sabato 30 dicembre 2023

Un ragazzo e una maglia

Questa è la storia di una maglia numero 6. Tranquilli, non parlo di Franco Baresi, per quanto una piccola connessione tra il protagonista di questo racconto e l'AC Milan vi sia. Non mi sto riferendo nemmeno a Massimo Iacopini, che anzi quando ha visto a chi era intitolata quella maglia numero 6 ha reagito (bonariamente?) con un moto di comprensibile fastidio. Ma restiamo per un momento sulla maglia. Che poi è una canotta, ma vabbè. Un po' stropicciata, pazienza. Con un quarto di secolo alle spalle, scusate se vi pare poco. Una maglia dimenticata da molti, che alle giovani generazioni non dice nulla ma che a chi ha più di 40 anni strappa una lacrima di nostalgia. Quella canotta verde, con i bordi bianchi, il numero 6, il vecchio logo della Legabasket era in un cassetto di casa mia da tempo immemore e attendeva solo il giusto momento per tornare alla luce. Ossia per trovare un degno proprietario. Che non è (mi scuserà) il suo primo possessore, l'irlandese da battaglia Glenn Sekunda che la indossò all'inizio del suo terzo ed ultimo anno a Treviso, ma un ragazzo che oggi ha i capelli grigi e che dentro è rimasto lo stesso scappato di casa delle telecronache del 1991-92.

Per me Simone Fregonese è stato tante cose. Il bersaglio dei cori della curva negli anni belli della Benetton Basket, cui lui reagiva con un semplice sorriso. Il conduttore di trasmissioni televisive in un'epoca in cui l'ufficio stampa della Ghirada distribuiva lezioni di avanguardia sulle modalità lavorative nell'ambito della comunicazione. Uno dei miei primi approcci con la zona stampa del Palaverde assieme al suo ex socio Enrico Castorina. Compagno di squadra ai Marlins, forse la formazione più ingestibile e per questo più bella di cui abbia memoria. Esempio di multitasking ante litteram, capace di dividersi tra più attività. Emblema di sacrificio nei momenti peggiori, quelli che non vorremmo mai vivere ma che ogni tanto la vita ci riserva come sorpresa sgradita e prova da affrontare. 

Con Simone ho lavorato, ho giocato, ho scherzato. Ci siamo confrontati, abbiamo litigato, ci siamo mandati a quel paese. Ci siamo aiutati reciprocamente, senza mai negarci. Perché in fondo questo è il bello del nostro lavoro: qualunque cosa sia successa, chi se ne frega e mai mollare. Mai. Nemmeno di fronte al mondo che ti crolla sotto i piedi, al club che sparisce, alla sedia che traballa, alla prospettiva di restare in disparte, a braccia conserte, a guardare. Ecco, se ho imparato qualcosa da Simone in tanti lustri è che se ci si ferma è davvero la fine. E lui non ha accettato alcun destino presuntamente scritto, nemmeno quando Verdesport decise di smobilitare la branca professionistica. Treviso Basket è nata dai famosi Cavalieri Bianchi, da Paolo Vazzoler, dall'azionariato popolare (presente anche il sottoscritto), dalle campagne stampa. E da Simone Fregonese che accettò per mesi di lavorare gratis, senza sapere se ci sarebbe stato un domani, perché credeva in un futuro diverso.

Come dicevano gli Skiantos, la storia gli ha dato ragione. Quella TVB nata sotto la Loggia dei Trecento, poi nell'incubatrice del Natatorio, svezzata al PalaCicogna, si è presa il giusto posto anche grazie a lui. Che nel frattempo si era sdoppiato con Imoco Volley, una realtà nata in contemporanea con TVB e divenuta vincente in brevissimo tempo. Si sa, le società di vertice non raggiungono determinati risultati per semplice fortuna o per allineamento planetario: tutto è frutto di programmazione e di idee, soprattutto di persone giuste dietro determinate scrivanie e nei posti chiave. Qualche mese fa Imoco ha sottoposto a Simone Fregonese la classica offerta irrinunciabile. Una proposta che non poteva più prevedere un part time né una compresenza. E Simone ha scelto con consapevolezza, ben sapendo che si trattava di recidere un cordone ombelicale con quella che era una sua creatura. Un passo doloroso ma inevitabile in un percorso professionale.

Stasera Simone Fregonese ha salutato il suo basket. Certo, con una vittoria sarebbe stata tutta un'altra musica ma non ci sono stati musi lunghi nei brindisi a fine gara. Abbracciato da una moltitudine di amiche ed amici che hanno condiviso con lui tanta o poca strada, ha salutato un mondo che continuerà ad appartenergli. E lo ha fatto con quella canotta addosso, che cercava un padrone e finalmente l'ha trovato. "Non ho mai avuto una canotta ufficiale della Benetton in guardaroba", ha ammesso lui stesso a dispetto degli oltre vent'anni trascorsi in Ghirada. Ecco perché, incurante delle firme sul retro, ha deciso di indossarla con orgoglio prestandosi alle foto. Non se l'aspettava Simone, un regalo così. Quindi, missione compiuta. Per un ragazzo con i capelli grigi ma che dentro resta sempre un ventenne e per la canotta, che ha 25 anni sulle spalle e pare uscita da qualche varco temporale annidato nei corridoi interni del Palaverde.

PS: se ve lo state chiedendo, niente paura. Simone resterà per sempre uno del basket. Prestato al volley, perché così vogliono le contingenze. Ma sono sicuro che nei prossimi mesi lo vedremo ancora, qua e là, alle partite. Almeno per aiutare quel Bocia che ha preso il suo posto e che ha tantissimo da imparare. Ma con una guida così e con tanti colleghi anziani che gli vogliono bene, anche il più giovane degli apprendisti può star tranquillo.

domenica 24 dicembre 2023

Il fattore C

C come corsi storici. C come coach. C come... beh, la parte anatomica pluricitata dall'onorevole cavaliere conte Diego Catellani, Gran Maestro dell'Ufficio Raccomandazioni nonché campione di stecca. Ecco, quello ogni tanto serve. Ma è ancor più necessaria un'altra C, quella di classe, altro termine invocato dal personaggio interpretato dal povero Umberto D'Orsi. Quella classe che purtroppo in pochi dimostrano di avere e che meriterebbe maggiore considerazione tanto nella gestione quotidiana quanto nei momenti di crisi che, puntualmente, si verificano. Perché se c'è una differenza tra Derthona Basket e TvB non è tanto nella qualità del gioco espresso ieri al PalaFerraris o nel budget - queste sono questioni evidenti a chiunque - ma nella gestione dei rapporti umani e nella valutazione della fiducia. Concetti riassumibili con il termine "classe", appunto. E no, non stiamo parlando di navi da guerra per quanto la Bertram del diporto di lusso dovrebbe essere una corazzata mentre la Nutribullet è un incrociatore leggero.

Un mesetto fa Frank Vitucci era sulla graticola, spedito sul banco degli imputati per nove e dico nove sconfitte consecutive e per la scelta errata di almeno due stranieri in ruoli affatto marginali. Un mesetto fa Marco Ramondino era ugualmente in ambasce per un gioco che stentava ad affermarsi e convincere, stava per perdere il suo miglior USA attirato dalle sirene dell'Eurolega e riusciva a reggere i contraccolpi solo in funzione di due fattori: il primo, le vittorie in BCL che per una matricola assoluta dell'Europa dei canestri sono sempre un bel biglietto da visita; il secondo, quello che il collega ed amico Piero Guerrini definiva "culo". Non si può negare che dal 2020 in poi Ramondino non abbia avuto fortuna: prima dell'esonero odierno, anche tre anni fa rischiò seriamente di farsi cacciare dalla creatura di patron Gavio causa risultati deludenti; poi cambiò marcia, arrivarono i playoff e nei secondi finali di gara5 di finale Torino pensò bene di suicidarsi in un derby piemontese destinato a cambiare parecchi equilibri. Il famoso o famigerato "culo di Ramondino" si è manifestato anche in seguito, si veda la Coppa Italia 2022 con percorso spianato sino alla finale, oppure i playoff 2022 contro una Venezia all'ammazzacaffè come ciclo tecnico, o le partite dell'anno scorso contro Trento concluse tutte con scarti minimi e quasi sempre con vittoria - anche con botte di culo clamorose come quella dei due liberi sbagliati da Matteo Spagnolo a tempo scaduto in gara4 dei quarti playoff.

Anche il culo però prima o poi finisce. E quello di Ramondino a quanto pare ha raggiunto la data di scadenza. Ma al di là di discorsi scaramantici o di allineamenti planetari, occorre sempre ricordare che in uno sport estremamente logico e tattico come il basket è la programmazione a dominare. Se Tortona ha disputato due annate consecutive ad alto livello, ciò non è dovuto solo alla fortuna del suo (ormai ex) coach o all'ampia disponibilità di budget garantita da un patron ricco ed appassionato. Ciò è stato figlio di idee precise traslate su una lavagnetta tattica e prima ancora nella ricerca dei soggetti ideali con cui comporre il progetto iniziale. Come nella costruzione della cittadella dello sport che il Gruppo Gavio sta realizzando, anche nel Derthona si sono scelti i materiali base per poi passare all'assemblaggio. Peccato che nella volontà di crescita sin troppo accelerata si siano commessi degli errori imperdonabili, rimpiazzando solisti talentuosi ma un po' matti (Macura) con soldatini ordinati ma non abituati ad agire fuori dalle righe (Weems); oppure pensando che il playmaking diffuso avrebbe esaltato di volta in volta le doti di questo o quell'esterno, a fronte di una batteria piuttosto poverella in termini offensivi; o ancora, non capendo l'importanza di disporre di un 4 equilibratore tra gioco offensivo spalle e fronte a canestro in rapporto ad una batteria di centri buona come supporting cast ma inutile se sul perimetro c'è ben poco. Questi errori, compiuti da Ramondino ma non solo, sono costati il posto all'allenatore irpino. Che appena un anno e mezzo fa era COTY in LBA ed oggi è un allenatore appiedato alla vigilia di Natale.

L'esatto contrario di Frank Vitucci. Che ha avuto l'onestà di ammettere gli errori compiuti da lui e non solo e che in cambio ha ricevuto ripetuti attestati di fiducia e due rinforzi finalmente funzionali a gioco e campionato di riferimento. Se volete la controprova, osservate la metamorfosi avuta ieri da Osvaldas Olisevicius tra primo e secondo tempo: reduce dal virus ed ancora non in perfette condizioni, il lituano ha passato i primi venti minuti a litigare col canestro; è bastato che nell'intervallo il coach (altro fattore C) gli parlasse per cambiare qualcosina... et voilà! Ecco servita una bella, concreta, preziosa vittoria che riporta più su Treviso. In cui brilla anche quel Terry Allen di cui molti invocavano il taglio già a settembre, senza capire forse che pure lui fosse vittima della mancanza di regia. Da quando Robinson ha preso il posto dell'immaturo Booker e Olisevicius ha rimpiazzato l'impresentabile Young, il pallone ha ripreso a circolare facendo le fortune di Paulicap ed anche di Allen, che trova spazi e tempi giusti per utilizzare il tiro. Nulla di tutto ciò comunque sarebbe successo se a Treviso avessero dato retta ai mal di pancia dei tifosi che chiedevano la testa di Vitucci, magari invocando quel Walter De Raffaele visto un paio di volte in tribuna al Palaverde. Il livornese dell'Ovosodo prenderà il posto di Ramondino, alla guida di una squadra che è l'esatto opposto delle sue idee tattiche, in cui l'unico 4 abituato a giocare pick'n'pop è l'involuto Severini ed in cui Weems e Strautins assieme non valgono il Bramos dell'ultima stagione. Fuori dalla Coppa Italia di Torino - questo è il vero motivo della rivoluzione tortonese, un affronto territoriale che la proprietà del Derthona non tollera - a De Raffaele verrà chiesto un mezzo miracolo ossia ridare identità ad un gruppo che da qui in poi dovrà affidarsi allo strapagato Colbey Ross, che ha accettato il doppio della proposta varesina per vestire il bianconero, per risalire la china.

