente - quest'ultimo, il più serio tra i temi di discussione quotidiana.

Non avevo preso alcun granchio nel retino. Quindi mi devo accontentare di un baccalà riscaldato per cena, cercando di dimenticare le ultime prestazioni da incubo di Deishuan Booker, il play meno play mai visto in maglia TvB dai tempi di Maalik Wayns. Con un distinguo: Wayns era fisicamente all'ammazzacaffè persino in un campionato meno fisico e rapido come l'A2, Max Menetti lo scelse incurante delle informazioni negative che piovevano sul suo conto (persino da parte dell'agente del giocatore, pensate voi!) e tirò un enorme sospiro di sollievo quando l'americano capì di aver oltrepassato la data di scadenza salutando la compagnia di propria volontà. La storia racconta poi di un mese e mezzo difficile con la pesca miracolosa di David Logan che cambiò radicalmente una stagione di grandi aspettative che virava verso il peggio. Ma a volte serve anche una botta del posteriore invocato dal Gran Maestro dell'Ufficio Raccomandazioni Conte Diego Catellani - sì, quello della partita a stecca - per salvare capra, cavoli, faccia e reputazione.

Il guaio di questa nuova TvB, assemblata in estate con propositi neanche nascosti di playoff e desolatamente ultima con zero vittorie dopo sei turni, è forse l'aver commesso un errore similare. Booker non ha le articolazioni distrutte ed il fisico appesantito di Wayns (per i chili in eccesso, preoccupava molto di più James Young che però si è dato una bella raddrizzata); piuttosto ha una testa perennemente scollegata, alla ricerca della giocata ad effetto o dell'eccessiva rapidità a scapito degli interessi di squadra. E da quando Ky Bowman è stato eletto dalla malasorte a candidato numero uno della stagione 2023-24, il problema è divenuto evidente a chiunque. Nel derby è stata la somma tra il tecnico per flopping e l'antisportivo sacrosanto a sbattere fuori Booker con mezza partita da giocare, invertendo una tendenza fin lì favorevole ai suoi colori; a Reggio Emilia, senza play di scorta, l'americano ha pensato bene di protestare contro una terna dal tecnico facile per farsi riaccomodare in panca con 5 minuti da giocare ed una partita ancora in discussione; contro Scafati, giocando con la testa sul ceppo della ghigliottina, non ci sono state espulsioni o uscite per falli ma la consueta amnesia difensiva, l'abituale non-regia, l'inevitabile gioco a sfavore dei compagni ed a favore degli avversari.

Lo ha ammesso lo stesso Frank Vitucci, il guaio è lì. E se Pauly Paulicap è scomparso dal radar è anche a causa di ciò che sta accadendo in cabina di regia: il piccolo, leggero ma dinamico pivot ha bisogno come l'ossigeno di palloni giocabili rapidi in post basso per potersi far valere contro avversari mediamente più grossi e/o più alti di lui; se però la palla sotto non arriva mai, se il play ferma l'azione come il peggior Lionel Chalmers degli incubi di Mahmuti, se il gioco da dinamico diventa statico ed affidato agli uno contro il mondo di Harrison o alla sagra del tiro al piccione, ci sono solo due speranze di poter vincere. La prima passa per percentuali incredibili da lontano, così da aprire la scatola difensiva e mandare in tilt ogni marcatura; la seconda richiede un suicidio collettivo dell'altra formazione in campo. Contro Scafati era sciocco pensare che la seconda ipotesi si concretizzasse, stante l'intelligenza di Robinson, Strelnieks, Logan e Pinkins. Finché Young ha potuto martellare da lontano un minimo di vantaggio si è visto, tuttavia sono bastate 3 palle perse in due minuti (dopo che nei primi due quarti se ne erano perse altrettante in totale) per rimettere in partita la Givova e regalare l'ennesima amarezza al Palaverde.

