lunedì 7 ottobre 2019

Tra il dire ed il fare...

Non ho davvero compreso la reale portata della rottura del rapporto tra David Blatt e l'Olympiacos Pireo. La versione ufficiale recita "rescissione consensuale del rapporto" ma i contorni della vicenda restano poco chiari. Spiego il perché: in estate Blatt annuncia al mondo di essere malato di sclerosi multipla, una malattia degenerativa autoimmune. Lo fa attraverso una lettera, pubblicata dal sito ufficiale di OAKA, in cui tra le altre cose si riafferma la volontà di ambo le parti, vale a dire il tecnico e la società, di proseguire il rapporto lavorativo. Bel gesto che consente al club pireota di raccogliere simpatie un po' ovunque - merce rara, specie dopo la pantomima primaverile che ha scaraventato i Reds nel secondo campionato greco.

Fin qui tutto bene ("L'Odio", gran film francese).
Poi arriva il banco di prova rappresentato dal debutto nella nuova regular season di Eurolega. Come prevedibile, l'Olympiacos viene rullato senza troppi complimenti dall'Asvel, quest'ultimo debuttante nell'attuale formula di EL, ed iniziano i malumori. Blatt lamenta percentuali ridicole dei suoi, dice chiaramente quel che pensa - è al contempo un suo pregio ed un suo limite. Leggendo tra le righe si capisce tutto: dove si crede di andare con una squadra che farà fatica ovunque, che punta a rifarsi in patria e poco altro? E qui si tocca il nocciolo della questione: qual è il vero motivo della retrocessione a tavolino dell'Oly? E perché ECA si è rimangiata il vecchio vincolo di competitività (la famosa formuletta che portò all'esclusione di Virtus, Fortitudo, Treviso e Roma in passato), salvando la presenza di una formazione che teoricamente sarebbe dovuta sparire dal radar?

Tempo due giorni e arriva la separazione tra le parti. Consensuale o brusca, non è ben chiaro quale delle due, specie se non si badano ai comunicati di facciata che augurano sempre i migliori futuri ma che spesso sono intrisi di ipocrisia. Il dubbio lo ha insinuato anche Sarunas Jasikevicius, un altro personaggio abituato più ai fatti che alle parole: non si caccia un allenatore per una sconfitta singola, né è corretto addebitare al tecnico tutte le ragioni di un fallimento annunciato. E qui torniamo ai precedenti interrogativi: Blatt si è dimesso, ha deciso di farsi da parte, è stato cacciato o cos'altro?

Pacifico che nessun club con una dirigenza nel pieno delle proprie facoltà intellettive ammetterebbe mai in pubblico e probabilmente nemmeno in privato di aver sollevato dall'incarico un allenatore colpito da una grave malattia. Sarebbe a livello mediatico una mazzata da cui non si potrebbe recuperare in alcun modo. Così come la storiella degli arbitraggi pro-PAO nei playoff con conseguente decisione di non scendere in campo e conseguente retrocessione a tavolino è come il pesce marcio: puzza dalla testa. L'affaire di famiglia interno agli Angelopoulos è lungi dall'essere risolto e più d'uno ha adombrato il sospetto di permanenze locali tra i giocatori (l'eterno Spanoulis ma anche Printezis) dettate più dalla volontà di provare a recuperare un'annata di stipendi promessi e mai intascati che dal reale amore per la maglia. Insomma: si digerisce a viva forza l'A2 sperando di vedere qualche euro nel conto corrente. Lo stesso Blatt in estate era offerto sul mercato degli allenatori e si era fatto il suo nome anche per Milano prima dell'accordo con Ettore Messina. Tutto tace sul fronte societario anche se in Grecia sono tanti a mormorare e dalle parti del Pireo il brusio comincia a diventare una costante.

Al posto di David Blatt per il momento si è insediato il suo fedelissimo vice Kestutis Kemzura. Bravo, preparato ma non un leader assoluto. Un ottimo assistente, questo sì. E difficilmente resterà in sella tutta la stagione. Chissà chi prenderà la patata bollente pireota, sperando ovviamente di non ustionarsi. Nel frattempo faccio a David i miei auguri per la sua battaglia personale contro il male. E spero che ECA, così attenta ai dettagli, trovi del tempo per risolvere l'equivoco di una squadra di A2 sì infarcita di vecchie glorie e di qualche apprezzabile straniero, ma impresentabile al gran ballo continentale.


giovedì 3 ottobre 2019

Ricchezza e povertà

Il campionato LBA ha avviato la stagione 2019/20 da più di una settimana. A far notizia finora, almeno sui campi di gara, gli exploit di qualche outsider, alcuni scivoloni a sorpresa, le prestazioni di singoli selezionati. Ma sono argomenti che non mi interessano, almeno in questa sede. Voglio offrire invece uno sguardo d'insieme al campionato.

