lunedì 19 febbraio 2024

Vedi Napoli e poi...

Per il secondo anno di fila riparto da Torino col sorriso. Dodici mesi fa ero contentissimo per la Brescia di coach Magro, per un sistema di gioco frizzante che esaltava gli esterni, per la consegna del trofeo nelle mani di una realtà desiderosa di elevare il livello competitivo. Oggi sono ancor più felice per la vittoria di Napoli. Che a dispetto dei desiderata del club partenopeo attuale non è esattamente la continuazione della defunta società che nel 2006 ottenne applausi a scena aperta a Forlì. Quella convenzione accettata da LBA ma respinta (è ovvio: codici diversi) da FIP porta a qualche equivoco pericoloso - per fortuna non si è scomodata la Partenope, vincitrice della prima coccarda della storia e oggi esistente anche se militante in basse categorie.

Ha vinto Napoli. Ha vinto il suo pubblico: bello, colorato, giustamente rumoroso, entusiasta, capace di riempire intere tribune del palasport olimpico che è un esempio di eccellenza e non la normalità italiana - e qui ha ragione Umberto Gandini, presidente di LBA, quando dice che occorre dimostrare con i numeri e i successi che le strutture esistenti e utilizzate sono nella larga maggioranza dei casi vecchie e inadeguate e che serve maggiore attenzione da parte delle amministrazioni regionali e locali. Gli fanno eco le parole del numero uno partenopeo Federico Grassi, una delle firme di questo fragoroso e meritatissimo successo: "Ci serve una nuova arena per fare l'effettivo salto di qualità. Ci stiamo provando".

Ecco, quel che a Napoli manca non è la passione. Nemmeno i soldi, per quanto lo stesso Grassi auspichi l'ingresso di nuovi soci nel club - il bilancio 2022-23 si è chiuso con un budget da 5 milioni di euro, in linea quindi con l'ampia area di realtà di media classifica. Manca l'impiantistica. E non da ieri. Il PalaBarbuto ha già compiuto vent'anni: doveva essere una struttura temporanea in attesa del completo rifacimento del "Mario Argento". Purtroppo quest'ultimo non esiste più, i ruderi delle sue gradinate principali sono il triste ricordo di ciò che era e che di ciò che non sarà più, azzerato dai rinvii burocratici e dagli errori di calcolo antisismico più che dalle ruspe. Di fronte c'è il prefabbricato innalzato sugli ex parcheggi dell'arena che fu teatro prima della Partenope e poi della creatura di Renzo De Piano. Il PalaBarbuto ha accompagnato un'altra Napoli, quella già ricordata di Mario Maione: era la vecchia Pozzuoli che aveva cambiato prima denominazione e poi sede, trasferendosi da Monteruscello. Una Napoli bella ma incapace di consolidarsi, tanto da morire appena due anni dopo quella Coppa Italia, assassinata dall'eccessiva voglia di crescere a dispetto di criticità evidenti. Dai costi di adeguamento del Barbuto alla cancellazione del nuovo Argento passando per un'Eurolega che da vetrina continentale si era trasformata in una voragine di conti in rosso da saldare.

Questa Napoli sembra diversa. Ha faticato molto nei suoi primi due anni di LBA. Ha cambiato forse anche troppo, tra il 2021 e il 2023. Ora con le persone giuste ha trovato la quadratura. Parlo di Alessandro Dalla Salda, che fu architetto della Reggio Emilia brillante e vincente di Max Menetti. E di Igor Milicic, il coach balcanico che sotto il Vesuvio ha portato un sorriso contagioso, una mimica in panchina da istrione, una voglia di fare pazzesca e idee belle, fresche, coinvolgenti. A lui si devono le scelte estive, da Tyler Ennis che di questa GeVi è il motore di spinta, il rimbalzista aggiunto, il metronomo, a Jacob Pullen che conosce bene il Piemonte (sbarcò a Biella, chiamato da Marco Atripaldi, subito dopo il college nel 2011) passando per Tomislav Zubcic, il veterano che varia il gioco con la sua capacità di agire da play occulto.

E poi c'è lui. Michal Sokolowski, il Techno Vichingo, l'uomo venuto dal freddo che si dimostra glaciale nei momenti caldi. Come per la bomba in transizione che spedisce al supplementare il confronto con la Reggiana in semifinale, una gara trascorsa ad inseguire sino all'apoteosi del prolungamento. O come in finale, quando per 35 minuti annulla Shavon Shields, il barometro di Milano che difatti impazzisce e per quasi tutta la partita non trova una soluzione efficace. Il tutto nonostante la fasciatura al gomito per proteggere quattro punti di sutura che volano via, complici i contatti duri. La macchia di sangue che si allarga sutto i bendaggi, lo staff medico che lo fascia nuovamente, Soko che incurante di tutto torna in campo perché il lavoro non è finito finché l'ultima sirena non è suonata. Vi regalo una chicca: giovedì sera, finita la partita contro Brescia, chiedo a Michal se sia stanco dopo aver giocato 37 minuti di pazzesca intensità contro una delle corazzate del nostro campionato. "Stanco? Per nulla. Ho altre due gare da giocare. Ci vediamo domenica". Quelle parole potevano suonare come una sparata un po' guascona, invece sono state profetiche.

