sabato 27 gennaio 2024

Rocco e i suoi fratelli

Dopo la sconfitta al fotofinish di Treviso Basket al PalaMangano di Scafati leggo che i soliti espertoni da bar dello sport si arroccano sull'unica questione pseudo-tattica che riescono ad invocare: la presunta assenza di un pivot nelle fila della Nutribullet. Fa ancor più sorridere, questo sfoggio di insistito analfabetismo cestistico, analizzando proprio la partita giocata da TvB in Campania. In particolare la clamorosa rimonta dell'ultimo quarto, dal -19 (ed era -21 prima del canestro di Mezzanotte per il 79-60) sino a 93 pari. L'ABC della pallacanestro insegna che nei momenti di difficoltà si deve abbassare il quintetto. Traduzione per chi fatica a capire: niente lunghi di ruolo, 4 esterni e un'ala grande per favorire il movimento di palla, sbilanciare la difesa avversaria, palla in mano ai piccoli per attaccare dal palleggio e tirare da 3; sul fronte opposto, sporcare i giochi con show, raddoppi, recuperi, intercetti. Esattamente quel che ha fatto Treviso che in 9 minuti e 48 secondi è passata dal già ricordato -19 al 93-93, giocando quasi sempre con Olisevicius da ala grande tattica, sfruttando Torresani come appoggio a Zanelli, usando Allen da unico lungo più che Mezzanotte o Paulicap.

Persino un volpone come Matteo Boniciolli ci è cascato. Il tecnico triestino ha visto la sua squadra passare dalla prospettiva di controllare agevolmente un match ormai vinto al rischio di un supplementare. E per controbilanciare una situazione che stava diventando sempre più rischiosa ha accettato di seguire la filosofia del collega Vitucci ossia rinunciare al centro - Gamble, che ha fatto davvero pochino, e l'invisibile Pini - giocando prima con Nunge (neanche parente di quello visto all'andata) e poi con Pinkins, unico a fare qualcosa di davvero positivo. Ora vorrei chiedere, agli assai presunti conoscitori di questo sport: se compito del lungo in attacco in un sistema perimetrale è fare tagliafuori per raccogliere il rimbalzo offensivo, chi ha preso quel pallone decisivo? Un centrone? Un pivottone? Un settepiedi con stabili radici nel pitturato? Nossignori.

Con Pinkins 5, Boniciolli ha spostato Ale Gentile da numero 4. Ed è toccato a lui sfruttare l'arma della fisicità per lucrare su un clamoroso errore difensivo di Harrison, prendere palla e segnare da sotto. Se D'Angelo avesse preso correttamente posizione, forse Gentile non avrebbe fatto il canestro più semplice della sua serata. Quello decisivo. Peccato che con i se e con i ma non si vada da nessuna parte. Ancora una volta semmai si è visto come una squadra costruita per il gioco degli esterni dipenda da una corretta impostazione del play. E va ribadito: tra i due Robinson, quello scafatese ha fatto quel che ha voluto per tre quarti; quello trevigiano si è fatto prendere a pallonate sino a quella, dolorosa, che l'ha rimandato in panchina.

Che la partita sia girata in quel frangente, con l'ingresso di Torresani, non è casuale. Più imprevedibilità, più fluidità, più velocità. Tutto quello che era mancato in precedenza, compresa l'aggressività in retroguardia ché concedere 30 punti in un quarto con canestri in fotocopia da un solo lato sarebbe abbastanza per condannare alla panchina perenne un bel po' di giocatori. Forse con maggiore lucidità da parte di Olisevicius e Allen negli ultimi due minuti, il finale sarebbe stato meno caotico e meno traumatico. Ma ancora una volta occorre ricordare che la partita non sarebbe cambiata con il tanto richiesto (ed inutile) centrone. Sarebbe cambiata con un approccio iniziale differente, con una regia lucida nei primi trenta minuti, con una difesa vera per tre quarti di gara. E con un tagliafuori difensivo ben eseguito su quell'ultima azione. In cui in campo, per precisa scelta tecnica, non c'erano centri né da una parte né dall'altra.

