lunedì 17 maggio 2021

Tutto Veramente Bello: un anno di TVB in pagelle

La stagione 2020/21 di TVB si chiude con un overtime, un supplementare in cui emerge la voglia della squadra, un dato emotivo che si scontra con i limiti oggettivi a cominciare dalle rotazioni ridotte per proseguire con le taglie fisiche dei singoli protagonisti e con la disabitudine di molti di questi a giocare un certo tipo di parte. A prescindere da tutto ciò, è stata un'annata indimenticabile per molte ragioni ed è giusto e logico che, nella migliore delle tradizioni, prima del "rompete le righe", si faccia un bilancio. O meglio, un pagellone di quanto avvenuto da settembre sino a poche ore fa.

DAVID LOGAN: un anno fa c'era incertezza riguardo al suo rapporto con Treviso Basket, un matrimonio che pareva essere naufragato dopo l'ormai famosa fuga dell'8 marzo e ricucito un po' per la volontà dello staff di non privarsi di un simile veterano ed un po' in forza di un contratto pesante fatto valere dal suo ingombrante procuratore. A 38 anni compiuti subito dopo Natale, un girone d'andata da califfo con tanto di prova mostruosa in casa della Fortitudo; poi una seconda fase con qualche passaggio a vuoto, complici gli acciacchi e le difese avversarie che lo hanno preso di mira puntando sul fisico. Chiusura della stagione in grande spolvero, seppur con il consueto rendimento affatto costante. Di "last dance" non ne vuole sentir parlare, smentendo di fatto le parole pronunciate nel 2020, quindi continuerà ancora per almeno una stagione. Con chi? Il suo contratto scade tra poche settimane e chiama parecchi soldi, possibile che TVB gli proponga una estensione con ruoli e compensi assai rivisti. Intanto... VOTO 8

DEWAYNE RUSSELL: play tascabile se ce n'è uno. Anche lui autore di una stagione a più volti, prima come costruttore principale di gioco, poi come finalizzatore. Nei playoff ha preso coscienza delle proprie capacità offensive salendo di livello peraltro nel confronto con dei signori difensori. Certo, la ridotta taglia fisica induce a delle scelte ponderate in tema di mercato e la sua firma la scorsa estate per la De' Longhi preludeva all'intenzione di costruire una squadra da corsa estrema il cui obiettivo sarebbe sempre stato segnare un canestro in più degli avversari. Comunque vada a finire (c'è un'opzione per un rinnovo annuale) Treviso resterà nel suo cuore per la nascita ed il nome della sua bimba. VOTO 7,5

TYLER CHEESE: oggetto misterioso, spacciato per guardia tuttofare di 196 centimetri (chi è che ha barato sull'altezza, a proposito?), in realtà frutto acerbissimo della pallacanestro americana, inutile persino per un campionato di basso profilo come quello finlandese in cui viene spedito dopo il taglio a Treviso. Unico pregio: costava pochissimo. Ma per quei soldi non era allora più conveniente tenersi Lollo Uglietti? Nessuno ha sentito la sua mancanza, nemmeno gli juniores con cui ha fatto a pugni in allenamento. VOTO: 2

GIOVANNI VILDERA: altro affare a basso costo, la doppia-doppia piazzata alla prima uscita di Supercoppa a Mestre aveva illuso parecchia gente. E probabilmente anche lui, che ha impiegato qualche mese a prendere le misure ad un torneo che non conosceva e che per lungo tempo l'ha visto primatista indiscusso di falli offensivi sciocchi ed inutili. Con la laurea in tasca si è trasformato: prima il partitone con la Fortitudo, poi un crescendo rossiniano di prestazioni solide sino all'ottima gara3 con la Virtus. Contratto in scadenza, teoricamente sacrificabile in un'ottica anche europea ma non sono esclusi ripensamenti. D'altronde di lunghi italiani decenti con poche pretese economiche non è che ci sia tutta questa abbondanza. VOTO: 6,5

VITTORIO BARTOLI: il mezzolungo toscano ha visto pochissimo il campo, blindato in una rotazione a cinque nei due ruoli interni. Da capire cosa possa fare e dare in futuro. Intanto VOTO NG

MATTEO IMBRO': pure per lui, un campionato in crescendo. Forse voleva togliersi la ruggine accumulata la scorsa stagione, aperta con un infortunio ed accompagnata da un ulteriore malanno, problemi che lo avevano condizionato. Stavolta c'è stato dall'inizio ed a tratti è stato ottimo, specie giostrando da guardia che ormai è il suo ruolo a questi livelli. Esperienza, furbizia, tiro ed anche carisma hanno sopperito alla grande la cronica mancanza di esplosività delle gambe. In scadenza, c'è chi tra la concorrenza l'avrebbe già messo nel mirino. Resterà? VOTO: 7,5

