lunedì 29 maggio 2023

Searching for Frank

Un doveroso ringraziamento prima di tutto al mio socio di telecronache nonché di discorsi assurdi alias Ubaldo Saini che mi ha lanciato un assist pazzesco con la foto a corredo di questo post. Come alla morte di Nelson Mandela più d'uno fece confusione con Morgan Freeman, bisogna ammettere che un minimo di somiglianza tra Stanley Tucci e Frank Vitucci c'è. Eccome se c'è. La differenza è tutto il resto, per quanto intelligenza e talento nei rispettivi campi siano un altro comun denominatore tra i due. Vi riservo una chicca su Vitucci: se il suo quasi omonimo attore hollywoodiano è non solo uomo di spirito ma incredibilmente legato alle radici italiane al punto di aver lanciato un format di scoperta enogastronomica del Belpaese, Frank è uomo non solo di basket ma di cultura. E se Sergio Tavčar ha ragione - e già sapete che in materia di pallacanestro ha sempre ragione - la natura intrinseca del basket quale sport logico per gente intelligente si adatta meravigliosamente a Vitucci.

Piccolo balzo indietro nel tempo. 1995, Serie A2, Venezia: la Reyer è con l'acqua alla gola, i soldi sono finiti, il fallimento incombe. Frank rimane comunque al suo posto, potrebbe andarsene e nessuno avrebbe da ridire. Non lo fa. Ed anzi dimostra che creatività ed intelligenza possono molto più del denaro. La pallacanestro di Vitucci nasce lì: play intelligente (Mastroianni), ala grande che apre l'area ma appoggia anche la regia (il povero Silvestrin), guardia americana con piena licenza di far quel che vuole col pallone (Burtt sr.), pivot da legna e bassa macelleria ed ala piccola con range di tiro esteso. Gli stessi principi poi ripetuti altre volte e che ad esempio a Treviso portarono nel 2009-10 Gary Neal a dominare la classifica marcatori e CJ Wallace ad essere una macchina da doppie-doppie. A quella Benetton però mancavano gli altri tre elementi, ché all'epoca Hackett era acerbo soprattutto mentalmente, Cartier Martin era l'uomo sbagliato nel posto sbagliato (meglio di lui KC Rivers) e Sandro Nicevic non era esattamente un lottatore in post basso. Come finì quell'avventura lo sappiamo bene. Stavolta tutti si augurano che le cose vadano diversamente.

Frank fa armi e bagagli da Brindisi, dove ha costruito una realtà vincente assieme a Simone Giofrè. Altra storia, quella del dirigente canturino che partì da casa, dove faceva l'addetto stampa e curava il merchandising grazie al negozio di famiglia, per costruire l'esperienza dei primi camp di successo negli States per i ragazzi italiani. Lì maturò la sua conoscenza con il mondo americano, utilissima poi a Varese (alla faccia dei derby!), brevemente a Roma ed appunto al capolinea della Via Appia. Dove qualcosa deve essere andato storto negli ultimissimi tempi, viste le notizie contraddittorie che hanno sbilanciato parte della stampa nello smentire una trattativa che era nota ai più. Al posto di Vitucci con tutta probabilità ci sarà Galbiati, tecnico giovane e bravo in situazioni al limite (ricordate l'Auxilium?) ma con la brutta nomea di abbonato alle retrocessioni. Che poi, diciamocela tutta: Torino è scesa e sparita per altri motivi mentre Cremona l'anno scorso era nettamente la più debole del lotto a prescindere da Spagnolo.

