domenica 27 dicembre 2020

Follie televisive

Doveva essere una vetrina post natalizia. Un po' come l'anno scorso, in cui il calendario ebbe la cortesia di regalare due scontri ravvicinati altamente appetibili per la platea di appassionati e spendibili anche con occasionali e profani. Invece è stato un autogol. Parliamo ovviamente della diretta pomeridiana su Rai2 di Virtus Bologna vs. Olimpia Milano, un teorico spot per la pallacanestro d'Italia spinto dal ritorno di Marco Belinelli alle nostre longitudini dopo tredici anni di circo oltre Atlantico.
Com'è andata? Dal risultato sportivo si evince una vittoria meneghina ma a far notizia - più del sopra menzionato Belinelli, più di Teodosic e del suo nervosismo da flopping, più di Messina che si prende una rivincita - è l'interruzione da parte della seconda rete nazionale per trasferire lo spettacolo sul canale specifico (RaiSport) al fine di liberare spazio nel palinsesto alla discussione politica in corso alla Camera dei Deputati per il voto sulla manovra finanziaria.

Scandalo? Mancanza di rispetto? Accordi saltati? Nulla di tutto ciò. Semplicemente si è registrata l'ennesima conferma di un prodotto difficilissimo da vendere, figurarsi da valorizzare. E non certo per la durata temporale delle singole partite, ché il volley offre molte meno certezze in materia. Il basket in Italia non trova un adeguato spazio perché si porta appresso un cumulo di problematiche da troppo tempo, senza mai risolvere nulla radicalmente e cambiando sin troppe volte strada invocando presunte soluzioni definitive che poi non sono mai tali.

Quando il satellite non esisteva, quando internet era qualcosa destinato solo alle comunicazioni governative e militare, quando i telefonini erano per pochissimi e permettevano solo di effettuare e ricevere chiamate vocali, l'italica pallacanestro mungeva miliardi di lire a Mamma Rai. Merito del prodotto, dei campioni presenti, dei mecenati che spendevano senza ritegno? Forse. Anche se credo che fosse in fondo solo una gran bella cambiale politica ottenuta da un pezzo da 90 nel periodo della Milano da bere, della grandeur nostrana, dei prezzi senza senso. Diciamocelo, il basket non valeva all'epoca quelle cifre palesemente gonfiate così come in seguito non valeva i rinnovi al ribasso o i contratti riveduti in corsa con più operatori di vari settori, dalla televisione generalista alla pay. Sicuramente il rapporto con la Rai si è incrinato allora e non solo perché Tangentopoli ed una grave malattia hanno privato il movimento dei suoi due numi tutelari, cioè il politico di peso ed il giornalista appassionato e competente, nel breve volgere di pochi mesi.

Alzi la mano chi ricorda le dirette dei secondi tempi al pomeriggio su Rai3, le interruzioni improvvise, le telecronache affidate a chi di basket non sapeva davvero nulla e dunque improvvisava. Quando arrivò il satellite, i cestofili italiani non sapevano se esserne contenti o contrariati, visto che comunque la parabola era qualcosa per pochi. E quando si virò decisi sulla pay-tv, giacché il servizio pubblico si era dimostrato ben poco interessato e la concorrenza commerciale non aveva neppure dato un cenno di interesse o di diniego, ci fu il giubilo. Certo, l'allora ancor giovane Sky, nata dalle macerie di Tele+, contava su mezzi tecnici all'avanguardia, voci autorevoli, varie possibilità. Ma era per pochi. E fu anche per questo che nel 2011 la Legabasket colse la palla al balzo per tornare in chiaro, approfittando dello switch del digitale terrestre con conseguente moltiplicazione dei canali. Una scelta che doveva portare visibilità ma che si sarebbe risolta in un autolesionismo che continua ancora oggi, con Eurosport che grazie allo streaming si è imposta come referente privilegiata di un prodotto che resta assai povero.

