domenica 13 giugno 2021

Vincere (e salutare) da signori

Salvo cataclismi, domani o al più tardi martedì la Virtus Bologna comunicherà al trio Djordjevic-Bjedov-Markovic che i piani per il futuro del club non comprendono la loro presenza. Quindi arrivederci e grazie. Nei giorni successivi la dirigenza bianconera deciderà cosa fare col residuo anno di contratto di Milos Teodosic, campionissimo preso nel 2019 (con annesso beneficio per i conti) con l'obiettivo di raggiungere l'Eurolega. No EL quindi no Milos, verrebbe da dire anticipando le mosse dei fidati uomini di patron Zanetti, sempre che il bilancio possa permettersi una risoluzione anticipata pesantuccia e che il nuovo coach sia d'accordo in questa operazione d'uscita. Si chiuderà così un corposo e travagliato capitolo della storia recente della Vu Nere, con scelte nette e finanche drastiche ma che non riesco a condividere.

Conobbi di persona Sale Djordjevic nella primavera del 2011. Era disoccupato. Da quando Milano gli aveva dato il benservito nel 2007 preferendogli il macedone Markovski, si era dovuto accontentare di fungere da commentatore per Eurosport senza ricevere proposte. Il rilancio della sua carriera in panchina ripartì da quella Treviso in cui era arrivato da spalla tecnica televisiva per le Final Four di Eurocup: chiamato dal suo vecchio amico e compagno di squadra all'Olimpia Claudio Coldebella, Djordjevic ebbe la classica seconda opportunità in cui poté sperimentare (seppur con i limiti dovuti ad un club in annunciato disarmo) le proprie idee tattiche. La compresenza di due o più play in quintetto, l'intercambiabilità delle ali, il centro rapido ed atipico che colpisce in avvicinamento, la difesa arcigna e mixata: tutti gli elementi del gioco che oggi si trovano alla Virtus campione d'Italia, Sale li aveva provati già allora. 

L'esperienza a Bologna costituisce l'apice di una carriera ancora relativamente giovane. Limitandosi alla sola esperienza di club e senza contare la rivitalizzata Nazionale serba, Djordjevic ha alle spalle circa otto stagioni, computando anche subentri ed esoneri in corsa. In così poco tempo ha saputo imporre il proprio gioco e le proprie idee. A costo di sembrare sprovveduto, arrogante o antipatico, per chi lo conosce poco o nulla, ma facendosi amare da praticamente tutti i giocatori che ha seguito. Specialmente i giovani. Se Gino Cuccarolo per qualche anno è stato un giocatore di basket e non un fenomeno da baraccone, lo deve a Sale. Se Andrea De Nicolao ha potuto ritagliarsi ruoli importanti in Serie A, lo deve a Sale. Se Alessandro Gentile è approdato a Milano (salvando con i soldi incassati una Benetton destinata all'epoca alla bancarotta sotto Natale), lo deve a Sale. E se oggi Alessandro Pajola è passato da bruttissimo anatroccolo preso di mira da tutti a segreto della vittoria virtussina, sapete a chi vanno i ringraziamenti.

Ogni professione però presenta dei profili di scarsa riconoscenza. Si spiega così l'idea della Virtus di chiudere il capitolo Djordjevic. La decisione in realtà è stata presa a dicembre quando l'esonero-lampo rientrò in virtù tanto di una palese cazzata comunicativa quanto di una totale assenza di alternative credibili. Dopo il flop della semifinale contro Kazan, in cui evidentemente i fautori ed autori della cacciata con retromarcia decembrina non aveva colto in toto il problema causato dall'infortunio accusato da Markovic alla caviglia, l'insopprimibile desiderio di liberarsi di un coach di personalità e non abituato a chinare il capo e dunque scomodo è tornato in auge. Lo scudetto poteva essere l'unica ancora di salvezza ma se è vero - ed è vero, purtroppo - che i contatti tra Vu Nere e l'entourage di Sergio Scariolo sono proseguiti nei playoff, significa che gli attestati di fiducia a tempo erano unicamente di facciata e l'unico aspetto reale era il conto alla rovescia verso la fine della stagione.

