domenica 30 agosto 2020

Dica "Trentatré!"


Sarebbe bello se le partite di pallacanestro durassero meno di 40 minuti. Non voglio essere tacciato d'eresia ma sto soltanto esibendo in maniera grottesca il Menetti-Pensiero dopo il debutto della sua Treviso Basket in Supercoppa 2020. Posto che non capivo vent'anni fa l'esigenza ed il valore tecnico di una Supercoppa con tutte le squadre di A partecipanti e non la capisco nemmeno oggi che viene riproposta da LBA, in questa sorta di enorme torneo di preseason con latta in palio il massimo che si possa ricavare sono indicazioni sullo stato di forma dei singoli e sull'amalgama (parola-kryptonite per il tecnico reggiano) dei gruppi.


Ebbene, questa De' Longhi ad oggi ha circa 33 minuti di autonomia psicofisica. Meno dunque dei 40 canonici richiesti dal regolamento di gioco, non abbastanza per controbattere ad una Reyer che poggia sulla invidiabile continuità di un gruppo rodato e ben poco modificato  - leggi ingaggio di Isaac Fotu; D'Ercole serve giusto per la quota italiani. Certo, trentatré minuti di solidità nel pitturato, di rimbalzi, di circolazione di palla abbastanza costante non sono da disprezzare, specie se ci si ricorda che la TVB attuale è figlia di un mercato che doveva essere parzialmente conservativo ed invece ha visto restare solo tre elementi su dieci di cui soprattutto uno in forza dell'oneroso contratto in essere. La pesca in A2 almeno a giudicare da questa prima partita è stata non miracolosa ma proficua. Mekowulu avrà sì il problema dei falli (correggibile) ma anche a questi livelli può dire la sua; Vildera non farà sempre doppie-doppie ma se saprà fornire dieci minuti di qualità dietro al nigeriano potrà risultare utilissimo; Carroll si è presentato con un 3/3 dall'arco e con un animus pugnandi che fanno ben sperare.

"Fin qui, tutto bene" diceva il protagonista della greve barzelletta del film "L'Odio". Passiamo a quello che non va. Ovvero il reparto guardie in cui Imbrò sembra finalmente capace di spingere la transizione ma non può né deve essere il primo punto di riferimento. In cui un Russell molto volitivo nella costruzione del gioco ed a suo agio a spingere ad ogni ritmo deve assolutamente raddrizzare la mira per non essere battezzato dalle difese. In cui la coppia Logan-Cheese oggi come oggi rappresenta l'anello debole della catena biancoceleste. Magari a David i ferri del cupolone mestrino non piacciono, però lo 0/8 in cui si è esibito in questa prima gara di Supercoppa forzando addirittura soluzioni fuori da qualsiasi idea di schema fanno rabbrividire persino le guardie più spudoratamente egoiste dei campetti di periferia dove vale la legge "baea mia, baea finìa".

Quanto al Quattro Formaggi piovuto da Akron, Ohio, si può apprezzare la buona propensione ad appoggiare il playmaking di Russell ed a dare un po' di difesa sul perimetro. Ma nulla più, sperando che l'appena menzionata difesa non si trasformi in sciocchi falli sul tiro da 3 o in evitabili antisportivi. Il gioco si chiama pallacanestro, dunque si presume che si debba infilare quel pallone in un ferro appeso ad un tabellone a 305 centimetri d'altezza da terra. A Treviso si è già vista proprio vent'anni fa un'altra guardia col vizio di non guardare quasi mai il canestro: si chiamava Ismael Santos, specialista difensivo con facoltà di agire da regista aggiunto. Ma Santos non spendeva falli stupidi ed attorno aveva fior di bocche da fuoco da rifornire, da Marcus Brown a Naumoski (e prima ancora Edney e Brad Traina), quindi poteva davvero esimersi dal prendersi più di un paio di tiri a partita. Se però il quintetto di partenza prevede un play non esattamente tiratore, un'ala che gioca meglio in avvicinamento e che tira da 3 solo sugli scarichi e due centri atipici, o la guardia si costruisce gli spazi sul perimetro oppure rende sempre più prevedibile il rendimento offensivo della sua squadra.