La realtà è triste. Ed il problema resta insoluto. Se nel costante cambio di piattaforme il basket non attira interesse né spettatori - un anno fa per il ritorno su Rai2 non si fece nemmeno mezzo milione di telespettatori ad episodio, in pomeriggi festivi privi di concorrenza seria sul piccolo schermo - significa che il nocciolo della questione non va rintracciato nella piattaforma utilizzata ma nelle politiche di marketing. Facciamo un passo indietro di 16 anni: pare un'eternità ma nel 2004 il basket italiano aveva a disposizione la migliore pubblicità possibile e non sfrutta l'occasione. 

Ricordate quell'estate assurda? La Nazionale di Recalcati, con Soragna, Bulleri, Pozzecco, Basile, Galanda, Chiacig, Marconato, Radulovic, Righetti prima dà una sonora legnata agli americani in amichevole - e qui non sappiamo se benedire o maledire la scelta di trasmettere la partita attraverso SportItalia, emittente per pochi - e poi si arrampica sul podio olimpico di Atene mettendosi al collo una bellissima medaglia d'argento, eguagliando il risultato di Mosca 1980 con la differenza che stavolta gli USA non hanno boicottato i Giochi per motivi politici ma ci osservano dal gradino più basso del podio, incazzati e delusi. Il momento è perfetto, milioni di italiani hanno visto la semifinale contro la Lituania, c'è la possibilità di capitalizzare. Invece non si fa nulla: la Federazione non coglie l'attimo e preferisce godersi la gloria effimera piuttosto che investire, la Legabasket è più impegnata a trattare con Sky che a capire come fare squadra unica per un momento storico. Un anno dopo la stessa Nazionale si fa eliminare precocemente all'Europeo ed in via Vitorchiano hanno la bella pensata di comprare la wild card per Mondiali e tutto il resto, pensando possa bastare per garantire il futuro.

I frutti avvelenati di scelte scellerate, compresa la scarsissima comunicazione del fenomeno NBA, li raccogliamo oggi. Quando capiterà ancora di avere una Nazionale da argento olimpico? E di avere per tre anni di fila atleti italiani scelti al primo giro del Draft? Non è dato sapere ma se oggi ci si esalta per un ragazzo che viene selezionato al secondo giro e girato in G-League, tanto dovrebbe bastare per far capire quanto si sia caduti in basso nel giro di tre lustri. Quindi non lamentiamoci se la Rai interrompe una diretta per dare spazio a trasmissioni degne di un servizio da Prima Repubblica: si ha ciò che si merita. E il basket italiano, a livello comunicativo e politico, oggi ha un appeal talmente basso che non mi stupirei se nel 2021 si dovesse assistere ad un ulteriore declassamento. Magari a favore del burraco o della canasta.
 

martedì 8 dicembre 2020

Sorridete, siete su "Scherzi a parte"!

Ventidue ore da disoccupati. E con il metronomo della squadra che, evidentemente infastidito dalla vicenda, pubblica un post di protesta nei social e prepara le valigie per tornare in Serbia. Poi le telefonate al mattino, l'incontro nel pomeriggio all'ora del the e l'allenamento da dirigere subito dopo. La vicenda surreale dell'esonero lampo di Sasha Djordjevic e Goran Bjedov alla Virtus Bologna si chiude con un reintegro per molti inaspettato. Una vicenda, quella bianconera, che ripercorre la storia del club stesso e di un altro esonero a sorpresa con relativa marcia indietro.

12 marzo 2002. La Vu Nera vincitutto dell'anno precedente che appena un mese prima si è confermata in Coppa Italia perde il suo condottiero. Marco Madrigali, presidente-proprietario del club, ha deciso a sorpresa di liberarsi di Ettore Messina dopo una sconfitta della squadra con Pesaro. Motivazioni e tempistiche dell'esonero fanno sorgere sospetti un po' ovunque ed il giorno dopo la reazione è evidente. La squadra si schiera col coach trombato, il main sponsor Kinder (che in fondo ha già deciso di chiudere il rapporto) pure, il pubblico si rivolta contro Madrigali tanto da bloccare l'inizio della partita interna contro Trieste del 13 marzo e da costringere il patron prima a scappare in auto e poi a proclamare il ripensamento. Messina torna in panca, il tempo di concludere la stagione senza però vincere più nulla. Rapporto comunque finito, quello del tecnico mestrin-catanese che migra volentieri a Treviso mentre la Virtus imbocca la spirale che la porterà in un anno sull'orlo del baratro sino a sparire temporaneamente dalla cartina geografica della pallacanestro italiana.

