lunedì 29 aprile 2019

Tanto tuonò che...

Torino è fuori da LBA. Un potenziale titolo ad effetto, forse un pelino fuorviante per l'uomo della strada abituato a leggere più le locandine dei quotidiani che un articolo circostanziato ed accompagnato da ragionamenti e dati. Quindi, spieghiamo: Auxilium Torino è stata esclusa dal consesso dei soci della Lega Basket Serie A. Il club gialloblu è stato espulso dall'associazione delle società partecipanti al massimo campionato nazionale di pallacanestro.

Attenzione: la squadra partecipa ancora regolarmente al campionato in corso. La cacciata della società da LBA non comporta certo l'immediata esclusione dalla competizione sportiva. Fino al termine della stagione regolare Torino scenderà in campo. Poi si aprirà una lunga parentesi punteggiata da interrogativi legati al futuro.

Non si può parlare di fulmine a ciel sereno. Se ne era parlato anche in questo blog qualche giorno fa quando giunse la notizia del presunto salvagente russo targato Dmitry e proveniente da Cipro. Più che un canotto di salvataggio a quasi tutti l'iniziativa di Gerasimenko è parsa la classica ciambella avvelenata: buona ed utile a saziare nell'immediato l'appetito, ma guasta e destinata da provocare una colica in breve tempo. O un'occlusione intestinale.

Consentire ad un personaggio quale il presunto magnate dell'acciaio di rientrare dalla finestra nella pallacanestro nostrana dopo i disastri combinati a Cantù era follia pura. Oppure la classica soluzione disperata di una dirigenza priva di alternative credibili. O ancora, il metodo ideale per chiudere una situazione debitoria pesantissima senza onorare i pregressi e scaricando il peso morto sulle spalle di un colpevole ideale.

Torino rischia grosso. E non solo a causa del latitante alloggiato sotto il Pentadattilo. L'espulsione da LBA apre il conto alla rovescia in casa Auxilium. Ci sono 31 giorni di tempo per rinnovare l'iscrizione a FIP (fattibile). Sono invece 47 (brutto numero per chi crede nella Smorfia) i giorni a disposizione per rientrare in LBA: per riuscirci però occorre un cambio al vertice, il subentro di uno o più soci che possano rilevare le quote di Gerasimenko che ad oggi è l'azionista di maggioranza con il 60%. Oppure una massiccia ricapitalizzazione che faccia scendere in maniera decisiva l'incidenza del russo, relegandolo in un angolo. Senza queste premesse, la Lega non consentirà mai all'Auxilium il reingresso. E senza il placet dell'assemblea dei club, FIP non potrà ratificare il diritto dei gialloblu a restare in A.

A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca. Massima non mia ma di quel volpone ciociaro che rispondeva al nome e cognome di Giulio Andreotti. Ebbene, la pedata nel deretano torinese è arrivata a stretto giro di posta dalle dichiarazioni di Bianchi e Petrucci di una decina di giorni fa, quando si sparse la voce riguardo un possibile ingresso di Gerasimenko nell'Auxilium. Che dunque ha costituito il pretesto ideale per togliere la seggiola sotto il sedere del club della Mole in una particolare riedizione del giochino musicale. Appena lo stereo ha iniziato a suonare "Kalinka", tutti hanno capito chi sarebbe rimasto in piedi, fregato. E puntualmente ecco l'esclusione, propedeutica ad una riduzione già auspicata ed invocata del numero di squadre in A.

L'espansione a 18 ancora non è realtà e già rischia di diventare a 17, dunque. Sempre che entro il prossimo luglio la ComTeC non muova qualche rilievo ad un'altra tra le realtà in bilico, annullando lo spettro di un campionato dispari - ultima volta nel 2011/12 con il pasticcio della wild card tra Teramo e Venezia. Sarà una primavera interessante, in attesa di un'estate calda, almeno sul fronte delle carte bollate.

mercoledì 24 aprile 2019

Insalata russa con sorpresa

Dal sole asciutto di Cipro all'umida Torino: cinque ore e mezza di volo, comode e con tutti i comfort. Il biglietto? Mezzo milione di euro, offre zio Dmitry. Non stupitevi, lettori del blog: ormai non c'è più nulla di autentico (Controllo, "La Talpa"), nemmeno la sincerità. Così Gerasimenko, disarcionato da Cantù ed inseguito da mandati di arresto per bancarotta ed appropriazione indebita, rientra in gioco con una robusta iniezione di denaro per la moribonda Auxilium in cambio di un sostanzioso pacchetto azionario.

