sabato 30 dicembre 2023

Un ragazzo e una maglia

Questa è la storia di una maglia numero 6. Tranquilli, non parlo di Franco Baresi, per quanto una piccola connessione tra il protagonista di questo racconto e l'AC Milan vi sia. Non mi sto riferendo nemmeno a Massimo Iacopini, che anzi quando ha visto a chi era intitolata quella maglia numero 6 ha reagito (bonariamente?) con un moto di comprensibile fastidio. Ma restiamo per un momento sulla maglia. Che poi è una canotta, ma vabbè. Un po' stropicciata, pazienza. Con un quarto di secolo alle spalle, scusate se vi pare poco. Una maglia dimenticata da molti, che alle giovani generazioni non dice nulla ma che a chi ha più di 40 anni strappa una lacrima di nostalgia. Quella canotta verde, con i bordi bianchi, il numero 6, il vecchio logo della Legabasket era in un cassetto di casa mia da tempo immemore e attendeva solo il giusto momento per tornare alla luce. Ossia per trovare un degno proprietario. Che non è (mi scuserà) il suo primo possessore, l'irlandese da battaglia Glenn Sekunda che la indossò all'inizio del suo terzo ed ultimo anno a Treviso, ma un ragazzo che oggi ha i capelli grigi e che dentro è rimasto lo stesso scappato di casa delle telecronache del 1991-92.

Per me Simone Fregonese è stato tante cose. Il bersaglio dei cori della curva negli anni belli della Benetton Basket, cui lui reagiva con un semplice sorriso. Il conduttore di trasmissioni televisive in un'epoca in cui l'ufficio stampa della Ghirada distribuiva lezioni di avanguardia sulle modalità lavorative nell'ambito della comunicazione. Uno dei miei primi approcci con la zona stampa del Palaverde assieme al suo ex socio Enrico Castorina. Compagno di squadra ai Marlins, forse la formazione più ingestibile e per questo più bella di cui abbia memoria. Esempio di multitasking ante litteram, capace di dividersi tra più attività. Emblema di sacrificio nei momenti peggiori, quelli che non vorremmo mai vivere ma che ogni tanto la vita ci riserva come sorpresa sgradita e prova da affrontare. 

Con Simone ho lavorato, ho giocato, ho scherzato. Ci siamo confrontati, abbiamo litigato, ci siamo mandati a quel paese. Ci siamo aiutati reciprocamente, senza mai negarci. Perché in fondo questo è il bello del nostro lavoro: qualunque cosa sia successa, chi se ne frega e mai mollare. Mai. Nemmeno di fronte al mondo che ti crolla sotto i piedi, al club che sparisce, alla sedia che traballa, alla prospettiva di restare in disparte, a braccia conserte, a guardare. Ecco, se ho imparato qualcosa da Simone in tanti lustri è che se ci si ferma è davvero la fine. E lui non ha accettato alcun destino presuntamente scritto, nemmeno quando Verdesport decise di smobilitare la branca professionistica. Treviso Basket è nata dai famosi Cavalieri Bianchi, da Paolo Vazzoler, dall'azionariato popolare (presente anche il sottoscritto), dalle campagne stampa. E da Simone Fregonese che accettò per mesi di lavorare gratis, senza sapere se ci sarebbe stato un domani, perché credeva in un futuro diverso.

Come dicevano gli Skiantos, la storia gli ha dato ragione. Quella TVB nata sotto la Loggia dei Trecento, poi nell'incubatrice del Natatorio, svezzata al PalaCicogna, si è presa il giusto posto anche grazie a lui. Che nel frattempo si era sdoppiato con Imoco Volley, una realtà nata in contemporanea con TVB e divenuta vincente in brevissimo tempo. Si sa, le società di vertice non raggiungono determinati risultati per semplice fortuna o per allineamento planetario: tutto è frutto di programmazione e di idee, soprattutto di persone giuste dietro determinate scrivanie e nei posti chiave. Qualche mese fa Imoco ha sottoposto a Simone Fregonese la classica offerta irrinunciabile. Una proposta che non poteva più prevedere un part time né una compresenza. E Simone ha scelto con consapevolezza, ben sapendo che si trattava di recidere un cordone ombelicale con quella che era una sua creatura. Un passo doloroso ma inevitabile in un percorso professionale.