Osservando lo stato dell'arte della pallacanestro professionistica d'Italia, non possiamo certo parlare di ritorno all'età aurea. Per quanto i recenti ingaggi dei vicecampioni mondiali Luis Scola e Marcos Delia da parte rispettivamente di Olimpia Milano e Virtus Bologna - neanche a dirlo, le vere favorite per lo scudetto, con buona pace di tutte le altre - abbiano scosso il panorama generale, con lieve scossa tellurica in quel di Trento per il rientro in Italia dell'eterno incompiuto Ale Gentile, i tempi delle guerre stellari sono tramontati e consegnati ai libri di storia della pallacanestro nostrana. I miliardi di allora ed i milioni di oggi sono mossi da pochissimi mecenati, merce davvero pregiata che va esaurendosi, imprenditori mossi dalla passione ma soprattutto da interessi slegati allo sport. La stragrande maggioranza delle società è gestita con budget che un tempo avremmo definito medio-piccoli, con forme consortili piuttosto che di azionariato diffuso. Alcune funzionano, altre arrancano.

Questo si traduce in una segmentazione del livello competitivo del campionato. Sono tramontati i tempi in cui il Pool di Varese poteva concorrere allo scudetto con una squadra di scommesse, prestiti, sottovalutati, scartati, pagati tutti il giusto (o pagati da altri), mentre una Pesaro del magnate (vero) Valter Scavolini retrocedeva in A2 a dispetto di stipendi faraonici e risaliva successivamente pagando a carissimo prezzo una stagione fallimentare in cadetteria, acquisto dell'indebitata Gorizia compreso. Oggi chi può permettersi cifre iperboliche non bada a spese, a cominciare dalla panchina e dirigenza per poi proseguire con la squadra: se Milano ingaggia Scola e prima ancora Rodriguez, se la Virtus si permette Delia ed in estate Teodosic, è anche perché i rispettivi front office hanno lavorato sodo per comporre un progetto. Costoso sì, ma con una logica definita.

Chi può ambire ad insidiare le posizioni di testa, lo fa o per superiore disponibilità economica rispetto alla media (Venezia, forte anche di un gruppo collaudato ed implementato di conseguenza) o per solida capacità programmatica (Trento, Sassari). Alle altre resta la scommessa singola o la fiducia ad un allenatore di lungo corso. La stessa Dolomiti Energia ha costruito le sue fortune sulla lunghissima era Buscaglia, terminata la scorsa estate ma contraddistinta da salite e risalite, dalla B2 all'Eurocup, facendo crescere giocatori e consentendo una maturazione del club. Il rischio di fallire l'obiettivo e di ritrovarsi invischiati in lotte salvezza è comunque dietro l'angolo. Così come è sempre presente lo spettro dello sponsor insolvente o del presunto magnate che improvvisamente alza bandiera bianca chiedendo ad altri di coprire i propri impegni. Senza parlare degli eccessi visti e rivisti, amministratori dalle mani bucate o frodatori del fisco.

Il campionato è partito con un numero dispari di squadre e terminerà con un numero dispari di squadre. Giannino er laziale si è pronunciato chiaramente: l'anomalia a 17 è figlia, secondo lui, dell'apertura all'A2. Vagli a spiegare che aver partorito una seconda serie a 32 (ora a 28) è e resta una mostruosità al pari di un torneo pro con una sola retrocessione. E vagli sempre a spiegare che con qualche controllo in più forse non sarebbe stato necessario estromettere squadre in corsa tra A, A2 e B, né rifiutare iscrizioni in estate, trovando dunque un punto di equilibrio. L'ultimo precedente di una Serie A con 17 iscritte risaliva al 2011/12: altro pasticcio federale, una norma (la wild card, subito tolta) scritta in maniera pedestre che spalancava le porte ai ricorsi. All'epoca si risolse tutto grazie ai guai altrui - segnatamente, il mancato passaggio di consegne tra Benetton e Consorzio Universo con rinuncia del primo soggetto all'iscrizione ed impervia strada dell'articolo 148. C'è da scommettere che a primavera inoltrata matrigna FIP farà le pulci ai conti delle squadre meno solide finanziariamente per scoprire una nuova Caserta, Torino ed Avellino. Però ricordate: il movimento è in salute.