Sale Djordjevic se ne andrà dalla Virtus? Altamente probabile. E con lui saluterà anche Goran Bjedov, il silenzioso ma preziosissimo vice che otto anni fa di questi tempi vinceva un campionato di Promozione con una banda di ragazzini minorenni costituendo la base dell'attuale Treviso Basket. Scontato il divorzio tra Bologna e Stefan Markovic, pretoriano del coach, capofila della protesta di dicembre, nume tutelare di Pajola. Se sarà davvero Sergio Manolo Scariolo il prossimo head coach della Vu Nera, pur non dubitando del curriculum e del palmares del tecnico ispano-bresciano, temo che la Segafredo non compirà affatto l'auspicato passo in avanti. E non solo perché senza il duo serbo-croato in panchina parte dello zoccolo duro di questi due anni si sfalderà. Per capire il rischio che correrebbe la Virtus affidandosi a Scariolo è sufficiente osservare Ettore Messina e la sua parabola milanese. Affidarsi ad un allenatore che da parecchi anni non guida club europei ma è reduce da un robusto assistentato oltre Atlantico significa dover concedere una fase medio-lunga di assestamento a regole differenti di mercato, conduzione dello spogliatoio, programmazione del lavoro, diversa filosofia quotidiana. Milano questo rischio l'ha corso e nel primo anno di Messina ha balbettato, per poi rilanciarsi e ritornare in auge salvo incappare in errori mastodontici di gestione delle risorse psicofisiche. Ma Milano aveva e ha tuttora il vantaggio della certezza di una Eurolega per contratto, inattaccabile, da cui non può essere esclusa se non per impronosticabili motivi. La Virtus questa granitica certezza non ce l'ha e al massimo proverà ad elemosinare una wild card complice la paradossale implosione del Khimki. Affidare in toto club e team costruiti pazientemente in due anni ad un tecnico diverso e peraltro disabituato da sette stagioni alla vita in una società sportiva europea è un azzardo assoluto che può terminare in due modi: smentendo le fosche previsioni con successi tutti da immaginare o con un esonero dopo pochi mesi e progetto che stenta a decollare.

Dal mio piccolo, ringrazio Djordjevic per avermi fatto vedere un basket bello ed efficace, per le sue dichiarazioni mai banali, per l'abbraccio in Fiera a novembre 2019, per aver accettato una richiesta di 5 minuti di intervista al telefono nonostante fosse comprensibilmente distrutto dalla fatica. Sale è e resta un signore, con tutti i pregi ed i difetti che gli si possono riconoscere. Che vada a Kazan in Eurolega, che accetti di ricostruire il Partizan nuovamente sull'orlo del baratro, che (provocazione) chieda di fare il senior assistant in CSI o che rimanga fermo in attesa di un'altra sfida, non cambierà la mia opinione di lui e della qualità del suo lavoro. Come sempre, i fatti parlano e confermano.

venerdì 11 giugno 2021

Ci vuole Sale (ed un pizzico di pepe)

La più dolce delle rivincite. Forse il più bello degli scudetti, per la Virtus Bologna ma non solo. La definizione chiara, limpida, cristallina dell'importanza dell'allenatore nella costruzione tanto tattica quanto mentale di un collettivo. La vittoria della Segafredo con un percorso netto invidiabile nei playoff è merito di una coppia di allenatori che appena sei mesi fa veniva cacciata con un editto più che bulgaro, una defenestrazione pessima nei tempi, nei modi, nella gestione anche della comunicazione. Per Goran Bjedov ma ancor di più per Sale Djordjevic è lo scudetto della rivincita contro chi li riteneva inadatti a ridare un'identità vincente ad una (ex) nobile decaduta, valorizzando al contempo gli italiani e soprattutto uno dei migliori prodotti del vivaio.

Si può dire di tutto di Djordjevic. Che sia vulcanico, a volte collerico, perfezionista, indubbiamente plavo come avrebbe detto il povero Aldo Giordani. Bjedov è un po' la sua coscienza critica, il contenitore, l'uomo dei dettagli, il tattico, lo specialista del lavoro individuale. In due hanno riportato la Virtus prima a vincere qualcosa di abbastanza importante - ricordate la BCL del 2019? - poi a guadagnare una posizione di rispetto in campionato, infine a raccogliere uno scudetto che alla metà bianconera di Bologna mancava dal 2001, l'anno dello Slam. Il tutto, grazie anche ad un ragazzino che fino ad un anno fa pareva lo sparring partner buttato in campo giusto per fare un po' di casino e che da allora è diventato pedina imprescindibile: Alessandro Pajola.