Quello che comunque conforta è appunto la scelta operata da TvB di affidarsi ad un duo lavorativo di elevato spessore. Perché, con tutto il rispetto per Marcelo Nicola, la sua idea un po' caotica di pallacanestro affidata all'estro delle guardie e stop era una scommessa sicuramente a basso costo ma anche ad alto tasso di difficoltà. Buon per Treviso che sia andata in porto ed un monumento andrebbe fatto ad Adrian Banks per quel canestro-e-fallo contestatissimo ma netto che si è tradotto in salvezza matematica. Ma il passato è passato. Sono umanamente dispiaciuto per Andrea Gracis che negli ultimi due anni ha dovuto subire critiche immeritate e persino insulti gratuiti da certi presunti soloni, nel web e non solo. Nessuno è perfetto ed Andrea non fa eccezione, ma la sua professionalità è pari alla sua modestia ed al suo carattere da lord inglese. Invece di quei biechi e disgustosi saluti riservatigli da certi personaggi occorrerebbe ricordare che il merito di numerose TvB di successo è suo: Pillastrini prima di tutti, poi Fantinelli strappato alla Virtus, Rinaldi convinto a scendere in terza serie, Powell, Corbett, Moretti, Perl, coach Menetti, Tessitori, Alviti, Alj Nikolic, Fotu, Mekowulu sono tutti farina del suo sacco - per altri colpacci come Logan, John Brown e Sokolowski invece citofonare Iacopini. Capita poi anche di sbagliare un DeCosey (voluto da Pilla), un Cheese o un Wayns (segnalati e voluti da altri) o due Cooke (ragioni di bilancio), ma come detto nessuno è infallibile. Per cui ringrazio io Andrea Gracis per la dedizione, la pazienza, la gentilezza, la voglia e la passione infuse in tanti anni e gli auguro di trovare presto una nuova collocazione lavorativa che sappia riconoscerne le indubbie doti. E chissà che non ci si ritrovi prima o poi a sorseggiare un aperitivo chiacchierando di basket, come semplici amici e non come dirigente (lui) e giornalista (io). Anzi, se vuole, sa dove trovarmi quest'estate: l'invito è valido.

domenica 21 maggio 2023

"Scorrete lacrime"

Che il Dio dei Canestri conservi per sempre Matteo Spagnolo! Nella sua inconsciente, meravigliosa, autentica naturalezza, questo ragazzo di vent'anni permette di riscoprire una pallacanestro che non è quel gioco snaturato e meccanico visto e rivisto milioni di volte negli ultimi anni, tutto un pick'n'roll centrale, ma è creatività, inventiva, pazzia. Ed emozioni. Vederlo piangere, con quelle lacime di profonda umanità che gli solcano il viso imberbe, ci riporta indietro nel tempo: non vedevo una simile disperazione da Enzino Esposito, disteso in barella a bordocampo nella gara5 di finale scudetto del 1991 di cui oggi si ricorda l'anniversario. Lo scugnizzo casertano piangeva di dolore e di gioia, Spagnolo invece di rabbia e di comprensibile sfogo nervoso. Avrebbe potuto essere l'eroe di Trento, il ragazzo che infischiandosene del talento di Christon o dei centimetri di Daum e dei relativi ingaggi a sin troppi zeri trascina la piccola ma bellissima realtà tridentina ad una meritata gara5. Invece...

...invece no. Non c'è gloria per lui, c'è solo amarezza in quelle lacrime che sgorgano copiose e gli rigano le guance mentre prima Forray e Flaccadori, poi il presidente Longhi cercano invano di consolarlo. Ma va capito, Spagnolo: Tortona è diventata quasi la sua bestia nera, esorcizzata appena in gara3 dopo cinque sberloni stagionali, tutti dolorosissimi perché arrivati con scarti minimi, da singolo possesso o anche meno. In Coppa Italia addirittura Spagnolo aveva temuto il peggio, quando la caviglia si è girata facendolo prorompere in un urlo di dolore udito da tutto il PalaAlpitour. Poteva dunque essere, quel viaggio in lunetta, simbolo di una redenzione e di un meritato riconoscimento per un club che ha giocato una stagione da doppio impegno settimanale con appena quattro stranieri - di cui uno, Lockett, ai minimi della presentabilità, unito ad un Crawford ondivago e ad un Atkins eclissatosi nel momento decisivo. Particolare che dovrebbe far riflettere chi ancora oggi crede che una Coppa si possa giocare solo col 6+6 che è inutilmente costoso e non porta benefici alla crescita dei giovani (immagino che a Treviso ed a Reggio Emilia a qualcuno stiano fischiando le orecchie). Tornando a quei due liberi, la circostanza poteva essere premiante anche per un giovane che un anno fa assisteva impotente alla retrocessione già annunciata di Cremona e che nel frattempo è maturato tanto. Non abbastanza da avere la freddezza di fare 2/2 dalla lunetta a un secondo e 6 decimi dal gong, ma si migliora anche se non soprattutto grazie agli errori.

