domenica 29 novembre 2020

Il lupo perde il pelo...

Niente da fare: gli insegnamenti morali dei proverbi trovano puntualmente conferma. L'ultima di queste, in ordine di tempo, giunge dalle aule di giustizia dove Ferdinando Minucci, ex potentissimo padrone della fu Mens Sana Basket, ha raccontato la sua versione dei fatti in merito a quello che giustamente è stato definito come il più grande e grave scandalo in un secolo di pallacanestro italica. 

Cos'ha ribadito Minucci davanti ai giudici? Di aver agito in stato di necessità taroccando la contabilità per competere con mecenati che avevano capacità di spesa superiori alla sua Siena. Di aver comprato ed utilizzato una testata giornalistica internet perché agisse da megafono personale. Di non essersi arricchito a scapito della decotta società sportiva. Cicero pro domo sua. Ma andò davvero così? Proviamo un'analisi punto per punto.

  • Dice Minucci: "Ho utilizzato fatture sovrastimate, è stato un errore e sono pronto a pagarne le conseguenze. Lo abbiamo fatto per poter competere con altre società che avevano alle spalle i mecenati: la Mens Sana aveva un capitale sociale basso e la proprietà non era disposta ad aumentarlo. Lo so, non è una giustificazione. Ci tengo a precisare che non mi sono mai arricchito personalmente". Se analizziamo il lungo interregno del manager a capo della società sportiva si può anche credere a tale ricostruzione, ad una piccola Siena che vuole confrontarsi con i Goliath del basket italiano ed europeo senza disporre di coperture straordinarie. Ma la scalata al successo della Mens Sana parte vent'anni fa quando lo stesso Minucci convince Monte dei Paschi ad assumere un ruolo di primo piano con una sponsorizzazione diretta dopo anni di appoggio esterno (ricordate le sponsorhip "Ducato" o "Fontanafredda"?). Da quel momento il club non insegue più gli americani a poco prezzo o gli scarti altrui ma compra di tutto e a prezzi salati. Prima gli azzurri Scarone e Chiacig, poi Gorenc, Stefanov, Kakiouzis, Turkcan, il povero Alphonso Ford, Vanterpool, Galanda, David Andersen. Nel 2004 il primo scudetto, cui segue l'ingaggio di Carlton Myers. Certo, i soci del club non aumentano vertiginosamente il capitale sociale ma la banca concede volentieri un ampio sostegno. E nello stesso periodo, mentre Seragnoli esce dalla pallacanestro e Benetton ridimensiona, solo il neoarrivato Giorgio Armani spende in grande stile. Quindi non si può certo dire che nel suo periodo di massimo splendore (2006-2013) la Mens Sana fosse una pulce costretta a combattere contro pachidermi e che per questo dovesse ricorrere a mezzucci non esattamente legali. La favola della Siena società modello si infrange tanto con la realtà storica quanto con la situazione di declino di un sistema in cui il mecenatismo aveva già imboccato una evidente parabola discendente - occorre forse ricordare le rese di altri grandi finanziatori della pallacanestro come Scavolini, Snaidero, Vicenzi, Bulgheroni, Castiglioni, Cazzola o Stefanel? 
  • Ancora Minucci: "Noi vincevamo molto battendo Roma e Milano, hanno iniziato così a prenderci di mira, colpendoci alle spalle. Il coach di Milano Scariolo fece la famosa dichiarazione sull’aria rancida, riferendosi a presunti arbitraggi a nostro favore, una tattica già utilizzata in Spagna e Russia". Le dichiarazioni pubbliche fanno parte del gioco. E se un addetto ai lavori decide di lamentarsi di qualcosa che secondo lui non quadra, lo fa a proprio rischio e pericolo, conscio che eventuali dichiarazioni false o calunniose potrebbero provocare conseguenze affatto fauste. Non mi pare che Scariolo, la cui infelice uscita sulla famigerata "aria rancida" è passata purtroppo per lui alla storia rovinandogli un'immagine precedentemente solida, abbia sussurrato in segreto, dietro le spalle di qualcuno, frasi