giovedì 4 aprile 2019

Gogna e controgogna

Sto assistendo allibito agli sviluppi della vicenda che vede protagonisti Selvaggia Lucarelli ed Andrea Rovatti. In sé, si tratta della classica lite via social che non meriterebbe più di due righe per descrivere la stupidità di un commento sessista. Ma gli strascichi della questione stanno varcando i confini del buonsenso ed a questo punto qualche riflessione credo sia utile.

Piccolo riassunto delle puntate precedenti. Selvaggia Lucarelli, blogger e giornalista pubblicista, ha polemizzato attraverso i propri canali social per un filmato della trasmissione televisiva "Le Iene" in cui i genitori di un ragazzo morto impiccato in seguito ad una tragica e stupida sfida appresa online accusavano la stessa Lucarelli: in un lungo post l'opinionista aveva rovesciato la responsabilità del fatto proprio sulla famiglia del giovane, la quale avrebbe raccontato una versione di comodo per giustificare un suicidio. La Lucarelli, come molti altri personaggi che mescolano informazione, spettacolo, divismo e influencing, ha deciso di scatenare l'ennesima tempesta nel web cui è seguita, immancabile, l'ondata di commenti tra lo sdegno, la solidarietà, il distacco, la polemica ed ovviamente l'insulto. In quest'ultimo ambito si è distinto - si fa per dire - Andrea Rovatti. Un ragazzo di 23 anni che gioca a basket in Serie A2 nell'unica squadra sarda del campionato. Rovatti esce dal seminato, non coglie la trappola imminente e nella discussione in Instagram utilizza un epiteto volgare e sessista per definire la Lucarelli. La quale in poco tempo risale all'identità dell'autore dell'offesa e lo sputtana urbi et orbi tirando in ballo persino la squadra per cui è tesserato, la Dinamo Lab Cagliari. La quale, vista la mala parata, multa e sospende il giocatore.

Fin qui la ricostruzione dei fatti. Ora mi concedo due riflessioni molto semplici.
La prima riguarda Andrea Rovatti. Che alla sua età dovrebbe pensare ad allenarsi duramente, magari organizzare il proprio futuro (anche extra basket, ché la carriera non è eterna) e poco altro. Se oggi Andrea Rovatti non comprende la stupidità di esprimere il suo eventuale dissenso nei social con un becero insulto, è un problema che riguarda il ragazzo e la sua famiglia che evidentemente non gli ha insegnato a comportarsi in maniera adeguata. Un rabbuffo è necessario, ci mancherebbe, ma a farlo dovrebbero essere mamma e papà Rovatti. Oppure c'è la via delle carte bollate, un sistema più severo e diffuso di tramandare il bon ton. Sono certo che una shitstorm su un 23enne e sul suo ignaro ed estraneo datore di lavoro non sia né una amorevole correzione né il succedaneo del sonoro ceffone di un genitore.

La seconda riguarda l'origine del problema. Selvaggia Lucarelli si è comportata da bullo di periferia. Chiede il consenso pubblico, si fa forte di una pletora di follower e parte all'attacco di chiunque non le vada a genio. Ma questa non è informazione e non è nemmeno un atteggiamento deontologicamente corretto. Si tratta solo di una cattiveria gratuita, una sorta di "colpiscine uno per educarne cento". Ma qui non c'è educazione, c'è solo un gioco al massacro. Perché alla fine della fiera restano il dolore di una famiglia per un ragazzo morto a 14 anni ed un 23enne che si vede additato al pubblico ludibrio in diretta mondiale e che rischia di perdere il lavoro oltre alla faccia. Una doppia gogna dunque, per Rovatti e per il club sardo che lo annovera tra i tesserati che, non sapendo come reagire all'improvvisa e sgradita notorietà, adotta l'unica soluzione d'emergenza prevista: sanzione pecuniaria ed esclusione.