Stasera Simone Fregonese ha salutato il suo basket. Certo, con una vittoria sarebbe stata tutta un'altra musica ma non ci sono stati musi lunghi nei brindisi a fine gara. Abbracciato da una moltitudine di amiche ed amici che hanno condiviso con lui tanta o poca strada, ha salutato un mondo che continuerà ad appartenergli. E lo ha fatto con quella canotta addosso, che cercava un padrone e finalmente l'ha trovato. "Non ho mai avuto una canotta ufficiale della Benetton in guardaroba", ha ammesso lui stesso a dispetto degli oltre vent'anni trascorsi in Ghirada. Ecco perché, incurante delle firme sul retro, ha deciso di indossarla con orgoglio prestandosi alle foto. Non se l'aspettava Simone, un regalo così. Quindi, missione compiuta. Per un ragazzo con i capelli grigi ma che dentro resta sempre un ventenne e per la canotta, che ha 25 anni sulle spalle e pare uscita da qualche varco temporale annidato nei corridoi interni del Palaverde.

PS: se ve lo state chiedendo, niente paura. Simone resterà per sempre uno del basket. Prestato al volley, perché così vogliono le contingenze. Ma sono sicuro che nei prossimi mesi lo vedremo ancora, qua e là, alle partite. Almeno per aiutare quel Bocia che ha preso il suo posto e che ha tantissimo da imparare. Ma con una guida così e con tanti colleghi anziani che gli vogliono bene, anche il più giovane degli apprendisti può star tranquillo.

domenica 24 dicembre 2023

Il fattore C

C come corsi storici. C come coach. C come... beh, la parte anatomica pluricitata dall'onorevole cavaliere conte Diego Catellani, Gran Maestro dell'Ufficio Raccomandazioni nonché campione di stecca. Ecco, quello ogni tanto serve. Ma è ancor più necessaria un'altra C, quella di classe, altro termine invocato dal personaggio interpretato dal povero Umberto D'Orsi. Quella classe che purtroppo in pochi dimostrano di avere e che meriterebbe maggiore considerazione tanto nella gestione quotidiana quanto nei momenti di crisi che, puntualmente, si verificano. Perché se c'è una differenza tra Derthona Basket e TvB non è tanto nella qualità del gioco espresso ieri al PalaFerraris o nel budget - queste sono questioni evidenti a chiunque - ma nella gestione dei rapporti umani e nella valutazione della fiducia. Concetti riassumibili con il termine "classe", appunto. E no, non stiamo parlando di navi da guerra per quanto la Bertram del diporto di lusso dovrebbe essere una corazzata mentre la Nutribullet è un incrociatore leggero.

Un mesetto fa Frank Vitucci era sulla graticola, spedito sul banco degli imputati per nove e dico nove sconfitte consecutive e per la scelta errata di almeno due stranieri in ruoli affatto marginali. Un mesetto fa Marco Ramondino era ugualmente in ambasce per un gioco che stentava ad affermarsi e convincere, stava per perdere il suo miglior USA attirato dalle sirene dell'Eurolega e riusciva a reggere i contraccolpi solo in funzione di due fattori: il primo, le vittorie in BCL che per una matricola assoluta dell'Europa dei canestri sono sempre un bel biglietto da visita; il secondo, quello che il collega ed amico Piero Guerrini definiva "culo". Non si può negare che dal 2020 in poi Ramondino non abbia avuto fortuna: prima dell'esonero odierno, anche tre anni fa rischiò seriamente di farsi cacciare dalla creatura di patron Gavio causa risultati deludenti; poi cambiò marcia, arrivarono i playoff e nei secondi finali di gara5 di finale Torino pensò bene di suicidarsi in un derby piemontese destinato a cambiare parecchi equilibri. Il famoso o famigerato "culo di Ramondino" si è manifestato anche in seguito, si veda la Coppa Italia 2022 con percorso spianato sino alla finale, oppure i playoff 2022 contro una Venezia all'ammazzacaffè come ciclo tecnico, o le partite dell'anno scorso contro Trento concluse tutte con scarti minimi e quasi sempre con vittoria - anche con botte di culo clamorose come quella dei due liberi sbagliati da Matteo Spagnolo a tempo scaduto in gara4 dei quarti playoff.

Anche il culo però prima o poi finisce. E quello di Ramondino a quanto pare ha raggiunto la data di scadenza. Ma al di là di discorsi scaramantici o di allineamenti planetari, occorre sempre ricordare che in uno sport estremamente logico e tattico come il basket è la programmazione a dominare. Se Tortona ha disputato due annate consecutive ad alto livello, ciò non è dovuto solo alla fortuna del suo (ormai ex) coach o all'ampia disponibilità di budget garantita da un patron ricco ed appassionato. Ciò è stato figlio di idee precise traslate su una lavagnetta tattica e prima ancora nella ricerca dei soggetti ideali con cui comporre il progetto iniziale. Come nella costruzione della cittadella dello sport che il Gruppo Gavio sta realizzando, anche nel Derthona si sono scelti i materiali base per poi passare all'assemblaggio. Peccato che nella volontà di crescita sin troppo accelerata si siano commessi degli errori imperdonabili, rimpiazzando solisti talentuosi ma un po' matti (Macura) con soldatini ordinati ma non abituati ad agire fuori dalle righe (Weems); oppure pensando che il playmaking diffuso avrebbe esaltato di volta in volta le doti di questo o quell'esterno, a fronte di una batteria piuttosto poverella in termini offensivi; o ancora, non capendo l'importanza di disporre di un 4 equilibratore tra gioco offensivo spalle e fronte a canestro in rapporto ad una batteria di centri buona come supporting cast ma inutile se sul perimetro c'è ben poco. Questi errori, compiuti da Ramondino ma non solo, sono costati il posto all'allenatore irpino. Che appena un anno e mezzo fa era COTY in LBA ed oggi è un allenatore appiedato alla vigilia di Natale.

