mercoledì 17 marzo 2021

F... come Follia

Prendo a prestito il titolo di un pezzo del vecchio Superbasket di quasi 20 anni fa (giugno 2002 per l'esattezza) per riassumere le ultime, vorticose, assurde, insensate, pazze 72 ore della Fortitudo Bologna, la società più imprevedibile che ci sia. Sfido chiunque ad annoiarsi di fronte ad un frullatore di emozioni del genere, anche se ultimamente è capace soltanto di riservare uno stupore negativo o palesi arrabbiature ai propri tifosi. Come dicevo, "F... come Follia": all'epoca il settimanale diretto dal collega Franco Montorro utilizzò questo titolo per analizzare l'assurdità tanto di caricare con significati eccessivi i playoff di una Effe affatto irresistibile e reduce da varie bastonate quanto di effettuare da parte della sua tifoseria una invasione di campo davanti alle telecamere Rai per impedire che una delle tante rivali potesse festeggiare meritatamente, sul parquet, la vittoria di uno scudetto. 

Stavolta la follia è qualcosa di composito ed apparentemente irrazionale ma che pare stretto parente di quanto avvenne - tanto per restare nel medesimo arco temporale, vale a dire i primi mesi del 2002 - sull'opposta sponda del Reno, quando in 24 ore la Virtus esonerò e richiamò Ettore Messina in quella che sarebbe stata l'avvisaglia della tempesta prossima ad abbattersi sull'Arcoveggio. Come all'epoca il casus belli riguardava una partita malamente persa in trasferta, anche per la Fortitudo il motivo scatenante (almeno stando alle dichiarazioni pubbliche) sarebbe quello del ko di domenica sera nel posticipo al Palaverde che è costato alla Lavoropiù il ritorno nella zona infernale della classifica, quella del gruppone a cinque per evitare la retrocessione.

Alzi la mano chi pensava che la De' Longhi, priva di Logan, potesse spuntarla contro la Fortitudo, specie dopo aver incassato un break tra secondo e terzo quarto per il +10 ospite al 27°. Sembrava tutto pronto per una trionfale cavalcata felsinea verso una vittoria risolutiva, forse addirittura una rivincita nei confronti della sconfitta dell'andata. Invece tra l'antisportivo di Aradori, Menetti che passa a zona, Dalmonte che si intestardisce con Baldasso in regia, il dottor Vildera che maramaldeggia a centro area, ecco servito il terzo referto giallo consecutivo. Ma tutto sommato perdere fa parte del gioco, sarebbe sciocco e puerile pensare di poter vincere sempre o quando si vorrebbe, no? E fin qui, nulla di eccezionalmente notabile, a parte le polemicucce da asilo su cori, sciarpe e sponsor che fanno il tifo.

Passato il weekend e con una partita delicatissima da preparare in appena cinque giorni, lo scontro-salvezza con Reggio Emilia da giocare nel medesimo impianto utilizzato in stagione dalle due squadre, chiunque si aspetterebbe un minimo di tranquillità per consentire allo staff tecnico di lavorare nelle migliori condizioni. L'unica giornata relativamente pacifica è lunedì, in cui comunque ronzano voci di insoddisfazione, di tirate d'orecchi mirate. Martedì, forse pensando di stemperare l'atmosfera con qualcosa di positivo o addirittura allegro, la Fortitudo presenta una iniziativa benefica con le maglie realizzate per conto del main sponsor in prospettiva del derby di fine mese. Bisogna dire che forse qualcuno ha equivocato il significato del famoso motto "Che se ne parli male purché se ne parli": dopo i pois del 2016/17, l'amaranto della Coppa Italia 2018, lo sponsor fantasma Metano Nord, le simil-double da allenamento della scorsa stagione, le righine di quest'anno, ecco la sfumatura rosa-fucsia su un melange azzurro-blu che fa sorridere (eufemismo) mezza Italia cestistica e scatena nuovi comprensibili sfottò. 