Treviso al contrario dimostra che fiducia, circolazione di palla e utilizzo della materia grigia sono i tre pilastri che illuminano il tempio del gioco. Al frullato nel marchingegno ciclonico manca un solo ingrediente, sinora inefficace per non dire pessimo. Sarà anche un caso fortuito però le quattro vittorie in fila sono giunte con un ruolo marginale o con l'assenza totale di D'Angelo Harrison, relegato in panca contro Brindisi ed a Cremona e poi in tribuna causa botta alla mano. Con Ky Bowman nel ruolo di guardia tiratrice titolare gli schemi di Vitucci guadagnano solidità e concretezza oltre che serenità. Quella che l'ex St. John's non riusciva a trasmettere. C'è curiosità attorno al suo rientro nei ranghi ed al ruolo che avrà: se riuscirà a capire come deve comportarsi un sesto uomo di successo, questa Nutribullet non potrà far altro che migliorare. Viceversa, occorrerà forse fare qualche discorso in più, a parte, col giocatore affinché capisca che certe intemerate sono solamente dannose.

domenica 17 dicembre 2023

Viva Franco Battiato!

Omaggio sin dal titolo di questo intervento il Maestro, colui che ci fece sognare e volare con musica e parole, bardo dell'esoterismo sonoro e della ricerca filosofica elevata ad arte. Forse una delle poche personalità capaci di sbeffeggiare le dittature anche dopo la morte: forse pochi di voi sanno che in Spagna per tanti anni i graffiti sui muri dei nostralgici del Caudillo venivano appositamente corretti sempre a colpi di bomboletta spray con il cognome Battiato. Il Maestro, conosciutissimo anche in terra iberica, era tale anche per questa capacità di generare legioni di fans ovunque e per stimolare una creatività mai banale. Non è un caso, credo, che nelle ultime settimane una delle sue hit più conosciute sia tornata alla ribalta anche grazie ad una fiction di Sky che mi ha catturato per la sua combinazione tra spirito guascone, disincanto, disperata ricerca degli affetti e desiderio di redenzione: il quarto episodio di "Non ci resta che il crimine" vede infatti Claudio (Giampaolo Morelli) declamare come versi aulici le strofe di "Centro di gravità permanente" per convincere una platea di vecchi tromboni fascisti e avanguardisti dal manganello facile, tutti adunati a tavola nell'Italia precedente il tentativo di golpe di Borghese. L'ennesimo sberleffo postumo (o ex ante, visto il periodo) di Battiato e dei suoi testi.

Con "Centro di gravità permanente" però potremmo anche ribattezzare la prova di Pauly Paulicap contro Trento. Prima però chiariamone i contorni: due squadre, e fin qui tutto bene come diceva il regista Mathieu Kassovitz. Solo che una si presenta all'appuntamento al gran completo, con rotazioni talmente profonde da valutare positivamente nelle ultime settimane il bimbo prodigio Niang (prestito Fortitudo...) e da escludere dalle stesse il prodotto fatto in casa Conti. L'altra giunge alla partita reduce da una settimana come non se ne vedevano da fine gennaio 2022, pieno periodo Covid-bis. Ve la ricordate, la partita a Pesaro del 30 gennaio 2022? Sei senior arruolabili più una pattuglia di juniores comprendente gli allora minorenni Leo Faggian, Enrico Tadiotto ed Alberto Pellizzari - più Enrico Vettori, oggi alla Rucker SanVe. Alla Vitrifrigo Arena con 45 minuti di zona (già, servì un supplementare...) e una prestazione da applausi arrivò l'ultima vera e convincente vittoria della Nutribullet targata Max Menetti che di lì a poco, complici l'infortunio di Jurkatamm ed il deteriorarsi degli equilibri interni, sarebbe implosa sino a precipitare verso le posizioni a rischio in classifica. Faggian e Tadiotto sono ancora a Treviso ed ora hanno delle chances di giocare: contro Trento hanno avuto minuti veri e nel complesso non hanno demeritato, dopo una settimana da tregenda con infortunati cronici e letti dell'infermeria biancoceleste riempiti dalla solita influenza.

Chi ha stupito ed in assoluto positivo è stato Paulicap. Non solo per i 19 rimbalzi che sono record stagionale in LBA - sì, ok, Mark Landesberger della Lotus Montecatini resta irraggiungibile nella classifica all time, ma quella era pur sempre A2. Vi regalo un dato: l'OER del ragazzo di origini haitiane è stato di 1,300. Sapete cos'è l'OER? Ok, ve lo spiego: è una voce statistica che calcola l'efficienza offensiva di un giocatore ossia quanto è utile in attacco alla propria squadra in base ai possessi da lui stesso sfruttati. Dan Peterson che dell'OER ha fatto una vera e propria filosofia tecnica ha sempre ribadito come il quoziente sia premiante se è sopra la cifra netta ossia da 1,000 in su. Contro la Trento di Biligha e Cooke ma anche di Grazulis e Udom, Paulicap ha avuto un OER di 1,300; meglio di lui nell'occasione ha fatto Terry Allen con 1,600. Nella speciale classifica, tolto Olisevicius che ha un numero di partite bassissimo finora (tre, con un OER di 1,066), Paulicap è il secondo miglior attaccante per possesso del quintetto base sempre dietro Allen. Qualcosa vorrà pur dire.

Se non vi basta, aggiungo qualche considerazione sparsa relativa sempre al match contro Trento. In cui Paulicap ha giocato più minuti di tutti (36), addirittura adattandosi al ruolo dell'ala grande che non è esattamente il suo mestiere. Quando ha fatto coppia con Camara ha faticato a coprire tutta l'area per una questione di automatismi e per una brutta tendenza del ragazzone senegalese a distarsi nel momento più importante dell'azione difensiva. Eppure Paulicap ha chiuso con +35 di valutazione quando l'intero pacchetto lunghi dell'Aquila ha fatto +36. E il suo +/- è il secondo migliore di tutta TvB (+9) dietro Robinson (+11). Ecco, proprio l'arrivo di Robinson è uno dei segreti di Pulcinella della nuova valorizzazione di Paulicap: più palloni giocabili, maggiore intesa, tanta difesa in rotazione ed adeguamento. L'ex Pesaro sarà anche piccoletto però usa la stazza per compensare, evitando quelle facili percussioni verso l'area favorite dal suo scellerato predecessore che invece non reggeva un 1vs1 nemmeno a pregarlo. E che sul fronte opposto ormai si era intestardito nel non voler più far circolare la palla, peccato mortale per una squadra pensata proprio per favorire i movimenti offensivi dovuti ai ribaltamenti di lato. Con Robinson (e Olisevicius) si sono visti adeguamenti di cui si era quasi persa memoria, si è assistito al ritorno di una pallacanestro autentica, si è riscoperto Bowman come agente speciale offensivo. E di tutto ciò Paulicap ha beneficiato alla grande. Alla faccia di qualche assai presunto esperto che si è incaponito da settimane nel mantra "serve un pivot", senza sapere evidentemente che il suddetto centrone se privo di rifornimenti di palloni in post è utile quanto il due di Coppe quando a briscola c'è l'asso di Bastoni.

Per chiudere, due considerazioni su Faggian e Camara, posto che Enrico Tadiotto merita solo applausi. Leo e Gora sono passati dal "non entrato" di Cremona a rispettivamente 28 minuti (con quintetto base) e 11 minuti. Sì, ok, potenza delle assenze. Ma se non sapete per quale motivo coach Vitucci li abbia in precedenza messi ai margini delle rotazioni, ve lo dico io: questione di impegno. La vecchia regola sempre in voga è che gioca chi si sbatte, chi si fa un mazzo gigante, chi non risparmia una goccia di sudore. Faggian e Camara sono giovani e hanno l'obbligo assoluto di non accontentarsi, di lavorare sodo per migliorare: il primo perché è patrimonio della società che gli ha aperto credito con un contratto pluriennale; il secondo perché la Virtus lo ha mandato in prestito proprio perché abbia la teorica possibilità di maturare. Ma se entrambi non si applicano abbastanza, non si può pretendere che il capoallenatore gli conceda minuti per questioni d'età o per formazione italiana. Quindi per entrambi vale il solito motto: culo basso e lavorare, ché la strada è ancora tanto lunga.


domenica 3 dicembre 2023

Lituania, terra di basket

Pierluigi Collina, noto ex arbitro di calcio con simpatie cestistiche nemmeno troppo segrete (è tifoso Fortitudo), lo ha rivelato in tempi non sospetti: in Lituania la vera religione laica è la pallacanestro. "Lì persino i ragazzi che praticano il calcio finiscono per giocare a basket nei tempi morti", disse una ventina d'anni fa in una intervista. In fondo è la classica scoperta dell'acqua calda: gli Stati baltici sono una delle terre felici per lo sport inventato da James Naismith e, salvo rare eccezioni, i giocatori provenienti da quell'area sono solitamente molto tosti, molto determinati, maniaci del lavoro in palestra e capaci di spendere ogni stilla d'energia senza lamentarsi di alcunché. Lo si sa bene anche a Treviso dove sono passati Siskauskas, Motiejunas, Sorokas, Jurkatamm (difensore eccellente, bisognoso solo di allenatori che credano in lui) e - vabbè! - pure un imberbe Ernsts Kalve ed un dimenticabile Tomas Dimsa. Quindi se qualcuno tra voi che leggete il blog oggi si stupisce del rendimento dell'ultimo della specie arrivato nella Marca, ossia Osvaldas Olisevicius, ebbene questo qualcuno è pregato di scendere al più presto dalla pianta e di aprire gli occhi.

Già a Pesaro una settimana fa l'ex Reggiana era risultato il meno peggio dei suoi, in una gara da marasma mentale prima che tecnico. Un caso? No. Perché un giocatore intelligente tende sempre ad emergere per la propria capacità di esaltare le doti di tutti, non solo le proprie. Lo ha ammesso anche coach Frank Vitucci: Olisevicius ha questo grande pregio, una dote da non sottovalutare perché si riverbera su tutto l'ensemble. E vi pare poco? Allora lasciate che vi riassuma la sua partita odierna: 15 punti, 5 rimbalzi difensivi, 6 assist (miglior dato di squadra), 17 di valutazione, +34(!) di plus/minus. Bastano queste cifre? No? E allora ecco il resto: capacità di giocare lontano dalla palla ad altissimo coefficiente di utilità, possibilità di evoluire da 4 tattico in quintetti piccolissimi, difesa eccellente su almeno tre se non quattro tipologie di avversari, fisico da lottatore vero. "Non è che in estate non avessimo pensato a lui", ha aggiunto Vitucci facendo capire tre cose: che un elemento così è preziosissimo; che in estate si è commesso un grosso errore di valutazione; che occorre un minimo di coraggio anche nello spendere cifre pesanti se si vogliono avere dei risultati.