Un vecchio collega insegnava che nel giornalismo le domande importanti sono due. La prima, perché introduce l'argomento. E la seconda, perché inchioda l'intervistato mendace, reticente o che pensa di poter addomesticare il suo interlocutore. In questa vicenda, gli interrogativi abbondano. Alcuni, almeno a me, paiono retorici, ma proverò ugualmente a seguire la regola aurea per fare un po' di chiarezza sulla vicenda che si sta sviluppando.

Partiamo dalla prima domanda. Perché cercare Gerasimenko? Facile supporre che il presunto magnate in esilio rappresenti l'unica ancora di salvataggio per quel Titanic di debiti che si chiama Torino. Con buona pace di chi si illudeva che la sponsorizzazione Fiat potesse essere la panacea di ogni male. Ciò significa che la situazione è disperata, che nessuno è disposto ad investire (recte: buttare) soldi nel buco nero gialloblu, che i bilanci sono affossati da passivi quasi insostenibili. Altrimenti per quale motivo in questi due mesi di appelli da parte dell'ambiente piemontese non ci sarebbero state risposte concrete, al di là della buona volontà di Terzolo di offrire il suo progetto giovanile a supporto? Il passivo dunque è importante ed è comprensibile che non ci sia interesse a ripianare. E qui entra in gioco l'alternativa del diavolo, i soldi di zio Dmitry. Che indubbiamente non si è stufato del giochino, visto che si è dichiarato disponibile a dare una mano. E che probabilmente ha ancora qualcosina da parte, dopo che in patria la magistratura gli ha fatto terra bruciata.

Allora passiamo alla seconda domanda. Cosa comporta Gerasimenko? Affidare buona parte del pacchetto societario ad un latitante con precedenti gestionali affatto edificanti proprio nel basket non sembra certo un'idea da cavalcare. In fondo, Gerasimenko fa rima con la chiusura del Krasnji Oktjabr' Volgograd, spolpato sino all'osso, e con la crisi prolungata di Cantù, risolta in extremis da un gruppo di imprenditori locali quando la pietra tombale stava per calare definitivamente. Non un bel biglietto da visita. A Torino zio Dmitry avrebbe chiesto il posto di general manager ed anche questo è un dettaglio che dovrebbe far riflettere: quella poltrona garantisce ampia discrezionalità ed enorme margine di manovra in ogni ambito, non solo agonistico ma prima di tutto finanziario.

Ma sopra ogni cosa ci sono Mamma FIP e Zia LBA. Vale a dire due entità che per ora si limitano ad osservare ma che sono pronte ad intervenire con una sola finalità: tagliare il ramo secco. Non è un mistero che Federazione e Lega muoiano dalla voglia di cancellare in tutta fretta l'espansione a 18 richiesta a gran voce per tre anni da LNP ed alla fine ingoiata a viva forza da tutti, club di Serie A in primis. Una sparizione farebbe comodo per accelerare i tempi. E fornirebbe pure il pretesto per spulciare altri conti di soggetti a rischio - Trieste? Avellino? La neopromossa Roma che rischia di essere azzoppata dalle vicende personali di patron Toti? - e sfoltire ulteriormente la rosa delle partecipanti al prossimo massimo campionato, senza abbandonarsi a ripescaggi. Da 18 a 16 in un battito di ciglia. O in una seduta di Consiglio Federale, chiamato a deliberare l'ammissione ai prossimi campionati e che potrebbe con le giuste motivazioni escludere qualche avente diritto. E qui, spiace dirlo, Torino può davvero tremare: il faro resta acceso, Dmitry o non Dmitry. Parola di Giannino er laziale.