Le lacrime di Spagnolo mi hanno toccato, è vero. Così come rimango basito da quello che il collega Piero Guerrini definisce "culo di Ramondino". Devo arrendermi ed ammettere che il buon Piero, che da me avanza almeno un pranzo, ha ragione: bravo, preparato, intelligente, ma il tecnico del Derthona ha un credito illimitato con la buona sorte. In gara1 si è salvato con la magata di Christon, in gara2 ha rischiato da matti nel finale, in gara3 ha dovuto far buon viso a cattivo gioco ed ora sono arrivati gli errori di Spagnolo. Che Ramondino sia fortunato lo si sa da anni, basti rivedere gara5 di finale promozione dall'A2 quando il suo Derthona beneficiò di un suicidio collettivo di Torino ottenendo la salita in LBA quando tutto il capoluogo sabaudo aveva già pronto lo spumante per brindare al ritorno al piano di sopra dopo la figuraccia del crack societario della defunta Auxilium. Potrei al limite obiettare che Ramondino ha anche un certo credito nei confronti della fortuna, si veda la finale promozione di A2 del 2018 quando contro Trieste la sua Casale Monferrato dovette rinunciare a Giovanni Tomassini per rottura del legamento crociato del ginocchio nel primo atto. Però a tutto dovrebbe esiste un limite, persino alle botte di culo (perdonate il francesismo) così evidenti. Intanto Tortona si prepara alla sfida teoricamente impossibile contro la Virtus, oltre che allo sbarco in Europa con dodici mesi di voluto ritardo ed al planning del futuro di una arena che dovrebbe finalmente essere completata per settembre 2024. Prospettive ambiziose, quelle tortonesi, destinate a scontrarsi con le forze superiori di squadroni di Eurolega ma anche con questioni contrattuali: Christon ha sparato altissimo per restare, tra Macura e lo staff tecnico la frattura pare insanabile e le voci (confermate) su Kyle Weems e Kaleb Tarczewski rimarcano la capacità di spesa di patron Gavio ma mi fanno inarcare un sopracciglio per la reale consistenza dell'idea tattica alle spalle.

Mentre Tortona si gode il summenzionato culo (cit. On. Cav. Conte Diego Catellani, Gran Maestro dell'Ufficio Raccomandazioni e Promozioni), c'è chi in altri luoghi si domanda se la dose di fortuna si sia esaurita. Ammetto di aver sorriso leggendo i commenti entusiasti di tanti tifosi veneziani che avevano reagito smodatamente alla roboante vittoria nel derby di fine stagione con Treviso, tutti esaltati dalla prova di forza dimostrata dalla squadra di Neven Spahija contro una formazione già certa della salvezza e giunta all'appuntamento con "Vacation" delle Go-Go's nelle cuffiette e con il proprio capocannoniere che aspettava di sapere dal proprio agente se la Fortitudo si fosse decisa o meno a versargli in anticipo l'intero gettone mensile per scendere in A2. Alla riprova dei fatti, la Venezia 2.0 si è sciolta come neve al sole: successo risicato e col brivido in gara1 (se solo Bendzius avesse scelto un altro momento per mostrare di essere giunto in riserva...); a seguire, rullata pesante in gara2 davanti al sindaco-patron-proprietario-main sponsor seduto in parterre con una faccia più scura di quella mostrata dopo lo zero virgola qualcosa percento preso alle ultime elezioni politiche. In Sardegna, doppio ko, anche se nel secondo caso quell'eterno incompiuto di Jayson Granger ha cercato di regalare almeno un brivido a suon di bombe, fallendo però quella che poteva riequilibrare il bilancio di una serie segnata. Ripensando ai milioni di euro malamente spesi in campagna acquisti ed agli altri soldi (male) utilizzati in corsa per mandar via due giocatori voluti e strapagati, per esonerare un tecnico il cui ciclo si era concluso nel 2021, per prendere il fratello scarso di Allan Ray, per ingaggiare un allenatore che non voleva più nessuno in Europa e per prendere infine una svolazzante guardia francese che da riempitivo a roster è divenuta possibile panacea dei tanti mali, beh... come si fa a non lasciarsi scappare un sorriso? Ancor di più se si pensa al criterio di costruzione estiva di una formazione che doveva appoggiare la costruzione del gioco solo alle guardie e che alla fine si è ritrovata con cortocircuiti tra i piccoli, con un Derek Willis divenuto utile solo per giocate di cattiveria gratuita e col solito Mitchell Watt da abbonamento a vita al Telepass Family. Fallito ogni obiettivo stagionale con uscite rapide ed affatto indolori al primo turno ovunque (Coppa Italia, Eurocup, playoff scudetto), mi chiedo quali saranno i piani degli orogranata per ricostruire, dovendo fare i conti col contratto impossibile da piazzare di Spissu, giocatore che Spahija non vuole vedere nemmeno in foto, e con la seconda ricostruzione sbagliata in fila. L'anno scorso di tutti i volti nuovi si salvò solo Brooks; quest'anno hanno chances Tessitori e forse Parks e Mokoka, a dimostrazione di come i soldi non siano tutto ma contino il giusto quando si deve costruire una squadra. Ed auguri a tal proposito a Matteo Chillo, che dopo un anno da sventolatore di asciugamani ben pagato dovrà cercarsi una squadra disposta a dargli un ruolo ad uno stipendio infinitamente più basso - impresa mica semplice per un trentenne reduce appunto da una stagione di inattività non dovuta ad infortuni.