Dove sarebbe la Nutribullet con un Olisevicius in più nel motore da inizio stagione regolare? E con un play vero, ancorché in ritardo di condizione quale Justin Robinson? Azzardo che con questi due al posto della coppia salutata mercoledì, la squadra oggi non avrebbe solo due punti in classifica ma almeno 6 o 8. Non tantissimi ma nemmeno da penultimo posto. Invece in estate sono state compiute altre scelte, tafazziane nel complesso. Perché Deishuan Booker non è un play da campionato italiano, è un giocatore che pensa prima a segnare e poi (forse, eventualmente) ad innescare i compagni. Perché James Young III è il clone più basso e molto sovrappeso di Dermarr Johnson, ossia il classico tiratore ex NBA con la testa mancante di materia grigia ed una paurosa tendenza a giocare solamente per sé. Sapete come ha approcciato quest'ultimo il bimestre varesino? Con 5 punti, 2/7 in azione, -3 di valutazione commettendo pure cinque falli in 18 minuti. Un buco nero insomma. O forse una polpetta avvelenata gentilmente servita da Treviso sul piatto di una prossima diretta concorrente per la lotta-salvezza.

Lotta salvezza che, a proposito, è appena cominciata. E che sarà dura, durissima. Perché le due neopromosse sono quadrate, toste, cazzute, determinate. Pistoia batte Napoli giocando senza Varnado, con Hawkins che si scaviglia e con la riscossa guidata da Gianluca Della Rosa, capitano locale, guardia-play di 1.80m che gioca di puro agonismo e che dà l'esempio. "Lui è il nostro punto di riferimento già in allenamento, anche per gli americani che lo vedono tuffarsi su ogni pallone", dice coach Brienza. E se poi in partita piazza una serie di triple assurde, compresa una da metà campo, sfido chiunque a dire che Pistoia non abbia carattere. Cremona poi è ancora una volta l'esempio di come i budget faraonici servano a pochino se non si sa come spendere quei soldi. Una squadra fatta da esordienti assoluti in LBA (Denegri e Piccoli tra gli italiani), bocciati eccellenti (Eboua, Adrian), condotta da un allenatore due volte trombato in carriera nei precedenti al massimo livello - Cavina fu esonerato a Roseto e Sassari. Eppure la Vanoli è lì, a metà classifica, e si gode un basket concreto ed a tratti pure bello. Altro che la Milano di Ettore Messina che è sempre più il caso negativo dell'anno e che rischia seriamente di mancare l'approdo alle Finali di Coppa Italia. Ma questa è un'altra storia ed un giorno magari ne parleremo.

Chiudo con qualche riflessione:

  1. Coach Dragan Sakota ha accettato la missione quasi impossibile di salvare sul campo una Brindisi costruita male, pensata peggio e pure bersagliata dagli infortuni. Magari la vittoria di una settimana fa contro una Virtus in debito d'ossigeno dopo le fatiche d'Eurolega poteva aver illuso qualcuno in Puglia. Mi dispiace invece che il tecnico serbo non abbia capito qualcosa di semplicissimo ossia che, se è vero che l'allenatore ospite ha diritto di parola per primo in conferenza post partita, tale diritto non equivalga ad un privilegio. Dopo oltre dieci minuti d'attesa e con giocatori desiderosi di farsi una doccia calda per evitare anche dei malanni, Sakota ancora non si era presentato ai microfoni. E quando l'ha fatto, per prima cosa ha invocato un "rispetto" che gli è sicuramente dovuto per il ruolo ma che non può essere preteso come garanzia assoluta. Perché in fondo anche un allenatore che tarda alle interviste manca di rispetto verso qualcuno ossia la stampa, che è in attesa di poter compiere il proprio lavoro.
  2. Rivedere in campo Achille Polonara, anche se calvo e con la fascetta, è un qualcosa di meraviglioso. Compresa la tripla infilata negli ultimi minuti di Virtus-Derthona. Sarà pure colpa della memoria di un passato che non vuole andarsene dalla mia mente, ma non sono ancora riuscito a dimenticare quanto avvenne al dolce e sfortunato Paolone Barlera, che vestì la stessa maglia e fu portato via ancora ragazzo da quella bastarda della malattia. Achille è tornato dall'abisso del male, dalla paura di non farcela, dai dubbi legati all'operazione oltre che ai tempi ed alle modalità di recupero. Riaverlo sul parquet è una vittoria per tutta l'Italia del basket.
  3. Siccome c'è chi continua a ripetere pappagallescamente che Treviso ha bisogno di un centro, vorrei spendere due parole su Derek Cooke. Sì, lui, il centro puro che più puro non ce n'è, che un anno fa era abbonato al peggior voto in pagella in una Nutribullet che viveva e moriva dell'estro del singolo e non del gioco collettivo. A Trento Cooke agisce da 5 difensivo, con compiti di protezione dell'area e con zero giochi offensivi. Se segna, è per occasionali scarichi nel pitturato o su rimbalzo offensivo. Però con Cooke a coprire le spalle ad un pivot offensivo come Paul Biligha (e senza ali piccole stante il forfait di Alviti e Stephens), l'Aquila vola e ha triturato una Venezia sempre più brutta e sempre meno solida. Dimostrazione di come un pivot da solo non risolva nulla e di come sia necessario avere delle guardie capaci di trattare la palla - Prentiss Hubb ad esempio - per ottenere risultati dai lunghi.
  4. E visto che ci siamo, due paroline su certi presunti esperti e soloni. Gente che capisce pochino di basket (altrimenti non si spiegherebbe il tormentone "serve un centro!") e che non perde occasione per sfruttare l'ampio accesso alla rete internet per sparare sentenze a casaccio. Compreso quanto scritto in questo blog, talvolta definito come "sbrodolate". A lorsignori ricordo come l'esercizio della lettura non sia obbligatorio ma facoltativo, per cui se non gli comoda quanto viene espresso qua dentro possono benissimo fare a meno di leggere e poi di commentare. D'altronde, se non capiscono concetti basilari quali l'importanza della circolazione di palla o dell'aiuto delle guardie tanto in difesa quanto nella costruzione del gioco, come possono permettersi di disquisire dei contenuti di questo spazio virtuale? Per loro vale sempre la massima di Sergio Tavcar: "Il basket è uno sport logico per gente intelligente. Se non ci arrivi, lascia perdere".

(photo credit: Gregolin per Treviso Basket)

domenica 26 novembre 2023

Mi sono rotto il c**zo di 'sti gin tonic!

Il sommo Toni Servillo mi scuserà se prendo a prestito le parole di uno dei personaggi da lui interpretato (il neomelodico Tony Pisapia, una sorta di Franco Califano in salsa partenopea) per descrivere il mio stato d'animo. No, non ce l'ho con una consorte che non ha comprato i lime occorrenti per una caipirinha da realizzare in casa - tra l'altro io preferisco altri tipi di cocktail, dal Vesper Martini al White Russian. Piuttosto ho le metaforiche tasche alquanto piene di giustificazioni, scuse, non-gioco, disastri sportivi. In una domenica in cui finalmente l'Italia del tennis ritrova il massimo splendore con una Coppa Davis da godere, in cui l'Italia dei motori festeggia il bis del binomio Pecco Bagnaia-Ducati, la nota stonata è la solita Nutribullet che perde. E perde male, restando l'unica squadra di un campionato nazionale professionistico a quota zero punti dopo nove turni.

L'avevo detto e lo ribadisco: sì, la squadra costruita in estate aveva e ha dei problemi. La regia, tanto per cominciare, per proseguire con la difesa. Pensare di risolvere tutto dopo una sola partita dall'arrivo dei rinforzi, entrambi bisognosi di recuperare il ritmo-gara, è pura utopia. Però qualcosa di diverso me lo sarei aspettato. Non tanto da Scoop Robinson, che si è presentato con una discreta pancetta, o da Osvaldas Olisevicius che comunque è stato il meno peggio dei suoi. Avrei voluto una reazione finalmente positiva, propositiva ed assennata da parte di chi sinora è rimasto al riparo dalle critiche dello staff tecnico. Mi riferisco a quel D'Angelo Harrison che è sempre troppo croce e ben poca delizia di TvB. Tolti i primi minuti di partita, l'ex Brindisi è tornato quello di sempre. Ossia un solista che gioca in un modo solo, in isolamento, senza coinvolgere nessuno. Nulla di meglio ha saputo fare Ky Bowman, altro fedele scudiero di Frank Vitucci, che si è esibito nel solito tiro contro il mondo ed i cui unici lampi sono costituiti dalle stoppate in recupero. Ed anche l'allenatore ha dimostrato di non percepire fino in fondo i problemi di una formazione che almeno in parte ha costruito e che palesemente non esegue i suoi dettami.

Harrison, pagato carissimo, doveva essere l'elemento imprevedibile ma con il compito di infondere fiducia e tranquillità. Al contrario, il giocatore sa solo trasmettere nervosismo, specie quando non ce n'è bisogno. Quando la palla non gira, il tiro non entra, i giochi non riescono, l'ultima cosa di cui si abbia bisogno è una guardia nervosetta che litiga con avversari ed arbitri. Credete sia una caso che a Pesaro l'unica effimera rimonta (dal -22 sino al -10) sia avvenuta con la presunta stella a sedere? Io no. Così come non dimentico che in quel quintetto da smallball c'era Olisevicius da 4, unica mossa interessante della serata, con Faggian cui è stata data licenza di utilizzare il fisico e Zanelli da manovratore. Questi sono gli elementi da cui Treviso deve ripartire. Assieme ad un Paulicap che è tornato in doppia-doppia grazie soprattutto ai passaggi in post che Olisevicius gli ha recapitato - Young quando riceveva il pallone tirava e basta. Come dicevo, sarà anche un caso ma il lituano, il mottense, l'italo-argentino ed il pivot di origini haitiane sono gli unici elementi ad essersi salvati nel marasma generale della Vitrifrigo Arena.

Il resto? Da mani nei capelli, per chi li ha. Detto di Harrison e di Bowman, non si può dire che gli altri abbiano fatto qualcosa di buono. Robinson è imballato, ancora deve digerire alcuni schemi (e forse pure il tacchino del Ringraziamento) oltre a dare una registrata al mirino. Camara pecca sempre di ingenuità, per quanto si sbatta. Mezzanotte dopo la prestazione-monstre contro Napoli è tornato nell'anonimato, sintomo di un malessere di squadra per l'assenza di risultato. E Allen? Prima del colpo fortuito alla bocca rimediato da Mazzola, era già un fantasma. Pensato come equilibratore di una squadra con tanti (troppi) tiratori, ora che quel ruolo è stato preso da Olisevicius l'americano è divenuto inutile. 

E poi c'è Frank. Che chiede scusa, ammette gli errori, dice che tutti sono incazzati e che ci si dovrebbe vergognare. Giusto, ha ragione e ci mette la faccia. Ma mi chiedo a questo punto chi abbia scelto o avallato gli acquisti in estate di Booker, di Young, di Allen oltre all'operazione di trapianto brindisino che da mesi dà segnali di crisi da rigetto. Forse il primo errore è lì, pensare che le ottime annate brindisine fossero replicabili o che certi risultati fossero frutto di un consolidamento. In Puglia, dove poche ore fa hanno colto il primo successo in campionato della stagione (e contro la Virtus...), hanno aperto gli occhi: quelli vissuti in precedenza sono stati anni irripetibili, frutto di varie congiunzioni fortunate e di scelte felici ed a volte fortunose. Brindisi, come Treviso, è partita commettendo errori marchiani: Vito Catozzo Corbani non era un allenatore su cui puntare, JaJuan Johnson non è un 5, Mitchell non andava bene, Morris non è adatto ad un certo tipo di gioco. Per invertire una tendenza pericolosissima, Brindisi ha compiuto il primo avvicendamento da quasi un mese. E lo ha fatto in panchina. Brutto a dirsi, ma se una squadra non segue l'allenatore, ci sono poche soluzioni per risolvere il problema.