Basta così? Verrebbe voglia di non infierire, magari ricordando che a novembre Scafati sbancò il Palaverde grazie a Janis Strelnieks (out stavolta per turnover degli stranieri) che pivot non è. Il lettone anzi è un play puro, cervello sopraffino, e nel precedente incrocio tra Nutribullet e Givova ridicolizzò l'impresentabile Booker. A dimostrazione di come nel basket attuale idee e lucidità servano più di centimetri, muscoli e intimidazione d'area. Col senno di poi, Boniciolli avrebbe volentieri escluso dai 12 un Nunge da vuoto pneumatico in favore proprio di Strelnieks, ma le circostanze sono state differenti. Treviso non si permette il lusso dello straniero da spedire in tribuna, quindi manda a referto sempre gli stessi. Tuttavia è indubbio che, se avesse potuto scegliere tra Justin Robinson in crisi e Strelnieks lucido, coach Vitucci avrebbe dato carta bianca al baltico.

Lasciando perdere le dietrologie, chiudo il post con una citazione che è una chicca per pochi. Se i famosi presunti esperti, quelli che blaterano di centroni e che affermano di vedere basket da 40 anni, si ricordassero di Zare Markovski, forse avrebbero il pudore di tacere. Siccome la memoria deve difettargli parecchio, gliela rinfresco io. Il coach macedone, che da qualche anno non lavora più nelle prime squadre ma ha scelto di concentrarsi sul mondo delle juniores (a Varese, per la precisione), si fece notare diversi lustri fa per una pepata risposta nel corso di una conferenza stampa. Dopo aver ribattuto a una critica, l'allenatore sentì il suo interlocutore affermare di "aver visto basket per oltre vent'anni". La replica fu da antologia: "Anch'io guardo film porno da vent'anni - disse Markovski - Ma non credo che ciò faccia di me una star del porno così come aver visto basket per vent'anni non fa di lei un allenatore". Game, set and match. Ogni tanto è utile ricordarlo a tutti quelli che pensano di saperne di più dei professionisti del mestiere. A prescindere dal fatto che si tratti di Zare Markovski, di Francesco Vitucci, di Matteo Boniciolli o di Rocco Tano in arte Siffredi.

domenica 14 gennaio 2024

Neanche in CSI

Dedico questo post del blog ad un nickname. No, non sto scherzando: nei giorni scorsi mi sono imbattuto in un anonimo utente all'interno di una piattaforma di discussione di un noto sito informativo a tema cestistico. E cosa faceva questo anonimo utente? Si dedicava a quello che, sbirciando tra i suoi messaggi, dev'essere il suo passatempo preferito ossia diffamare Frank Vitucci. Siccome ogni tanto è bene ristabilire la verità dei fatti, rompendo un piccolo proponimento personale sono intervenuto nella discussione (con nome e cognome, a differenza del nostro amico) dando una piena ricostruzione di quanto distorto dal soggetto in questione. Che, adeguatamente riportato ai suoi modesti confini di chiacchiera senza fondamento, ha pensato di reagire con l'insulto persino verso questo spazio. Salvo poi cancellare tutto, si sa mai che venga voglia di approfondire in altre sedi. Vi lascio il nickname del soggetto ossia un paradossale "Siamoseri": buffo nome, per chi sceglie di raccontare falsità in rete con la pretesa di essere creduto.