L'insalata russa che si sta apparecchiando rischia davvero di essere indigesta. Proprio quando pareva spuntare un raggio di sole, con l'idea di trasformare il titolo sportivo delle società dilettantistiche in un asset cedibile a terzi senza costringere l'acquirente a farsi carico dei debiti. La maionese montata sotto la Mole potrebbe nascondere insidie tossiche per LBA e per il movimento, rovinando l'appetito dei tifosi e chiudendo lo stomaco degli investitori. Mentre l'unica riforma davvero necessaria, quella della Legge 91, resta ancora un'utopia invocata da alcuni e disattesa dai più che si accontentano dei lustrini di una Serie A che fatica comunque a decollare e che attende il ritorno delle piazze tradizionali come un Messia che distribuisca pani e pesci. Chi si accontenta gode, dicono. Evidentemente c'è chi riesce a saziarsi anche con poche briciole.

giovedì 18 aprile 2019

Dentro l'uovo di Pasqua...

...un bel Time Out.
Confesso di aver letto con gusto ed attenzione il libro di Flavio Tranquillo dedicato alla vicenda della Mens Sana Siena. Arguto, attento, ricco di materiali: quasi un reportage. Già prevedo gli strali dei tifosi senesi, affatto teneri nei confronti di Tranquillo che era già "il nemico" ai tempi di Tele+ e Sky e che è diventato ancor più antipatico in Toscana dopo che ha iniziato a prendere le distanze dal sistema-Siena denunciandone le storture - nonostante un pagamento in nero a suo favore per una occasionale presentazione nel 2004, peccato confessato in autonomia e che non può certo né deve sminuirne l'onestà professionale.

Ma Tranquillo non ha scritto nulla di inventato. E non ha nascosto nulla. Anzi, ho trovato avvincente il suo tomo proprio perché non si è limitato al lato sportivo. Ha approfondito con dovizia di particolari il lato finanziario della torbida vicenda, non risparmiando nulla e nessuno. Forse qua e là ha ecceduto - il velato coinvolgimento della massoneria mi è parso davvero esagerato, nonostante l'inchiesta abbia lambito Stefano Bisi - ma credo l'abbia fatto con pieno spirito investigativo.

Cosa emerge? Prima di tutto, un cumulo di macerie. Non solo quelle della Siena cestistica, affaristica, sociale. Il basket italiano è stato torturato da tre lustri di cura-Minucci: un periodo in cui si è cristallizzata la situazione per favorire una piccola realtà di provincia, uccidendo la concorrenza, anestetizzando il movimento, demolendo le alleanze che sino a quel momento avevano lavorato per il bene comune. Se nei 15 anni di ascesa e caduta della dittatura mensanina non si sono registrate spinte propulsive di rinnovamento ma solo una mediocrità affatto aurea a contorno di un solo protagonista, c'è ben poco da negare. La colpa è di chi ha permesso che ciò avvenisse, a vari livelli.

Diceva bene Giorgio Buzzavo nelle interviste che mi ha concesso negli anni scorsi. Con buona pace dei soliti tifosi che si nascondono dietro scudetti meritati sul campo ma figli di una gestione truffaldina. L'allarme era suonato più volte ma nessuno l'aveva voluto ascoltare. Ci si è beati di lustrini fasulli a riverberare un successo effimero e molto relativo, dimenticando che, mentre le mani dei soliti noti si spellavano ad applaudire il gioco spumeggiante e cannibale della squadra di Pianigiani ed i presunti successi manageriali di Minucci, i vivai continuavano a vegetare, gli sponsor fuggivano, i proprietari mollavano il colpo, i palasport diventavano rapidamente obsoleti, il prodotto-basket peggiorava sino a diventare invendibile.

Poi, allo scoppiare del bubbone, via allo scaricabarile. Con l'ex divinità Minucci trasfigurata in ladro. Da idolatria ad iconoclastia, come bene ha scritto Tranquillo. Ma l'origine del male non sono certo i 5 milioni e spiccioli drenati dall'ex dirigente e dai suoi sodali in una decina d'anni. Per un club che nello stesso periodo ha movimentato oltre 130 milioni di euro, l'eventuale cresta compiuta da un manager e dai suoi complici nel sistema di fatturazioni fantasma e di finanza creativa sono soltanto un peccatuccio veniale.