Sfogliando gli almanacchi più recenti si trovano due partenze peggiori di TvB in Serie A. Pesaro nel 2019-2020 vinse la prima partita al 18° turno ossia ad inizio del girone di ritorno. Quella Vuelle era condannata a scendere, poi arrivò il Covid e si salvò per annullamento della stagione. Nel 2014-15 Caserta impiegò quindici giornate per cogliere il primo successo, masticando e sputando giocatori ed allenatori. Quella Juve, comunque già sulla strada per il tracollo finanziario, fece miracoli nel ritorno ed arrivò a giocarsi la salvezza nello spareggio di Pesaro. Perso ma neutralizzato dopo qualche settimana dalla decisione di Roma di autoretrocedersi. Entrambe le formazioni citate voltarono pagina dopo dei cambi in panchina: i marchigiani richiamando il santone Giancarlo Sacco, i campani scommettendo su Enzino Esposito. Con questo non voglio mettere sulla graticola gratuitamente Frank Vitucci, ma mi rendo conto che se la squadra costruita da lui e da Giofrè non rende, significa che occorre essere più radicali nelle scelte. Occorre coraggio assieme ad un bel po' di pelo sullo stomaco. Si sono giubilati giustamente Booker e Young, il primo per immaturità ed il secondo per inadeguatezza comportamentale oltre che tecnica. Se l'attuale tandem tecnico intende evitare una retrocessione in A2 che costerebbe carissimo a Treviso Basket, è giunto il momento di tagliare i ponti col passato brindisino smettendo di credere che un Harrison o un Bowman possa fare pentole e coperchi. Testa bassa, gambe piegate, sudore, fatica, anche smadonnamenti come insegnerebbe il buon Matteo Maestrello: chi non ci sta, chi crede di poter fare la star o di godere di privilegi, può prendere il primo aereo e tornarsene a casa. Se retrocessione dev'essere, che almeno abbia un significato. Come ho già scritto un mesetto fa, preferisco vedere in campo un Faggian con tutti i suoi limiti: prendere qualche botta e qualche tranvata in faccia gli farà bene, lo aiuterà a maturare, invece di fungere da decimo in rotazione con poco spazio ed ancor meno considerazione.

Ed ora vi saluto con la cosa che ho più cara al mondo: la notte. Se volete, fatevi una caipirinha ripensando al basket bello, quello di qualità, quello in cui si difendeva anche duro e sporco, quello con meno americani e più anima, quello che non abusava del tiro da 3 e che viveva di tattica raffinata. Io mi ritiro in buon ordine riascoltando la voce roca di Tony Pisapia che ci ricorda una cosa semplice ma verissima. Ancor di più in questo Paese delle assurdità, della violenza e delle esagerazioni che promette e non mantiene, che illude e poi delude. La lezione è questa: "La vita è 'na strunzata!"


domenica 19 novembre 2023

Non ho voglia di parlare di basket...

...eppure devo farlo. Non avrei voglia di scrivere di basket, ma è parte del mio mestiere, quindi lo faccio. Ma in questo spazio che gestisco in autonomia posso anche divagare, quindi per una volta lasciate che spenda qualche parola sull'ultima follia di questa società marcia, di questo mondo ignobile, di questa umanità così disumana da non riuscire a recuperare un briciolo di dignità per correggere la rotta. Da sabato pomeriggio non riesco a non pensare a Giulia Cecchettin, la studentessa uccisa da un soggetto mosso da un sentimento malato e da una concezione sbagliata tanto dell'individuo quanto dei rapporti interpersonali. Da sabato pomeriggio non riesco a non pensare a quante Giulia abbiamo visto nelle pagine di cronaca nera, a quanti episodi crudi e disgustosi di disumanità mascherata da visioni disturbate di ciò che dovrebbe essere amore ma è ben altro. Da sabato pomeriggio non riesco a non pensare al fatto che Giulia avrebbe potuto essere una sorella, una cugina, l'amica d'infanzia, la vicina di casa, la figlia di conoscenti, una collega o semplicemente una ragazza del mio quartiere incrociata migliaia di volte. Non riesco a togliermi questo pensiero dalla testa. Assieme ad un altro: "potevo fare qualcosa?"

Quel senso di impotenza, di frustrazione, di vuoto interiore che mi assale, leggendo di un epilogo già scritto eppure che ho rifiutato per giorni anche solo di immaginare, mi accompagna da più di 24 ore. E se il mio mestiere è spesso ingrato nella sua indelicatezza, occorre dire che qualche colpa va attribuita anche a noi, esponenti del mondo dell'informazione. Perché non dovremmo solo veicolare le notizie ma far sì, almeno in questi casi, che una tragedia non debba vivere repliche continue, sempre più brutte, sempre più ignobili, sempre più sconfortanti. Oltre a trasmettere ciò che sappiamo, dovremmo comunicare dei valori o almeno stimolare un dibattito utile a far crescere la società. Invece troppo spesso abbiamo scelto di ridurci a stenografi, raccogliendo quel che ci viene detto o fornito senza un minimo di senso critico. Ed è questa la peggiore sconfitta della mia categoria, condannata poi ad un supplizio tantalico: dover pubblicare a cadenze quasi fisse la stessa notizia, terrificante, che cambia solo nelle generalità della vittima e dei suoi aguzzini.

In un weekend del genere, spero quindi che mi perdonerete se ho poca voglia di parlare di pallacanestro. Per cui quel poco che ho da dire lo condenserò in tre punti schematici:

  1. Nel gioco della pallacanestro si agisce di squadra, tanto in attacco quanto in difesa. Quindi assemblare un gruppo di solisti che comprende elementi in fase nettamente calante di carriera, egoisti, gente abituata a pensare a segnare prima di costruire qualcosa non è esattamente il miglior viatico per ottenere qualcosa di buono. Napoli ha rotazioni ridotte (gioca in 7-8) ma ha scelto la qualità oltre ad un sistema di gioco che sappia variare in corso d'opera. Merito della presenza contemporanea di tre o addirittura quattro trattatori di palla sul parquet. Il tanto vituperato e fischiato Sokolowski ha dimostrato la sua utilità anche stasera, assieme ad un Zubcic chirurgico nei momenti chiave e ad un Pullen che migliora col tempo. Al contrario Treviso continua ad essere tutto fuorché una squadra di pallacanestro. Le cose migliori si sono viste con Zanelli in regia e con Mezzanotte da finto centro. Non è un caso che, in un'epoca di esasperazione dettata dal tiro da 3, a far la differenza sia la capacità di far circolare la sfera, tanto contro la difesa a zona quanto contro quella a uomo. In uno scenario del genere dovrebbe essere chiaro che non si possono ottenere grandi percentuali affidandosi agli uno contro il mondo di questa o quella guardia. E che è meglio inserire un passatore in più a scapito di un (presunto) realizzatore.
  2. Di recente Dino Meneghin ha affermato che, se avesse un desiderio cestistico da esprimere, tornerebbe indietro nel tempo per accettare la proposta degli Atlanta Hawks che lo selezionarono al Draft 1970 (con l'improbabile nome Dean Mengham, vabbè...) per provare a convincere il management della franchigia di poter giocare nella NBA dell'epoca. Posto che non ci credo nemmeno sotto tortura e che lo stesso Meneghin una quindicina d'anni fa disse il contrario, ossia che rifiutò di approfondire la cosa per paura di essere considerato professionista e dunque straniero in un periodo storico in cui lo sport italiano era dilettantistico al 100%, io al posto della Portaerei avrei chiesto altro. Ad esempio l'abolizione dello stramaledetto tiro da 3 che, come detto prima, ha snaturato lo spirito del gioco trasformando questo sport in una sorta di tiro al piccione in versione atletica. Trent'anni fa si tirava molto di meno dall'arco e si impostava molta più tattica, senza che i punteggi delle partite ne risentissero granché o che lo spettacolo fosse inferiore alle attese. Poi si è deciso di cambiare qualcosa, i 24 secondi, i quattro quarti al posto dei due tempi, l'area di nuova dimensione, l'arco allontanato di mezzo metro, pensando che queste modifiche potessero apportare dei benefici. Ebbene, a me sembra che la qualità sia crollata e che le poche squadre che davvero giocano qualcosa di simile al basket siano delle meravigliose mosche bianche. 
  3. Con tre mesi e mezzo di ritardo in casa TvB ci si è accorti che il cosiddetto play titolare mette in ritmo i compagni solo a folate episodiche - e dire che il deficit era parso evidente già a settembre... - e che la cosiddetta ala piccola titolare è stata sputata dalla NBA perché a fronte di mezzi tecnici notevoli non ha mentalità né continuità, oltre a non voler difendere nemmeno sotto tortura. Così si è corsi ai ripari. Nei prossimi giorni è previsto l'arrivo dei rinforzi ossia Scoop Robinson, che rispetto a Booker dovrebbe dare un po' di ordine e non solo di spinta, e Osvaldas Olisevicius che si spera sia in buona forma oltre che disponibile, visto che Milano ha pensato bene di tentare Langston Galloway. Se Reggio deciderà di mollare la presa sul lituano, può darsi che a Pesaro domenica prossima si veda una Nutribullet diversa, meno farfallona dietro e più concreta nella costruzione del gioco. Intanto il tassametro corre, lo score recita 0-8 e le possibilità di chiudere il girone d'andata con meno vittorie della passata stagione (che furono 5 su 15) è sempre più concreto.

domenica 5 novembre 2023

No play, no party, no game, no victory

Odio dire "ve l'avevo detto". Odio ancor di più riscontrare la fondatezza delle mie convinzioni. Chi mi conosce di persona sa quanto preferirei essere smentito anche nettamente, piuttosto di dover incassare la classica ragione che non raddrizza un torto né un errore marchiano. Così quando un mese e mezzo fa confidavo i miei timori per la cabina di regia della Nutribullet, acuiti da un precampionato in cui la circolazione di palla e la costruzione dei giochi mi avevano fatto inarcare ambo le sopracciglia, speravo in cuor mio di aver preso il metaforico e classico granchio. Che non è quello blu di cui non si parla più, assodato che l'opinione pubblica ormai è presa da ben altri argomenti di distrazione tra il ciuffo dell'ex First (play)Boy, le promesse elettorali puntualmente rimangiate e risputate, il maltempo che torna a far danni, le chiacchiere sul presidenzialismo e la spaventosa crisi in Medio Oriente - quest'ultimo, il più serio tra i temi di discussione quotidiana.