Non credo che rivedremo Chillo a Treviso, salvo improbabili acrobazie societarie. Il divorzio un anno fa non era stato morbido, tra mancate comunicazioni, richieste di adeguamenti salariali ed un rapporto con il nuovo allenatore mai decollato e probabilmente sprofondato con la cacciata (a pagamento) di Francesco Tabellini. Per quanto le agenzie si spertichino in questa fase a distribuire nomi più o meno altisonanti e più o meno già uditi - Vitucci viene offerto ciclicamente ad ogni estate, per dire - TvB deve attendere che il CdA della controllante ossia del Consorzio si riunisca per esaminare il bilancio e stilare il budget per la prossima stagione. In base a queste determinazioni si conosceranno le mosse successive. A cominciare dalla partita delle scrivanie che vede in ballo Andrea Gracis per una riconferma ad oggi difficile ma non impossibile, con le alternative Mayer e Giofrè uniche rimaste dopo il "no grazie, preferisco continuare con la Rucker" di Gherardini junior. Un anno fa Gracis era praticamente ai saluti, con Nicola Alberani già annunciato internamente al club; poi l'analisi dei conti, Alberani che chiede un milione e mezzo di euro per costruire la squadra, la necessità di ridurre il debito fecero compiere un robusto dietrofront ed Ike Iroegbu fu l'unico lascito della brevissima ed intangibile apparizione del manager ex Virtus Roma. Sono curioso di capire cosa accadrà ora, specie dopo che in stagione sono volate parole grosse tra giocatori, panchina e dirigenza. Intanto il nome migliore tra quelli che fino a poco tempo fa era a spasso si è già accasato altrove. E, per non farsi mancar nulla, ha già iniziato a compiere mosse intelligenti nella ricostruzione di un'altra realtà che ha rischiato di sprofondare ma che ora vuole finalmente valorizzare i suoi giovani. Altrimenti mi spiegate per quale motivo Claudio Coldebella starebbe insistentemente corteggiando Jasmin Repesa, che a Pesaro sta bene ma non benissimo e che avrebbe una gran voglia di lavorare con un vivaio ben più florido di quello della Vuelle? Di certo non è per una nostalgia che risale ai tempi dell'ultima Benetton, quando Repesa annusando l'aria pessima che tirava in Ghirada preferì andarsene con dodici mesi d'anticipo lasciando campo libero a Sasha Djordjevic. Che ora qualcuno rivorrebbe in Virtus, specie qualora Don Sergio Manolo (E)Scariolo dovesse andare altrove (Spagna? NBA?) lasciando la creatura di Massimo Zanetti in metaforiche braghe di tela. Ecco, dopo le lacrime di Spagnolo per converso avrei tanto bisogno di vedere la reazione di Djordjevic e di Bjedov di fronte ad una eventuale telefonata da parte del duo Baraldi-Ronci: mi tirerebbe su il morale. E sarebbe uno spasso anche per molti altri.

domenica 7 maggio 2023

Voli pindarici

Sarà la retorica. Oppure l'amore per le esagerazioni. O magari quel tarlo che proprio non ne vuole sapere di abbandonarmi e mi ricorda il passato. Però tra le roboanti dichiarazioni ("Eurolega in cinque anni" prima per assoluto distacco) e la cruda realtà di una retrocessione passa un oceano. Quasi la stessa esistente tra il lungomare di Barcola e la sponda statunitense dell'Atlantico. Quindi perdonatemi se stasera, scrivendo queste righe di considerazioni post verdetti retrocessione, potrei risultare più caustico del solito. Diciamo che la discesa in A2 di Trieste, seconda a cadere dopo Verona, non mi coglie impreparato né di sorpresa. E se l'inciampo della Scaligera è stato frutto di una stagione nata male e proseguita peggio, il rientro in cadetteria degli alabardati è solo il naturale epilogo di una crisi perdurante da anni.