Finito il preambolo, passiamo al tema centrale. Anzi, al titolo scelto: il 3 aprile 2022 il ko casalingo di Treviso Basket contro Napoli spalancava la prospettiva di retrocessione ed in tale occasione evidenziai in sala interviste un dato eloquente. Il parziale di 3-20 (sì, tre punti segnati a fronte di venti subiti) nel secondo quarto di quella partita era qualcosa di mai visto in tanti anni di giornalismo sportivo in A e A2. A Max Menetti, che aveva già perso la bussola e stava per essere esonerato, lo dissi chiaramente: "Neanche in CSI". Usai quelle parole conscio del loro peso, ben sapendo che potevano anche risultare sgradite. Ma era la pura verità, toccata con mano negli anni in cui ho concluso la mia indegna carriera di cestista calcando i parquet del campionato CSI. Ebbene, nemmeno nella categoria più amatoriale che ci sia avevo mai visto scempi del genere. Quella sera sperai di non dover mai assistere ad un bis.

Invece dopo quasi due anni, eccoci di nuovo qui. Per carità, questa Brescia è ben più forte di quella Napoli. Ciò che fa davvero rumore non è tanto il 3-27 poi divenuto 9-33 di un quarto di gioco con un solo padrone. Piuttosto è il linguaggio silente ed al contempo urlante di una squadra in assoluta crisi d'identità. Fosse stata una partita nata male e dunque destinata a finire peggio, pazienza. Quel che non è digeribile nemmeno con una doppia dose di Brioschi è il fatto che il famoso parzialone sia arrivato dopo l'intervallo, a seguito di due quarti comunque positivi nel punteggio e caratterizzati qua e là da sprazzi incoraggianti nel gioco e nelle individualità. Ci si chiede dunque cosa sia successo negli spogliatoi. Facile capire come abbia reagito l'ottimo Alessandro Magro vedendo i suoi giocatori presi a pallonate dal piccolo Scoop Robinson: al rientro in campo il play di TvB non ha più avuto mezzo angolo di passaggio verso l'area, mentre agli altri esterni venivano tolte le opzioni del taglio a ricciolo e della penetrazione centrale e laterale, obbligando dunque a battere la difficile strada del tiro da 3 fuori dai giochi. La scommessa bresciana ha pagato, giacché la sola possibilità per Treviso di non soccombere era legata a percentuali bulgare dall'arco anche senza schemi e tirando da fermo. Si tratta della classica variabile dell'1%, che se si verifica sono dolori per chi difende, ma in caso contrario...

Appunto, il caso contrario. Una sequela di SDENG! che nemmeno Belinelli nel periodo spadellatore folle. Senza rimbalzista offensivo piazzato, senza possibilità di recupero. Quindi transizione rapida e tiro da 3 della Germani. Che in condizioni di velocità e non di staticità come avvenuto nei precedenti 20 minuti, ha iniziato ad entrare con regolarità. Fine dei giochi, fine della partita. E forse anche fine della permanenza a Treviso di qualcuno. Sono in tanti ad evocare il rotolare di teste, manco in piazza dei Signori fosse stata issata la ghigliottina. Prima ancora del parziale da record, si era già visto qualcosa che non funzionava e che aveva condizionato parte del secondo quarto. Un qualcosa che è basato su un quintetto offensivamente debole e caratterialmente inadatto. Il cui perno, ancora una volta, è D'Angelo Harrison.

Non è la prima volta che l'ex Brindisi non riesca ad esprimere il proprio potenziale. E non è la prima volta che venga beccato dai tifosi, con successive storie tese tra panchina e spalti. In settimana il suo allenatore l'ha difeso, ha chiesto ancora pazienza dicendo che occorre attendere che la guardia si sblocchi. Ed in quelle parole ci sono diverse chiavi di lettura. La principale è caratteriale: Harrison è nervoso, lo si vede da settembre; appena non gli entra un tiro comodo o non gli fischiano un fallo a favore parte per la tangente. Inoltre non difende, nemmeno sulla palla. E non aiuta. Se Zanelli fatica, Faggian paga il mancato lavoro estivo sul tiro, Mezzanotte scompare e Camara resta incollato alla seggiolina, è chiaro che tocchi a lui prendere responsabilità offensive. Ma se non produce e sul fronte opposto si conferma buco nero, allora il problema è grande. E diviene enorme nelle serate in cui Ky Bowman accusa difficoltà offensive, ché a quel punto non si sa che pesci pigliare per il ruolo di guardia.