Altri tempi. altre persone, altri presupposti. Ma in fondo aveva ragione Marx: la Storia si ripete, la prima volta come tragedia e poi come farsa. Ed eccoci al licenziamento inaspettato di un coach che non ha l'esperienza di Ettore ma che sa come lavorare con i giovani (chiedete a Pajola oggi, a Ale Gentile e a De Nicolao in precedenza) e che aveva improntato un discorso tecnico specifico con risultati evidenti l'anno scorso - diciamocelo: senza la pandemia quella Virtus 2019/20 lo scudetto non poteva che vincerlo - e che per la stagione in corso poteva contare su massicci investimenti ed ampie prospettive di crescita.

Suona paradossale eppure il motivo del contendere alla fine aveva il nome, il cognome e la faccia di Marco Stefano Belinelli, giocatore pagato a peso d'oro da patron Massimo Zanetti per riportarlo a Bologna dopo 13 anni di NBA e che doveva debuttare domenica contro Sassari. Invece, sorpresa: nel match tra Segafredo e Dinamo l'ex Spurs resta seduto per tutti i 40 minuti, guardando prima l'espulsione del suo capoallenatore e poi i nuovi compagni subire la furia di Spissu e Bendzius. Da quel momento la narrazione si fa tragicomica: pare che nessuno dei dirigenti abbia avuto la delicatezza di avvisare proprietà ed amministratore delegato del fatto che venerdì, nell'allenamento di rifinitura, lo stesso Belinelli avesse accusato un affaticamento muscolare e che dunque non potesse giocare. Non conoscendo il particolare e pensando che Djordjevic avesse fatto di testa sua con un giocatore costosissimo ma reputato fuori forma e quindi inutile, il club ha preso una decisione avventata facendo fuori capo, vice e preparatore.

Ad arricchire il quadro delle assurdità ci si mette pure Stefan Markovic che, saputo dell'esonero a sorpresa, si sfoga via Instagram. Ed annusata l'aria, il 32enne chiama il suo agente e gli chiede di trovare una via d'uscita. Senza chi l'ha voluto fortemente in un determinato telaio tattico, lui non intende restare a Bologna un minuto in più. E qui si aprono altri scenari, giacché se in seguito al licenziamento di Djordjevic erano circolati i nomi di papabili sostituti (Banchi l'unico credibile ma debole, inarrivabile Obradovic, già smentito seccamente Scariolo), ecco diffusa la voce che vorrebbe Markovic in fila al "Marconi" per prendere il primo aereo per Belgrado e passare dal bianconero felsineo al medesimo cromatismo del Partizan.

Evidentemente da qualche parte qualcosa deve essersi mosso nelle ultime ore. Perché dopo una nottata di ipotesi e di arrabbiature, già in mattinata la Virtus si è adoperata per ricomporre i cocci del vaso che aveva gettato a terra. Operazione conclusa, non senza fatica, alle 17 cioè mezz'ora prima dell'allenamento pomeridiano già in scaletta. Djordjevic ed i suoi collaboratori restano, Markovic è confermato e riceverà solo una multa per l'improvvida uscita a mezzo social. Tutti amici come prima, scusate abbiamo scherzato.

I giapponesi utilizzano un termine particolare, "kintsugi", per definire la riparazione delle ceramiche attraverso l'oro fuso o mescolato con la lacca. Il prezioso metallo riempie dunque le fessure che un atto violento ha aperto sanando le ferite aperte in precedenza. In pratica è l'applicazione della resilienza, un gesto positivo di reazione ad un evento traumatico. Occorrerà dunque capire se la miscela utilizzata dai dirigenti virtussini per risolvere un guaio da loro stessi procurato riuscirà a reggere le sollecitazioni da qui sino a fine stagione. E se, come avvenne per Messina nell'ormai lontano 2002, questa vicenda paradossale lascerà degli strascichi tanto nelle strategie quanto nella salute interna del club bianconero che solo la scorsa settimana aveva confermato a parole di voler tornare grande.