Non avevo preso alcun granchio nel retino. Quindi mi devo accontentare di un baccalà riscaldato per cena, cercando di dimenticare le ultime prestazioni da incubo di Deishuan Booker, il play meno play mai visto in maglia TvB dai tempi di Maalik Wayns. Con un distinguo: Wayns era fisicamente all'ammazzacaffè persino in un campionato meno fisico e rapido come l'A2, Max Menetti lo scelse incurante delle informazioni negative che piovevano sul suo conto (persino da parte dell'agente del giocatore, pensate voi!) e tirò un enorme sospiro di sollievo quando l'americano capì di aver oltrepassato la data di scadenza salutando la compagnia di propria volontà. La storia racconta poi di un mese e mezzo difficile con la pesca miracolosa di David Logan che cambiò radicalmente una stagione di grandi aspettative che virava verso il peggio. Ma a volte serve anche una botta del posteriore invocato dal Gran Maestro dell'Ufficio Raccomandazioni Conte Diego Catellani - sì, quello della partita a stecca - per salvare capra, cavoli, faccia e reputazione.

Il guaio di questa nuova TvB, assemblata in estate con propositi neanche nascosti di playoff e desolatamente ultima con zero vittorie dopo sei turni, è forse l'aver commesso un errore similare. Booker non ha le articolazioni distrutte ed il fisico appesantito di Wayns (per i chili in eccesso, preoccupava molto di più James Young che però si è dato una bella raddrizzata); piuttosto ha una testa perennemente scollegata, alla ricerca della giocata ad effetto o dell'eccessiva rapidità a scapito degli interessi di squadra. E da quando Ky Bowman è stato eletto dalla malasorte a candidato numero uno della stagione 2023-24, il problema è divenuto evidente a chiunque. Nel derby è stata la somma tra il tecnico per flopping e l'antisportivo sacrosanto a sbattere fuori Booker con mezza partita da giocare, invertendo una tendenza fin lì favorevole ai suoi colori; a Reggio Emilia, senza play di scorta, l'americano ha pensato bene di protestare contro una terna dal tecnico facile per farsi riaccomodare in panca con 5 minuti da giocare ed una partita ancora in discussione; contro Scafati, giocando con la testa sul ceppo della ghigliottina, non ci sono state espulsioni o uscite per falli ma la consueta amnesia difensiva, l'abituale non-regia, l'inevitabile gioco a sfavore dei compagni ed a favore degli avversari.

Lo ha ammesso lo stesso Frank Vitucci, il guaio è lì. E se Pauly Paulicap è scomparso dal radar è anche a causa di ciò che sta accadendo in cabina di regia: il piccolo, leggero ma dinamico pivot ha bisogno come l'ossigeno di palloni giocabili rapidi in post basso per potersi far valere contro avversari mediamente più grossi e/o più alti di lui; se però la palla sotto non arriva mai, se il play ferma l'azione come il peggior Lionel Chalmers degli incubi di Mahmuti, se il gioco da dinamico diventa statico ed affidato agli uno contro il mondo di Harrison o alla sagra del tiro al piccione, ci sono solo due speranze di poter vincere. La prima passa per percentuali incredibili da lontano, così da aprire la scatola difensiva e mandare in tilt ogni marcatura; la seconda richiede un suicidio collettivo dell'altra formazione in campo. Contro Scafati era sciocco pensare che la seconda ipotesi si concretizzasse, stante l'intelligenza di Robinson, Strelnieks, Logan e Pinkins. Finché Young ha potuto martellare da lontano un minimo di vantaggio si è visto, tuttavia sono bastate 3 palle perse in due minuti (dopo che nei primi due quarti se ne erano perse altrettante in totale) per rimettere in partita la Givova e regalare l'ennesima amarezza al Palaverde.

Cosa fare? Vitucci ha iniziato ad ammettere delle responsabilità: d'altronde la scelta di Booker è stata sua e del DS Giofrè. Gli errori capitano a tutti, ci mancherebbe. Non è la prima volta per il duo che già un paio d'anni fa sbagliò a scegliere Josh Perkins come sostituto dell'ottimo Darius Thompson - una scelta che condannò Brindisi ad un campionato di retrovia dopo anni di vacche grasse. Booker, lo hanno capito tutti, è una tassa troppo alta da pagare: non fa girare la palla, non mette in ritmo i lunghi né gli esterni, non difende, soffre la pressione, si fa turlupinare da ogni avversario smaliziato. Non è l'unico guaio di questa Nutribullet ma è sicuramente quello più evidente e drammatico, ché senza regia non si può andare lontano né si può pensare di chiedere a Zanelli di sciropparsi 30 minuti restando lucido e con fiato in corpo. La volontà di affidarsi al 6+6 utilizzando quasi tutti i visti a disposizione riduce il margine di manovra sul mercato americano, quindi se taglio di Booker dev'essere è bene trovare un'alternativa di spessore. Ossia un play vero, ragionatore, che sappia spingere la transizione così come giocare a metà campo, che difenda non solo sulla palla, che non costringa a continui adeguamenti e che non si faccia soffiare la palla a metà campo.

Poi ci sarebbe la questione Harrison. Un giocatore che soffre la situazione, che dal precampionato denota segnali di nervosismo, che non infonde al gruppo la tranquillità di cui avrebbe bisogno ma aggiunge frenesia all'assenza di regia. Non è questa la guardia che lo staff tecnico cercava in estate, almeno come identikit. Poi è comprensibile che la scelta di investire l'ingaggio più oneroso proprio sull'ex St. John's sia stata ponderata in base alla reciproca conoscenza nel triangolo tra giocatore, allenatore e direttore sportivo, ma i risultati sono molto al di sotto dello standard. C'è qualcosa che non va nel linguaggio del corpo di un elemento che, in un sistema già privo di cervello pensante, si incaponisce a cercare soluzioni che tre volte su quattro provocano l'adeguamento della difesa e non la riapertura degli spazi. Pensare di tagliare anche lui, ora come ora, è impensabile anche se è chiaro che, come è avvenuto per Young, la società si aspetta un cambiamento pure da Harrison. Magari un segnale positivo in tal senso potrebbe essere una piccola multa dopo il teatrino post partita - per due sorrisi di troppo Sokolowski venne crocifisso lo scorso gennaio, anticamera della fine di un rapporto logorato.

A proposito di Sokolowski. Con buona pace di chi lo ritiene un ingrato o un traditore, a Napoli il polacco ha ritrovato serenità, stabilità, ruolo e rendimento abituale. Merito di un sistema semplice ma efficace, con due guardie che si spartiscono la regia e di un 4 che apre l'area ed i giochi come Zubcic. E merito di Igor Milicic, l'allenatore della Polonia che fece gridare al miracolo l'anno scorso agli Europei e che ora guida la più bella squadra del campionato assieme alla Virtus di Banchi ed alla Trento di Galbiati. Sokolowski ritornerà al Palaverde domenica 19 novembre e prevedo che i soliti cervelloni lo accoglieranno a fischi e ululati di contestazione. Mi auguro e gli auguro di zittire simili personaggi con talento ed intelligenza, senza badare alle bassezze di pochi. A TvB intanto auguro di agire in fretta per risolvere il buco nero in regia. A costo di presentarsi a Bologna sabato con Zanelli e Torresani come unici play, dimostrando che nessuno ha il posto garantito e che non è scritto in nessun manuale che uno USA con la testa da un'altra parte debba giocare in forza del passaporto. Per referenze, chiedere a Quenton DeCosey che nel gennaio 2017 si sorbì tre quarti di un Fortitudo-Treviso da netta vittoria emiliana come spettatore non pagante, entrando nell'ultimo ininfluente quarto come segnale di una separazione già in corso. Perché spesso più che le parole sono i gesti a chiarire molte cose.

domenica 22 ottobre 2023

AAA Numero 3 Cercasi (disperatamente)

Cambiano i dirigenti, gli allenatori, i sistemi di gioco, persino i nomi degli sponsor e le grafiche delle divise da gara. Quel che non cambia mai, nel pianeta TvB, è la maledizione dell'ala piccola. Lo si sta vedendo anche in questo pazzo inizio d'autunno 2023, tra giornate piovose ed altre calde: James Young III è l'ultimo nome di una lista lunghissima che parte da Quenton DeCosey, passa per Bernardo Musso, assiste al passaggio rapidissimo della meteora Elston Turner, toppa clamorosamente con Jeffrey Carroll e Hugo Invernizzi, brucia tante belle opportunità. E mentre il mai abbastanza rimpianto Michal Sokolowski se la ride a Napoli - e chissà che sorpresa sta preparando per il prossimo 19 novembre... - si assiste all'ennesimo fallimento mentale prima ancora che tecnico. Young è l'ultimo esempio di giocatore in piena confusione, teoricamente dotato di un talento fuori categoria ma limitato nei fatti da un atteggiamento censurabile sul parquet.

Non ne ha azzeccata una sinora, l'ex Celtics. Ed il suo rendimento fa capire sempre più perché, al netto di un infortunio ormai nel dimenticatoio, una ex prima scelta NBA sia finita al Kolossos Rodi, club che merita rispetto ma che non è certo una potenza. Con i dovuti distinguo, a chi come me ne ha viste forse pure troppe di partite (e di presunte star individualiste), Young ricorda la parabola di Dermarr Johnson, altro ex sopravvalutato spacciato per dominatore e, alla riprova del campo, zavorra tecnica e non solo. Nel 2007 Johnson era offerto a mezza Europa, con la NBA aveva chiuso per limiti caratteriali e per un rendimento assai inferiore alle attese. Anche lui era stato prima scelta al Draft (sesta chiamata del 2000), si disse che le sue sfortune erano iniziate con l'incidente del 2002 ma in realtà c'era dell'altro. Marco Atripaldi, all'epoca general manager di una Benetton con ampia licenza di spesa per rifarsi della scottatura del caso-Lorbek, non ci pensò un secondo e lo prese, nonostante la conferma del meno appariscente ma più solido Preston Shumpert fosse possibile ed anche più economica. Johnson in biancoverde durò sei partite, il tempo di far capire la sua pericolosità non per le difese avversarie ma per la stessa Treviso. E dire che quella formazione abbondava di presunte stelle molto problematiche, dai chili in eccesso di Mario Austin agli atteggiamenti sopra le righe di Mensah-Bonsu sino all'assenza di playmaking di Lionel Chalmers. Al posto di Johnson arrivò un altro pseudo-scienziato ossia Reece Gaines, la classica toppa peggiore del buco. Il resto è storia.

Le analogie tra quella Benetton, di cui Vitucci fu assistente ed anche guida per un paio di partite tra Ramagli e Mahmuti, e questa Nutribullet sono purtroppo tantissime. Booker viaggia oltre il limite dell'ingenuità, Bowman e Harrison non riescono a rendere in coppia ma solo in alternanza, Allen deve sempre fungere da boia ed impiccato col risultato di perdere lucidità, Paulicap che è la pescata più clamorosa in relazione al pedigree ed al costo talvolta è dimenticato in panchina come uno Scandiuzzi qualsiasi. E poi c'è Young che, dopo il buon esordio a Milano, ha collezionato 9 punti in tre uscite, con 1/12 al tiro pesante ed un linguaggio del corpo che non lascia presagire nulla di buono. Pare che per lui la pallacanestro sia riassumibile in un semplicistico "prendi la sfera e tira"...  neanche fossimo ad una prova di lancio del peso. La difesa non esiste, l'aiuto a rimbalzo è episodico, di riaprire il gioco non se ne parla. Peggio di Carroll, che almeno si sapeva fosse materiale da A2. Peggio di Invernizzi, che sta evolvendo verso il 4 basso e stazzato. Sul livello di un altro "terzo" ossia il Charles Cooke III 2019-2020, giubilato in ritardo per prendere il buon Almeida prima che il Covid-19 chiudesse tutto. E per chi chiedesse che fine abbia fatto, il Cooke esterno (da non confondere con l'altro, il Derek ora a Trento) ha sostanzialmente smesso di giocare quasi due anni fa dopo aver scontentato tutti, da Porto Rico alla G-League.