Cosa fare? Vitucci ha iniziato ad ammettere delle responsabilità: d'altronde la scelta di Booker è stata sua e del DS Giofrè. Gli errori capitano a tutti, ci mancherebbe. Non è la prima volta per il duo che già un paio d'anni fa sbagliò a scegliere Josh Perkins come sostituto dell'ottimo Darius Thompson - una scelta che condannò Brindisi ad un campionato di retrovia dopo anni di vacche grasse. Booker, lo hanno capito tutti, è una tassa troppo alta da pagare: non fa girare la palla, non mette in ritmo i lunghi né gli esterni, non difende, soffre la pressione, si fa turlupinare da ogni avversario smaliziato. Non è l'unico guaio di questa Nutribullet ma è sicuramente quello più evidente e drammatico, ché senza regia non si può andare lontano né si può pensare di chiedere a Zanelli di sciropparsi 30 minuti restando lucido e con fiato in corpo. La volontà di affidarsi al 6+6 utilizzando quasi tutti i visti a disposizione riduce il margine di manovra sul mercato americano, quindi se taglio di Booker dev'essere è bene trovare un'alternativa di spessore. Ossia un play vero, ragionatore, che sappia spingere la transizione così come giocare a metà campo, che difenda non solo sulla palla, che non costringa a continui adeguamenti e che non si faccia soffiare la palla a metà campo.

Poi ci sarebbe la questione Harrison. Un giocatore che soffre la situazione, che dal precampionato denota segnali di nervosismo, che non infonde al gruppo la tranquillità di cui avrebbe bisogno ma aggiunge frenesia all'assenza di regia. Non è questa la guardia che lo staff tecnico cercava in estate, almeno come identikit. Poi è comprensibile che la scelta di investire l'ingaggio più oneroso proprio sull'ex St. John's sia stata ponderata in base alla reciproca conoscenza nel triangolo tra giocatore, allenatore e direttore sportivo, ma i risultati sono molto al di sotto dello standard. C'è qualcosa che non va nel linguaggio del corpo di un elemento che, in un sistema già privo di cervello pensante, si incaponisce a cercare soluzioni che tre volte su quattro provocano l'adeguamento della difesa e non la riapertura degli spazi. Pensare di tagliare anche lui, ora come ora, è impensabile anche se è chiaro che, come è avvenuto per Young, la società si aspetta un cambiamento pure da Harrison. Magari un segnale positivo in tal senso potrebbe essere una piccola multa dopo il teatrino post partita - per due sorrisi di troppo Sokolowski venne crocifisso lo scorso gennaio, anticamera della fine di un rapporto logorato.

A proposito di Sokolowski. Con buona pace di chi lo ritiene un ingrato o un traditore, a Napoli il polacco ha ritrovato serenità, stabilità, ruolo e rendimento abituale. Merito di un sistema semplice ma efficace, con due guardie che si spartiscono la regia e di un 4 che apre l'area ed i giochi come Zubcic. E merito di Igor Milicic, l'allenatore della Polonia che fece gridare al miracolo l'anno scorso agli Europei e che ora guida la più bella squadra del campionato assieme alla Virtus di Banchi ed alla Trento di Galbiati. Sokolowski ritornerà al Palaverde domenica 19 novembre e prevedo che i soliti cervelloni lo accoglieranno a fischi e ululati di contestazione. Mi auguro e gli auguro di zittire simili personaggi con talento ed intelligenza, senza badare alle bassezze di pochi. A TvB intanto auguro di agire in fretta per risolvere il buco nero in regia. A costo di presentarsi a Bologna sabato con Zanelli e Torresani come unici play, dimostrando che nessuno ha il posto garantito e che non è scritto in nessun manuale che uno USA con la testa da un'altra parte debba giocare in forza del passaporto. Per referenze, chiedere a Quenton DeCosey che nel gennaio 2017 si sorbì tre quarti di un Fortitudo-Treviso da netta vittoria emiliana come spettatore non pagante, entrando nell'ultimo ininfluente quarto come segnale di una separazione già in corso. Perché spesso più che le parole sono i gesti a chiarire molte cose.