Come concludere questa riflessione? Con cinque suggerimenti.
  • ad Andrea Rovatti: imparare dagli errori è utile... quindi meno social e più palestra; nel frattempo, due righe di scuse possono essere utili anche a riabilitare l'immagine personale
  • alla Dinamo Lab Cagliari: inutile assecondare la malvagità della rete, molto meglio riaffermare la propria estraneità ai fatti invitando la signora Lucarelli ad una partita per farle capire che la pallacanestro è sport e non pettegolezzo
  • agli utenti dei social: attenzione, Internet non è zona franca, non è l'osteria dove una stupidaggine detta in un momento di euforia alcolica viene derubricata e dimenticata all'istante; siate accorti ed usate il cervello quando digitate
  • a Selvaggia Lucarelli: "Dei delitti e delle pene", godibilissimo ed attualissimo pamphlet di Cesare Beccaria, utile per comprendere il principio di proporzionalità tra offesa e sanzione e per capire la stupidità della messa alla berlina; lo legga e lo rilegga
  • all'Ordine dei Giornalisti della Lombardia: una convocazione della Lucarelli, tornata da poco più di due mesi nell'Albo Pubblicisti, avanti alla Commissione Disciplinare per discutere del comportamento di un giornalista non solo nei suoi scritti credo sia d'uopo.



8 commenti:

  1. Domanda: ma ha letto l'articolo della Lucarelli o visto il servizio delle iene? il dubbio leggendo viene perché non condivido l'interpretazione dell'articolo in cui si pongono dubbi legittimi e si invita a fare attenzione - visto il rischio emulazione - a dare risalto con leggerezza a certi fenomeni.

    Ma quel che condivido meno di tutto è la ricerca - sempre presente - della giustificazione a fronte di certi comportamenti. rovatti ha sbagliato ma ..., o per fare un'altro esempio di attualità, i bu razzisti dei tifosi del cagliari sono da condannare ma...

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  2. Gentile sconosciuto lettore,

    noto che non ha compreso il nocciolo della questione. Gliela spiego in due parole: gogna mediatica.
    Vede, la messa alla berlina è una pratica medievale che è stata giustamente ritenuta sorpassata ed inutile, per non parlare della mancanza di umanità. Si parla qui di proporzionalità: ad una offesa si può reagire in tanti modi... ma quello scelto dalla Lucarelli è pessimo. Primo, perché lei da presunta paladina contro le ingiustizie reagisce ad un torto commettendone un altro; secondo, perché tira in ballo un soggetto terzo (Cagliari) che non ha responsabilità di quanto fatto da un proprio tesserato fuori dal campo ed in un momento di vita privata che esula da qualsiasi prestazione corrispettiva prevista dal contratto.
    Rovatti ha fatto una stupidaggine? Certo ed è giusto e logico che ne debba rispondere. Ma non al popolo della rete. Perché additare un utente al pubblico ludibrio si chiama cyberbullismo.
    La saluto

    F.B.

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  3. "Selvaggia Lucarelli, blogger e giornalista pubblicista, ha polemizzato attraverso i propri canali social per un filmato della trasmissione televisiva "Le Iene" in cui i genitori di un ragazzo morto impiccato in seguito ad una tragica e stupida sfida appresa online accusavano la stessa Lucarelli: in un lungo post l'opinionista aveva rovesciato la responsabilità del fatto proprio sulla famiglia del giovane, la quale avrebbe raccontato una versione di comodo per giustificare un suicidio. La Lucarelli, come molti altri personaggi che mescolano informazione, spettacolo, divismo e influencing, ha deciso di scatenare l'ennesima tempesta nel web cui è seguita, immancabile, l'ondata di commenti tra lo sdegno, la solidarietà, il distacco, la polemica ed ovviamente l'insulto."

    questo è il "ma" a cui mi riferivo.

    Sulla gogna mediatica pone invece un quesito che merita senz'altro una riflessione. Mi chiedo però quali strumenti ci siano per colpire gli haters del web e, nel bilanciamento degli interessi, se sia accettabile che chi si esponga pubblicamente con commenti di questo tipo possa essere ripagato con la stessa moneta.

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    1. Mi perdoni: non colgo alcun "ma" nel passaggio che lei ha ricopiato fedelmente. Si tratta di una mera ricostruzione dei fatti. Quanto ho scritto non mi pare funga da giustificazione o manleva per quanto accaduto nello specifico: è soltanto la presa d'atto della funzione logica tra causa ed effetto. Insomma, a tutti è giustamente riconosciuta la libertà di pensiero e di espressione, tuttavia non siamo nel Far West ove vince chi spara per primo. La Lucarelli, essendo giornalista, dovrebbe attenersi a determinate regole. Ed i suoi follower dovrebbero ricordare le norme basilari di comportamento.