Se dietro la scrivania del direttore sportivo di TvB sedesse ancora Andrea Gracis credo che si sarebbero già innalzati i cori di invettive al suo indirizzo, accusato di immobilismo, incapacità, miopia, incompetenza. Tralasciando i grandi meriti di Andrea che in nove anni pescò qualche mela marcia ma anche delle autentiche pepite (Powell, John Brown, Burnett, Logan, Nikolic, Sokolowski, Mekowulu, Russell tra i tanti stranieri), è chiaro che capita a tutti di sbagliare. Anche a chi, come Simone Giofrè, è stato conferito in passato il riconoscimento di miglior dirigente LBA. L'importante in questi casi è accorgersene in tempo ed intervenire in maniera chiara e decisa. Possibilmente senza pescare il Reece Gaines di turno, ma senza attendere Godot. Nella sua precedenze esperienza da capoallenatore a Treviso Frank Vitucci sbagliò la scelta di un'altra ala piccola, Cartier Martin: l'errore, dovuto anche ad altri sbagli nella costuzione del gruppo (Kus in sostituzione di Kalnietis che si comportò come Caboclo), fu corretto togliendo l'americano e lanciando Ale Gentile in quintetto, per poi inserire KC Rivers. Intanto un segnale positivo potrebbe essere dato restituendo quintetto, minutaggio e fiducia a Leo Faggian, che non avrà le stimmate del tiratore come Young ma difende duro, passa la palla, si sbatte e se commette errori è il primo a scusarsi. Il resto si vedrà.

sabato 24 giugno 2023

Tutto ampiamente previsto

Se la pallacanestro in sé, come sport e gioco, mantiene un pizzico di imprevedibilità a dispetto di una tattica sempre più povera e spesso uniformata, occorre dire che le dinamiche politiche, organizzative, esplicative e generali restano sempre, noiosamente, immarcescibilmente prevedibili. E dunque ben poco elettrizzanti. Non mi hanno sorpreso le dichiarazioni di Umberto Gandini, presidente LBA, prima riguardo all'omaggio funebre a Berlusconi e poi per elogiare la presunta crescita mediatica del prodotto pallacanestro. Perché non sono sorpreso? Beh, innanzitutto perché da buon ex milanista Gandini ha imparato abbastanza dall'ambiente guidato dal fu tycoon per poter ricavare motivazioni utili a riscrivere la storia - per la cronaca, a Berlusconi non interessava nulla del basket, né da tifoso (per lui, solo calcio), né da imprenditore televisivo. Poi la questione dei numeri sempre poverelli ma presuntuosamente eclatanti tra il mix di pay, chiaro e streaming è uno specchietto per le allodole utile a far dimenticare che in nome del piccolo aumento economico dei diritti televisivi il basket italiano ha rinunciato all'unica vera finestra di visibilità nazionale ossia RaiSport - dove fino a qualche settimana fa c'era una direttrice fissata con la pedivella e che non nutriva particolari simpatie per gli sport al chiuso, va detto.

Ma è stato prevedibile anche lo scudetto di Milano. Che ha salvato la faccia a Ettore Messina dopo una stagione orripilante e deleteria. Il triangolino tricolore mantenuto sulle canotte da cui nel frattempo è stata scucita la coccarda è lo zuccherino deve far dimenticare le carriolate di milioni spesi (male) per vincere qualcosa solo a gara7, il 23 giugno, ad estate iniziata. Ora Milano sembra estasiata, potenza di quella terza stella raggiunta e destinata ad arricchire lo stemma societario. Tuttavia non si può certo dimenticare che fine abbiano fatto Alviti, Pangos, Davies, Thomas, Mitrou-Long, Luwawu-Cabarrot: tutti voluti, strapagati, bocciati, condannati a guardare le finali con l'orrida maglietta casual d'ordinanza a bordo parquet (o davanti ad uno schermo, nel caso del francese). E che dire di Stefano Tonut? Alla soglia dei trent'anni ci teneva tanto a misurarsi con l'Eurolega, incurante della fama di tritura-italiani dell'Olimpia. E nel tritacarne ci è finito pure lui, inghiottito, masticato e sputato, in fondo alle rotazioni appena prima del già trombato Baldasso che però ha pedigree e stipendio di livello ben inferiore. Ha sbagliato tutto, Stefano. Ha sbagliato a non lasciar Venezia nel 2021, scontrandosi con Brugnaro che di cederlo a Milano non voleva saperne: poteva andare all'estero, rischiare come avevano fatto altri, magari con meno soldi ma migliori prospettive. Invece no, si è regalato un'ultima stagione in laguna da separato in casa, con un coach ormai senza più idee ed una squadra incapace di ricostruirsi. Ed infine è andato dove voleva, a Milano, conscio di un rischio che si è concretizzato con una puntualità svizzera. E quindi prevedibile.

Allo stesso modo, l'epilogo della triste parabola di Don Sergio Manolo (y) Scariolo alla guida della Virtus si poteva capire già nello scorso autunno. Ad una ottima squadra da Eurocup con troppi protagonisti dalla carta d'identità over30 non si è aggiunta né fisicità né freschezza. Anzi, l'unica gioventù possibile è stata spenta: Pajola, perso il nume tutelare Markovic che gli insegnava ben più di quel che si poteva intuire, è regredito; Mannion non si è goduto granché lo stipendio milionario dato che il campo l'ha visto quasi sempre da spettatore non pagante, neanche fosse l'ultimo degli juniores aggregati. In due anni sulla sponda bianconera del Reno Scariolo ha fatto il minimo ossia vincere due insipide Supercoppe ed aggiudicarsi l'Eurocup con annesso pass annuale per l'Eurolega. Nulla più, però. E se ci si guarda indietro, con quel budget cresciuto sempre più e con una proprietà che ha investito pesante anche in infrastrutture, non si può dire che possa bastare. Ora arriverà la wild card pluriennale per l'Eurolega ma sarà solo funzionale ad un nuovo ciclo in cui non ci saranno Weems e Teodosic, due anni fa alfieri del ritorno alla vittoria nazionale ed ora uno ingombrante (andrà a Tortona al posto del bizzoso e scomodo "Popeye" Macura, altra previsione telefonata) e l'altro a corto di fiato e lucidità.

Restando nell'ambito delle facili previsioni, infiliamoci pure Paolo Banchero. Atteso come nuovo Messia e destinato al più atroce degli scherzi, almeno per i dirigenti di via Vitorchiano. Ci avevano sperato, puntato, scommesso su quel ragazzo che di italiano ha solo nome e passaporto, ma non c'è stato verso. Col senno di poi ci si potrebbe domandare come sarebbe andata se non ci fosse stato il Covid ad impedire la prima convocazione... ma come si poteva pensare che un giocatore del genere restasse fuori dal radar di USA Basketball e che preferisse l'azzurro ai sempre più ricchi contratti che gli procureranno i suoi agenti quando potranno vendere anche la sua immagine con addosso la divisa stars&stripes? Banchero ha fatto il suo gioco, conscio di poter scegliere come, quando e con chi vincere. Ha puntato sulla tattica attendista ed ora incassa. L'Italbasket resta a bocca asciutta, ché neppure Diop ha accettato la chiamata. E per una Nazionale che è da anni afflitta da problemi nel reparto lunghi non si può dire che vada tutto bene.

Chiudiamo il giro delle previsioni già conosciute. Ed infiliamoci Bullo Bulleri che torna in Italia da assistente di Piero Bucchi, confermando di aver fatto pace col tecnico bolognese dopo anni passati di reciproche insofferenze. Oppure le telefonate che Luca Baraldi continua a fare all'entourage di Sasha Djordjevic per convincere il serbo a tornare a Bologna. O l'uscita di Matteo Gentilini dalla Fortitudo da cui (sorpresi? No dai!) mai se ne era davvero andato quel Christian Pavani che fa tremare i tifosi appena se ne pronuncia il nome. O il ritorno di Davide Casarin a Venezia con un nuovo contratto ed un posto in squadra appositamente ritagliato. O la chiusura di Mantova che cede il posto in A2 alla Real Sebastiani Rieti senza nemmeno accettare di prenderne il posto in B: meglio i soldi, pochi, maledetti, subito, senza rimpianti ma col furore di una città sedotta e tradita. Sapete invece chi mi ha davvero stupito? La Rucker SanVe. Che ha scelto un tecnico da livello superiore per avviare la difficile transizione verso un futuro costoso chiamato Zoppas Arena. O la va, o la spacca. 

lunedì 29 maggio 2023

Searching for Frank

Un doveroso ringraziamento prima di tutto al mio socio di telecronache nonché di discorsi assurdi alias Ubaldo Saini che mi ha lanciato un assist pazzesco con la foto a corredo di questo post. Come alla morte di Nelson Mandela più d'uno fece confusione con Morgan Freeman, bisogna ammettere che un minimo di somiglianza tra Stanley Tucci e Frank Vitucci c'è. Eccome se c'è. La differenza è tutto il resto, per quanto intelligenza e talento nei rispettivi campi siano un altro comun denominatore tra i due. Vi riservo una chicca su Vitucci: se il suo quasi omonimo attore hollywoodiano è non solo uomo di spirito ma incredibilmente legato alle radici italiane al punto di aver lanciato un format di scoperta enogastronomica del Belpaese, Frank è uomo non solo di basket ma di cultura. E se Sergio Tavčar ha ragione - e già sapete che in materia di pallacanestro ha sempre ragione - la natura intrinseca del basket quale sport logico per gente intelligente si adatta meravigliosamente a Vitucci.

Piccolo balzo indietro nel tempo. 1995, Serie A2, Venezia: la Reyer è con l'acqua alla gola, i soldi sono finiti, il fallimento incombe. Frank rimane comunque al suo posto, potrebbe andarsene e nessuno avrebbe da ridire. Non lo fa. Ed anzi dimostra che creatività ed intelligenza possono molto più del denaro. La pallacanestro di Vitucci nasce lì: play intelligente (Mastroianni), ala grande che apre l'area ma appoggia anche la regia (il povero Silvestrin), guardia americana con piena licenza di far quel che vuole col pallone (Burtt sr.), pivot da legna e bassa macelleria ed ala piccola con range di tiro esteso. Gli stessi principi poi ripetuti altre volte e che ad esempio a Treviso portarono nel 2009-10 Gary Neal a dominare la classifica marcatori e CJ Wallace ad essere una macchina da doppie-doppie. A quella Benetton però mancavano gli altri tre elementi, ché all'epoca Hackett era acerbo soprattutto mentalmente, Cartier Martin era l'uomo sbagliato nel posto sbagliato (meglio di lui KC Rivers) e Sandro Nicevic non era esattamente un lottatore in post basso. Come finì quell'avventura lo sappiamo bene. Stavolta tutti si augurano che le cose vadano diversamente.

Frank fa armi e bagagli da Brindisi, dove ha costruito una realtà vincente assieme a Simone Giofrè. Altra storia, quella del dirigente canturino che partì da casa, dove faceva l'addetto stampa e curava il merchandising grazie al negozio di famiglia, per costruire l'esperienza dei primi camp di successo negli States per i ragazzi italiani. Lì maturò la sua conoscenza con il mondo americano, utilissima poi a Varese (alla faccia dei derby!), brevemente a Roma ed appunto al capolinea della Via Appia. Dove qualcosa deve essere andato storto negli ultimissimi tempi, viste le notizie contraddittorie che hanno sbilanciato parte della stampa nello smentire una trattativa che era nota ai più. Al posto di Vitucci con tutta probabilità ci sarà Galbiati, tecnico giovane e bravo in situazioni al limite (ricordate l'Auxilium?) ma con la brutta nomea di abbonato alle retrocessioni. Che poi, diciamocela tutta: Torino è scesa e sparita per altri motivi mentre Cremona l'anno scorso era nettamente la più debole del lotto a prescindere da Spagnolo.