Tutto sommato, se ci si fermasse alle maglie da stracittadina non ci sarebbe nemmeno granché da lamentarsi. Il problema è che nella stessa occasione Christian Pavani, presidente del club, dice qualcosa che travalica la semplice presentazione della tenuta da gioco. Nello specifico Pavani ammette le difficoltà finanziarie, dice che dopo un anno solare di palasport chiusi al pubblico la società Fortitudo inizia a faticare, che i soci dovranno fare delle valutazioni, che a giugno si potrebbe anche pensare di passare la mano in assenza di novità importanti (leggi riaperture degli impianti o interventi strutturali), invoca addirittura lo stop al campionato. Parole che non sono nuove, d'altronde più di una realtà all'interno di LBA nei mesi scorsi ha denunciato la difficoltà a far quadrare i conti senza l'apporto del botteghino e con riduzioni degli importi da sponsorizzazione. Ma quando Pesaro o Varese lamentavano gli ammanchi o quando la Virtus Roma spariva seppellita da promesse non mantenute o quando prima ancora, in estate, Pistoia si autoretrocedeva perché impossibilitata a sopportare il peso economico di una annata professionistica con troppe incertezze, la Fortitudo non apriva bocca. Anzi, ingaggiava a suon di assegni pesanti fiori di giocatori e ne confermava altri dall'ingaggio affatto leggero. E pure ad annata in corso, quando si è trattato di intervenire per cambiare l'allenatore e rivoluzionare mezza squadra, la Fortitudo ha chiamato i procuratori senza lamentare apparentemente problemi di liquidità, né immediata né in prospettiva. Fu tattica o follia?

Torniamo al presente. Dopo la sconfitta a Villorba, le maglie multicolor e il grido d'allarme, oggi giunge l'ennesima novità. Circola infatti la voce di una lettera di Pavani ai giocatori in cui il massimo dirigente biancoblu si dichiarerebbe arrabbiato, deluso e tradito al punto da aver deciso il blocco temporaneo degli stipendi. Una misura cui non ricorre nessuno perché, con le norme in vigore, è palesemente draconiana al punto che un qualsiasi giocatore potrebbe rivolgersi agli organi competenti per avere giustizia ottenendola in tempi ragionevoli. Per questo motivo di solito i dirigenti preferiscono piuttosto sfruttare lo strumento delle multe cui l'atleta non si oppone perché presente nel contratto firmato e dunque già avvisato. Il blocco degli stipendi invece è un altro discorso e non lascia presagire nulla di buono, tant'è vero che appena la notizia si sparge partono le congetture. E se fosse una mossa non per spronare la squadra ma per risparmiare una mensilità? E se fosse un modo per celare l'effettivo stato di salute del club, fino a pochi giorni fa mai messo in dubbio grazie ai continui ingaggi in corso d'opera? E se la Fortitudo avesse davvero problemi a breve-medio termine, per quale motivo appena la scorsa settimana si sarebbe parlato del nuovo centro sportivo a Borgo Panigale come progetto per garantire un futuro alla società stessa?

Troppi dubbi, troppe domande. Troppe situazioni che lasciano disorientati al punto da domandarsi se quella Fortitudo pazza ed incosciente di cui "Superbasket" chiedeva l'archiviazione quasi vent'anni fa, suscitando lo sdegno di buona parte dei tifosi, non sia mai morta col fallimento ma sia sopravvissuta cambiando pelle esterna, mutando codice FIP ed assetto societario ma mantenendo al proprio interno il difetto di non riuscire a gestire una vera pianificazione preferendole la follia, euforica o distruttiva. Magari domani Pavani smentirà tutto, affermerà che non è accaduto nulla, che la società è solidissima e che i soci continueranno anche l'anno prossimo tornando al PalaDozza, anche a porte chiuse nella peggiore delle ipotesi. Forse non ci sarà nessun ritardo negli stipendi, neanche una multa, appena giusto un paio di urlacci a fine allenamento. Chissà. Certo però che il giochino inaugurato su Twitter qualche sera fa da Adrian Banks, guardia americana che la scorsa estate lasciò Brindisi attratta dall'ingaggio principesco in Effe, ora suona assai beffardo: alla sua sfida "Dimmi che giochi a basket in Europa senza dirmi che giochi a basket in Europa", i primi follower che hanno interagito hanno risposto citando il noto malcostume dei ritardi nella corresponsione degli emolumenti. Casualità, preveggenza o semplice boutade?

martedì 2 marzo 2021

Dal Titano alla gloria

Vulcanico. Era questo l'aggettivo più usato per definire carattere e persona di Luciano Capicchioni, colui che per anni fu dominus incontrastato della pallacanestro vissuta lontano dalla panchina o dal parquet, quella costruita dietro le scrivanie, ai tavoli delle trattative, sorseggiando una limonata fresca nelle calde giornate estive delle Summer League o intavolando lunghe discussioni per giungere ad accordi a volte impensabili. Luciano si è spento nella notte a 75 anni dopo una vita da vero combattente.

