mercoledì 29 marzo 2023

A volte ritornano

Prendo a prestito il titolo dell'omonimo racconto di Stephen King e della relativa trasposizione cinematografica per esporre anch'io alcune storie dell'orrore. Non paranormale o letterario, ma reali e sportive. Trovo quasi incredibile per non dire paradossale il fatto che, così come avviene nella storia di King, alcuni personaggi bocciati dalla storia sportiva (ed a volte con risvolti penali) tornino alla ribalta solo per distruggere ancora, sempre e comunque per spaventare le platee che speravano di non rivederli mai più. Invece questi soggetti non svaniscono ma tornano, a volte in nuove situazioni, in altri casi all'interno di piazze e realtà già visitate in passato. Sempre accompagnati da sgomento, scompiglio e danni, nell'ordine che preferite.

Prendiamo in esame Ferdinando Minucci e Christian Pavani. Li avevamo lasciati uno ad ammettere almeno parte delle proprie colpe nel crack della Mens Sana originale, beccandosi quattro anni di reclusione in seguito a patteggiamento più pene accessorie; l'altro ripudiato dalla Fortitudo in cui per alcuni era divenuto scomodo, per altri un capro espiatorio, per altri ancora l'origine e la spiegazione di ogni male. I due si sono ritrovati la scorsa estate a Firenze, città il cui rapporto con la pallacanestro è storicamente complesso. Tramontati da un bel pezzo gli esperimenti in viola Fiorentina, archiviati i sogni di gloria del periodo Everlast, ridotti a cimelio i ricordi sbiaditi di J.J. Anderson, dello sponsor Neutro Roberts, di patron Bordignon e di Enzino Lefebre, a Firenze pare quasi sia impossibile fare pallacanestro, quasi che la piazza sia esclusivamente, immarcescibilmente, ostinatamente calciofila. Non è vero, almeno non in maniera così ottusa: gli esempi del volley femminile sono lì a smentire ogni dietrologia. Però che il basket fatichi nella città gigliata è un dato di fatto. 

Minucci (in veste di consulente esterno, d'altronde la FIP lo ha radiato) e Pavani ci avevano riprovato. Come? Promettendo mari e monti, effettuando una campagna acquisti faraonica, puntando diritti dalla B alla A2, affermando di avere le spalle coperte e di aver già avviato contatti con potenziali sponsor di elevata caratura. Tutto molto bello, tutto molto allettante. Almeno finché si resta nell'ambito delle chiacchiere, ché alla presentazione delle tenute di gioco non si è vista l'ombra di un marchio aziendale sulle canotte: non un buon segno, va detto. Primi mesi, tutto ok, squadra eccezionale con coach navigato al timone (Gigio Gresta). Poi i primi scricchiolii, a dicembre l'appuntamento con lo stipendio da pagare a giocatori, staff e collaboratori salta, Pavani si fa di nebbia, Minucci pare non lo abbia visto nessuno, la società si sfalda, la squadra inizia a saltare gli allenamenti, ci si preoccupa per i potenziali sfratti dalle abitazioni. Infine giunge la chiusura anticipata, ché nemmeno l'estremo ed inutile tentativo di chiedere al Comune di intervenire in qualche modo ottiene un risultato diverso da facce perplesse - ma nel 2023 siamo ancora ridotti a sperare nelle istituzioni pubbliche per il salvataggio di società sportive private?