Quello che comunque conforta è appunto la scelta operata da TvB di affidarsi ad un duo lavorativo di elevato spessore. Perché, con tutto il rispetto per Marcelo Nicola, la sua idea un po' caotica di pallacanestro affidata all'estro delle guardie e stop era una scommessa sicuramente a basso costo ma anche ad alto tasso di difficoltà. Buon per Treviso che sia andata in porto ed un monumento andrebbe fatto ad Adrian Banks per quel canestro-e-fallo contestatissimo ma netto che si è tradotto in salvezza matematica. Ma il passato è passato. Sono umanamente dispiaciuto per Andrea Gracis che negli ultimi due anni ha dovuto subire critiche immeritate e persino insulti gratuiti da certi presunti soloni, nel web e non solo. Nessuno è perfetto ed Andrea non fa eccezione, ma la sua professionalità è pari alla sua modestia ed al suo carattere da lord inglese. Invece di quei biechi e disgustosi saluti riservatigli da certi personaggi occorrerebbe ricordare che il merito di numerose TvB di successo è suo: Pillastrini prima di tutti, poi Fantinelli strappato alla Virtus, Rinaldi convinto a scendere in terza serie, Powell, Corbett, Moretti, Perl, coach Menetti, Tessitori, Alviti, Alj Nikolic, Fotu, Mekowulu sono tutti farina del suo sacco - per altri colpacci come Logan, John Brown e Sokolowski invece citofonare Iacopini. Capita poi anche di sbagliare un DeCosey (voluto da Pilla), un Cheese o un Wayns (segnalati e voluti da altri) o due Cooke (ragioni di bilancio), ma come detto nessuno è infallibile. Per cui ringrazio io Andrea Gracis per la dedizione, la pazienza, la gentilezza, la voglia e la passione infuse in tanti anni e gli auguro di trovare presto una nuova collocazione lavorativa che sappia riconoscerne le indubbie doti. E chissà che non ci si ritrovi prima o poi a sorseggiare un aperitivo chiacchierando di basket, come semplici amici e non come dirigente (lui) e giornalista (io). Anzi, se vuole, sa dove trovarmi quest'estate: l'invito è valido.

domenica 21 maggio 2023

"Scorrete lacrime"

Che il Dio dei Canestri conservi per sempre Matteo Spagnolo! Nella sua inconsciente, meravigliosa, autentica naturalezza, questo ragazzo di vent'anni permette di riscoprire una pallacanestro che non è quel gioco snaturato e meccanico visto e rivisto milioni di volte negli ultimi anni, tutto un pick'n'roll centrale, ma è creatività, inventiva, pazzia. Ed emozioni. Vederlo piangere, con quelle lacime di profonda umanità che gli solcano il viso imberbe, ci riporta indietro nel tempo: non vedevo una simile disperazione da Enzino Esposito, disteso in barella a bordocampo nella gara5 di finale scudetto del 1991 di cui oggi si ricorda l'anniversario. Lo scugnizzo casertano piangeva di dolore e di gioia, Spagnolo invece di rabbia e di comprensibile sfogo nervoso. Avrebbe potuto essere l'eroe di Trento, il ragazzo che infischiandosene del talento di Christon o dei centimetri di Daum e dei relativi ingaggi a sin troppi zeri trascina la piccola ma bellissima realtà tridentina ad una meritata gara5. Invece...

...invece no. Non c'è gloria per lui, c'è solo amarezza in quelle lacrime che sgorgano copiose e gli rigano le guance mentre prima Forray e Flaccadori, poi il presidente Longhi cercano invano di consolarlo. Ma va capito, Spagnolo: Tortona è diventata quasi la sua bestia nera, esorcizzata appena in gara3 dopo cinque sberloni stagionali, tutti dolorosissimi perché arrivati con scarti minimi, da singolo possesso o anche meno. In Coppa Italia addirittura Spagnolo aveva temuto il peggio, quando la caviglia si è girata facendolo prorompere in un urlo di dolore udito da tutto il PalaAlpitour. Poteva dunque essere, quel viaggio in lunetta, simbolo di una redenzione e di un meritato riconoscimento per un club che ha giocato una stagione da doppio impegno settimanale con appena quattro stranieri - di cui uno, Lockett, ai minimi della presentabilità, unito ad un Crawford ondivago e ad un Atkins eclissatosi nel momento decisivo. Particolare che dovrebbe far riflettere chi ancora oggi crede che una Coppa si possa giocare solo col 6+6 che è inutilmente costoso e non porta benefici alla crescita dei giovani (immagino che a Treviso ed a Reggio Emilia a qualcuno stiano fischiando le orecchie). Tornando a quei due liberi, la circostanza poteva essere premiante anche per un giovane che un anno fa assisteva impotente alla retrocessione già annunciata di Cremona e che nel frattempo è maturato tanto. Non abbastanza da avere la freddezza di fare 2/2 dalla lunetta a un secondo e 6 decimi dal gong, ma si migliora anche se non soprattutto grazie agli errori.

Le lacrime di Spagnolo mi hanno toccato, è vero. Così come rimango basito da quello che il collega Piero Guerrini definisce "culo di Ramondino". Devo arrendermi ed ammettere che il buon Piero, che da me avanza almeno un pranzo, ha ragione: bravo, preparato, intelligente, ma il tecnico del Derthona ha un credito illimitato con la buona sorte. In gara1 si è salvato con la magata di Christon, in gara2 ha rischiato da matti nel finale, in gara3 ha dovuto far buon viso a cattivo gioco ed ora sono arrivati gli errori di Spagnolo. Che Ramondino sia fortunato lo si sa da anni, basti rivedere gara5 di finale promozione dall'A2 quando il suo Derthona beneficiò di un suicidio collettivo di Torino ottenendo la salita in LBA quando tutto il capoluogo sabaudo aveva già pronto lo spumante per brindare al ritorno al piano di sopra dopo la figuraccia del crack societario della defunta Auxilium. Potrei al limite obiettare che Ramondino ha anche un certo credito nei confronti della fortuna, si veda la finale promozione di A2 del 2018 quando contro Trieste la sua Casale Monferrato dovette rinunciare a Giovanni Tomassini per rottura del legamento crociato del ginocchio nel primo atto. Però a tutto dovrebbe esiste un limite, persino alle botte di culo (perdonate il francesismo) così evidenti. Intanto Tortona si prepara alla sfida teoricamente impossibile contro la Virtus, oltre che allo sbarco in Europa con dodici mesi di voluto ritardo ed al planning del futuro di una arena che dovrebbe finalmente essere completata per settembre 2024. Prospettive ambiziose, quelle tortonesi, destinate a scontrarsi con le forze superiori di squadroni di Eurolega ma anche con questioni contrattuali: Christon ha sparato altissimo per restare, tra Macura e lo staff tecnico la frattura pare insanabile e le voci (confermate) su Kyle Weems e Kaleb Tarczewski rimarcano la capacità di spesa di patron Gavio ma mi fanno inarcare un sopracciglio per la reale consistenza dell'idea tattica alle spalle.

Mentre Tortona si gode il summenzionato culo (cit. On. Cav. Conte Diego Catellani, Gran Maestro dell'Ufficio Raccomandazioni e Promozioni), c'è chi in altri luoghi si domanda se la dose di fortuna si sia esaurita. Ammetto di aver sorriso leggendo i commenti entusiasti di tanti tifosi veneziani che avevano reagito smodatamente alla roboante vittoria nel derby di fine stagione con Treviso, tutti esaltati dalla prova di forza dimostrata dalla squadra di Neven Spahija contro una formazione già certa della salvezza e giunta all'appuntamento con "Vacation" delle Go-Go's nelle cuffiette e con il proprio capocannoniere che aspettava di sapere dal proprio agente se la Fortitudo si fosse decisa o meno a versargli in anticipo l'intero gettone mensile per scendere in A2. Alla riprova dei fatti, la Venezia 2.0 si è sciolta come neve al sole: successo risicato e col brivido in gara1 (se solo Bendzius avesse scelto un altro momento per mostrare di essere giunto in riserva...); a seguire, rullata pesante in gara2 davanti al sindaco-patron-proprietario-main sponsor seduto in parterre con una faccia più scura di quella mostrata dopo lo zero virgola qualcosa percento preso alle ultime elezioni politiche. In Sardegna, doppio ko, anche se nel secondo caso quell'eterno incompiuto di Jayson Granger ha cercato di regalare almeno un brivido a suon di bombe, fallendo però quella che poteva riequilibrare il bilancio di una serie segnata. Ripensando ai milioni di euro malamente spesi in campagna acquisti ed agli altri soldi (male) utilizzati in corsa per mandar via due giocatori voluti e strapagati, per esonerare un tecnico il cui ciclo si era concluso nel 2021, per prendere il fratello scarso di Allan Ray, per ingaggiare un allenatore che non voleva più nessuno in Europa e per prendere infine una svolazzante guardia francese che da riempitivo a roster è divenuta possibile panacea dei tanti mali, beh... come si fa a non lasciarsi scappare un sorriso? Ancor di più se si pensa al criterio di costruzione estiva di una formazione che doveva appoggiare la costruzione del gioco solo alle guardie e che alla fine si è ritrovata con cortocircuiti tra i piccoli, con un Derek Willis divenuto utile solo per giocate di cattiveria gratuita e col solito Mitchell Watt da abbonamento a vita al Telepass Family. Fallito ogni obiettivo stagionale con uscite rapide ed affatto indolori al primo turno ovunque (Coppa Italia, Eurocup, playoff scudetto), mi chiedo quali saranno i piani degli orogranata per ricostruire, dovendo fare i conti col contratto impossibile da piazzare di Spissu, giocatore che Spahija non vuole vedere nemmeno in foto, e con la seconda ricostruzione sbagliata in fila. L'anno scorso di tutti i volti nuovi si salvò solo Brooks; quest'anno hanno chances Tessitori e forse Parks e Mokoka, a dimostrazione di come i soldi non siano tutto ma contino il giusto quando si deve costruire una squadra. Ed auguri a tal proposito a Matteo Chillo, che dopo un anno da sventolatore di asciugamani ben pagato dovrà cercarsi una squadra disposta a dargli un ruolo ad uno stipendio infinitamente più basso - impresa mica semplice per un trentenne reduce appunto da una stagione di inattività non dovuta ad infortuni.