infamanti. Scariolo rilasciò interviste, disse che c'era qualcosa che non gli quadrava, si lamentò pubblicamente degli arbitraggi. Aveva ragione? I fatti finora lo smentiscono giacché non è stata riscontrata alcuna corruzione sistematica della classe dei direttori di gara per favorire Siena. Ma di fronte a parole pronunciate davanti ai microfoni o ai registratori dei giornalisti ci sono diversi modi di reagire. Il primo è liquidare il tutto con un sorriso compassionevole. Il secondo è replicare con gli stessi termini o argomenti. Il terzo è reagire ad un'accusa di complotto creando le basi per una diffamazione sistematica.
  • Ancora lui: "Il presidente Proli ci denunciò alla Procura Federale e Armani iniziò a muoversi: Gazzetta dello Sport, Corriere della Sera, i grandi giornali ci iniziarono a bersagliare. Nel 2012 chiesi aiuto a David Rossi di MPS, che però non poté fare nulla. E così pensammo a un sito internet, Basketnet, per difenderci dagli attacchi". Per la cronaca, la denuncia in Procura Federale finì in una bolla di sapone. Ma le parole di Minucci delineano uno scenario in cui, stando alla sua vulgata, vi sarebbe stata una sorta di spaccatura del mondo dell'informazione. Da un lato i quotidiani disposti a partecipare ad una sorta di mortificazione della nomea vincente senese in nome di campanilismo, invidia o peggio ancora partigianeria nei confronti di un club e del suo proprietario; dall'altra il povero manager di provincia che prova a difendersi chiedendo aiuto al capo della comunicazione della banca-sponsor e che poi ricorre ad un sito internet piuttosto seguito per una campagna di presunta contro-informazione. Peccato che anche in questo caso la realtà smentisca le ricostruzioni di Minucci. Senza approfondire il coinvolgimento nell'inchiesta Time Out di un giornalista senese, accusato di aver intascato denaro proveniente dalle distrazioni di fondi della Mens Sana e scagionato solo dall'impossibilità di accertare il curioso reato di ricettazione contestatogli, basta ripescare le diffamazioni che quel sito cui fa riferimento Minucci ospitò per un periodo sino a quando la redazione decise in segno di protesta di fare fagotto ed andare altrove. I corsivi firmati con pseudonimo da presunti personaggi inesistenti ("Attilio Giglio" ed altri) non erano altro che palesi attacchi a carico di professionisti del mondo della pallacanestro. Non delle società rivali, Virtus Roma o Olimpia Milano, ma di singoli giornalisti o manager invisi al potere senese. "Unum castigabis, centum emendabis": Mao Zedong ne sarebbe stato fiero.
Ci si potrebbe fermare qui. Tuttavia è bene ricordare cosa fu davvero il metodo Minucci. Basterebbe bussare a Desio per capire come la Mens Sana riuscì a reclutare Tagliabue. O chiedere al Buducnost cosa spinse la squadra montenegrina imbottita di prospetti NBA a giocare in maniera oscena l'ultima gara del girone di qualificazione di Eurolega 2002/03 contro una Siena bisognosa ad ogni costo di una larga vittoria. O ricordare chi i club scelsero quale presidente della Legabasket pochi mesi prima che l'intervento delle manette della Guardia di Finanza scoperchiasse il Vaso di Pandora. O verificare il declino mediatico del basket che offriva ampi spazi al ridottissimo mercato senese mentre il resto d'Italia mendicava le briciole portando infine ad una rivoluzione peggiorativa delle condizioni sia con le televisioni che con Euroleague. Ma mentre pochi protestavano - e tra questi il mai abbastanza rimpianto Enzo Lefebre - ammonendo la maggioranza a non piegarsi ad una logica distruttiva, tutti applaudivano la truffa di un club che esprimeva sì una squadra vincente ma senza averne i mezzi finanziari tanto da dover ricorrere ad una finanza sin troppo creativa per poter garantire la propria esistenza e l'iscrizione ai tornei.