Se la scelta tecnica dello starting five attuale è dettata dall'oggettivo ritardo di Carroll ad inserirsi - comprensibile visto l'arrivo ferragostano e la successiva quarantena - oltre che dalla volontà di spendere le energie residue di Logan nel suo ultimo anno da giocatore come sesto uomo, non ho invece ancora capito se il fatto che le guardie passino dietro il blocco del pick'n'roll sia figlio di una precisa politica difensiva o solo un reiterato errore. Se Venezia si è presa la bellezza di 28 tiri da 3 a fronte di 37 tentativi da 2, un motivo va ricercato anche in questo dettaglio che ha consentito nel momento decisivo a De Nicolao e Chappell di segnare i canestri che hanno avviato e chiuso il break di 15-2 nell'ultimo quarto, condito per il resto dall'espulsione di Cheese per somma di antisportivi. Qualora fosse una scelta precisa da parte dello staff, credo vada rivista almeno in presenza di avversarie così portate al tiro perimetrale; nel caso in cui invece sia stata una sfortunata negligenza, ci sarà tempo per correggere.

PAGELLE:

00# Russell - Veloce, razzente, ottima visione del gioco e padronanza dei ritmi. Insomma, un buon biglietto da visita da autentico playmaker confermato dai 5 assist smazzati. Lo 0/7 al tiro grida però vendetta ed urge porvi rimedio quanto prima. Voto 5,5

1# Logan - Evidentemente ha qualche problema con il Taliercio dove, dopo le prime due triple del derby dello scorso febbraio, non ha più azzeccato un tiro. Se il suo ruolo sarà quello di sesto uomo d'esperienza in uscita dalla panchina dovrà cambiare registro in fretta. Resta insoluto il dilemma: davvero dopo la sua fuga di marzo il contrattone non poteva essere stracciato? Voto 4

4# Cheese - Si impegna, è indubbio, ed è anche piuttosto disponibile. Ma quando abbocca alle finte di Tonut o spende malamente due antisportivi fa venire il sospetto che non sia una saporita Quattro Formaggi ma una orripilante Alfredo Sauce. Già candidato da alcuni al ruolo di "nuovo DeCosey" o di taglio sacrificale in casi estremi. Voto 4

8# Vildera - Ok, alcuni dei 5 rimbalzi offensivi catturati sono in realtà frutto di errori suoi o di alcuni compagni in situazioni di beata solitudine nel pitturato. Ma presentarsi con una doppia-doppia contro Watt e Fotu non è malaccio, specie se finora la Serie A la si è vista solo in televisione. Prestazione incoraggiante. Voto 6,5

12# Imbrò - Mano quasi sempre dolce, determinazione apprezzabile, resta il dubbio se non sia maggiormente efficace da guardia invece che da supporto alla regia. Comunque utile. Voto 6

15# Chillo - Ala forte titolare del maxiquintetto da precampionato, ruolo in cui patisce il dinamismo di Daye e Mazzola. Non ne azzecca una in attacco, in retroguardia fa poco. Invisibile. Voto 5

21# Mekowulu - Non spendesse due falli in pochi minuti ed il terzo appena rientrato in campo, forse meriterebbe di più. Intanto mostra un'apprezzabile intesa con Russell ed un bel gioco di gambe in post, abbastanza per procurare l'emicrania a Watt. Se questo è il biglietto da visita... Voto 7

30# Carroll - Parte dalla panchina e nei primi minuti sul parquet spara un 3/3 dall'arco. Fantascienza? All'intervallo è il miglior marcatore, poi cala causa caldo, stanchezza e conoscenza ancora perfettibile degli schemi. Poteva andar peggio. Voto 6,5

45# Akele - Da ala piccola non trova gli adeguati spazi e non possiede la sicurezza di Carroll per prendersi il tiro da lontano. Quando comincia a giocare in movimento, avvicinandosi al ferro, la musica cambia. Ha ancora parecchio lavoro da svolgere ma le premesse sono ottime. Voto 6,5

sabato 15 agosto 2020

FERRAGOSTO... BASKET MIO NON TI (RI)CONOSCO

Potete scommettere ad occhi chiusi. L'estate 2020 non passerà inosservata nei libri di Storia, né negli annali della pallacanestro italiana. Club, dirigenti, allenatori, giocatori, arbitri si stanno confrontando in vista di una ripresa di quello che è e resta lo sport più bello del mondo - scusate, per me la NBA resta un gradevolissimo circo atletico ma non uno sport - in un clima di continue incertezze. In effetti, chi sa davvero cosa accadrà? Nemmeno il Divino Otelma si azzarda a profetizzare qualcosa e possiamo ben capire il perché.

