Per il secondo anno di fila riparto da Torino col sorriso. Dodici mesi fa ero contentissimo per la Brescia di coach Magro, per un sistema di gioco frizzante che esaltava gli esterni, per la consegna del trofeo nelle mani di una realtà desiderosa di elevare il livello competitivo. Oggi sono ancor più felice per la vittoria di Napoli. Che a dispetto dei desiderata del club partenopeo attuale non è esattamente la continuazione della defunta società che nel 2006 ottenne applausi a scena aperta a Forlì. Quella convenzione accettata da LBA ma respinta (è ovvio: codici diversi) da FIP porta a qualche equivoco pericoloso - per fortuna non si è scomodata la Partenope, vincitrice della prima coccarda della storia e oggi esistente anche se militante in basse categorie.
Ha vinto Napoli. Ha vinto il suo pubblico: bello, colorato, giustamente rumoroso, entusiasta, capace di riempire intere tribune del palasport olimpico che è un esempio di eccellenza e non la normalità italiana - e qui ha ragione Umberto Gandini, presidente di LBA, quando dice che occorre dimostrare con i numeri e i successi che le strutture esistenti e utilizzate sono nella larga maggioranza dei casi vecchie e inadeguate e che serve maggiore attenzione da parte delle amministrazioni regionali e locali. Gli fanno eco le parole del numero uno partenopeo Federico Grassi, una delle firme di questo fragoroso e meritatissimo successo: "Ci serve una nuova arena per fare l'effettivo salto di qualità. Ci stiamo provando".
Ecco, quel che a Napoli manca non è la passione. Nemmeno i soldi, per quanto lo stesso Grassi auspichi l'ingresso di nuovi soci nel club - il bilancio 2022-23 si è chiuso con un budget da 5 milioni di euro, in linea quindi con l'ampia area di realtà di media classifica. Manca l'impiantistica. E non da ieri. Il PalaBarbuto ha già compiuto vent'anni: doveva essere una struttura temporanea in attesa del completo rifacimento del "Mario Argento". Purtroppo quest'ultimo non esiste più, i ruderi delle sue gradinate principali sono il triste ricordo di ciò che era e che di ciò che non sarà più, azzerato dai rinvii burocratici e dagli errori di calcolo antisismico più che dalle ruspe. Di fronte c'è il prefabbricato innalzato sugli ex parcheggi dell'arena che fu teatro prima della Partenope e poi della creatura di Renzo De Piano. Il PalaBarbuto ha accompagnato un'altra Napoli, quella già ricordata di Mario Maione: era la vecchia Pozzuoli che aveva cambiato prima denominazione e poi sede, trasferendosi da Monteruscello. Una Napoli bella ma incapace di consolidarsi, tanto da morire appena due anni dopo quella Coppa Italia, assassinata dall'eccessiva voglia di crescere a dispetto di criticità evidenti. Dai costi di adeguamento del Barbuto alla cancellazione del nuovo Argento passando per un'Eurolega che da vetrina continentale si era trasformata in una voragine di conti in rosso da saldare.
Questa Napoli sembra diversa. Ha faticato molto nei suoi primi due anni di LBA. Ha cambiato forse anche troppo, tra il 2021 e il 2023. Ora con le persone giuste ha trovato la quadratura. Parlo di Alessandro Dalla Salda, che fu architetto della Reggio Emilia brillante e vincente di Max Menetti. E di Igor Milicic, il coach balcanico che sotto il Vesuvio ha portato un sorriso contagioso, una mimica in panchina da istrione, una voglia di fare pazzesca e idee belle, fresche, coinvolgenti. A lui si devono le scelte estive, da Tyler Ennis che di questa GeVi è il motore di spinta, il rimbalzista aggiunto, il metronomo, a Jacob Pullen che conosce bene il Piemonte (sbarcò a Biella, chiamato da Marco Atripaldi, subito dopo il college nel 2011) passando per Tomislav Zubcic, il veterano che varia il gioco con la sua capacità di agire da play occulto.
E poi c'è lui. Michal Sokolowski, il Techno Vichingo, l'uomo venuto dal freddo che si dimostra glaciale nei momenti caldi. Come per la bomba in transizione che spedisce al supplementare il confronto con la Reggiana in semifinale, una gara trascorsa ad inseguire sino all'apoteosi del prolungamento. O come in finale, quando per 35 minuti annulla Shavon Shields, il barometro di Milano che difatti impazzisce e per quasi tutta la partita non trova una soluzione efficace. Il tutto nonostante la fasciatura al gomito per proteggere quattro punti di sutura che volano via, complici i contatti duri. La macchia di sangue che si allarga sutto i bendaggi, lo staff medico che lo fascia nuovamente, Soko che incurante di tutto torna in campo perché il lavoro non è finito finché l'ultima sirena non è suonata. Vi regalo una chicca: giovedì sera, finita la partita contro Brescia, chiedo a Michal se sia stanco dopo aver giocato 37 minuti di pazzesca intensità contro una delle corazzate del nostro campionato. "Stanco? Per nulla. Ho altre due gare da giocare. Ci vediamo domenica". Quelle parole potevano suonare come una sparata un po' guascona, invece sono state profetiche.
Sokolowski non è mai cambiato. Era così anche a Treviso prima che accadessero certe cose, prima che un sistema collaudato saltasse per la presenza di elementi di instabilità, prima che certe promesse venissero disattese, prima che una squadra costruita sull'intelligenza (lui, Imbrò, Chillo) venisse smantellata pezzo dopo pezzo in nome e per conto di un allenatore che aveva altre idee. Tutti purtroppo ricordano il Sokolowski scazzato, nervoso, scostante del suo ultimo periodo trevigiano. Pochi si domandano i motivi della metamorfosi di un giocatore intelligente e freddo, reduce tra l'altro da un Europeo da protagonista, in un elemento quasi di disturbo. Sarebbe bastato cogliere i segnali giusti al tempo giusto, evitare di mobbizzare il polacco per forzarlo ad uscire dal contratto - se non lo sapete, nell'estate 2022 TvB provò a cederlo proprio a Napoli a sua insaputa, ma l'affare saltò.
Sarebbe bastato pochissimo per evitare la frattura insanabile. Sarebbe stato sufficiente non giubilare Francesco Tabellini, che in questi giorni ha riportato Nymburk a vincere la Coppa della Repubblica Ceca. Sarebbe bastato affidarsi ad un capoallenatore un po' più attento alla tattica e alla gestione di alcuni giocatori. E con queste premesse non solo Sokolowski non avrebbe litigato col mondo, agenzia inclusa, ma anche Imbrò e Chillo (quest'ultimo vero motivo del vantaggio reggiano in semifinale fino alla propria uscita per 5 falli) sarebbero rimasti. Come detto, non occorreva rivoluzionare tutto e ripartire ogni volta dal classico foglio bianco. Napoli l'ha fatto in estate per una questione di ciclo tecnico da riavviare. Treviso lo ha fatto due volte negli ultimi due anni, prima per questioni di budget e poi per dare carta bianca ad un nuovo corso condizionato purtroppo da troppi errori di valutazione. Conoscendo Milicic e Sokolowski so che stanno già pensando alla finestra FIBA, prossimo impegno della comune militanza con la Nazionale polacca.. Non gliene frega nulla, almeno dell'immediato, del prossimo impegno casalingo di campionato, a mezzogiorno e mezzo di domenica 3 marzo. Quando al PalaBarbuto arriverà Treviso per l'ennesimo incrocio tra destini opposti, filosofie diverse e conduzioni parallele.