Il capolavoro minucciano resta sicuramente lo scandalo Lorbek, una trappola in piena regola. Quando  quella sera di febbraio 2007 Ferdinando Minucci presentò quella denuncia per frode sportiva alla stazione dei carabinieri di Casalecchio di Reno non c'era nessuna autodifesa da mecenati o da giornalisti invidiosi. C'era solo la volontà di sfruttare l'errore di un ufficio federale, la fesseria del dirigente di un club rivale e la sete di potere del segretario di Lega per escludere una potenziale rivale dal piatto ricco dell'Eurolega. Minucci sapeva cosa stava facendo ed ottenne il suo obiettivo tramite una sentenza-farsa di colpevolezza per un reato impossibile da commettere. Sfogliate pure il Codice penale: la tentata frode non esiste. E fu per questo che qualche mese dopo la tragicommedia della giustizia sportiva arrivò la disposizione del Tribunale della Repubblica: frode impossibile da consumarsi quindi inesistente. Ma il danno alla rivale era stato cagionato, Minucci aveva sgombrato il campo da una possibile contendente al suo strapotere. Fuori Treviso e fuori la Fortitudo avviata ad una mesta fine, quelle preziose licenze pluriennali per l'Eurolega, sfuggite sul campo a causa di risultati inferiori alla concorrenza nonostante una parità di budget, Siena se le era prese speculando sulle altrui disgrazie o soffiando sul fuoco di presunti scandali.

L'unico scandalo vero ed accertato resta invece il declino della pallacanestro italiana. Se oggi pare un miracolo il concretizzarsi di un secondo mecenate dietro il solito Armani, se ci si meraviglia della competizione tra Milano e la rinata Virtus Bologna sul mercato dei giocatori, se pare incredibile che qualcuno possa scalfire dal basso l'immagine vincente di colossi finanziari, questo è dovuto non al presunto coraggio del modello senese ma alla capacità di ricostruzione di un sistema che ha recuperato stille d'energia dalle periferie. Ma senza partite di giro, senza contabilità taroccate, senza contratti d'immagine a sei zeri, senza vendite fasulle di diritti commerciali, senza siti internet compiacenti, senza scandali costruiti ad arte, senza denigrazione dell'avversario. Sassari, Venezia, Trento, Reggio Emilia, persino la piccola Cremona hanno dimostrato che non occorre inventarsi metodi truffaldini per vincere e convincere. Basta programmare con un serio piano economico rapportato al modello sportivo. Con buona pace di chi pensava di costruire un impero con le fatture gonfiate o i bilanci falsificati.

giovedì 26 novembre 2020

Ritorno al futuro a Bologna

Mentre Napoli piange la scomparsa di Diego Armando Maradona e si prepara ad intitolargli lo stadio, una notizia giunge come fulmine a ciel sereno qualche centinaio di chilometri più a nord, nella mai sonnacchiosa Bologna. Il suo figliol prodigo per eccellenza sta per tornare a casa: Marco Belinelli ha deciso di rientrare nella città che l'ha visto nascere, crescere, maturare ed esplodere come talento della pallacanestro del nuovo Millennio.


Sorpresa (ma anche no): il contratto è l'ultima trovata della Virtus di patron Zanetti. Non della Fortitudo che Belinelli ha sempre dichiarato di amare, ricambiato dai tifosi. Ma è comprensibile quello che a qualcuno potrebbe sembrare un voltafaccia. Da quando il re del caffè ha scelto il basket come veicolo pubblicitario del suo impero e come strumento di business laterale, la Vu Nera è tornata a splendere ed a spendere. L'esatto contrario di una F scudata che dopo aver dilapidato discrete risorse in A2 e prima ancora in B ed aver nuovamente dovuto confrontarsi col tribunale FIBA di Ginevra, ha dovuto riporre in un cassetto ben prima della pandemia il progetto del nuovo palasport e della cittadella e tornare a spulciare la contabilità per capire se sia possibile correggere in corsa un progetto attualmente sbagliato e sballato.

Gongolano i virtussini e ne hanno pieno diritto. A 34 anni suonati Belinelli è ancora un gran bel giocatore per l'Europa. Non più per la NBA dove ormai era relegato al ruolo di specialista e dove nessuno sembra più disposto ad offrirgli un contratto importante. Ma da questo lato dell'Atlantico Belinelli ha estimatori e capacità di riscoprire doti diverse dal semplice tiro in uscita dai blocchi. Abbastanza per ingolosire chi può ancora spendere parecchi soldi alla ricerca di un elemento che faccia compiere un piccolo salto di qualità alla propria squadra. Nel sistema di Djordjevic che prevede tante guardie capaci di portar palla e di assecondare il dinamismo dei lunghi e la vena artistica di Teodosic, più che Abass o Adams si sentiva la necessità di un giocatore simile.