Sokolowski non è mai cambiato. Era così anche a Treviso prima che accadessero certe cose, prima che un sistema collaudato saltasse per la presenza di elementi di instabilità, prima che certe promesse venissero disattese, prima che una squadra costruita sull'intelligenza (lui, Imbrò, Chillo) venisse smantellata pezzo dopo pezzo in nome e per conto di un allenatore che aveva altre idee. Tutti purtroppo ricordano il Sokolowski scazzato, nervoso, scostante del suo ultimo periodo trevigiano. Pochi si domandano i motivi della metamorfosi di un giocatore intelligente e freddo, reduce tra l'altro da un Europeo da protagonista, in un elemento quasi di disturbo. Sarebbe bastato cogliere i segnali giusti al tempo giusto, evitare di mobbizzare il polacco per forzarlo ad uscire dal contratto - se non lo sapete, nell'estate 2022 TvB provò a cederlo proprio a Napoli a sua insaputa, ma l'affare saltò. 

Sarebbe bastato pochissimo per evitare la frattura insanabile. Sarebbe stato sufficiente non giubilare Francesco Tabellini, che in questi giorni ha riportato Nymburk a vincere la Coppa della Repubblica Ceca. Sarebbe bastato affidarsi ad un capoallenatore un po' più attento alla tattica e alla gestione di alcuni giocatori. E con queste premesse non solo Sokolowski non avrebbe litigato col mondo, agenzia inclusa, ma anche Imbrò e Chillo (quest'ultimo vero motivo del vantaggio reggiano in semifinale fino alla propria uscita per 5 falli) sarebbero rimasti. Come detto, non occorreva rivoluzionare tutto e ripartire ogni volta dal classico foglio bianco. Napoli l'ha fatto in estate per una questione di ciclo tecnico da riavviare. Treviso lo ha fatto due volte negli ultimi due anni, prima per questioni di budget e poi per dare carta bianca ad un nuovo corso condizionato purtroppo da troppi errori di valutazione. Conoscendo Milicic e Sokolowski so che stanno già pensando alla finestra FIBA, prossimo impegno della comune militanza con la Nazionale polacca.. Non gliene frega nulla, almeno dell'immediato, del prossimo impegno casalingo di campionato, a mezzogiorno e mezzo di domenica 3 marzo. Quando al PalaBarbuto arriverà Treviso per l'ennesimo incrocio tra destini opposti, filosofie diverse e conduzioni parallele.

lunedì 5 febbraio 2024

SOS spurghi

Non scommetto un euro dal 1999, ossia da quando un libero di Alessandro Abbio in una partita di Eurolega mi fece perdere un pronostico a quattro sulle Coppe in cui puntando diecimila lire ne avrei vinto duecentomila. Da allora ho detto basta, neanche un cent. Però se dovessi rompere il proponimento che ha appena compiuto un quarto di secolo, scommetterei sicuro su un qualcosa che mi farebbe vincere facile. Ad esempio sul fatto che nessuno ha colto l'essenza delle parole pronunciate da Matteo Boniciolli dopo la vittoria casalinga di domenica contro Pesaro. Il tecnico triestino è verace, sanguigno, iperteso come il sottoscritto (e forse per questo provo empatia nei suoi confronti) ma prima di tutto è una persona dall'intelligenza superiore. E lo ha dimostrato utilizzando le giuste parole quando ha definito il world wide web come una vera e propria "fogna". Da cui emerge di tutto e di più, soprattutto il peggio. Così nel dopopartita al PalaMangano l'allenatore della Givova ha voluto rimarcare l'idiozia imperante oramai da anni, alimentata dai sempre più invadenti social che hanno dato diritto d'espressione anche al più ignorante, al più analfabeta, al più impresentabile dei tifosi. Che si sente autorizzato a commentare qualunque cosa, ovviamente a sproposito.

