martedì 5 novembre 2019

Una questione di civiltà

Nel 1975 nei cinema di tutto il mondo esce "Rollerball". Un film violento e poetico al tempo stesso che induce una profonda riflessione sulla dimensione alienata e distruttiva della società, modellata in senso corporativistico e salutistico ma marcia internamente al punto di sfogare le peggiori frustrazioni e gli istinti animaleschi in arene in cui gli atleti devono combattere fino alla morte.

Un'estremizzazione, non c'è dubbio. Tuttavia gli ululati, gli insulti, gli sputi(!) e tutto il corollario che ormai accompagna le esibizioni in stadi e palasport sono diventati una ben triste abitudine. Gli sportivi rispettano un codice di comportamento mentre tutto intorno a volte si scatena un inferno verbale o addirittura fisico, neanche si trattasse di una sommossa. E puntualmente, a fattaccio avvenuto, parte la caccia al responsabile. Anzi, allo scaricabarile.

Assisto in queste ultime ore all'ennesimo esempio negativo, quello che riguarda la presidentessa della Leonessa Brescia Graziella Bragaglio ed il suo entourage. Provo una sensazione di fastidio pensando che i dirigenti di una società debbano sopportare due ore di becerume assortito ed essere alla fine costretti a lasciare il proprio posto a sedere causa l'inciviltà di chi evidentemente non vive una partita come un fatto sportivo e non si reca in un'arena per godersi uno spettacolo ma solo per dar libero sfogo alla parte peggiore di sé.

Di fronte al fatto, le reazioni sono molteplici. Un imprenditore, parte in causa, ha diramato una lettera di protesta. Forse esagerata nei toni e con conclusioni un po' eccessive, ma legittima. Sul fronte opposto, la teoria difensiva è interamente improntata ad un ritornello vomitevole: "Se l'è cercata". Ora, a chiunque può capitare di incappare in uscite incongrue o inopportune, così come c'è chi dimentica le esigenze della diplomazia lasciandosi scappare qualche parola di troppo. Però... 

...però mi domando: davvero è lecito tollerare due ore di insulti, di urla, di ululati, di versi scimmieschi, persino di sputi nei confronti di un ristretto gruppo di persone? Ed in nome di cosa, di un'idea distorta di tifo sportivo, di una visione malata di passione, di un'identificazione errata tra club e tifosi (sempre che si possano definire tifosi)? Davvero non è possibile fare qualcosa? Penso ad un richiamo dello speaker sollecitato dalla società ospitante, oppure al varo di un codice etico per i club che impegni tutti a promuovere il fair play anche sugli spalti. Così da marcare la differenza tra sfottò e offesa, tra goliardia e violenza, tra passione e idiozia. Così da costruire una autentica cultura di base che sostenga dei valori senza mischiarli con la parte peggiore della società. Così da fornire un esempio positivo alle giovani generazioni: non voglio più assistere a spettacoli indecorosi di genitori che si sporgono dalle balaustre per vomitare il loro odio nei confronti di avversari con frasi volgari ed offensive sotto gli occhi atterriti dei loro figli. Quei bambini meritano una società migliore. Quei bambini non meritano un futuro da "Rollerball".