Il guaio è più grave di quel che si pensi. Perché il girone d'andata è appena cominciato e la squadra è sempre penultima. Perché progressi nel gioco non se ne vedono (più). Perché l'effetto benefico Robinson-Olisevicius sembra attenuato. Perché la panchina è debolissima. Perché Harrison è stato finora protetto da Vitucci e Giofrè. Perché sempre Harrison vanta un contratto a cifre importanti che non è semplice da sbolognare altrove né da risolvere. Perché c'è sempre meno tempo a disposizione per correggere la rotta, incamerare punti e sperare nella salvezza. In questo senso, domenica contro Sassari sarà già un match da dentro o fuori. Non solo per Harrison, ché i sussurri alle spalle di Frank Vitucci stanno aumentando e non solo da parte dei nickname anonimi. Quattordici anni fa, proprio in questi giorni, l'attuale tecnico biancoceleste veniva esonerato dalla Benetton a favore di Jasmin Repesa al culmine di una manovra così sporca da destare lo scandalo della stampa. Non fu, quello del 2010, un licenziamento per scarsi risultati come ha scritto il famoso anonimo, ma una carognata in piena regola. Dopo una vittoria casalinga e con la squadra ancora in corsa per la Coppa Italia, la Benetton Basket sollevò dall'incarico Vitucci perché la prima scelta, quel Repesa che qualche mese prima aveva rifiutato per questioni di impegni di Nazionale e di soldi, si era finalmente reso disponibile alle condizioni desiderate. Quindi via lo "scaldaposto" Vitucci e dentro il "titolare croato". Fu una porcata, maldigerita da molti e dimenticata da altri. Questi ultimi sono gli stessi che oggi vorrebbero la testa del coach sul ceppo. Potrebbero essere accontentati nel giro di una settimana. Anche se spero che stavolta la storia prenda un'altra piega.

POST SCRIPTUM: siccome la persona che utilizza quel nickname anonimo legge questo blog, sappia che non esistono prescrizioni mediche che obblighino appunto alla lettura. Se non gradisce, può sorvolare e dedicarsi ad altro. Possibilmente, a qualcosa di diverso dalla denigrazione anonima di un professionista. Personalmente vivo benissimo anche con un lettore in meno, specie se si tratta di una persona che sfrutta la rete per infangare la reputazione di chi lavora. E visto che ha rifiutato il mio invito a conoscersi di persona, spero che un giorno l'anonimo denigratore avrà la cortesia di presentarsi a Frank Vitucci rivelandosi e spiegando i motivi del proprio livore. Anche se dubito che lo farà mai.

domenica 7 gennaio 2024

Un lungo elenco di scelte. Sbagliate

"Dicono che toccato il fondo non si possa far altro che risalire. A me spesso capita di iniziare a grattare": così scriveva il compianto Roberto Freak Antoni - i cui biglietti da visita, alla voce "professione", recavano la parola "genio" - in quella summa di chicche, nonsense, esperimenti logico-linguistici e provocazioni che porta il titolo di "Non c'è gusto in Italia ad essere dementi (ma noi continuiamo a provarci lo stesso)", libro che è come il buon vino. Più passa il tempo, più lo si apprezza. Sono passati 33 anni dalla sua uscita - era il 1991, l'anno del golpe d'agosto e della dissoluzione dell'URSS, dell'esplosione della Jugoslavia, della guerra del Golfo... altro che nostalgia! - e quelle frasi trovano sempre maggiori aderenze con l'attualità che viviamo. Alla faccia della tecnologia, del progresso, dei social, dell'intelligenza artificiale. Forse è vero che viviamo l'illusione di un miglioramento a fronte in realtà di una continua regressione. Ed a leggerla con la chiave filosofica, probabilmente non aveva tutti i torti Arthur Koestler che nel 1967 nel pieno della Guerra dei Sei Giorni e con il solito incubo nucleare sulle nostre teste dava alle stampe il suo saggio "Ghost in the Machine". Cosa teorizzava Koestler? Che la tendenza autodistruttiva dell'uomo è insita nella sua natura, un concetto apodittico che trova riscontri in ciò che vediamo ogni giorno.