Il vero problema, quello negato dai più a Siena ma comprensibile da molti altri altrove, risiede nelle modalità di gestione di un club che aveva un solo, vero polmone finanziario: la banca, Babbo Monte, il soggetto che aveva neutralizzato i debiti della vecchia gestione e che dopo un lungo corteggiamento aveva deciso di intervenire in prima persona sostenendo la qualità della vita del cittadino senese medio così come già faceva elargendo fondi a Università, ospedale, associazioni, Palio.

Vincere costa. Ed in Italia costa anche di più, a causa di un sistema fiscale penalizzante per lo sport professionistico. Rispettare le regole è difficile, bypassarle richiede creatività ma espone a rischi. Ed è esattamente quel che è accaduto a Siena. Lo affermano gli inquirenti, lo ribadisce Tranquillo. Carte alla mano, nessuna invenzione. Il metodo Minucci serviva a questo: inventarsi modi alternativi per ingaggiare grandi campioni senza pagare il dovuto a Erario e ENPALS (oggi INPS).

Porto una testimonianza diretta, giusto a sgombrare il campo dai dubbi. Gennaio 2012, cena informale con Claudio Coldebella ed alcuni colleghi della stampa casertana. Si parla anche di soldi: la Benetton Basket sta per chiudere i battenti, Enzo Lefebre sta battendo ogni strada per trovare nuovi finanziatori, la squadra è stata fatta con pochi spiccioli ed appena poche settimane prima si è sacrificato il futuro di Ale Gentile per acquistare due giocatori, averne un terzo già pagato da Milano e confermare l'unico contratto oneroso in scadenza. "Che volete che vi dica? - disse il dirigente castellano - Ditemi voi come si fa a competere in condizioni normali con chi propone un biennale a David Andersen da 3 milioni. Uno dichiarato e due in nero". Avessi pubblicato quelle parole all'epoca, Claudio ed io avremmo ricevuto una corposa querela. Ma era verità assoluta, come si sarebbe visto appena pochi mesi dopo quando Banca MPS tirò i remi in barca e costrinse Minucci a piazzare al Fener il suo pivot australiano con annesso contrattone fuori mercato.

Oggi sappiamo che in quella storiaccia tipicamente italiana c'era di tutto. Restano ancora le chiacchiere malevole ma mai provate sui rapporti con gli arbitri italiani dell'epoca, sussurri e maldicenze. Poi ci sono le certezze, anche se smentite dal Minucci stesso. Come nel caso Lorbek, quando l'ex dirigente con candore oggi afferma di un de relato di Diego Pastori che lui si sarebbe premurato soltanto di riferire al presidente di Lega Enrico Prandi. Peccato che alla stazione dei Carabinieri di Casalecchio di Reno non si sia presentato né Pastori né Prandi per sporgere la denuncia da cui partì l'indagine (archiviata un anno e mezzo dopo) per presunta frode sportiva. E peccato che non fu né Pastori né Prandi ad introdurre l'argomento nella riunione di Lega post Coppa Italia. Fu soltanto uno dei tanti episodi di destrutturazione del sistema basket italiano operato da un manager che voleva tiranneggiare, forte di un supporto finanziario che credeva eterno e del relativo potere, anche politico. Ma tutto ha una fine. Ed a volte la fine è ingloriosa.

giovedì 4 aprile 2019

Gogna e controgogna

Sto assistendo allibito agli sviluppi della vicenda che vede protagonisti Selvaggia Lucarelli ed Andrea Rovatti. In sé, si tratta della classica lite via social che non meriterebbe più di due righe per descrivere la stupidità di un commento sessista. Ma gli strascichi della questione stanno varcando i confini del buonsenso ed a questo punto qualche riflessione credo sia utile.