LORENZO PICCIN: secondo anno nel giro della prima squadra e primi, veri minutaggi per questo ragazzino della provincia che ha mostrato orgoglio e carattere a dispetto di mezzi fisici affatto eccelsi e di oggettivi limiti tecnici. Il cuore non si discute, la tenacia nemmeno. Da sesto esterno, quando è stato chiamato in causa non è stato affatto disprezzabile. VOTO: 6,5

MATTEO CHILLO: terza stagione a Treviso e rendimento in continua ascesa. Era un buon backup per Tessitori all'inizio, poi un quarto lungo utile per tutte le stagioni, ora è diventato un affidabile 4-5 che apre l'area col tiro, mette palla a terra, difende anche sui cambi e gioca senza paura. Difetti? Uno, davvero pesante: commette troppi falli sciocchi, specie sui tiri da 3, un dettaglio su cui dovrà lavorare. A 28 anni non ancora compiuti non si può certo lamentarsi di un elemento del genere. C'è un'opzione per uscire dal biennale firmato l'anno scorso a favore della società, sarebbe folle rinunciare ad uno dei migliori elementi per rapporto qualità/prezzo. VOTO: 7

CHRISTIAN MEKOWULU: sorprendente. Ok, ad Orzinuovi collezionava doppie-doppie, ma si parla comunque di un club che l'anno scorso languiva in fondo alla classifica di A2. Il nigeriano invece ha mezzi non solo per la Serie A ma anche per misurarsi in una competizione europea. A patto, s'intende, di migliorare la gestione dei falli, suo tradizionale tallone d'Achille. Resterà negli annali la sua prestazione in gara2 di playoff contro la Virtus in cui ha ridicolizzato Gamble stoppando qualunque pallone si avvicinasse al raggio d'azione delle sue braccia. Altro elemento da blindare per il futuro, levando ogni clausola di uscita. VOTO: 8

MICHAL SOKOLOWSKI: il vero punto di svolta della stagione è stato l'arrivo del polacco. L'ex Legia Varsavia ha lasciato una squadra che lo teneva in parcheggio non pagandolo per esplorare per la prima volta un campionato al di fuori della propria nazione. Impatto ottimo, con capacità di giocare nei due ruoli di ala, di fungere da play aggiunto, di difendere su quasi ogni tipo di avversario e di fare spesso la cosa giusta al momento giusto. Nel finale ha accusato un calo, colpa degli sforzi precedenti e di un fastidio al tendine. Da tempo si lavora alla sua conferma, una partecipazione alla BCL da parte di Treviso Basket aiuterebbe in tal senso. VOTO: 8,5

JEFFREY CARROLL: bomber di A2. O da A2? In realtà l'equivoco si chiarisce pensando alle caratteristiche psicologiche del giocatore americano, abituato a gestire buona parte dei possessi e ritrovatosi a fungere da secondo violino (poi da terzo, dopo da rincalzo) e precipitato nel buco nero dell'involuzione mentale. In una squadra senza Logan forse avrebbe funzionato, in una De' Longhi con un catalizzatore come il Professore ed un pacchetto lunghi da servire in movimento ha fatto da contorno finché non si è trovato a chi sbolognarlo. Tornato in A2, a Biella ha ripreso a giocare come sa e come preferisce. Auguri a lui ed all'Edilnol nei playout. VOTO: 4,5 (ma non è del tutto colpa sua)

NICOLA AKELE: grande investimento della passata campagna acquisti, ha giustificato solo a tratti la scelta fatta dalla società. Ondivago, a volte determinante (a Cremona soprattutto), ad oggi non ha tiro né sicurezza per fare il 3 e non possiede la solidità in post per essere un 4. Playoff da debuttante ma da dimenticare: peggiore in campo nei primi due atti, in gara3 il coach gli preferisce Chillo per tutti i 20 minuti finali (incluso l'overtime). Ha un altro anno di accordo, senza clausole d'uscita. Che meriti un investimento scommettendo su una maturazione o da sacrificare per un pariruolo americano più solido? VOTO: 6

