"Cosa resterà di questo 2022-23?": prendo a prestito le parole di una famosa hit di Raf per fare il punto della situazione in LBA, tra playoff, lotta salvezza e questioni di presunto contorno ma reale sostanza. E rispondo subito alla domanda ipotetica d'apertura: resterà la sensazione di un campionato schizofrenico ed imprevedibile, poverello di tecnica e qualità ma ricco di colpi di scena. Basterebbero pochi flash a confermarlo, a vostra scelta: il doppio esonero (con successiva risoluzione consensuale...) in panchina a Scafati, le sofferenze di una ricca ma mal gestita Reggiana, le tante velocità differenti di una Brescia indecifrabile, il Repesa-2 di Pesaro che somiglia moltissimo al Repesa-1, la centrifuga impazzita di Milano, la Vu Nera incompiuta, la Varese penalizzata ma non troppo.
Tanta carne al fuoco, col rischio di tramutare la grigliata in un disastro. Ed allora mi concentro sul Nordest che per la prima volta dopo tempo immemore presentava al via cinque formazioni prendendosi dunque quasi un terzo della geografia LBA. Com'è andata? Luci poche, ombre molte, dispiaceri a profusione e pochi motivi di contentezza. Cominciando da Trento che è sì un esempio di spese oculate e di buona gestione, ma dove le vacche magre cominciano ad essere sin troppo magre. L'Aquila vola a singhiozzo, anzi in Europa non si alza proprio: l'Eurocup in formato piccola Eurolega è massacrante ed affrontarla con roster a 10 (di cui poi giocano davvero in 8-9) e con appena quattro stranieri non è la migliore delle idee. Ci sarebbe di che mangiarsi le mani, tra le montagne del Trentino, per aver sprecato comunque un'occasione di rientrare nei playoff di Coppa seppur con l'ultimo posticino utile - sarebbe bastato non farsi uccellare all'ultimo ad Amburgo. Le note positive della stagione sono la doppietta di qualificazione alla Coppa Italia, onorata al meglio, ed ai playoff scudetto. Il tutto confermando Flaccadori come regista titolare ed alternandolo al gioiellino in prestito Spagnolo, che per me resta sempre una guardia in un corpo da play ma tant'è. Quel che invidio a Trento, oltre alla tranquillità dell'ambiente, alla solidità della società, alla progettualità che ha ora in Rudy Gaddo un nuovo architetto, ad un maestro di pallacanestro quale Lele Molin, è la capacità di inserire prodotti del vivaio in prima squadra. Conti e Ladurner, seppur con spazi ancora ridotti, stanno diventando giocatori sempre più importanti ed interessanti e questo, per il nostro movimento, è un segnale da non sottovalutare.
Trieste pareva la vittima sacrificale designata. Invece, bontà sua, ha cavato il sangue dalle rape nell'emergenza, pur fallendo la scelta di AJ Pacher che doveva essere il perno del nuovo progetto tecnico ed invece ha miseramente fallito la chiamata in LBA. Buono il lavoro di Marco Legovich, che è il capoallenatore più giovane e meno pagato di tutto il campionato, utile il ritorno a casa di Ruzzier, belle le scoperte Bartley e Spencer. Ma ci sono anche le ombre, a cominciare dal doping di Davis che ha privato la squadra di un americano nel momento più delicato e ha macchiato l'immagine di un ambiente sinora piuttosto tranquillo. Poi c'è la questione degli altri americani, quelli del Cotogna Sports Group: una società nata a novembre scorso, dichiaratamente dedita alla gestione di club professionistici e che dovrebbe raccogliere i soldi dei sottoscrittori per farli fruttare in ambito sportivo. Ma ad oggi si è visto ben poco, assistendo a molte passerelle, tanti incontri, chiacchiere a profusione ma poco altro. Trieste è senza main sponsor dall'addio annunciato di Allianz, i giocatori nuovi sono stati inseriti tutti o quasi in seguito a risoluzione o cessione di altri a libro paga, lasciando dunque qualche dubbio sulla consistenza reale dell'operazione americana. Mi si conceda un interrogativo ulteriore: perché la proprietà americana dichiara nelle sue apparizioni in Venezia Giulia di aver condotto dei colloqui con aziende locali per delle sponsorizzazioni? Era necessario passare le quote a nuovi azionisti da oltre Atlantico per sentirsi rispondere "grazie ma non ci interessa" dalle imprese locali che evidentemente hanno altro cui pensare?