Ok, la finisco col pippone morale-esoterico-filosofico, ché poi qualche intelligentone se la prende poiché non comprende la bellezza di leggere qualche libro ogni tanto, spaziando tra la psicanalisi e l'anti-logica. E mi dedico all'argomento centrale ossia la situazione terrificante di Treviso Basket. Uso questo aggettivo non a caso: a terrorizzare non è tanto il gioco espresso o le sconfitte recenti contro dirette avversarie per la salvezza, quanto piuttosto la lunga sequela di errori compiuti da giugno in poi dalla società e da tanti suoi addetti. Perché come era sciocco pensare che fino a qualche mese fa il colpevole di ogni male fosse il bistrattato Andrea Gracis, la cui dose di sopportazione pare oltrepassare l'autocontrollo dei bonzi, altrettanto è ritenere uno tra Simone Giofrè o Frank Vitucci unico o principale responsabile della situazione attuale. Il male, purtroppo, è diffuso. Eradicarlo è difficile se non impossibile. Curarlo con pazienza e con medicine amare pare sia l'unica soluzione.

Da dove cominciamo questo famoso elenco? Da quella non-conferenza stampa al Palazzo Della Luce, uno show che avrei evitato, architettato a beneficio dei maledettissimi social che paiono imperare ovunque affinché legioni di spettatori possano assistere. Ma a quel punto tutto diventa spettacolo, in cui gli attori sul palco recitano una parte e la stampa (che in realtà dovrebbe essere l'unico interlocutore e fruitore dell'evento in sé) è chiamata solo a rivestire un ruolo, talvolta senza quella dignità che ogni lavoro dovrebbe vedersi riconosciuta. In quell'occasione di lustrini e paillettes, si decise di annunciare la rivoluzione di TvB, la chiusura di un capitolo di vacche magre e di programmazione striminzita in favore di un qualcosa a respiro maggiore. E quindi, di converso, l'apertura di un'era di ambizioni: parole pesanti come "consolidamento", "stabilizzazione" ed addirittura "playoff" vennero pronunciate quel pomeriggio estivo con l'aria condizionata a palla. Poi venne il resto della rappresentazione con momenti di puro imbarazzo su cui preferisco sorvolare.

L'origine dei mali è lì, in quell'evento celebrativo il cui culmine fu rappresentato dai paroloni che eccitarono la folla, presente o collegata da casa. Invece di un sano low profile, sempre molto apprezzato perché evita voli pindarici che potrebbero concludersi con schianti al suolo, si preferì l'effetto-bomba. E ciò venne replicato qualche mese dopo nella serata sotto la Loggia dei Cavalieri. Nonostante un precampionato con tanti dubbi, a dispetto di una preparazione condotta senza alcuni giocatori e di qualche campanello d'allarme già abbondantemente risuonato, anche nella presentazione alla città l'atmosfera era sin troppo ottimista. Peggio: le aspettative erano altissime. Giustificate, per carità, dal pedigree e dal nome dei prescelti. Però con quel retrogusto non del tutto piacevole di eccesso di zucchero a cospargere qualcosa che non era poi così buono. Come lo si sarebbe visto nel giro dei due mesi successivi.