TRENT LOCKETT: chiamato a sostituire Carroll nelle rotazioni, è arrivato nella Marca dopo un anno di sostanziale stop post operatorio. In netto ritardo di condizione, ha impiegato due mesi per ritrovare buona parte dello smalto dei giorni migliori salvo essere condizionato nel finale da un problema ad un piede. A dispetto di ciò, buon difensore sulla palla e sull'uomo, ha consentito una crescita del rendimento di squadra - il ciclo delle 6 vittorie è iniziato con lui - e non è affatto dispiaciuto nel contesto globale. In scadenza, non resterà. VOTO: 6,5

MAX MENETTI: per un intero girone ha visto la sua squadra offrire la peggiore difesa possibile, incassando però qualche bella vittoria grazie all'innesto di Sokolowski ed alla vena offensiva di Logan. C'è anche la sua mano nella costruzione di un girone di ritorno da applausi, con quelle sei vittorie consecutive che hanno portato una formazione costruita per ottenere la salvezza e nulla più ad entrare con quattro turni d'anticipo nei playoff. Ha altri due anni di contratto a Treviso, tempo sufficiente per completare un ciclo e plasmare un nucleo solido che possa fungere da base anche per il futuro. Ha difetti conosciuti (scaramantico, preferisce i veterani che giocano anche fuori dal playbook) ma ha dimostrato con i fatti di saper il fatto proprio. VOTO: 8

SOCIETA': vale a dire Consorzio e dirigenza, le due anime imprescindibili di TVB. In un'annata balorda, senza pubblico, con budget tagliato del 30%, poteva sbandare e nessuno avrebbe avuto granché da ridire. In fondo le premesse non erano rosee ed anzi alcune scelte estive condite da dichiarazioni un po' sopra le righe avevano già scatenato i primi mugugni. La scelta senza senso di Cheese e altre firme a basso costo potevano dar adito a sospetti, fugati dai due innesti in corsa - ricordando che solo Trento e Cremona non hanno fatto ricorso al mercato di riparazione - e da una confermata solidità del modello gestionale. Il sesto posto conclusivo con il posto virtuale in BCL è un premio per quanto fatto ed al contempo un invito ad osare ancora di più. VOTO: 8

giovedì 13 maggio 2021

Come costruire un giocatore

Se un giorno Alessandro Pajola da Ancona, classe 1999, diventerà un giocatore d'altissimo livello dovrà ringraziare una sola persona. Non la mamma che l'ha fatto, né chi lo convinse a 15 anni a mollare la coperta di Linus della Stamura per vestire il bianconero - per quanto la scuola di Giordano Consolini sia ancora oggi una delle più valide in Italia per i giovani. Quella persona è Aleksandar Djordjevic

Siete stupiti? Io no. Perché Sasha sarà pure vulcanico, collerico, poco tattico e molto viscerale, ma sa trasmettere motivazioni e sa lavorare con i giovani. Volete qualche esempio? Prendete quel playmaker che oggi è a Venezia, Andrea De Nicolao. Sapete da dove è partito? Da Vigodarzere, provincia di Padova, passando per le giovanili Benetton e poi un primo assaggio in prima squadra ai tempi di Frank Vitucci. Spedito in prestito in B1 (avessi detto almeno l'allora Legadue: no, proprio B1), a rivolerlo in Serie A fu Djordjevic nonostante il ragazzo all'epoca fosse scettico visto che davanti a lui nel ruolo avrebbe avuto due mostri sacri come Bulleri e Becirovic oltre che un Nazionale israeliano come Mekel. Invece la sua carriera partì da lì per arrivare alle affermazioni successive. Perché con i giovani serve prima di tutto il coraggio di farli giocare, fregandosene a volte del risultato di squadra.

Pensate sia pazzo? Eppure le stesse parole le ha usate Claudio Coldebella, il metro di paragone massimo cui riferirsi abitualmente nei discorsi che riguardano Pajola. Lui, che fu il primo vero play atipico moderno, oggi conferma da dirigente (ed anche ex allenatore) quel che dovrebbe essere chiaro ai più ed invece risulta ostico o incomprensibile a moltissimi: i giovani devono giocare. Non allenarsi e guardare le partite, come ha fatto Moretti per un anno buttando via una stagione preziosissima della propria carriera. Pajola, che rispetto a Moretti ha un anno e mezzo di meno, da tre stagioni gioca: prima poco, poi un po' di più, sempre prendendosi delle sonore badilate in faccia tanto metaforiche quanto letterali; però quelle badilate l'hanno aiutato a crescere, a capire quali abilità sfruttare, come nascondere i punti deboli, come esaltare le proprie capacità e le doti fisiche. Oggi a ventuno anni Alessandro Pajola gioca da protagonista in stagione regolare, in Eurocup, nei playoff, vedendosela con veterani del ruolo e americani, in una rotazione interna che prevede due serbi dal carattere pepato e dal pedigree professionale alquanto corposo per non dire ingombrante. Moretti nel frattempo si allena per poi non andare nemmeno nei 12 in una gara1 contro la Trento meno razionale e più scarsa (nel senso tavcariano del termine) degli ultimi cinque anni.