La carriera americana di Belinelli, iniziata 13 anni fa col Draft e proseguita tra tanti cambi di casacche - a S. Antonio le parentesi più felici - ripartirà dalle sue origini. Pochi forse lo ricordano ma lui fu uno degli ultimissimi prodotti validi del vivaio virtussino (l'altro era Michele Vitali) prima del crack di Madrigali. A 16 anni Belinelli era già in prima squadra anche se quella Virtus era qualcosa di inguardabile: Tanjevic aveva pensato ad una cabina di regia diffusa con Becirovic e Rigaudeau più Mladen Sekularac ma il serio infortunio estivo dello sloveno determinò una valanga in anticipo. Lo swingman serbo appena scelto dai Mavs era acerbo ed inadatto al ruolo di point forward, il supporting cast era rivedibile per non dire di basso livello e tra cambi di allenatore in corsa e porte girevoli nel roster - persino Le Roi ne ebbe abbastanza migrando a Dallas a stagione in corso - la formazione felsinea disputò una delle stagioni peggiori della sua storia buscandole persino da Fabriano dove non pagavano gli stipendi nemmeno al custode del palasport. In quel casino biblico l'unica nota lieta era un giovanissimo Belinelli che nell'estate successiva fu preso al volo da Enzino Lefebre per la Fortitudo nell'ambito del gentlemen's agreement che vide Gheradini prelevare Bargnani dalla Stella Azzurra e Minucci inchiostrare un giovanissimo Datome in uscita da Olbia. 

Altri tempi, altre storie. Belinelli è maturato alla Fortitudo e doveva esserne il perno dopo i primi due anni d'apprendistato. Fece in tempo a vincere lo scudetto dell'instant replay ed una Supercoppa. Poi vide l'anticamera di un altro fallimento, quello della F post-Seragnoli, e seppur con un anno di ritardo sulla tabella di marcia fece le valigie. Ora ritorna, ma alla sua alma mater. E chissà cosa penseranno i tifosi dell'Aquila più oltranzisti, quelli che obbligarono Lestini a far le valigie per una vecchia ruggine o che infamarono Jaric dopo che rimandò lo sbarco in NBA per passare in Virtus e portare l'allora Kinder al Grande Slam.

A proposito di Fortitudo. Il conto presentato da Strawberry era pesante e rischiava di di gravare sulle casse del club già azzoppato dalla mancanza di entrate dal botteghino, consueto polmone finanziario. La campagna acquisti estiva e gli innesti di riparazione sono costati un bel po', quindi a dispetto dei mugugni per l'ultimo posto in graduatoria e del desiderio di buona parte della tifoseria di dare il benservito a Meo Sacchetti il front office dovrà continuare ancora un po' ad ingoiare bocconi amari facendo finta che siano dolci prelibatezze. Certo, a meno che la Fondazione non tiri fuori il cappello dal cilindro o che lo sponsor personale portato dal capitano sempre meno giocatore non decida di aumentare la propria contribuzione. Per amore, solo per amore? No, per evitare di ripetere quanto avvenne nel 2008/09.

martedì 24 novembre 2020

I conti in tasca, Covid permettendo

 Approfittando della pausa per le Nazionali ed al netto dell'emergenza sanitaria che purtroppo prosegue ovunque, facciamo un primo, parziale bilancio della stagione di Serie A. Due calcoli sulla situazione di classifica delle squadre, sulle potenzialità espresse o meno, sugli spunti emersi e sulle criticità evidenziate dal campionato in tempo di pandemia.