Quindi, prima degli errori di valutazione sulle capacità di playmaking di Booker e prima di capire quali fossero i reali problemi di Young, c'era dell'altro. C'era la voglia esagerata di stupire, di provocare in senso positivo, di voler a tutti i costi vivere dei momenti di esaltazione. Gli stessi che paiono tornare ciclicamente ad ogni successo di TvB, che sia in casa o in trasferta non fa differenza. E che vengono seguiti di volta in volta dagli immancabili buchi neri, i periodi di desolazione e di lutto che le sconfitte (specie quelle in serie) spargono sull'ambiente come un morbo contagioso. "In medio stat virtus", scrivevano Orazio e Cicerone, due soggetti che magari oggi verrebbero bollati come noiosi professoroni ma che non difettavano certo di acume. E se il latino proprio non lo digerite, allora vi propongo tre strumenti di facile comprensione utilizzati da millenni dai costruttori.

Il primo è il filo a piombo. Che simboleggia quello che viene chiamato aplomb ossia la calma, la sicurezza, la tranquillità per affrontare le difficoltà. Non si può dire che tutti in questa TvB 2023-24 posseggano un aplomb: non ce l'ha sicuramente D'Angelo Harrison che da quando è arrivato nella Marca non fa che battibeccare con tutti, arbitri, avversari, persino i tifosi locali. Ditemi pure che si tratta del caso, però quando Harrison ha avuto un ruolo molto minore o è stato assente giustificato per infortunio, si è verificato un crollo della tensione nervosa nei ranghi della Nutribullet con conseguenti benefici per tutti. Ad un giocatore esperto non si chiedono soltanto canestri ad alto tasso di difficoltà; piuttosto ci si attende da lui un contributo nella misura della fiducia da redistribuire anche quando le avversità paiono soverchianti. Harrison finora non ha fatto nulla di tutto ciò. Piuttosto si è dimostrato inquieto, bizzoso, scostante. Neanche la perdita del quintetto base sia stata per lui un'offesa capitale.

Il secondo strumento che cito è la livella. La bolla, ossia il raggiungimento dell'equilibrio, porta benefici ovunque poiché rende tutto più solido. Forse andrebbe spiegato tale valore a Ky Bowman che, rinfrancato dal posto da guardia titolare soffiato a Harrison, ha pensato che in fondo tutto gli può essere concesso. Anzi, che può sempre agire fuori dagli schemi, anche nei finali punto a punto in cui servirebbe maggiore equilibrio tra la voglia di vincere e la freddezza necessaria per gestire certi possessi. Lo si era visto già a Sassari, alla terza giornata: Bowman non ce la fa proprio a mantenere il controllo, ad essere equilibrato per il bene di tutti. Se la squadra è sotto di due punti a dieci secondi dal gong, invece di giocare col cronometro e di sbilanciare la difesa avversaria preferisce tirare da 10 metri senza nemmeno prendere il ferro. E se il gap è maggiore, diciamo di sei lunghezze ma con un minuto a disposizione, non vuole nemmeno pensare a trovare un buon canestro da due punti per ridurre il gap e poi giocarsi tutto in difesa: meglio tentare la bomba, anche a costo di farsi stoppare e di lasciare campo libero alla transizione avversaria. Un basket di eccessi dunque, in positivo quando va bene ma in negativo in troppe occasioni. E, ça va sans dire, senza equilibrio.