Non era una persona semplice con cui intavolare una trattiva. Cittadino di San Marino con un piede ben piantato nella capitale indiscussa della Riviera, Capicchioni era diventato un personaggio dominante negli anni '80 iniziando a rappresentare diversi campioni provenienti dall'Est. Merito anche di una partnership poi bruscamente interrotta, quella con Mira Poljo, la donna d'acciaio che gli aveva portato in dote tra gli altri Toni Kukoc. In una pallacanestro italiana che muoveva decine di miliardi alla volta, pompati dai Ferruzzi, dai Benetton, da Scavolini, poi dalle guerre stellari bolognesi tra Cazzola e Seragnoli, Capicchioni era lo squalo abituato a nuotare in un mare che conosceva meglio di molti altri. Chi più e chi meno, tutti coloro i quali si sono dedicati alla procura di cestisti hanno dovuto prima o poi confrontarsi con la sua storia imprenditoriale, con i suoi metodi, con i suoi successi e con le sue politiche.

Anche se col tempo la sua agenzia Interperformances aveva subito la sempre più dura concorrenza prima dell'ex socia Poljo e poi di tanti altri professionisti, Capicchioni aveva sempre voce in capitolo. Quando nel 2000 l'ULEB dichiarò guerra a FIBA Europe, per completare il quadro delle partecipanti alla nuova Eurolega arrivò proprio Capicchioni con un'invenzione machiavellica, i S. Petersburg Lions: una franchigia fantasma, composta da giocatori Interperformances senza contratto che si allenavano a Varese per giocare una volta a settimana in Russia - il miglior prodotto era Derek Hamilton che difatti poi trovò posto proprio a Varese ed a fine carriera a Rimini, ma c'erano anche Verginella, Bazarevich e l'ex Benetton Stazic. Si mormorava di una presenza-ombra di Capicchioni anche negli allora Lugano Snakes, altra cenerentola continentale inserita a forza per colmare le defezioni verso la Suproleague. Insomma, il manager sanmarinese era una vera potenza.

L'apice della sua carriera arrivò nei primi anni 2000 quando con Interperformances era talmente potente da poter costruire quasi da solo intere squadre di Serie A. L'esperimento dei Lions lo replicò poi in casa, rilevando i Crabs da Sberlati in Legadue e inserendo di volta in volta giocatori da lui seguiti, in parcheggio temporaneo per prestito (Giovannoni, Barycz) oppure come vetrina in attesa di una chiamata. La Federazione dovette addirittura intervenire per inserire una norma che vietava esplicitamente ai procuratori di possedere quote di maggioranza di club professionistici: il timore era rappresentato dalla possibilità che si potesse alterare l'equità competitiva favorendo la carriera di un giocatore a suon di statistiche gonfiate.

Rimini però divenne anche lo specchio della sempre maggiore debolezza di Capicchioni. Tra farseschi tentativi di sponsorizzazioni o fantasiosi ingressi di soci fantasma, i Crabs affondarono nei debiti tanto da indurre il loro proprietario ad una operazione mai tentata prima, quella dello scioglimento con immediata ricostituzione per consentire un doppio salto all'indietro, dalla non più sostenibile Legadue professionistica alla B2 dilettantistica. La triste parabola di Rimini fu specularmente quella di Capicchioni, sempre più identificato come responsabile dei guai del club - in realtà provò in ogni modo ad evitarne il fallimento - e sempre meno potente sul fronte del mercato. Si arrivò addirittura alla contestazione da cui nacque una bella realtà che oggi si chiama Rinascita Basket Rimini e che dopo un periodo di ostilità ha riunificato le tante anime della pallacanestro locale. Capicchioni, dimenticati i vecchi rancori, aveva lasciato la presa consentendo il matrimonio tra tradizione ed innovazione con una lunga lettera di commiato.

Una lettera che oggi suona quasi come un testamento ed un epitaffio. Per lui, per il basket ricco che fu e che oggi a parte poche eccezioni mendica, per i campioni che non torneranno, per la piccola Repubblica di San Marino che perde un personaggio magari chiacchierato, antipatico, duro, ma di sicuro impatto e che finché ha potuto ha sempre combattuto. Ciao Luciano.