Non credo che rivedremo Chillo a Treviso, salvo improbabili acrobazie societarie. Il divorzio un anno fa non era stato morbido, tra mancate comunicazioni, richieste di adeguamenti salariali ed un rapporto con il nuovo allenatore mai decollato e probabilmente sprofondato con la cacciata (a pagamento) di Francesco Tabellini. Per quanto le agenzie si spertichino in questa fase a distribuire nomi più o meno altisonanti e più o meno già uditi - Vitucci viene offerto ciclicamente ad ogni estate, per dire - TvB deve attendere che il CdA della controllante ossia del Consorzio si riunisca per esaminare il bilancio e stilare il budget per la prossima stagione. In base a queste determinazioni si conosceranno le mosse successive. A cominciare dalla partita delle scrivanie che vede in ballo Andrea Gracis per una riconferma ad oggi difficile ma non impossibile, con le alternative Mayer e Giofrè uniche rimaste dopo il "no grazie, preferisco continuare con la Rucker" di Gherardini junior. Un anno fa Gracis era praticamente ai saluti, con Nicola Alberani già annunciato internamente al club; poi l'analisi dei conti, Alberani che chiede un milione e mezzo di euro per costruire la squadra, la necessità di ridurre il debito fecero compiere un robusto dietrofront ed Ike Iroegbu fu l'unico lascito della brevissima ed intangibile apparizione del manager ex Virtus Roma. Sono curioso di capire cosa accadrà ora, specie dopo che in stagione sono volate parole grosse tra giocatori, panchina e dirigenza. Intanto il nome migliore tra quelli che fino a poco tempo fa era a spasso si è già accasato altrove. E, per non farsi mancar nulla, ha già iniziato a compiere mosse intelligenti nella ricostruzione di un'altra realtà che ha rischiato di sprofondare ma che ora vuole finalmente valorizzare i suoi giovani. Altrimenti mi spiegate per quale motivo Claudio Coldebella starebbe insistentemente corteggiando Jasmin Repesa, che a Pesaro sta bene ma non benissimo e che avrebbe una gran voglia di lavorare con un vivaio ben più florido di quello della Vuelle? Di certo non è per una nostalgia che risale ai tempi dell'ultima Benetton, quando Repesa annusando l'aria pessima che tirava in Ghirada preferì andarsene con dodici mesi d'anticipo lasciando campo libero a Sasha Djordjevic. Che ora qualcuno rivorrebbe in Virtus, specie qualora Don Sergio Manolo (E)Scariolo dovesse andare altrove (Spagna? NBA?) lasciando la creatura di Massimo Zanetti in metaforiche braghe di tela. Ecco, dopo le lacrime di Spagnolo per converso avrei tanto bisogno di vedere la reazione di Djordjevic e di Bjedov di fronte ad una eventuale telefonata da parte del duo Baraldi-Ronci: mi tirerebbe su il morale. E sarebbe uno spasso anche per molti altri.

domenica 7 maggio 2023

Voli pindarici

Sarà la retorica. Oppure l'amore per le esagerazioni. O magari quel tarlo che proprio non ne vuole sapere di abbandonarmi e mi ricorda il passato. Però tra le roboanti dichiarazioni ("Eurolega in cinque anni" prima per assoluto distacco) e la cruda realtà di una retrocessione passa un oceano. Quasi la stessa esistente tra il lungomare di Barcola e la sponda statunitense dell'Atlantico. Quindi perdonatemi se stasera, scrivendo queste righe di considerazioni post verdetti retrocessione, potrei risultare più caustico del solito. Diciamo che la discesa in A2 di Trieste, seconda a cadere dopo Verona, non mi coglie impreparato né di sorpresa. E se l'inciampo della Scaligera è stato frutto di una stagione nata male e proseguita peggio, il rientro in cadetteria degli alabardati è solo il naturale epilogo di una crisi perdurante da anni.

A voler essere cattivelli o semplicemente amanti dei parallelismi, Trieste ricorda un po' Forlì. Non per conformazione geografica ma per storie di basket. Un decennio fa la piazza romagnola era preda di continue e cicliche crisi, poi chiuse in maniera definitiva (letteralmente) dalla patetica vicenda Boccio-Chirisi, due personaggi che ai più erano sembrati dei liquidatori per non dire dei veri e propri becchini di una società-zombie, morta ma mai seppellita. La Trieste attuale è figlia di un fallimento, quello del 2004 seguito ad un'altra retrocessione annunciata: società rifondata da capo, condannata per anni a ristrettezze ed a categorie infime, poi risollevatasi anche con l'aiuto di qualche socio nascosto da fuori ma interessato ad alcuni asset (nessuno si è mai chiesto come mai per un periodo i gioielli del settore giovanile locale passassero immancabilmente a Venezia?). Poi la grande illusione con Alma, divenuta nel tempo il grande bluff: anche quella una tragedia largamente prevista dai più. Ecco, Trieste era cotta a puntino per saltare in aria nel 2019. E lo sapeva, eccome se lo sapeva, al punto da aver costruito all'epoca una squadra all'estremo risparmio, con moltissime scommesse e con la prospettiva di non riuscire a completare la stagione senza un aiuto.

L'aiuto poi arrivò e fu provvidenziale. Si trattò di Allianz, già partner prezioso del palasport e convinto quasi controvoglia a dare abbondante danaro per evitare che la società implodesse, zavorrata com'era dalle pessime condizioni in cui il vecchio sponsor-proprietario l'aveva lasciata. E qui era tornato in auge un vecchio modus operandi, quello di spararle grosse, di puntare troppo in alto, la sindrome di Icaro: invece di preferire il caro vecchio lavoro a fari spenti, meglio dichiarare ambizioni insostenibili con la prospettiva (assurda) di attirare nuovi investitori. Perché Allianz era stata categorica, tre anni di supporto finanziario (e che supporto!) ma nulla di più. Da allora, una sparata dopo l'altra: il tentativo per la BCL, impossibile perché per la graduatoria non c'era margine; poi nell'ultimo anno dello sponsor assicurativo un altro assalto impossibile alla qualificazione in Europa. Infine, con l'arrivo degli americani, le dichiarazioni roboanti e risparmiabili sulla volontà di arrivare in Eurolega. Uguali o peggio a quelle di Boccio e Chirisi che nel 2014 tirarono in ballo la massima competizione continentale per club come traguardo per un immediato futuro di un club di A2 decotto, finanziariamente oltre la data di scadenza, con i creditori alle porte e una credibilità azzerata dalla successiva pretesa di ricapitalizzare con della carta straccia.

L'Eurolega sognata dal Cotogna Sports Group - società nata pochi mesi fa e senza esperienze pregresse, è bene ricordarlo - non era solo improbabile ma impossibile. Eppure qualcuno ci ha creduto. E forse erano gli stessi soggetti che nel 2003 ascoltarono ed applaudirono Roberto Cosolini, all'epoca presidente del precedente club cestistico, quando dichiarò che l'obiettivo di crescita della sua società era lo scudetto da raggiungere con un piano triennale. Obiettivo mancato, anzi arrivò ben prima la sparizione. Poi si seppe che era la classica boutade, un modo per smuovere le acque e per attirare l'attenzione mediatica, meglio ancora se di qualche azienda interessata alla vetrina sportiva. Adesso come allora, la piazza giuliana si lasciò distrarre ed illudere salvo svegliarsi con l'angoscia di una retrocessione. All'epoca si andò anche oltre, ossia fallimento e ripartenza dal basso. Stavolta chissà cosa accadrà.

Mi limito piuttosto ad osservare alcuni elementi. Il primo è l'assoluta imprevedibilità di un campionato in cui tra la retrocessione e l'ultimo posto per i playoff si sono registrati la miseria di sei punti ma l'abbondanza di sette squadre: se non è un record, ditemelo voi. Delle formazioni che hanno mantenuto la categoria ce ne sono alcune che hanno speso oggettivamente tanto e male ma per motivi diversi: Scafati ha rifatto la squadra in corsa, non avendo capito per tempo la centralità della figura dell'allenatore tant'è vero che prima è stato bruciato Rossi e poi è giunto Caja che però ha litigato col club per motivi tecnici; Reggio Emilia ha buttato dalla finestra soldi, tesseramenti, anche progetti a causa di equivoci di fondo; Napoli per la seconda volta in fila ha rischiato tanto, forse troppo, oltre ad aver bruciato allenatori di nome ed aver sbagliato la scelta di troppi stranieri. Varese si è ritrovata in una posizione scomodissima, vittima dei propri errori ed omissioni tanto da aver subito una pena sin troppo lieve e misurata con un bilancino sospettato di parzialità decise in alto loco. Treviso è l'emblema delle nozze coi fichi secchi, salvata da una giocata in extremis di quell'Adrian Banks che Trieste non volle più tenere per onerosità connessa all'età anagrafica, altrimenti oggi sarebbe toccato a lei piangere lacrime amare. Che poi sono quelle versate anche da Brescia: salva sì ma fuori in extremis dai playoff ossia un mezzo fallimento mitigato solo dalla Coppa Italia in bacheca.

La seconda considerazione riguarda l'assenza di reale progettualità. Si costruisce poco nelle società, le idee così come i manager sono oggetto di masticazione e rifiuto stagione per stagione, motivando in tal modo il pessimo andazzo di un movimento che stenta a crescere. L'isola felice non è Milano che conferma Ettore Messina per assenza di alternative, né la Bologna bianconera che ringrazia giustamente Segafredo Zanetti ma rifiuta un elemento del calibro di Claudio Coldebella perché esterno al cerchio magico del patron. Nemmeno Venezia, più ricca rispetto al passato, è poi così lieta se si pensa al fatto che del nuovo palasport non se ne parlerà più, che non è poi così certo che Neven Spahija resti su quella panchina, che provare a vincere qualcosa sarà sempre più difficile. L'isola felice veste il bianconero e ha due nomi con la stessa consonante iniziale ossia Tortona e Trento. La creatura di patron Gavio non è sperpero di danaro ma attentamente bilanciata su un modello che prevede prima di tutto teste pensanti - e tra coach Ramondino ed il suo staff, Ferencz Bartocci dietro la scrivania ed altri manager, non si può dire che al Derthona la materia grigia e le idee manchino. L'Aquila vola anche al di sopra delle proprie possibilità riuscendo a coniugare un budget nella norma, un vivaio che produce, uno staff tecnico di ottimo livello, un parco italiani ben pensato: merito di Trainotti, creatore del modello tridentino e plasmatore del suo successore attuale, Rudy Gaddo, che alla sua stagione di debutto senza rete di protezione ha fatto quasi meglio del predecessore. Il messaggio è chiaro: se volete investire, fatelo in teste pensanti.

L'ultima considerazione riguarda la cabala e, nuovamente, la figura di Adrian Banks. Lasciata Brindisi non senza polemiche nel 2020, la guardia di Memphis non è stata esattamente un talismano per chi lo ha firmato: la Fortitudo aveva pensato di costruire un modello offensivo imperniato su di lui oltre che su Aradori e Happ ma fu un flop clamoroso; Trieste lo prese subito dopo come perno di un'idea tattica da gioco entusiasmante con obiettivo playoff senza però arrivare al dunque; Treviso l'ha voluto quale bocca da fuoco principale per una salvezza tranquilla incappando in una stagione altalenante e risolta solo alla penultima, col fiatone. Avere Banks in squadra, aiuta. Ma perderlo può essere deleterio: senza di lui, la Effe prima e Trieste poi sono scese. TvB può permettersi il lusso di rischiare una sorta di maledizione che altre realtà hanno già sperimentato? Forse è per questo motivo che l'annunciato ritorno del pistolero nella Bologna biancoblu è stato bloccato da insistenti voci di rinnovo in riva al Sile. Magari qualcuno ha deciso di non correre altri rischi, specie dopo aver giubilato due anni fa un certo David Logan perché ritenuto vecchio, condizionante, costoso e quindi inutile. A quarant'anni suonati il Professore ha dato una lezione definitiva con i 5 punti che hanno salvato Scafati e condannato Brescia. Se vi pare poco, non so che dirvi.