Il terzo ed ultimo strumento il tavolo da disegno. Si tratta del ripiano su cui viene steso il progetto. Che, qualora contenga errori, può essere rivisto e corretto proprio intervendo sui disegni originali. Qui qualcosa è stato fatto, anche se in ritardo, rimpiazzando un play immaturo ed un 3 mentalmente distante con due elementi di sistema. L'equazione, accompagnata da qualche modifica qua e là, ha funzionato per quattro partite. Poi basta. Ed allora c'è da domandarsi se i progettisti non abbiano dimenticato qualcosa. O se siano state fatte davvero tutte le valutazioni del caso, una volta esaminati gli elementi da costruzione scelti in precedenza. Pensare ad esempio che un Mezzanotte possa diventare puntello di questo reparto lunghi è puramente ottimistico. E se i giovani si allenano con poca voglia, è inutile punirli in partita relegandoli in fondo alla panchina: piuttosto andrebbero presi per il famoso bavero in palestra, redarguiti al momento giusto, indirizzati, catechizzati, responsabilizzati. Altrimenti si torna alle rotazioni ridotte all'osso dell'anno scorso, quando nelle sconfitte di venti e più punti i vari Jurkatamm, Faggian, Scandiuzzi restavano a guardare la nave che affondava. L'americano che doveva essere il leader è una palla al piede? O si prenda il coraggio di tagliarlo rimettendoci parecchi soldi, oppure gli si faccia capire che la nazionalità non conferisce minuti a prescindere - quindi, il coach deve spronare i giovani in allenamento e questi ultimi devono farsi il famoso e metaforico mazzo per dimostrare di meritare quei minuti. In tal modo il suddetto americano dovrà darsi una regolata oppure sarà lui stesso a voler rinunciare a parte dei soldi del contratto pur di migrare altrove, in campionati dove si difende meno o in squadre dove l'anarchia del singolo viene prima del benessere del gruppo.

Ricapitoliamo. Gli show estivi, le parole sbagliate, le aspettative eccessive, l'ingaggio di giocatori inutili o dannosi hanno portato Treviso Basket al peggior girone d'andata della sua storia in LBA. Max Menetti ha sempre raggiunto la boa con sei successi; l'anno scorso Marcelo Nicola col tris tra Natale e Capodanno toccò quota 10 punti ossia 5 referti rosa. Ora si è arrivati a quattro. Non è lo zero fatto da altre squadre in altri campionati, però non si può negare che alla faccia dei proclami di giugno di voler progredire vi sia una evidente regressione dei risultati. E con la quota salvezza che è fissata a 24 punti significa che nel girone di ritorno serviranno 8 successi in 15 incontri, magari raddrizzando qualche differenza canestri attualmente negativa. In teoria è un'impresa fattibile, ma sempre guardando all'anno scorso servirebbe un'affermazione in più. Con diversi, necessari accorgimenti, l'impresa potrebbe compiersi. Sempre che non sia tardi per capire che per voltare pagina non bastano belle feste, nomi altisonanti e ambizioni esagerate.

In chiusura, visto che ho citato Freak Antoni e Koestler, vi regalo un doppio momento musicale. Se siete arrivati fino a qui, sopportando la mia prosa che alcuni definiscono pesantissima o indigeribile, meritate un premio. Quindi vi lascio due album da ascoltare assolutamente per riallineare le vostre energie col mondo e per ritornare a pensare con lucidità. Il primo è degli Skiantos che nel 1987 uscirono con "Non c'è gusto in Italia ad essere intelligenti". Sull'onda del loro Sconcerto ("Che peccato gettare le perle ai porci/Ma pensate che casino, gettare i porci alle perle"), questo disco oggi introvabile perché non più ristampato ci proietta in una prospettiva differente, in cui si può gioire per le piccole cose senza dimenticare che le botte di culo aiutano e che di fronte alle difficoltà è meglio prenderla con filosofia.
Se invece volete saperne di più su Koestler ma non avete voglia di cercare i suoi libri perché non conoscete l'inglese, perché siete pigri o semplicemente perché pensate che leggere sia da sfigati, allora vi consiglio il quarto album di studio dei disciolti Police. Nel 1981, mentre il filosofo già sa che lo attende una morte certa a causa di una terribile malattia (e per non vivere gli ultimi giorni come malato terminale e vedova inconsolabile, lui e la moglie nel 1983 si suicideranno), i tre sbirri della musica imprimono una svolta elettronica al loro punk-reggae da bianchi degli slums inglesi attingendo a piene mani dalla filosofia olonica. Il risultato è un disco godibilissimo e con un ritmo coinvolgente, tra incursioni di sax e testi che riprendono temi ecologisti, apocalittici e da film. Buon ascolto! E buon 2024 nel basket.