A voler essere cattivelli o semplicemente amanti dei parallelismi, Trieste ricorda un po' Forlì. Non per conformazione geografica ma per storie di basket. Un decennio fa la piazza romagnola era preda di continue e cicliche crisi, poi chiuse in maniera definitiva (letteralmente) dalla patetica vicenda Boccio-Chirisi, due personaggi che ai più erano sembrati dei liquidatori per non dire dei veri e propri becchini di una società-zombie, morta ma mai seppellita. La Trieste attuale è figlia di un fallimento, quello del 2004 seguito ad un'altra retrocessione annunciata: società rifondata da capo, condannata per anni a ristrettezze ed a categorie infime, poi risollevatasi anche con l'aiuto di qualche socio nascosto da fuori ma interessato ad alcuni asset (nessuno si è mai chiesto come mai per un periodo i gioielli del settore giovanile locale passassero immancabilmente a Venezia?). Poi la grande illusione con Alma, divenuta nel tempo il grande bluff: anche quella una tragedia largamente prevista dai più. Ecco, Trieste era cotta a puntino per saltare in aria nel 2019. E lo sapeva, eccome se lo sapeva, al punto da aver costruito all'epoca una squadra all'estremo risparmio, con moltissime scommesse e con la prospettiva di non riuscire a completare la stagione senza un aiuto.

L'aiuto poi arrivò e fu provvidenziale. Si trattò di Allianz, già partner prezioso del palasport e convinto quasi controvoglia a dare abbondante danaro per evitare che la società implodesse, zavorrata com'era dalle pessime condizioni in cui il vecchio sponsor-proprietario l'aveva lasciata. E qui era tornato in auge un vecchio modus operandi, quello di spararle grosse, di puntare troppo in alto, la sindrome di Icaro: invece di preferire il caro vecchio lavoro a fari spenti, meglio dichiarare ambizioni insostenibili con la prospettiva (assurda) di attirare nuovi investitori. Perché Allianz era stata categorica, tre anni di supporto finanziario (e che supporto!) ma nulla di più. Da allora, una sparata dopo l'altra: il tentativo per la BCL, impossibile perché per la graduatoria non c'era margine; poi nell'ultimo anno dello sponsor assicurativo un altro assalto impossibile alla qualificazione in Europa. Infine, con l'arrivo degli americani, le dichiarazioni roboanti e risparmiabili sulla volontà di arrivare in Eurolega. Uguali o peggio a quelle di Boccio e Chirisi che nel 2014 tirarono in ballo la massima competizione continentale per club come traguardo per un immediato futuro di un club di A2 decotto, finanziariamente oltre la data di scadenza, con i creditori alle porte e una credibilità azzerata dalla successiva pretesa di ricapitalizzare con della carta straccia.

L'Eurolega sognata dal Cotogna Sports Group - società nata pochi mesi fa e senza esperienze pregresse, è bene ricordarlo - non era solo improbabile ma impossibile. Eppure qualcuno ci ha creduto. E forse erano gli stessi soggetti che nel 2003 ascoltarono ed applaudirono Roberto Cosolini, all'epoca presidente del precedente club cestistico, quando dichiarò che l'obiettivo di crescita della sua società era lo scudetto da raggiungere con un piano triennale. Obiettivo mancato, anzi arrivò ben prima la sparizione. Poi si seppe che era la classica boutade, un modo per smuovere le acque e per attirare l'attenzione mediatica, meglio ancora se di qualche azienda interessata alla vetrina sportiva. Adesso come allora, la piazza giuliana si lasciò distrarre ed illudere salvo svegliarsi con l'angoscia di una retrocessione. All'epoca si andò anche oltre, ossia fallimento e ripartenza dal basso. Stavolta chissà cosa accadrà.