      Ripagare qualcuno di un insulto con una offesa uguale e contraria è puerile e non porta a nulla. Avviare una campagna di cyberbullismo in risposta annulla le ragioni dell'offeso trasferendolo in automatico nel campo del torto. Esiste un Codice penale cui rivolgersi. In alternativa, i social dispongono di strumenti di tutela: segnalazione, censura, ban, restrizione della privacy di un post. Basta scegliere. Ma chi vuole lo spettacolo non credo intenda rinunciare alla possibilità di rovinare la reputazione ad altri. Persino a degli innocenti.
      La saluto

      F.B.

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  4. non è una ricostruzione dei fatti, è un'interpretazione di un articolo e di un personaggio che da una chiara connotazione alla sua autrice e, come ha "confessato", rappresenterebbe, secondo la "logica tra causa ed effetto", il motivo dell'insulto. Ma è proprio l'esistenza di un legame causa-effetto che non condivido e contesto. Non c'è nessun atto o fatto che possa porsi in termini di causa-effetto con insulti di quel tipo: questi comportamenti interrompono ogni nesso di causa e vanno valutati in sé e per sé, senza se e senza ma per l'appunto. é questo il passaggio che la nostra società, a mio avviso, stenta a fare.

    Quanto alla reazione - ossia mettere più in evidenza un commento che è già pubblico - comprendo e capisco la critica. Però le soluzioni alternative da Lei offerte sono, nella migliore delle ipotesi, ingenue. Gli attacchi che certi personaggi subiscono - la Lucarelli è una delle tante, Saviano vive situazioni simili pur essendo un profilo di maggior spessore - per intensità ed estensione non si combattono né con il codice penale né con gli strumenti di tutela messi a disposizione dai social.

    Forse quella della lucarelli non è la scelta giusta, ma a mio modesto avviso il cuore del problema non è la reazione della lucarelli bensì come ragazzi "a posto", aizzati da i soliti capibranco, si trasformino in soggetti non pensanti e dietro una tastiera e si sentano autorizzati a dire qualunque cosa.

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    1. Guardi, i fatti sono fatti. Crede davvero che, senza il post iniziale della Lucarelli in merito al suicidio, le Iene sarebbero ugualmente andate ad intervistare la famiglia di quel povero ragazzino? Io no.

      Quanto al resto, le ricordo che siamo in uno Stato di Diritto. Non esiste la giustizia fai-da-te. E nel finale del suo commento vedo che lei si concede un giudizio su presunti aizzatori e capibranco (chi sarebbero di grazia?) e fantomatiche derive della morale. Ebbene, le ribadisco che in uno Stato di Diritto esistono norme codificate di comportamento e soltanto quelle contano. E visto e considerato che in Italia vige il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, se lei è certo dell'identità di questo presunto complotto per far rimbecillire i giovani "a posto", non deve far altro che precipitarsi in Procura a depositare un esposto. Io, purtroppo, sono soltanto un giornalista e non ho facoltà di raccogliere notizie di reato.
      La saluto

      F.B.

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  5. spiace che per replicare abbia dovuto distorcere le mie parole (complotto?) e finga di non sapere che, sul tema, c'è un evidente vuoto normativo che mina l'operatività dello stato di diritto (segnalo che il nostro codice penale è stato scritto nel 1930 quando l'uso dei social forse non era ancora così diffuso).

    ad ogni modo, prendo atto che i commenti sono sgraditi e levo il disturbo.

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    1. I commenti sono graditi. Ma il fatto che le radici del nostro attuale Codice poggino sul vecchio Rocco degli anni '30 non significa che gli strumenti normativi siano desueti. Ed a prescindere dalla vetustà, "dura lex sed lex". Quindi se qualcuno intende tutelarsi può farlo benissimo farlo sfruttando ciò che esiste quanto a leggi. Non certo ricorrendo alla gogna mediatica.
      Saluti

      F.B.

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