Per compiere un determinato percorso però servono due presupposti. Il primo appartiene al giocatore ed è la sua voglia di emergere. Deve essere una vera fame, come quella che caratterizzava i serbi, i croati, gli sloveni che si ammazzavano di fatica in palestra per cercare di entrare in uno dei pochi club ammessi nel campionato nazionale più competitivo d'Europa, quello della vecchia Jugoslavia. Se il giovane ha già questa dote innata, è a buon punto. Il secondo elemento è un allenatore che creda in lui, che lo sviluppi, che gli conceda il tempo di sbagliare (sì, sbagliare), ma in campo, in partita, a costo di farsi massacrare da un americano che magari crede ancora che di qua dall'Atlantico ci sia il Terzo Mondo cestistico. Una sana razione domenicale di rospi da ingoiare, più le lavate di capo dell'allenatore, più le sedute supplementari per lavorare sul proprio gioco, più intelligenza applicata alla pallacanestro più la sopra menzionata fame... et voilà, eccovi servito il vostro Alessandro Pajola.

Prendete invece un talentino niente male, figlio di cotanto padre. Mandatelo in America, perché il mito USA del college è duro a morire pure da queste parti. Circondatelo della giusta aura mediatica, fatene un fenomeno da comunicare prima che un giocatore vero. Dotatelo del giusto procuratore che sappia valorizzarne non certo le doti tecniche, atletiche o intellettive (che non mancano, sia chiaro, mica parliamo di un imbranato!), quanto piuttosto l'assai presunta capacità d'esprimere una pallacanestro immediatamente d'impatto ottenendo in cambio un contratto a cifre molto alte. Affidatelo ad una squadra sin troppo profonda e che ha l'obiettivo di vincere tutto subito, senza badare a spese ma senza tempo per sviluppare qualcuno e che con questa politica negli ultimi anni ha bruciato un'intera generazione di giovani (peraltro quasi tutti nello stesso ruolo, bella casualità!). Ecco, ora avrete il vostro Davide Moretti attuale, un 23enne che raramente si schioda dalla panchina e che spesso si accomoda direttamente in tribuna. Ruolo che ci si aspetterebbe fosse cucito, in un basket accompagnato da regole protezionistiche che neanche il WWF, su misura per il sedicenne, magari figlio del dirigente, che arriva dalle juniores come ultimissimo di rotazione, giusto per avere il dodicesimo quando serve causa infortuni altrui e che abitualmente porta borse e borracce, gonfia i palloni, asciuga il parquet dal sudore e che, se buttato in campo in garbage time e magari segna pure un punto o più, al primo allenamento deve portare un maxi vassoio di paste e subire qualunque scherzo o battuta dai veterani. Non certo per chi, secondo alcuni, a breve dovrebbe trovare posto in azzurro scalzando la precedente generazione dei Cinciarini e dei Vitali.

Ora nelle vesti di Pilato che ha visto Pajola stampare al debutto personale nei playoff di Serie A un +22 di plus/minus in faccia a Russell e Imbrò ed un Moretti nemmeno convocato da Messina per una comoda Milano-Trento in cui alla fine ha giocato persino Wojciechowski ripescato dall'A2 di Biella, vi chiedo: volete Gesù o Barabba? Preferite il talentuoso che spreca il suo tempo invece di giocare oppure quello brutto, sporco (a difendere) e rognoso che si fa insultare in inglese, serbocroato, italiano e forse pure in bolognese stretto ma che alla fine, stringi stringi, ottiene una svolta alla propria carriera? Io una risposta ce l'ho ma la domanda non è rivolta a me.

mercoledì 5 maggio 2021

Aridatece Germano Mosconi!