lunedì 7 dicembre 2020

Bologna: la dotta, la grassa... l'inquieta

Da non credere. Prima la Fortitudo, poi la Virtus. Prima Sacchetti, poi Djordjevic. La stracittadina a Bologna non finisce davvero mai, nemmeno quando si vuole dare una scossa all'ambiente, mossa che inevitabilmente si traduce con esonero del capoallenatore (o addirittura dello staff). Non si sta mai tranquilli sotto le Due Torri e per un motivo o per l'altro non ci si annoia di certo. Distinte da strategie, disponibilità finanziarie, obiettivi oltre che da simboli e cromatismi, F e V si ritrovano a distanza nel cervellotico turbinare del management, dall'una e dall'altra parte, con scelte ritardate o pazzesche per tempistiche e motivazioni.

Andiamo con ordine. Sabato la Lavoropiù incappa nell'ennesimo stop confermandosi ultima in classifica - il caos Roma per ora non lo calcoliamo. Da settimane Meo Sacchetti era sulla graticola: risultati carenti nonostante un mercato estivo scoppiettante e molto dispendioso e correttivi autunnali decisamente costosi. Gli avvisi erano già partiti da tempo ma alla fine la società ha deciso. Ciao, non è stato certo un piacere, la porta è quella. L'epilogo era comunque già scritto, con la tifoseria che rimpiangeva Antimo Martino e che rinfacciava al CT zero grinta e poche idee parecchio confuse. Lo avevano etichettato come umarell, il vecchietto un po' rinco che, borsetta di plastica dietro la schiena, passeggia per la città godendosi la pensione INPS (beato lui, verrebbe da dire) e commentando qualunque cantiere stradale si possa incontrare nel corso della solita camminata. Di certo Sacchetti non era arteriosclerotico e sapeva di aver scommesso male la scorsa estate, lasciando Cremona che era sì in cattive acque ma dove aveva costruito un modello di squadra basato sulla propria idea di basket. In Fortitudo aveva ritrovato quell'Aradori con cui aveva litigato in Nazionale e già lì si era partiti male; aveva sloggiato Henry Sims, altro con cui non andava d'accordo, per riprendersi Happ; ma il paracarro Mancinelli restava intoccabile (grazie, garantisce una bella sponsorizzazione!) e alcuni innesti come Totè e Palumbo erano già stati decisi. La Fortitudo alla fine non aveva gioco, si esprimeva per individualismi più che individualità e proprio per questo perdeva a ripetizione. Dopo tre mesi di disastri la società è intervenuta e ha deciso per l'avvicendamento. Perché così tardi? "Non volevamo mandare un allenatore tagliato a guidare la Nazionale in Estonia, ne andava del prestigio italiano e del club", hanno fatto sapere da Torreverde. Io lo chiamo paraculismo, voi fate un po' come vi pare.

Se per Sacchetti dunque era solo questione di tempo, per Djordjevic si tratta di fulmine a ciel sereno. O al limite appena appena nuvoloso ma senza gocce di pioggia. La Virtus è prima in Eurocup ma in campionato sta faticando, con quattro sconfitte in casa che pesano nell'economia di campionato. Quel che a quando pare non è piaciuto a Baraldi, unico uomo di fiducia di Massimo Zanetti, è la gestione dell'affare-Belinelli. Presentato in pompa magna come grande investimento, ci si aspettava che fosse in campo già ieri, contro Sassari. Invece qualcosa è andato storto e forse si è verificato un cortocircuito comunicativo tra staff tecnico, preparatori atletici e club, tant'è vero che il nuovo giocattolo milionario è rimasto mestamente in panchina, inutilizzato, a guardare i suoi nuovi compagni regalare spazio e bombe a Marco Spissu (ex di turno, tra l'altro) e ad Eimantas Bendzius. Il Banco ringrazia e passa all'incasso, per la rabbia di Mister Segafredo. Di qui l'esonero di Sasha, peraltro dopo essere pure stato espulso nel primo quarto proprio ieri. Ma se sull'opposta sponda del Reno a saltare era stata solo la testa del capoallenatore, qui ha pagato l'intero pacchetto: fuori Djordjevic, il suo vice Goran Bjedov e pure il preparatore. Squadra affidata al terzo allenatore in attesa di trovare un nuovo manico. La prima scelta Trinchieri non è disponibile, il mercato offre Luca Banchi. Non il massimo se si vuole davvero contrastare la Milano di Ettore Messina che stavolta sì pare una squadra fatta e condotta con logica, senno e benefizio (per il giubilo, si aspettano sviluppi). Intanto la squadra non l'ha certo presa bene e se Markovic ha già mostrato il proprio disappunto via social chissà cosa penserà la superstella Teodosic che aveva accettato Bologna dopo la NBA grazie anche alla presenza in panchina del connazionale Djordjevic.

