lunedì 2 marzo 2020

Roma nun fa la stupida...

Obiettivo mancato. Un comunicato in burocratese nemmeno troppo stretto ha sancito il fallimento dell'operazione crowdfunding (se preferite "raccolta fondi") a favore della Virtus Roma, puntando l'ideale mirino della FIP, alla caccia della vittima sacrificale per la prossima estate di passione, proprio sulla Capitale. Da un anno si sa che la Federazione intende ridurre quanto prima il numero di partecipanti al massimo campionato ed è chiaro che, senza possibilità di giocare sul meccanismo promozioni-retrocessioni, l'unico modo rimasto per sfoltire il numero delle squadre pro sia quello rappresentato dalle magagne extra sportive.

Che la Virtus giallorossa non se la passi bene è il segreto di Pulcinella. Tornata in Serie A quattro anni dopo l'autoretrocessione - mossa obbligata dettata dalla perdita di sponsor e dalle difficoltà della proprietà a proseguire l'avventura in solitaria in un torneo dai costi di gestione troppo alti in rapporto ai ricavi - la società capitolina non ha risolto nessuno dei mali da cui era afflitta un lustro fa. Di tutte le partecipanti al massimo torneo, Roma è l'unica ad oggi a non avere uno sponsor di maglia e già questo è un brutto segnale. Non bastasse, si potrebbe citare il caso di Liam Farley, uno straniero che non gioca non per infortunio ma perché inadeguato di livello e tenuto a roster (con sacrificio di tesseramento e visto sul passaporto) solo perché portatore sano di pecunia. A contorno i noti problemi della famiglia Toti. Quindi, un quadro decisamente preoccupante.

La bandiera bianca inalberata dal club sul fronte raccolta fondi, con l'operazione intesa ad aprire una fase di proprietà diffusa in stile public company, è l'ultimo segnale di una difficoltà continua. Ed a questo punto, seppur con un anticipo di qualche mese sulla scadenza naturale della stagione in corso, parte il periodo degli interrogativi obbligatori. Cosa farà la dirigenza Virtus? Chiederà nuovamente l'iscrizione in A2, visto che la norma della cessione del diritto sportivo non vale per i club professionistici? Si presenterà al sindaco per lo scaricabarile istituzionale ("Ci pensi lei, tanti saluti ed arrivederci")? Porterà i libri contabili in tribunale? Attenderà la mannaia della FIP? Bel mistero.

Intanto, visto che "il basket è in salute", si registrano le difficoltà a Reggio Emilia nel trovare un sostituto di patron Landi il quale non è intenzionato a proseguire l'avventura in biancorosso in nessun caso. I sondaggi finora sono stati tutti negativi e senza una nuova proprietà non è dato sapere cosa accadrà nella città del Tricolore. L'emergenza coronavirus sta obbligando diverse realtà a rivedere conti e pianificazioni non solo agonistiche ma anche economiche: con le imprese ferme, incassare le fatture delle sponsorizzazioni diventerà a breve sempre più difficile. Non è dunque un quadro edificante, al netto di qualche isola felice che però rappresenta l'eccezione e non la regola.

Ecco, parlando proprio di eccezioni, un applauso sincero va tributato alla Vuelle Pesaro. Che sul fronte meramente sportivo è ultima in classifica con un bilancio fortemente negativo ma che sul piano societario è un modello: conti in ordine, sponsor che pagano puntualmente, pianificazione finanziaria rispettata. Ottime basi per il futuro, fosse anche in A2 dove comunque una buona struttura italiana potrebbe consentire se non una rapida risalita in stile Varese 2009 o Virtus Bologna 2017 almeno diversi campionati di vertice. Pesaro, lo ha confermato anche in Coppa Italia, è piazza di basket non solo per i trascorsi ma anche per la serietà dell'organizzazione. In un panorama in cui invece ancora oggi c'è chi promette senza pagare, ricorre smodatamente ai contratti d'immagine (e chissà se poi salda il dovuto) o se ne frega bellamente in attesa dei BAT della FIBA, c'è solo da essere orgogliosi della serietà di una società magari con scarsi mezzi finanziari ma dalla specchiata onestà.