OLIMPIA MILANO (bilancio 9-0) - Capolista solitaria del campionato, la compagine meneghina sta dominando come da pronostico. Rispetto all'anno scorso coach Messina ha costruito una squadra più armonica e logica, con tantissime alternative in un po' tutti i ruoli e tanti giocatori che possono adattarsi a varie esigenze. Pecche? Forse una, la politica giovanile che cozza immancabilmente con l'obiettivo di vincere tanto e subito. Moretti non ha molto spazio ed il controllato Bortolani anche meno. VOTO 9

BRINDISI (8-1) - Alzi la mano chi in estate pensava che l'Happycasa potesse ripetere gli exploit delle ultime due stagioni senza poter contare sul collaudato asse Banks-Brown. Invece coach Vitucci ha sostituito egregiamente i tanti partenti senza sacrificare eccessivamente la dimensione italica, tanto da sfruttare al meglio non solo i confermati Zanelli e Gaspardo ma anche Udom e Visconti, pescati in A2 ed adeguatamente valorizzati. E Willis è una piacevolissima scoperta. VOTO: 10

VIRTUS BOLOGNA (5-3) - Doveva essere la prima se non l'unica avversaria di Milano. Invece la Vu Nera ha faticato un bel po' finora dovendo accontentarsi della terza piazza. Mietendo qualche vittima illustre (leggi Venezia) ma scivolando su bucce di banana inaspettate (Cremona). Ufficio inchieste già preallertato per Abass che non riesce proprio ad adattarsi alla tattica di Djordjevic mentre confortano i progressi di Hunter e soprattutto di Pajola. VOTO: 7

VL PESARO (5-3) - Dalle stalle ad una posizione non stellare ma comunque solida. Bella e particolare la parabola della Prosciutto di Carpegna (nota personale: pecunia non olet... ma chiamare così un club fa sorridere) che è a ridosso delle posizioni di testa grazie ai massicci investimenti compiuti in estate dopo che nella precedente stagione le scommesse al ribasso non avevano pagato. All'appello mancherebbe sempre il centro di scorta ma i soldi non ci sono e si farà altrimenti, sempre sperando che prima o poi la voce botteghino trovi realizzazione. VOTO: 7,5

REYER VENEZIA (5-3) - Squadra che vince non si cambia. Difatti in estate i lagunari hanno inserito appena due volti nuovi - o meglio, uno più un utile sparring partner - nel telaio preesistente. L'età media sempre più alta però inizia a farsi sentire e così si spiegano gli acciacchi nel reparto lunghi che hanno tenuto diversi elementi più in infermeria che sul parquet. Nel frattempo Casarin jr. si sta ritagliando qualche meritato spazio. VOTO: 7

DINAMO SASSARI (4-4) - Ci si aspettava qualcosa di più da parte del Banco che finora non ha certo entusiasmato. Qualche problema fisico unito alle difficoltà di Tillman di adattarsi al ruolo di centro hanno condizionato il cammino dei sardi, sinora in equilibrio ma senza acuti particolari. Intanto Spissu ottiene importanti conferme e questo è bene anche per il movimento nazionale. VOTO: 6

VARESE (4-5) - Sia benedetta la longevità di Luis Scola! A 40 anni suonati l'argentino è la piacevole costante della Openjobmetis che prosegue un po' a singhiozzo. Recentemente si è svegliato Toney Douglas, a lungo sul banco degli imputati ed a rischio taglio, ma ci si continua ad interrogare sulla reale tenuta del reparto lunghi in cui, Scola a parte, non si vedono grandi certezze. Per ora comunque la posizione di classifica è più che soddisfacente. VOTO: 6,5

AQUILA TRENTO (4-5) - Partita malissimo, la Dolomiti Energia si è raddrizzata strada facendo ma regalando un bel po' di punti qua e là. Di sicuro Browne non è Craft e JaCorey Williams è fin troppo condizionante nel gioco di Brienza che dipende molto anche dalle condizioni di Kelvin Martin come vero equilibratore in campo. Anche qui, buone notizie dal fronte interno con prove abbastanza convincenti dei prodotti locali Conti e Ladurner. VOTO: 6

REGGIANA (3-3) - Covid-19 a parte, la mano di Martino si è vista. Una squadra quasi interamente rifatta (unico superstite dell'anno scorso, Leo Candi) ha offerto quando è scesa in campo un'immagine di concreta solidità esprimendo un basket a tratti anche divertente. La speranza lungo la via Emilia è riposta nel fatto di aver pagato interamente il debito nei confronti della pandemia dopo aver avuto l'intera squadra a letto col virus. VOTO: 6,5