Mi limito piuttosto ad osservare alcuni elementi. Il primo è l'assoluta imprevedibilità di un campionato in cui tra la retrocessione e l'ultimo posto per i playoff si sono registrati la miseria di sei punti ma l'abbondanza di sette squadre: se non è un record, ditemelo voi. Delle formazioni che hanno mantenuto la categoria ce ne sono alcune che hanno speso oggettivamente tanto e male ma per motivi diversi: Scafati ha rifatto la squadra in corsa, non avendo capito per tempo la centralità della figura dell'allenatore tant'è vero che prima è stato bruciato Rossi e poi è giunto Caja che però ha litigato col club per motivi tecnici; Reggio Emilia ha buttato dalla finestra soldi, tesseramenti, anche progetti a causa di equivoci di fondo; Napoli per la seconda volta in fila ha rischiato tanto, forse troppo, oltre ad aver bruciato allenatori di nome ed aver sbagliato la scelta di troppi stranieri. Varese si è ritrovata in una posizione scomodissima, vittima dei propri errori ed omissioni tanto da aver subito una pena sin troppo lieve e misurata con un bilancino sospettato di parzialità decise in alto loco. Treviso è l'emblema delle nozze coi fichi secchi, salvata da una giocata in extremis di quell'Adrian Banks che Trieste non volle più tenere per onerosità connessa all'età anagrafica, altrimenti oggi sarebbe toccato a lei piangere lacrime amare. Che poi sono quelle versate anche da Brescia: salva sì ma fuori in extremis dai playoff ossia un mezzo fallimento mitigato solo dalla Coppa Italia in bacheca.

La seconda considerazione riguarda l'assenza di reale progettualità. Si costruisce poco nelle società, le idee così come i manager sono oggetto di masticazione e rifiuto stagione per stagione, motivando in tal modo il pessimo andazzo di un movimento che stenta a crescere. L'isola felice non è Milano che conferma Ettore Messina per assenza di alternative, né la Bologna bianconera che ringrazia giustamente Segafredo Zanetti ma rifiuta un elemento del calibro di Claudio Coldebella perché esterno al cerchio magico del patron. Nemmeno Venezia, più ricca rispetto al passato, è poi così lieta se si pensa al fatto che del nuovo palasport non se ne parlerà più, che non è poi così certo che Neven Spahija resti su quella panchina, che provare a vincere qualcosa sarà sempre più difficile. L'isola felice veste il bianconero e ha due nomi con la stessa consonante iniziale ossia Tortona e Trento. La creatura di patron Gavio non è sperpero di danaro ma attentamente bilanciata su un modello che prevede prima di tutto teste pensanti - e tra coach Ramondino ed il suo staff, Ferencz Bartocci dietro la scrivania ed altri manager, non si può dire che al Derthona la materia grigia e le idee manchino. L'Aquila vola anche al di sopra delle proprie possibilità riuscendo a coniugare un budget nella norma, un vivaio che produce, uno staff tecnico di ottimo livello, un parco italiani ben pensato: merito di Trainotti, creatore del modello tridentino e plasmatore del suo successore attuale, Rudy Gaddo, che alla sua stagione di debutto senza rete di protezione ha fatto quasi meglio del predecessore. Il messaggio è chiaro: se volete investire, fatelo in teste pensanti.

L'ultima considerazione riguarda la cabala e, nuovamente, la figura di Adrian Banks. Lasciata Brindisi non senza polemiche nel 2020, la guardia di Memphis non è stata esattamente un talismano per chi lo ha firmato: la Fortitudo aveva pensato di costruire un modello offensivo imperniato su di lui oltre che su Aradori e Happ ma fu un flop clamoroso; Trieste lo prese subito dopo come perno di un'idea tattica da gioco entusiasmante con obiettivo playoff senza però arrivare al dunque; Treviso l'ha voluto quale bocca da fuoco principale per una salvezza tranquilla incappando in una stagione altalenante e risolta solo alla penultima, col fiatone. Avere Banks in squadra, aiuta. Ma perderlo può essere deleterio: senza di lui, la Effe prima e Trieste poi sono scese. TvB può permettersi il lusso di rischiare una sorta di maledizione che altre realtà hanno già sperimentato? Forse è per questo motivo che l'annunciato ritorno del pistolero nella Bologna biancoblu è stato bloccato da insistenti voci di rinnovo in riva al Sile. Magari qualcuno ha deciso di non correre altri rischi, specie dopo aver giubilato due anni fa un certo David Logan perché ritenuto vecchio, condizionante, costoso e quindi inutile. A quarant'anni suonati il Professore ha dato una lezione definitiva con i 5 punti che hanno salvato Scafati e condannato Brescia. Se vi pare poco, non so che dirvi.