Insomma, nel giro di pochi giorni la Bologna dei canestri muta faccia senza perdere però le sue abitudini di piazza inquieta. Qualcuno forse ricorderà che il fumantino Boniciolli venne silurato dopo un derby vinto perché osò rinfacciare all'Emiro Seragnoli di essere riuscito ad ottenere un risultato nonostante la pressione psicologica. O che Pino Sacripanti venne cacciato senza troppi complimenti per far spazio proprio a Djordjevic (e a Mario Chalmers, in arrivo), in tempo per vincere una Coppa FIBA ma anche per far escludere la Vu Nera dai playoff con un anonimo nono posto. Si è visto di tutto negli ultimi tempi, persino capitani a volte non giocatori messi fuori squadra e ceduti ai rivali. Se c'è ancora qualcuno che crede nei valori della programmazione a medio-lungo termine è pregato di farsi vivo e di citofonare a Fortitudo e Virtus ricordando loro che entrambe hanno vinto solo quando hanno ingoiato rospi amari in nome della progettazione. Quand'è che è crollata la Virtus? In quella sera primaverile in cui Madrigali decise di licenziare Messina salvo doverci ripensare dopo una sommossa a Casalecchio. Quando è scoppiata la bolla Fortitudo? In quell'estate in cui, sparito Seragnoli, il nuovo tagliatore di teste Martinelli decise che Enzino Lefebre era inutile per mantenere in piedi una baracca sostenuta da fantasiose sponsorizzazioni, contributi a fondo perduto e un mutuo ventennale impossibile da onorare. La Storia ci dirà cosa faranno le due metà di Bologna dopo questo dicembre 2020 che rispetta in pieno l'andamento disastroso di un anno da dimenticare in fretta. E non solo da parte del basket.

venerdì 4 dicembre 2020

Un problema chiamato ala piccola

Storicamente e tatticamente, quello del numero 3 nella pallacanestro moderna è il ruolo più delicato. Ciò non solo perché lo sviluppo dei giocatori ha reso le ali piccole autentiche merce rarissima - oggi nel ruolo vengono impiegati spesso dei 2 di stazza o dei 4 perimetrali adattati - ma a causa talvolta delle peculiarità richieste dal playbook. L'ala piccola è molto di più di un esterno in più o di un occasionale aiuto a rimbalzo: può attaccare il ferro, aiutare a portar palla, difendere su più ruoli. E' dunque il vero segreto di un team di successo, a patto che la sua scelta sul mercato sia stata oculata (non mi riferisco solo al budget, eh...) e che l'allenatore preveda dei giochi specifici in cui esaltarne le doti in campo. Viceversa, ci si ritrova di fronte ad equivoci o a situazioni imbarazzanti.