Pubblico sì, pubblico no, pubblico forse, pubblico domani, pubblico mai più. La prima incognita per tutti è proprio la presenza o meno degli spettatori alle partite. Fatico a comprendere ancor oggi il significato della riproposizione, a vent'anni esatti di distanza dall'ultimo tentativo, di una maxi-Supercoppa. La formula non piacque nel 2000, quando non c'erano pandemie in mezzo e le società erano quasi tutte in salute, probabilmente non piacerà oggi. Ancor di più perché l'avvio sarà certamente a porte chiuse - per il Girone D si sono inventati un'apposita "bolla" ad Olbia (potenza del solito cardinal Sardara) - e forse solo per le Final Four bolognesi nel baraccone della Fiera si potrà vedere qualcuno sugli spalti. Sperando ovviamente che non si replichi il deserto di Siena 2000, quando in un PalaSclavo ancor più brutto perché vuoto la Virtus Roma alzò quello che finora resta l'unico trofeo del ventennio a marchio Toti.

La crisi economica che ha accompagnato e contraddistinto la pandemia sta mietendo vittime in silenzio anche nel mondo della pallacanestro. Cremona e la solita Roma si sono salvate per il rotto della cuffia, quando tutto faceva presagire una fine ingloriosa; Treviso ha fatto mercato al ribasso preferendo mettere in sicurezza la società (scelta saggia) ma forse sbagliando qualche calcolo sulla reale forza del prossimo campionato LBA; Pistoia dopo due anni spesi ad arrancare sul fondo ha capito di non poter insistere e ha chiesto con coraggio ed onestà di tornare indietro; le offerte di ripescaggio sono state quasi tutte respinte, ché se già in tempi di normalità ordinaria è difficile raddoppiare il budget con appena una settimana di preavviso, figuriamoci in un periodo difficilissimo in cui prima di tutto vengono salute e difesa del posto di lavoro e poi, forse, lo sport. C'è stato anche il caso-Torino, che non mi è piaciuto nella gestione, nei modi ed anche nei personaggi, ma ne parlerò più avanti.

Notizia fresca degli ultimi giorni è l'arrivo del tanto auspicato credito d'imposta sulle sponsorizzazioni. Un palliativo in realtà, perché se sarà utile per alcune società di medio-grande levatura, non inciderà granché su tutto quello sport di base che costituisce le radici che ancorano al terreno della società e del quotidiano le eccellenze superiori. Chiariamoci: il Comitato 4.0 ha svolto il lavoro di moral suasion cui era deputato e va bene così, ma non si può far finta di non vedere che scendendo di categoria e spostandoci nei meandri più oscuri ma non per questo inesistenti la pallacanestro italica soffre una cronica mancanza di risorse acuita dalla mancanza del substrato economico dei furbetti. Perché parliamoci francamente, se non vi fossero stati dei vantaggi fiscali e la possibilità di riciclare o di produrre voci di bilancio farlocche, non ci sarebbero state grosse convenienze da quarant'anni in qua a sponsorizzare il club minore, la scuola basket di quartiere, una Serie D o C ed a volte persino B.