Piccolo riassunto delle puntate precedenti. Selvaggia Lucarelli, blogger e giornalista pubblicista, ha polemizzato attraverso i propri canali social per un filmato della trasmissione televisiva "Le Iene" in cui i genitori di un ragazzo morto impiccato in seguito ad una tragica e stupida sfida appresa online accusavano la stessa Lucarelli: in un lungo post l'opinionista aveva rovesciato la responsabilità del fatto proprio sulla famiglia del giovane, la quale avrebbe raccontato una versione di comodo per giustificare un suicidio. La Lucarelli, come molti altri personaggi che mescolano informazione, spettacolo, divismo e influencing, ha deciso di scatenare l'ennesima tempesta nel web cui è seguita, immancabile, l'ondata di commenti tra lo sdegno, la solidarietà, il distacco, la polemica ed ovviamente l'insulto. In quest'ultimo ambito si è distinto - si fa per dire - Andrea Rovatti. Un ragazzo di 23 anni che gioca a basket in Serie A2 nell'unica squadra sarda del campionato. Rovatti esce dal seminato, non coglie la trappola imminente e nella discussione in Instagram utilizza un epiteto volgare e sessista per definire la Lucarelli. La quale in poco tempo risale all'identità dell'autore dell'offesa e lo sputtana urbi et orbi tirando in ballo persino la squadra per cui è tesserato, la Dinamo Lab Cagliari. La quale, vista la mala parata, multa e sospende il giocatore.

Fin qui la ricostruzione dei fatti. Ora mi concedo due riflessioni molto semplici.
La prima riguarda Andrea Rovatti. Che alla sua età dovrebbe pensare ad allenarsi duramente, magari organizzare il proprio futuro (anche extra basket, ché la carriera non è eterna) e poco altro. Se oggi Andrea Rovatti non comprende la stupidità di esprimere il suo eventuale dissenso nei social con un becero insulto, è un problema che riguarda il ragazzo e la sua famiglia che evidentemente non gli ha insegnato a comportarsi in maniera adeguata. Un rabbuffo è necessario, ci mancherebbe, ma a farlo dovrebbero essere mamma e papà Rovatti. Oppure c'è la via delle carte bollate, un sistema più severo e diffuso di tramandare il bon ton. Sono certo che una shitstorm su un 23enne e sul suo ignaro ed estraneo datore di lavoro non sia né una amorevole correzione né il succedaneo del sonoro ceffone di un genitore.

La seconda riguarda l'origine del problema. Selvaggia Lucarelli si è comportata da bullo di periferia. Chiede il consenso pubblico, si fa forte di una pletora di follower e parte all'attacco di chiunque non le vada a genio. Ma questa non è informazione e non è nemmeno un atteggiamento deontologicamente corretto. Si tratta solo di una cattiveria gratuita, una sorta di "colpiscine uno per educarne cento". Ma qui non c'è educazione, c'è solo un gioco al massacro. Perché alla fine della fiera restano il dolore di una famiglia per un ragazzo morto a 14 anni ed un 23enne che si vede additato al pubblico ludibrio in diretta mondiale e che rischia di perdere il lavoro oltre alla faccia. Una doppia gogna dunque, per Rovatti e per il club sardo che lo annovera tra i tesserati che, non sapendo come reagire all'improvvisa e sgradita notorietà, adotta l'unica soluzione d'emergenza prevista: sanzione pecuniaria ed esclusione.

Come concludere questa riflessione? Con cinque suggerimenti.
  • ad Andrea Rovatti: imparare dagli errori è utile... quindi meno social e più palestra; nel frattempo, due righe di scuse possono essere utili anche a riabilitare l'immagine personale
  • alla Dinamo Lab Cagliari: inutile assecondare la malvagità della rete, molto meglio riaffermare la propria estraneità ai fatti invitando la signora Lucarelli ad una partita per farle capire che la pallacanestro è sport e non pettegolezzo
  • agli utenti dei social: attenzione, Internet non è zona franca, non è l'osteria dove una stupidaggine detta in un momento di euforia alcolica viene derubricata e dimenticata all'istante; siate accorti ed usate il cervello quando digitate
  • a Selvaggia Lucarelli: "Dei delitti e delle pene", godibilissimo ed attualissimo pamphlet di Cesare Beccaria, utile per comprendere il principio di proporzionalità tra offesa e sanzione e per capire la stupidità della messa alla berlina; lo legga e lo rilegga
  • all'Ordine dei Giornalisti della Lombardia: una convocazione della Lucarelli, tornata da poco più di due mesi nell'Albo Pubblicisti, avanti alla Commissione Disciplinare per discutere del comportamento di un giornalista non solo nei suoi scritti credo sia d'uopo.