TREVISO (3-3) - Tantissime scommesse a prezzi d'occasione; una bocciata sonoramente, qualche altra ancora in piedi anche se malferma, qualcuna più convincente. E poi l'eterno Logan, in gara con Scola per il trofeo del capocannoniere ignorando la carta d'identità. Quel che è certo è che, dimenticando i rinvii per malattia altrui, dall'arrivo di Sokolowski la squadra di Menetti ha assunto una fisionomia più quadrata esaltando le doti anche di Chillo. VOTO: 6

CANTU' (3-4) - Anche in Brianza si è tagliato qualcosa al budget privilegiando qualche scelta conservativa ma dando anche molto spazio ad un giovane locale. Procida si sta adattando in fretta, Kennedy è il degno erede di Hayes e Pecchia si conferma una bella pescata. A non dare grandi garanzie invece sono i veterani, con Smith frenato dal coronavirus e Leunen che non sembra più quello di qualche anno fa. VOTO: 6

TRIESTE (2-3) - Appena cinque partite per i giuliani prima che il coronavirus entrasse in scena. Luci ed ombre nel bilancio parziale, con la cabina di regia italiana e un buon Alviti a sciogliere in sorriso il volto duro di Dalmasson. Tanti gli infortuni muscolari e forse troppi i rimpiazzi occasionali, con due tesseramenti per rimpiazzi già bruciati. VOTO: 5,5

CREMONA (2-4) - Per un club che a inizio luglio pareva destinato a chiudere definitivamente, già esserci è un successo. Vincere poi un paio di partite con un roster costruito in meno di dieci giorni, mixando americani da scoprire, un vecchio marpione (Poeta), un italiano in cerca di rivincite (Mian) e il comunitario dal costo più economico del campionato (Palmi) non è da sottovalutare. Quindi, per quel poco che si è visto, giù il cappello davanti a coach Galbiati. VOTO: 7

VIRTUS ROMA (2-7) - Altra società che teoricamente non si sarebbe nemmeno dovuta iscrivere. Ma se la Vanoli ha reperito le risorse necessarie per coprire l'annata, nella Capitale si è ancora una volta scommesso al buio basandosi su promesse verbali. Il tanto teorizzato cambio di proprietà ancora non c'è stato e si sono già viste due presunte cordate abbandonare il campo. Bucchi fa quel che può ed è già tanto, grazie soprattutto all'abnegazione di Baldasso e Campogrande. Fa sorridere amaramente ancora una volta la presenza di un giocatore pagante, oltretutto americano, tanto per far capire la disperazione di un club costretto ad elemosinare dei soldi in ogni modo. VOTO: 5

BRESCIA (2-7) - Persino Joe Bastianich si direbbe diluso da quel che sta facendo la Germani. Un roster teoricamente di primo livello sta faticando enormemente ad esprire il potenziale. Colpa di chi? Di Esposito, che già due volte ha minacciato di dimettersi? Di Ristic che pare la copia serba di Ancellotti senza però giustificare la differenza di ingaggio? Di Vitali che fa emergere tutte le proprie pecche in regia? Bel mistero. E finora l'ultimo posto è evitato solo dal regalo di Treviso alla terza di campionato. Vuoi che muoro? VOTO: 4,5

FORTITUDO BOLOGNA (1-7) - Un disastro. La tifoseria rimpiange Antimo Martino e non ha tutti i torti: Sacchetti non ha dato finora nemmeno un'impronta offensiva chiara ad una squadra con troppi solisti per poter essere diretta in maniera organica. Non basta appellarsi agli infortuni di Fantinelli e di Happ ed agli errori di mercato (lista lunga: Toté, Palumbo, Withers, Fletcher) per spiegare un bilancio in profondo rosso. Ed a proposito di conti, la situazione potrebbe precipitare visto che all'appello mancano sempre i soldi del botteghino che rappresentano una grossa fetta di introiti e che all'orizzonte c'è il lodo di Strawberry da pagare. VOTO: 3