L'esatto contrario di Frank Vitucci. Che ha avuto l'onestà di ammettere gli errori compiuti da lui e non solo e che in cambio ha ricevuto ripetuti attestati di fiducia e due rinforzi finalmente funzionali a gioco e campionato di riferimento. Se volete la controprova, osservate la metamorfosi avuta ieri da Osvaldas Olisevicius tra primo e secondo tempo: reduce dal virus ed ancora non in perfette condizioni, il lituano ha passato i primi venti minuti a litigare col canestro; è bastato che nell'intervallo il coach (altro fattore C) gli parlasse per cambiare qualcosina... et voilà! Ecco servita una bella, concreta, preziosa vittoria che riporta più su Treviso. In cui brilla anche quel Terry Allen di cui molti invocavano il taglio già a settembre, senza capire forse che pure lui fosse vittima della mancanza di regia. Da quando Robinson ha preso il posto dell'immaturo Booker e Olisevicius ha rimpiazzato l'impresentabile Young, il pallone ha ripreso a circolare facendo le fortune di Paulicap ed anche di Allen, che trova spazi e tempi giusti per utilizzare il tiro. Nulla di tutto ciò comunque sarebbe successo se a Treviso avessero dato retta ai mal di pancia dei tifosi che chiedevano la testa di Vitucci, magari invocando quel Walter De Raffaele visto un paio di volte in tribuna al Palaverde. Il livornese dell'Ovosodo prenderà il posto di Ramondino, alla guida di una squadra che è l'esatto opposto delle sue idee tattiche, in cui l'unico 4 abituato a giocare pick'n'pop è l'involuto Severini ed in cui Weems e Strautins assieme non valgono il Bramos dell'ultima stagione. Fuori dalla Coppa Italia di Torino - questo è il vero motivo della rivoluzione tortonese, un affronto territoriale che la proprietà del Derthona non tollera - a De Raffaele verrà chiesto un mezzo miracolo ossia ridare identità ad un gruppo che da qui in poi dovrà affidarsi allo strapagato Colbey Ross, che ha accettato il doppio della proposta varesina per vestire il bianconero, per risalire la china.

Treviso al contrario dimostra che fiducia, circolazione di palla e utilizzo della materia grigia sono i tre pilastri che illuminano il tempio del gioco. Al frullato nel marchingegno ciclonico manca un solo ingrediente, sinora inefficace per non dire pessimo. Sarà anche un caso fortuito però le quattro vittorie in fila sono giunte con un ruolo marginale o con l'assenza totale di D'Angelo Harrison, relegato in panca contro Brindisi ed a Cremona e poi in tribuna causa botta alla mano. Con Ky Bowman nel ruolo di guardia tiratrice titolare gli schemi di Vitucci guadagnano solidità e concretezza oltre che serenità. Quella che l'ex St. John's non riusciva a trasmettere. C'è curiosità attorno al suo rientro nei ranghi ed al ruolo che avrà: se riuscirà a capire come deve comportarsi un sesto uomo di successo, questa Nutribullet non potrà far altro che migliorare. Viceversa, occorrerà forse fare qualche discorso in più, a parte, col giocatore affinché capisca che certe intemerate sono solamente dannose.

domenica 17 dicembre 2023

Viva Franco Battiato!

Omaggio sin dal titolo di questo intervento il Maestro, colui che ci fece sognare e volare con musica e parole, bardo dell'esoterismo sonoro e della ricerca filosofica elevata ad arte. Forse una delle poche personalità capaci di sbeffeggiare le dittature anche dopo la morte: forse pochi di voi sanno che in Spagna per tanti anni i graffiti sui muri dei nostralgici del Caudillo venivano appositamente corretti sempre a colpi di bomboletta spray con il cognome Battiato. Il Maestro, conosciutissimo anche in terra iberica, era tale anche per questa capacità di generare legioni di fans ovunque e per stimolare una creatività mai banale. Non è un caso, credo, che nelle ultime settimane una delle sue hit più conosciute sia tornata alla ribalta anche grazie ad una fiction di Sky che mi ha catturato per la sua combinazione tra spirito guascone, disincanto, disperata ricerca degli affetti e desiderio di redenzione: il quarto episodio di "Non ci resta che il crimine" vede infatti Claudio (Giampaolo Morelli) declamare come versi aulici le strofe di "Centro di gravità permanente" per convincere una platea di vecchi tromboni fascisti e avanguardisti dal manganello facile, tutti adunati a tavola nell'Italia precedente il tentativo di golpe di Borghese. L'ennesimo sberleffo postumo (o ex ante, visto il periodo) di Battiato e dei suoi testi.