Uno scudetto molto plavo. Djordjevic, Bjedov, Teodosic, Markovic: un poker che ha trasmesso inusitata tranquillità e modalità vincente anche a Pajola oltre che ad un collettivo che a dicembre pareva la brutta copia della stagione precedente più i gemelli scarsi di Abass ed Adams. Senza citare Belinelli, il casus belli dell'esonero più farsesco mai visto: il suo infortunio, non comunicato a dovere alla proprietà, aveva condotto al licenziamento poi revocato per assenza di alternative. I mugugni si erano ripresentati ad aprile con la sconfitta in semifinale di Eurocup contro Kazan, un ko dopo una stagione da imbattuta in Coppa che pareva destinare la Virtus al fallimento sportivo. Nessuno però si ricorda che nell'occasione alle Vu Nere era zoppa a causa delle imperfette condizioni di Stefan Markovic che in carriera non è quasi mai stato un realizzatore ma un eccellente equilibratore tra direzione del gioco offensivo e strategia della difesa. Markovic era reduce dal Covid e giocò quella serie contro l'Unics in evidente debito di ossigeno. In finale scudetto la preparazione fisica è stata ben diversa ed i risultati si sono visti.

Vince con merito la Virtus. Perde, seppur salvando parzialmente la faccia con una gara4 equilibrata per 37 minuti, Milano. Che era teoricamente più lunga, più forte, più talentuosa e sicuramente più costosa della rivale felsinea. Ma che era anche stata costruita con troppi errori alla fine capitali: assemblata con il chiaro obiettivo dell'Eurolega, l'Olimpia è arrivata a fine stagione mentalmente e fisicamente ai minimi termini a causa della spremitura costante dei suoi veterani stranieri, dopo aver relegato la pattuglia dei panda italiani a comparse o a materiale da tappezzeria. Mentre Pajola giocava acquisendo esperienza, Moretti finiva in tribuna; mentre Ricci recuperava sicurezza, Abass ritrovava sé stesso, Alibegovic mostrava lampi di classe e di forza, Cinciarini finiva in naftalina, Biligha faceva la comparsa, Wojciechowski (prelevato a peso d'oro da Biella in A2...) spariva dai radar e Moraschini doveva in continuazione adattarsi a giocare poco e spesso fuori ruolo. Questa è la più grande sconfitta di Ettore Messina, che non ha saputo comprendere l'importanza di un gruppo realmente profondo e con responsabilità condivise tra campionato e Coppa: il fatto che il coach veneto sia incappato nella peggior finale scudetto della sua carriera, la prima persa in assoluto, dice molto dell'annata contradditoria di Milano.

Se siete amanti della cabala, la tradizione in fondo si è ripetuta. Milano negli anni dispari non vince: stavolta almeno è arrivata in finale, anche se le premesse per l'atto conclusivo erano tutt'altro che pessimistiche; nel 2015, 2017 e 2019 era rimasta a guardare dopo essersi fermata in semifinale. Magra consolazione. Così come è assurdo definire buona o addirittura ottima un'annata che è sì coincisa col ritorno dopo una vita alle Final Four di Eurolega ma che si è chiusa con in bacheca la pallidissima Supercoppa giocata senza concorrenti veri e la Coppa Italia in cui le rivali erano non pronte oppure troppo indebolite o palesemente inadeguate.

Discorso diverso per la Virtus, che nei playoff ha tremato solo in gara3 a Treviso. Si può dire che lo scudetto bianconero sia nato lì, dopo il -15 all'intervallo, la rimonta costruita in difesa, l'overtime giocato coltello tra i denti. Lì è emerso il vero spirito plavo della squadra - ed onore pure alla De' Longhi, ad un passo dall'impresa. Ed ora sarà curioso capire che ne sarà di quello spirito, giacché se Teodosic vanta ancora un anno di accordo a cifre molto importanti (eufemismo), la triade Djordjevic-Bjedov-Markovic è in scadenza. Fino ad un mese fa parevano tutti e tre con le valigie in mano: i due tecnici per il naturale epilogo dopo l'esonero fantasma invernale, il play per aver fomentato all'epoca la protesta e per un rendimento inferiore all'annata precedente. Il tempo dei ripensamenti invece è già iniziato, complici le poco esaltanti alternative sul mercato - Trinchieri ha rifiutato, Pianigiani non entusiasma nessuno, Scariolo andrà altrove. Che il trio resti o meno a Bologna, Djordjevic ha già dimostrato il proprio valore: può scegliere se andarsene da campione, a braccia alzate ed anche con un moto d'orgoglio, oppure sfruttare il successo per dettare le condizioni per un proseguimento del rapporto. Comunque lui ha vinto, su tutti i fronti. E scusate se vi par poco.