martedì 2 aprile 2019

L'ottimismo è il profumo della vita

Ghiacci senior non si chiama Gianni ma Mario. Non ha le physique du rôle del compianto Tonino Guerra e ha un carattere che ricorda Lucianino Perozzi: vede tutto, nota tutto, scrive tutto e non sorride mai. Però ha un pregio innegabile: è una persona pragmatica. Non si concede voli pindarici e preferisce da dura realtà a prospettive sognanti. Lo ha dimostrato anche ieri quando con disincanto ha pronunciato parole dure, taglienti, che potrebbero far male: "Se non ci saranno i presupposti economici, cederemo il diritto di Serie A e ripartiremo dall'A2". Come dire, meglio abbassare le pretese che morire. D'altronde nel giro di una settimana Trieste conoscerà qualcosa del proprio futuro. Con Scavone ospite del contribuente al bagno penale (che non è una località termale) e lo sponsor-proprietario Alma che oggi garantisce il 60% del budget e che domani potrebbe uscire definitivamente di scena, la scelta è tra l'azzardo di sedersi al tavolo verde bluffando o dimostrarsi seri e concreti e pianificare una differente strategia.

Posto che il cosiddetto scambio di titoli in realtà è un qualcosa di più complesso - teoricamente la FIP non ammette la possibilità, nella pratica occorre spostare di sede due società accettando di ereditare tanto asset (parametri NAS) quanto oneri (le situazioni debitorie sono sempre accompagnate da rischi) - ebbene chi potrebbe essere interessato dalla prospettiva? Osservando l'A2, dopo la conquista matematica della Fortitudo della promozione restano in lizza ad Est due robuste pretendenti ed una contender concreta ma meno attrezzata. E non è escluso che una tra le deluse dei prossimi playoff possa interessarsi della prospettiva adombrata da Ghiacci. Perché sarà impossibile accontentare tutte, tra Treviso, Verona ed Udine. Una salirà, due resteranno al palo.

Chi ha scommesso pesantemente, inutile nasconderlo, sono le due venete che con ingaggi di peso nel mercato di riparazione di gennaio-febbraio hanno colmato alcune lacune e si sono potenziati con giocatori di sostanza e di personalità, senza badare a spese. Questo è il vero ossimoro del momento: svenarsi finanziariamente per arricchire la squadra e tentare il tutto per tutto nella lotteria dei playoff, con il minimo comun denominatore di una esperienza notevole del nuovo faro della squadra. TVB ha puntato su Logan, la Scaligera ha scelto Vujacic: due guardie con trascorsi da play, due tiratori, due uomini da spogliatoio. Più basso, smaliziato e tiratore l'americano di passaporto polacco; più fisico e versatile lo sloveno. C'è già chi pregusta un'eventuale finale tra De' Longhi e Tezenis: come ai bei tempi della Coppa Italia 1994, Raf Addison contro il povero Hi Fly Williams, o della semifinale scudetto 1997, con il predicatore di Indianapolis in biancoverde ad affrontare il suo passato e l'estro di Mike Iuzzolino.

Poi c'è Udine. Camaleontica, contraddittoria, forse anche impaziente. Afflitta da difetti atavici in vari ruoli, con la regia affidata stabilmente al promettente Penna (davvero nessuno si è informato su Spanghero prima di ingaggiarlo come presunto play?) ed una pletora di mangiapalloni nel reparto ali. Eppure è ambiziosa l'Apu che ha cambiato pelle passando da Cavina al Martello Martelossi, prendendo Cavallo Pazzo Amici e scoprendo strada facendo che Ciccio Pellegrino sarà anche morbido in difesa ma sul fronte opposto può far male a chiunque. Una scheggia impazzita. E non è detto che incrociarla ai playoff sia un bene.

Sono queste le reali aspiranti alla promozione. Poi ci sono le altre, dal guazzabuglio forlivese alle coraggiose occidentali Bergamo e Orlandina, fino a Montegranaro. Che sì, è terza ad Est e per un po' è sembrata alternativa credibile allo strapotere Fortitudo. Ma la Poderosa non è così radicata sul territorio e non possiede oggi la solidità per poter davvero effettuare il salto di categoria, né sul campo né con acquisto o scambio di titoli. Poi con un pizzico di ottimismo si può sempre provare a sognare. Salvo riaprire gli occhi all'improvviso e scoprire che la realtà è ben differente.