Torniamo al titolo. Nel film si spiegava come certune entità sovrannaturali, eredi di esseri umani morti in maniera violenta, possano tornare sulla Terra uccidendo dei vivi per prenderne il posto nella società attuale. A pensar male, pare quasi il caso in esame. Peccato che la realtà sia ancora più tragica della finzione, visto che Minucci si permette il lusso oggi, da condannato in via definitiva e radiato, di poter raccontare la sua versione dei fatti (senesi) in un libro che ho potuto sfogliare. La tesi di Minucci è un "così fan tutti" incredibilmente omissivo. Le contabilità in nero? Lo faceva per il bene della sua Siena, altrimenti col cavolo che avrebbe potuto vincere - come se vincere fosse tutto nella vita, ma vabbè. La rovina della società? Colpa dell'amministratore delegato del Monte dei Paschi che aveva deciso di chiudere la sponsorizzazione multimiliardaria - mica si parla dei bilanci taroccati, della creazione di fittizie plusvalenze, degli anticipi su sponsorizzazioni future per far quadrare i conti sempre più in rosso. Minucci in fondo portava avanti il vessillo della pallacanestro italiana, oggi ridotta a poca cosa - e qui la bugia è talmente grossolana da strappare una risata di commiserazione, visto che negli anni di dominio senese la concorrenza era stata rasa al suolo in maniera talvolta disonesta, come potrebbero testimoniare alcuni ex dirigenti di altri club, impoverendo alla fine un movimento che era diventato solo la sua punta di diamante (Siena appunto, col suo minuscolo mercato di riferimento).

E Pavani? Arriviamo anche a lui. Sparito da Firenze, dove nessuno lo cerca più, il dirigente è tornato a casa. Ma non intendo proprio Bologna, quanto la Fortitudo. Non con un ruolo in società, almeno non così si spera: in attesa di trovare nuova collocazione o un altro posto in cui lavorare nella pallacanestro, Pavani va a vedere gli allenamenti della squadra di coach Dalmonte in via Giacosa, in quella sede che lo stesso Pavani aveva inaugurato qualche anno fa sperando di farne la nuova Mecca dei biancoblu. Ora, andare a vedere degli allenamenti non è un reato ed a meno che alla porta della palestra non vi sia il divieto di ingresso ad estranei (il famoso cartello "allenamento a porte chiuse") è consentito entrare, accomodarsi ed osservare. Peccato che la presenza di Pavani non sia passata sotto silenzio, tant'è vero che la famiglia Gentilini ossia il nuovo main sponsor Fortitudo col marchio Flats Service si è fatta sentire. E non certo con toni compiaciuti: quella presenza non è gradita, lo si è capito, anzi è definita "destabilizzante" (testuali parole). Forse perché evoca un recente passato di tristi ricordi, forse perché si teme che il ritorno dell'ex possa presumere un suo ulteriore coinvolgimento, forse perché il timore non detto ma intuibile è che in fondo Pavani non abbia mai del tutto troncato il rapporto con la Fortitudo attuale. Non è un caso, credo, che gli stessi Gentilini, padre e figlio, abbiano manifestato l'intenzione di costituire un gruppo di aziende per rilevare la società sportiva dalla proprietà attuale, per darle un futuro meno incerto rispetto agli anni passati, a patto di sapere con chiarezza con chi e con cosa trattare. Probabilmente il primo obiettivo è evitare situazioni come quella dello scorso giugno, con un esercizio 2021-22 che si è chiuso con una perdita gestionale di oltre un milione e mezzo di euro, quasi 4 milioni e mezzo di euro di debiti, un fabbisogno finanziario in rosso per 2 milioni e 832mila euro ed un deficit evidente. Appare lapalissiano come gli attuali sponsor, seppur interessati a prendersi la proprietà, non vogliano trovare sorprese sgradite anche sotto forma di dirigenti del passato.

Purtroppo nel basket nostrano i ritorni degli sgraditi o degli impresentabili non sono una novità. Il russo Gerasimenko, i Forni, Max Boccio sono alcuni dei nomi noti di personaggi che hanno fatto il male e non il bene del movimento. Proprietari con le mani bucate, dirigenti incompetenti, finti sponsor che vendono carta straccia a caro prezzo, imbonitori farlocchi, sembrano tutti attirati dalla palla a spicchi come api sul miele. E sono spesso accompagnati dalle peggiori giustificazioni possibili, come nel caso di Minucci che si definisce ancor oggi quale l'ultimo grande manager del basket italiano. Parole che, se ripenso a Gherardini, Sarti, Beppe De Stefano, Crovetti, Porelli, Lefebre o Cappellari, suonano peggio di una bestemmia pronunciata in San Pietro.