domenica 12 giugno 2022

Un conto biblico, finalmente saldato

Ci provava da anni. E puntualmente arrivava la bastonata, la delusione. In questa stagione non ci provava, almeno non nelle dichiarazioni ufficiali o semiufficiali di inizio campionato, ed invece è salita. Parlo di Verona che, col 3-1 nella serie di finale contro Udine, ha ritrovato la Serie A esattamente quattro lustri dopo quel tristissimo episodio del fallimento che privò a lungo il Veneto dei canestri di una piazza storica, appassionata, di tradizione e che tanto ha dato al nostro basket.

Verona era Vicenzi, l'industriale del biscotto che si innamorò della pallacanestro negli anni '70 dedicando risorse economiche notevoli per la scalata verso l'alto. Ma Verona era anche la Glaxo, multinazionale del farmaco che per redimersi dal peccato originale insito nella propria natura chimica decise per anni di regalare miliardi a pioggia allo sport locale. E poi era la Verona di Andrea Fadini, manager tanto burbero quanto geniale, scopritore di talenti americani in serie: aveva portato lui in Italia il compianto Henry Hi-Fly Williams, preso inizialmente a gettone per coprire l'infortunio di Corey Crowder e poi divenuto protagonista indiscusso del nostro campionato, con quelle movenze de Michael Jordan mancino che fecero innamorare legioni di appassionati. E poi Mike Iuzzolino, Randy Keys, Hansi Gnad, Sweet Lou Bullock, Misha Beric: la Scaligera era passata per le mani di questi campioni. Ed anche di Paolino Moretti, Ricky Morandotti, Kempton, Schoene, Brusamarello, Dalla Vecchia, Savio che nel 1991 fecero la storia, portando per la prima ed unica volta una squadra di A2 (ok, uno squadrone, ma pur sempre da A2) a vincere la Coppa Italia di A1.

Verona era loro. Ed era un giovane Ale Frosini, che poi è tornato come dirigente dopo i primi passi da giocatore. Ed un imberbe Jack Galanda, emblema di quel 4 perimetrale che divenne con Marcelletti prima e con Andrea Mazzon poi il marchio di fabbrica della Scaligera da piani alti della classifica. Era una Verona bella, frizzante, allegra, fortissima. Una Verona che spesso e volentieri si incuneava nelle prime quattro in campionato e che in Europa faceva un gran bella figura, contendendo al Real la Coppa delle Coppe e vincendo la Korac al Pionir a Belgrado. Nel 2000 la società aveva toccato il suo apice con la semifinale scudetto, l'ingresso nella neonata Eurolega Uleb che poteva rappresentare la definitiva consacrazione - ironia della sorte, proprio quando lo storico patron Vicenzi aveva deciso di passare la mano ad una nuova proprietà rappresentata da Edoardo Fiorillo, patron dell'emittente Match Music.

Tanto faticosa era stata la salita, quanto era stata ripida, veloce e brutta la discesa. Una squadra costosa ma con evidenti difetti, a cominciare dal pericoloso dualismo tra Bullock ed il rientrante Williams per proseguire con la dolorosa perdita di Beric. L'Eurolega che dura poco, con l'uscita agli ottavi di finale. La crisi in campionato, un decimo posto che esclude dai playoff e che apre il cassetto dei dubbi. Ed un patron che si rivela insoddisfatto ed improvvisamente privo di stimoli, che vorrebbe vendere ma non trova acquirenti, che perde uno sponsor (Skipper, che firma con la Fortitudo in un memorabile voltafaccia estivo) e che nel mezzo della stagione successiva, con una squadra fatta in economia ma comunque coraggiosa e godibile, smette di pagare gli stipendi. Quella crisi fragorosa, assurda, inconcepibile in una città ricca come Verona ma in cui pare che lo sport sia sempre affare di qualcun altro quando occorre mettere mano al portafogli, quella crisi fu la fine della vecchia Scaligera. Salva sul campo ma fallita, cancellata dalla mappa, con le targhe, i trofei, persino le maglie ed i borsoni all'asta per soddisfare i creditori.

Verona era ripartita dal basso. Molto in basso. Dalla San Zeno, creatura dei Vicenzi che doveva essere una ciambella di salvataggio per un settore giovanile che comunque lavorava bene - ho avuto la fortuna di giocare qualche partita nelle minors con ex ragazzi usciti da quel vivaio, quindi so di cosa parlo. Poi era tornata la voglia di riprovarci, di tentare nuovamente la scalata effettuata dall'uomo dei savoiardi partendo da una C2: qualche titolo comprato o scambiato, le difficoltà per arrivare in A2, le cocenti delusioni iniziali, per arrivare al 2015. Anno in cui sulla panchina siede Alessandro Ramagli che ha costruito una squadra da promozione: De Nicolao in regia, Umeh guardia, Boscagin (reduce del vivaio) e Ndoja ali, il massiccio Monroe come centro ed una panchina irrobustita da Giuri, Reati e Gandini. Primato in classifica in A2/Gold, vittoria della Coppa di Lega a Rimini, tutti i pronostici a favore. Fino all'incrocio mortale con Agrigento che, superato l'ostacolo a sorpresa Treviso negli ottavi, ai quarti fa il colpaccio.

Da quel ko, sembrava che la Scaligera non si fosse più ripresa. Non l'aveva fatto l'anno dopo con Crespi in panca ed una squadra se possibile ancor più completa e costosa - Spanghero, Lollo Saccaggi, Ray Rice, Cortese, ancora Boscagin, Pippo Ricci, Da Ros, Chikoko, Michelori. Non ci era riuscita con santoni della panchina come Frates e Dalmonte, né con Andrea Diana. Non si era rimessa in corsa per risalire nemmeno prendendo un campione NBA come Sasha Vujacic, un lusso per la categoria. Insomma, Verona sembrava l'eterna incompiuta e quel -3 figlio di una incredibile disattenzione burocratica pareva la ciliegina su una torta amarissima.

Invece serviva qualcosa di diverso, a Verona. Serviva riscoprire la voglia di riscatto di Ramagli e Spanghero, due che avevano ingoiato bocconi amari proprio in riva all'Adige. Serviva una squadra operaia, con un 3 adattato a 4 (Xavier Johnson), un play occulto (Rosselli), un veterano d'area (Pini) ed un bomber troppo sottovalutato (Karvel Anderson). Serviva anche un progetto sui giovani, con Sasha Grant e Liam Udom protagonisti ancor prima dell'arrivo di un Casarin jr. immaturo per la Serie A ma utile per il piano di sotto. Un gruppo ben assortito, eterogeneo, determinato, ottimamente diretto. Quanto bastava per fare strada nei playoff e per far nuovamente innamorare una città, saldando al contempo un conto che si era fatto biblico. Ecco, il miglior messaggio che lancia Verona al movimento è rappresentato dal doppio sold out di pubblico dell'AGSM Forum in gara3 e gara4: è una bella iniezione di fiducia dopo che due anni di pandemia hanno fatto allontanare i tifosi da tanti palasport. Bentornata Scaligera, la Serie A aveva bisogno di te.