Il denaro da sempre muove il mondo, ahinoi. A volte è vero, a volte è falso, a volte è virtuale. Talvolta è italianissimo, talvolta arriva da lontano. "Senza soldi non si cantano messe", ripeteva un conosciutissimo prelato lituan-americano di Cicero, Illinois. Come dargli torto? Però è anche vero che in nome del vil denaro se ne sono viste di tutti i colori, anche nel nostro piccolo infelice mondo a spicchi. Prendiamo Torino: società nuova di zecca con colori gialloblu a recuperare la tradizione, ma nulla a che vedere con l'Auxilium, già Auxilium CUS, già PMS. Ed ovviamente nulla da spartire con l'unica vera Auxilium, quella archiviata con qualche comprensibile lacrima una dozzina d'anni fa quando fu lanciato il progetto Moncalieri-SanMauro. Il deus ex machina dell'attuale soggetto è il noto Stefano Sardara, abilissimo manager che ha portato una Dinamo inizialmente senza sponsor in A a raggranellare fior di risorse, a vincere trofei e ad affermarsi come modello di business regionale correlato allo sport. Ma quando si sono spalancate le porte del ripescaggio sono emerse le magagne. Perché anche chiudendo gli occhi sul fatto che questo Basket Torino ha avuto una deroga per spostare sotto la Mole dopo meno di tre anni il diritto sportivo già di Cagliari e prima ancora acquistato dalla scomparsa Ferentino, resta pur sempre la creatura di un proprietario che è già titolare di altro club in Serie A. Mi ha un po' disgustato il teatrino di luglio sui soci-ombra che avrebbero dovuto rilevare parte del pacchetto azionario, forse tutto, magari dopo, chi lo sa. Quando è emerso il nome di Ergin Ataman ho avuto un sussulto, pensando ad una possibile proprietà turca: il marchio Beko non ha lasciato buoni ricordi, ECA inizia a soffrire la predominanza di sponsor turchi che chissà se pagano, il Fener ha appena ridimensionato dopo due anni di continui sussurri relativi a stipendi puntualmente in ritardo e la stessa economia anatolica è in crisi profonda da tre anni. Insomma, le premesse non mi suonano rassicuranti. Per il momento l'operazione ottomana è congelata, Torino resta in A2 in attesa di capire se potrà salire con le proprie forze e passare il tutto alle manone di Ataman. Un dato di fatto storico è sicuramente scoraggiante: dalla strana coppia Caputo-Bryant a Gerasimenko passando per gli improbabili Mr. Williams e Fortune di Caserta, le proprietà straniere non hanno mai portato liete novelle alla nostra pallacanestro.

Ho appena nominato Caserta e mi dispiace dover chiudere questo intervento parlando di nuovo dello SC JuveCaserta. Che non è lo storico Sporting Club Juventus, morto nel 1998, ma che stando alla FIBA ha una continuità evidente con la JuveCaserta Basket esclusa dalla Serie A tre anni fa. Un pasticcio davvero brutto quello inscenato all'ombra della Reggia. Ho ancora negli occhi e nelle orecchie la patetica conferenza stampa di fine luglio 2017 quando la proprietà bianconera cercò di addossare le proprie colpe a Federazione, Lega, ComTeC, Cremona, Bergamo, giornalisti, tifosi, Club Bilderberg, Trilateral, SPECTRE, Quantum e forse pure alla Banda Bassotti. L'acquisizione di Venafro, il coinvolgimento anche se marginale di un Maggiò ed una nuova ripartenza potevano costituire una pietra d'appoggio per una piazza troppo bistrattata ed abituata alle amarezze per poter mantenere sempre accesa la fiammella della passione. Invece è vero che il lupo perde il pelo ma non il vizio: basti pensare al caso di Isaiah Swann, funambolico americano ingaggiato dodici mesi fa ed infortunatosi gravemente in uno dei primi allenamenti, che non ha ricevuto un centesimo di quanto pattuito, nemmeno le cure mediche. Quando la moglie, esasperata, si sfogò nei social, si alzarono i peana dei talebani che pensavano di dover difendere a spada tratta una società davvero differente (soprattutto nei modi) dal passato. Invece non è cambiato nulla e Fedro ha avuto nuovamente ragione: "In principatu commutando saepius...". Ora Caserta è di nuovo al tappeto, con illusioni ed illusionisti pronti a vendere un qualcosa di irreale. La soluzione è una sola: capire che il sogno Juve è finito nel 1998 dopo l'apice dello scudetto e qualche difficile stagione in A2, che rimestare un fantasma non è salutare né consigliabile, che per fare sport occorrono solidità e trasparenza. Anche a costo di ripartire dalla Promozione, dalle palestre delle scuole, dalle partite tra amatori. Ma con un progetto chiaro e con grande senso di responsabilità.