Su Logan e Scafati se ne sono lette di tutti i colori. Che David avrebbe litigato nello spogliatoio o addirittura col coach. Che c'erano problemi di stipendi non pagati. Che mancava chiarezza sulla sua decisione di ritirarsi. Boniciolli ha sgombrato il campo, non fossero bastate le parole di Nello Longobardi: nessuna dietrologia pelosa, nessun complotto, nessuna lite né morosità. Semplicemente il giocatore ha sentito che era giunto il momento di smettere. Per carità, si può discutere dei modi e delle tempistiche con cui questa decisione è maturata e su quali effetti immediati ha prodotto. Tuttavia la vicenda si mantiene limpida nella sua sostanzialità. Al contrario delle schifezze che si leggono online partorite da presunti esperti, tuttologi emersi non si sa da dove, profani della materia che pensano di poter criticare tutto con la pretesa di essere ascoltati e ritenuti credibili.

Le parole di Boniciolli, a cominciare da quella "fogna" invocata per descrivere il web, si adattano a meraviglia al post partita di Treviso-Virtus in cui Frank Vitucci si è giustamente arrabbiato per l'ultima idiozia piovuta dal mondo dei social. Se è vero che chiedere è lecito e rispondere cortesia, è altrettanto vero che chi compie il mestiere di giornalista (e lo dico a ragion veduta) dovrebbe saper distinguere tra questioni rilevanti e chiacchiericcio da bar. Non ha senso domandare ad un allenatore cosa pensi delle stupidate scritte sul mercato o su presunte dimissioni invocate da Tizio o Caio o Sempronio in un sito o in un forum. Se durante la partita ci fossero state delle contestazioni, sonore o con striscioni, la domanda avrebbe avuto un fondamento. Così invece significa solo stuzzicare. Ed il nostro mestiere non è quello di far arrabbiare chi intervistiamo ma di ricavare notizie.

Occorre tuttavia sottolineare come il malvezzo del gossip e della cazzata spacciata per notizia abbia preso il sopravvento. Sono molte le testate giornalistiche (o i blog che fanno informazione) che puntano sul sensazionalismo solleticando gli appetiti peggiori del pubblico. Il clickbaiting è la morte del giornalismo, con colleghi che vendono la dignità della professione per un titolone inutilmente clamoroso. O per domande assurde che in altri tempi sarebbero costate un richiamo dalla Disciplinare. La reazione umana di Frank Vitucci è stata dura e censurabile nei toni, ma comprensibile e giustificabile. Da uomo di cultura e conoscitore del giornalismo - suo fratello Alberto è una colonna di un noto quotidiano regionale - Frank ha ribadito una ovvietà: le chiacchiere da bar non sono giornalismo. E mi dà fastidio non solo che una conferenza stampa sia sfociata in tutt'altro per una dabbenaggine di un collega, ma anche che altri colleghi abbiano rilanciato la vicenda col solo intento di cavalcare la tigre dell'arrabbiatura pubblica e delle successive reazioni dell'utenza media. Che, ribadisco, dimostra di non aver capito una sillaba delle parole pronunciate appena 24 ore fa da Matteo Boniciolli.

Ad essere cinici verrebbe da citare quel vecchio adagio: "chi è causa del suo mal, pianga sé stesso". Treviso Basket nacque sui social e attraverso i social. Prima i video del marzo 2012, poi la pagina Facebook per l'azionariato popolare. Iniziative sane e degne che restituirono il senso di appartenenza alla comunità. Da allora però si è esagerato, trasformando qualunque occasione pubblica in uno show a beneficio del pubblico perennemente collegato dagli smartphone. Pubblico che, allargando in maniera eccessiva il concetto di proprietà morale del progetto TvB, ha iniziato a commentare sempre più invocando un diritto che non possiede. Ossia quello di pretendere qualcosa. Che siano delle "spiegazioni" per decisioni societarie o per movimenti di mercato, poco importa. Quella pretesa rappresenta il passaggio del Rubicone, da lì non si è più tornati indietro. I risultati si vedono oggi, con una pletora di commenti sdegnati per una censura magari antipatica ma necessaria, una volta oltrepassato il segno.

Lasciatemi dire ancora qualcosa. Innanzitutto che è ora di finirla con le pretese dei signori nessuno che nel web si arrogano diritti che non hanno. Il diritto di critica è sacrosanto ma non deve travalicare i limiti indotti dalle differenze di preparazione e di condizione lavorativa. Altrimenti si torna alla massima di Zare Markovski illustrata poco tempo fa in queste pagine sulla distanza esistente tra spettatori e attori. Poi sarebbe utile rileggere con maggiore attenzione le parole di Boniciolli sull'insussistenza di importanza dei social: lo dovrebbero fare tutti, da chi scrive sproloqui ai colleghi che vi attingono neanche fosse la Sentenza Decalogo sino agli addetti ai lavori che (seppur con un fastidio che comprendo) si lasciano trasportare dalla rabbia nel rispondere a domande che andrebbero lasciate cadere nel dimenticatoio. Visto che si è parlato di fogne, l'extrema ratio è chiamare il servizio spurghi: nulla di meglio contro scarichi intasati, residui maleodoranti e situazioni imbarazzanti.