Titolo provocatorio per questo post che vuol essere una riflessione non tanto sul malcostume della blasfemia ma sulle motivazioni assurde adottate da certi dirigenti per accompagnare decisioni discutibili, nella tempistica così come nella sostanza. Che il compianto Germano Mosconi bestemmiasse a più riprese lo sanno tutti, persino i bambini, ma questo coloritissimo particolare non inficiava affatto l'ottima qualità del suo lavoro giornalistico - chiedete pure ai suoi ex colleghi per referenze. Sarebbe stato quantomeno pittoresco che l'editore della televisione per cui lavorava gli avesse sospeso incarico e stipendio a causa dell'abitudine del nostro durante le registrazioni di abbandonarsi ad imprecazioni blasfeme ogni volta che incappasse in un lapsus linguae oppure di fronte a scherzi un po' pesanti organizzati da qualche collega burlone. Occorre sempre distinguere la forma dalla sostanza.

La sospensione sancita da Stefano Sardara (da me ribattezzato in tempi non sospetti "il cardinale" per l'abilità politica, nickname che oggi torna attuale seppur con altre funzioni) ai danni di Gianmarco Pozzecco è la summa del ridicolo. Chiariamoci: qualunque proprietario di un club è libero di istituire un codice etico interno che stabilisca dei limiti comportamentali, ma neutralizzare per dieci giorni il proprio capo-allenatore guarda caso ad un mese dalla fine della stagione, dopo che giusto un anno fa si era consumato uno strappo ricucito a fatica e dopo continue incomprensioni (eufemismo) è un atteggiamento sospetto. Specialmente se la motivazione a monte è quella di imprecazioni e bestemmie profferite tra dicembre ed aprile, vale a dire ad un mese di distanza dall'ultima occasione. Qualcuno ha già descritto Sardara come il classico sepolcro imbiancato, un appellativo utilizzato in passato per definire l'ipocrisia di chi si nasconde dietro facciate di perbenismo per giustificare condotte sospette: non credo che si sia molto lontani dalla verità.

Quel che mi fa sorridere è che Sardara in un'intervista pubblicata oggi abbia affermato che lo stop sia giunto dopo un consulto con gli avvocati del suo club. Nessuno di questi ha ricordato al presidente-padrone il caso di Fabrizio Frates? Per chi se lo fosse dimenticato, quattordici anni fa la derelitta Fortitudo in cura-Martinelli utilizzò la stessa scusante, quella delle bestemmie (in allenamento però, non in partita, dunque in un ambito addirittura più intimo e meno strombazzato) per sollevare dall'incarico l'architetto milanese. Fu una scusante puerile, una foglia di fico per coprire la decisione di esonerare un allenatore che non aveva garantito i risultati sperati - la Effe passò in pochi mesi dalle finali scudetto a lottare in retrovia - mentre il disboscatore arrivato da Roseto continuava a tagliare rami secchi. Come andò a finire? Frates non si arrese, fece ricorso ed ebbe ragione in tutti i gradi di giudizio. Non certo perché i magistrati fossero tutti dei bestemmiatori indefessi o perché simpatizzassero per la causa Mosconiana: semplicemente non esiste un licenziamento per giusta causa solo perché al dipendente scappano un paio di parole incongrue dovute alla rabbia.

Chissà se in queste ore Frates farà una telefonata di solidarietà a Pozzecco. O se lo stesso Pozz, personaggio unico nel suo genere e per questo tollerato anche nelle note esagerazioni, approfitterà dell'occasione per riflettere sull'accaduto. A lui darei volentieri un consiglio spassionato: fregarsene, andare ugualmente in palestra sfidando l'editto cardinalizio e capire fino a che punto Sardara voglia spingere la questione in chiave ridicola pur di non ammettere che l'idillio sia tramontato del tutto e che la ricerca di un nuovo coach per la prossima stagione sia partita. Lo stesso Sardara tra l'altro dovrebbe forse iniziare a fare un po' di autocritica, giacché l'aver finora promosso la separazione con sin troppi allenatori anche di successo (dice niente il caso Meo Sacchetti?) è sintomo di un problema profondo chiamato managerialità. Se finora il presidente della Dinamo si è confermato ottimo politicante nonché perfetto organizzatore societario, la gestione sportiva è bene che venga lasciata ad un direttore sportivo pienamente indipendente. Altrimenti dopo i mal di pancia con Esposito, le liti con Sacchetti ed ora le bestemmie con Pozzecco, ci si potrà attendere di tutto. E chiudendo con una battuta relativa ai soci turchi in quel di Torino, siamo sicuri che Sardara non abbia inserito una clausola vincolante anti-bestemmia ed anti-fumo con gli anatolici, i cui peccatucci sono entrati nella vulgata popolare da secoli?