Passiamo a Venezia. Che ha chiuso una volta per tutte il lungo capitolo De Raffaele. Capitolo che ha sì portato quattro trofei in laguna dopo quasi 75 anni di attesa ma che doveva essere archiviato almeno uno se non due anni fa. Invece le scelte fatte in estate, teoricamente volute dallo staff tecnico, andavano in controtendenza con il dettame tattico di un coach abituato da sempre ad abusare del tiro da fuori a squadre schierate - non il massimo per un Sima rimbalzista difensivo, per un Parks abituato alle transizioni ed alle percussioni, per un Freeman che predilige i giochi fuori dagli schemi o per un Willis cui piace trattare la palla da play aggiunto in corsa. Il risultato è stato un disastro: prima le sconfitte, poi le ruggini in spogliatoio, un paio di stranieri che remano contro e vengono tagliati, infine il coach sollevato dall'incarico quando la squadra è ben distante dai playoff. Al posto del livornese si è rivisto in Italia Neven Spahija, già ufficiale dell'esercito croato durante le guerre balcaniche, poi condottiero della Roseto di Abdul-Rauf. Con lui si è visto un basket diverso, meno spregiudicato e più attento al controllo dell'area, con un quintetto decisamente pesante ed alto in controtendenza col basket fatto da Bande Bassotti del periodo contemporaneo. Eurocup e Coppa Italia sono durate pochino, l'ultimo appello in una stagione in cui si pensava che almeno un trofeo Venezia potesse portarlo a casa è rappresentato dalla corsa scudetto. Dove, salvo suicidi di Milano e Virtus, è difficile pensare che possano emergere serie alternative.
Mi dispiace molto per l'epilogo di Verona. E lo dico con sincerità. Non solo per l'amicizia che mi lega a Massimilla ed a Gian Paolo, professionisti che svolgono il loro mestiere con lucidità non rinunciando mai alla verace passione che alberga in loro. Purtroppo la Scaligera ha commesso troppi errori marchiani e ha pagato tutto ciò con la retrocessione: innanzitutto, la scelta di legarsi mani e piedi in cabina di regia a Cappelletti è stata deleteria, peggio di Reggio Emilia col sempiterno Cinciarini, poiché la tattica ha comportato il rapido deterioramento dei rapporti con l'unico backup di ruolo (Imbrò) e l'assenza di una alternativa sino quasi alla fine; poi la coppia Selden-Holman, pensata per punti e spettacolo, è scoppiata subito a causa della follia del primo seguita dalla lenta ma inesorabile crisi del secondo; la volontà di premiare tanti protagonisti della cavalcata in A2 ha portato ad onorare contratti con cestisti inadatti alla Serie A, da Rosselli che per ragioni di fisico e di età non ce la fa più a questi livelli da anni a Candussi che è lento, macchinoso, prevedibile e dannoso quando il gioco diventa rapido ed atletico. A tutto questo si è aggiunta la volontà di non discutere il ruolo in panchina di Ramagli che ha pure lui le sue colpe per aver avallato alcuni acquisti e per non essersi opposti ad altri, compreso quello di Giordano Bortolani che col basket ragionato c'entra pochino e che non poteva coesistere con un cavallo pazzo ma di razza come Karvel Anderson. Poi Verona ha avuto anche la sua bella dose di sfortuna col tremendo infortunio di Smith, pivot bonsai ma prezioso, che ha compromesso la rincorsa alla salvezza. L'augurio che faccio alla piazza gialloblu è di una risalita accompagnata da un consolidamento tecnico e societario, sull'esempio del vecchio club dei Vicenzi che seppe far tesoro degli errori commessi per poi diventare una potenza riconosciuta.
Chiudo con Treviso. Brutta, sporca, indecifrabile, costruita male e condotta peggio, in salvo perché capace di vincere alcune partite nel momento giusto. A settembre avevo pronosticato alla attuale Nutribullet una permanenza non priva di fatica, lacrime, sudore e sangue, probabilmente con un posizionamento conclusivo tra la dodicesima e la quattordicesima piazza. Previsione azzeccata, ma non c'era bisogno della sfera di cristallo. Semmai era necessario che TvB capisse che affidarsi ad un progetto di corri-e-tira cozzava con la presenza a roster di un giocatore di magnifico ed intelligente complemento quale Sokolowski, che difatti si è ritrovato subito quale pesce fuor d'acqua. I mal di pancia del polacco già oggetto di una sorta di mobbing estivo del club - la tentata cessione a Napoli, il tentativo di taglio dell'ingaggio - uniti a scelte masochistiche (il boscaiolo Cooke, il pessimo Simioni, un Sarto non valorizzato ma masticato e risputato in A2) hanno portato ai brividi natalizi, seguiti da una prima ripresa, al sacrificio di Sokolowski e Sarto (e poi Cooke) per gli innesti di Ellis e del francese dal cognome caseario. Il risultato è stata un'altalena di risultati, con lo spettro della retrocessione ora vicinissimo ed ora lontano. Alla fine, sospiro di sollievo. Il futuro ha il volto di Leo Faggian, un talento da coltivare e che merita da mesi un prolungamento del contratto. Poi occorrerà discutere sulla panchina, dove l'esperimento argentino ha funzionato a strappi, oltre che sulla società all'interno della quale i malumori si sono ben avvertiti in stagione. E c'è sempre la questione sponsor in ballo, in attesa di sapere se ci saranno ancora i frullatori ciclonici sulle maglie o se occorrerà trovare qualcun altro disposto ad investire nel giocattolo.