Per informazioni sulle ultime ipotesi, citofonare Treviso Basket. Che sia per sfortuna, per calcoli errati o per questioni caratteriali, TVB non azzecca una scelta nel ruolo da tempo immemore. Persino in Serie B l'ingaggio di Matteo Maestrello si rivelò un errore: in un campionato in cui si gioca moltissimo con le guardie ed in cui le uniche ali davvero utili sono i 4 che spesso e volentieri giostrano da 5 tattico, un 3 puro con stimmate di tiratore e zero propensione al rimbalzo come lo jesolano era pressoché inutile se non dannoso. Ed i risultati furono lo specchio di tale e di altre scelte (Parente su tutti). In A2 si è visto un acerbo Quenton DeCosey, assurto suo malgrado al non invidiabile ruolo platonico di peggior straniero visto in biancoceleste (almeno prima della fugace avventura di Tyler Cheese): non era malvagio, anzi, e le sue doti stanno emergendo anno dopo anno ma all'epoca non aveva specializzazioni, non sapeva cosa fare e doveva dannarsi l'anima per difendere anche per Davide Moretti al fine di lasciare che il ragazzo prodigio potesse liberare tutto il suo talento offensivo. Al posto del vituperato americano si pescò l'ungherese Perl che malaccio non era ma che sarebbe stato sacrificato in una visione strategica azzardata cioè iniziare una stagione ad alto livello senza uno straniero da inserire in corsa, a primavera.

Ma fin qui abbiamo parlato di passato, senza neppure rispolverare le ammuffite memorie del triste La Torre e dell'equivoco Musso. Ma da quando Max Menetti si è insediato sulla panchina trevigiana il problema nel ruolo è diventato una paurosa costante. Giocatori scelti e poi scartati, promossi e poco dopo bocciati, accolti e respinti, osannati e poco dopo ripudiati. Un frullatore. Ecco una panoramica.

  • Davide Alviti: uno dei primi acquisti dell'estate 2018, in realtà prenotato mesi prima assieme a Tessitori. Ragazzo in rampa di lancio, un due metri vero che da appena un anno e mezzo era stato spostato nel ruolo di 3 dopo essere stato impiegato con scarsi risultati da 4. Doveva essere l'ala piccola del quintetto titolare con un play italiano ed un'ala forte americana, si ritrovò ad occupare medesimo ruolo dovendo però patire i problemi fisici di Wayns in regia e le incomprensioni (eufemismo) di Antonutti nell'altro ruolo di ala. Finì la prima annata, quella della promozione, come quinto esterno per scivolare in rotazione a sesto in Serie A. Perché inadeguato? No. Semplicemente perché si pensava che fosse solo un tiratore sugli scarichi e nulla più. Giubilato in maniera poco elegante in un'estate che sarà difficilmente dimenticabile, sta dimostrando tra Trieste e la chiamata in azzurro di non essere soltanto un terminale da ricezione e tiro.
  • Lorenzo Uglietti: doveva essere il backup di Alviti in A2, si ritrovò a giocare da play d'emergenza. E senza nemmeno sfigurare neanche al piano di sopra. Pure lui salutato in maniera fin troppo frettolosa senza ricordarsi che una guardia versatile, con ottima attitudine difensiva, portata al gioco di squadra e dallo stipendio contenuto non andrebbe mai salutata a cuor leggero. E' tornato di A2 dove nel sistema di Sacripanti a Napoli funge da equilibratore.
  • Dominez Burnett: discorso simile a quello di Uglietti, a parte ovviamente nazionalità, stipendio e capacità offensive. Aveva dimostrato di essere un ottimo giocatore a livello europeo già prima di arrivare a Treviso, nella Marca si era confermato swingman di talento e meritava una chances ai piani alti. Bruciato per un calcolo di budget: occorreva recuperare parte del suo stipendio per investirlo sul prestito di Aleksej Nikolic. Migrato a Minsk ha ripreso ha giocare come sa.
  • Jordan Parks: preso perché si alternasse tra i due ruoli di ala, si è capito solo dopo tre mesi di arrabbiature, sconfitte ed equivoci che in fondo era efficace soprattutto da 4. Resta una scommessa parzialmente vinta perché prima della cancellazione della stagione per pandemia aveva dimostrato di poter reggere il livello. Ha pagato la sciocchezza della fuga in America (a differenza di Logan però...) e la scelta della società di puntare su un pariruolo italiano come Akele. Pure lui è oggi a Napoli in A2 dove sprigiona tutto il suo atletismo in una squadra costruita per la promozione.
  • Elston Turner: pochi se ne ricorderanno ma doveva essere lui il 3 titolare della De' Longhi 2019/20. Una vera scommessa, non sul talento che è noto ma sulla testa del giocatore. Quotata pochissimo dai bookmakers, il motivo lo si è capito ad agosto: due voli per l'Italia persi con scuse che variavano dal matrimonio al mal di pancia, al suo arrivo si è capito che era in forma-Tomidy ed impresentabile a breve-medio termine. Rispedito al mittente in tutta fretta e con un mezzo sospiro di sollievo.
  • Charles Cooke III: al posto dell'impresentabile Turner, ecco un connazionale teoricamente simile, almeno sul piano tecnico. Peccato che la testa non fosse quella giusta. Tagliato in preseason dopo neanche dieci giorni dalla squadra tedesca che l'aveva inizialmente scelto, a Treviso si vede un Cooke spesso deconcentrato, autore di giocate paradossali (vedi il piccione viaggiatore a Cremona che poteva valere una clamorosa vittoria in rimonta) e di pochissime partite decenti. In rottura prolungata da metà dicembre in avanti, viene tagliato ad inizio gennaio per manifesta dannosità.
  • Ivan Almeida: pescato a sorpresa nella stagione dei saldi, il capoverdiano salta la prima partita per un pasticcio burocratico di tesseramento con rimpallo di colpe tra club, agenti, funzionari e forse pure doganieri. Gioca due partite facendosi notare per l'insofferenza al clima atmosferico (si copre costantemente con maglie pesanti) e per la volontà di agire da point forward grazie anche alla piena licenza concessagli da Menetti. Poi arriva la pandemia e si chiude in casa con l'apprezzabile dichiarazione di non voler rischiare di portare il virus in patria azzardando un eventuale volo. Rimarrebbe volentieri ma a maggio gli fanno capire che non ci saranno soldi per lui, quindi fa fagotto e si sposta in Israele. Resta il rammarico di non averlo potuto testare più a fondo. Intanto è tornato a Wloklawek dove evidentemente si trova bene, visto che è alla terza firma in tre anni.
  • Jeffrey Carroll: arriviamo al presente. Curriculum corposo, è pur sempre un giocatore che è stato in orbita Lakers e già testato in Italia. Ma in A2, in una squadra di basso livello (Bergamo) dove poteva fare bello e brutto tempo a piacimento. Affidabilità? Tutta da verificare. Si presenta in Supercoppa bombardando senza troppi pensieri, approfittando anche di avversari imballati a livello fisico o che non ne conoscono doti e difetti. Appena si fa sul serio cioè con la stagione regolare avviata, ecco l'involuzione. Mirino sempre più storto, incursioni in area sempre più rare a dispetto di gambe piuttosto buone, difesa zero. E quando arriva Sokolowski la sua crisi si acuisce tanto da dimostrare mancanza di fiducia nei propri mezzi, nonostante continui a partire in quintetto base.
  • Michal Sokolowski: arrivato all'ultimo al posto dell'impresentabile Formaggino alias Tyler Cheese che passerà alla storia come il bidone sportivo più clamoroso di sempre - spacciato per un all around di 196cm, si rivela una guardia mancina di 187 centimetri che non tira, non va a rimbalzo, non difende sull'uomo e sa giusto palleggiare e passare il pallone... un visto sprecato. Il polacco è indubbiamente più solido, più stazzato e ha maggiori doti sui due lati del campo. Ma non può sempre coprire tutti i lati del letto a fronte di una coperta corta.
L'elenco si ferma qui. Ma a fronte di nove giocatori alternatisi in un ruolo in due anni e mezzo è lecito domandarsi se tutta questa frenesia, queste sliding doors continue in un ruolo così delicato non siano frutto di un singolare allineamento planetario foriero di somma sfortuna oppure di equivoci tecnici e tattici continui, tra valutazioni affrettate e questioni caratteriali o comportamentali. O ancora, il fatto che da fine 2018 in poi gli schemi per il 3 nella De' Longhi si siano assottigliati sempre più riducendosi a due opzioni: tiro sullo scarico oppure "inventa tu, ché a me va bene tutto". Io l'ho ribattezzato lo "schema Kaukenas-Logan" e credo che non serva chiedere spiegazioni riguardo al nome.