Con "Centro di gravità permanente" però potremmo anche ribattezzare la prova di Pauly Paulicap contro Trento. Prima però chiariamone i contorni: due squadre, e fin qui tutto bene come diceva il regista Mathieu Kassovitz. Solo che una si presenta all'appuntamento al gran completo, con rotazioni talmente profonde da valutare positivamente nelle ultime settimane il bimbo prodigio Niang (prestito Fortitudo...) e da escludere dalle stesse il prodotto fatto in casa Conti. L'altra giunge alla partita reduce da una settimana come non se ne vedevano da fine gennaio 2022, pieno periodo Covid-bis. Ve la ricordate, la partita a Pesaro del 30 gennaio 2022? Sei senior arruolabili più una pattuglia di juniores comprendente gli allora minorenni Leo Faggian, Enrico Tadiotto ed Alberto Pellizzari - più Enrico Vettori, oggi alla Rucker SanVe. Alla Vitrifrigo Arena con 45 minuti di zona (già, servì un supplementare...) e una prestazione da applausi arrivò l'ultima vera e convincente vittoria della Nutribullet targata Max Menetti che di lì a poco, complici l'infortunio di Jurkatamm ed il deteriorarsi degli equilibri interni, sarebbe implosa sino a precipitare verso le posizioni a rischio in classifica. Faggian e Tadiotto sono ancora a Treviso ed ora hanno delle chances di giocare: contro Trento hanno avuto minuti veri e nel complesso non hanno demeritato, dopo una settimana da tregenda con infortunati cronici e letti dell'infermeria biancoceleste riempiti dalla solita influenza.

Chi ha stupito ed in assoluto positivo è stato Paulicap. Non solo per i 19 rimbalzi che sono record stagionale in LBA - sì, ok, Mark Landesberger della Lotus Montecatini resta irraggiungibile nella classifica all time, ma quella era pur sempre A2. Vi regalo un dato: l'OER del ragazzo di origini haitiane è stato di 1,300. Sapete cos'è l'OER? Ok, ve lo spiego: è una voce statistica che calcola l'efficienza offensiva di un giocatore ossia quanto è utile in attacco alla propria squadra in base ai possessi da lui stesso sfruttati. Dan Peterson che dell'OER ha fatto una vera e propria filosofia tecnica ha sempre ribadito come il quoziente sia premiante se è sopra la cifra netta ossia da 1,000 in su. Contro la Trento di Biligha e Cooke ma anche di Grazulis e Udom, Paulicap ha avuto un OER di 1,300; meglio di lui nell'occasione ha fatto Terry Allen con 1,600. Nella speciale classifica, tolto Olisevicius che ha un numero di partite bassissimo finora (tre, con un OER di 1,066), Paulicap è il secondo miglior attaccante per possesso del quintetto base sempre dietro Allen. Qualcosa vorrà pur dire.

Se non vi basta, aggiungo qualche considerazione sparsa relativa sempre al match contro Trento. In cui Paulicap ha giocato più minuti di tutti (36), addirittura adattandosi al ruolo dell'ala grande che non è esattamente il suo mestiere. Quando ha fatto coppia con Camara ha faticato a coprire tutta l'area per una questione di automatismi e per una brutta tendenza del ragazzone senegalese a distarsi nel momento più importante dell'azione difensiva. Eppure Paulicap ha chiuso con +35 di valutazione quando l'intero pacchetto lunghi dell'Aquila ha fatto +36. E il suo +/- è il secondo migliore di tutta TvB (+9) dietro Robinson (+11). Ecco, proprio l'arrivo di Robinson è uno dei segreti di Pulcinella della nuova valorizzazione di Paulicap: più palloni giocabili, maggiore intesa, tanta difesa in rotazione ed adeguamento. L'ex Pesaro sarà anche piccoletto però usa la stazza per compensare, evitando quelle facili percussioni verso l'area favorite dal suo scellerato predecessore che invece non reggeva un 1vs1 nemmeno a pregarlo. E che sul fronte opposto ormai si era intestardito nel non voler più far circolare la palla, peccato mortale per una squadra pensata proprio per favorire i movimenti offensivi dovuti ai ribaltamenti di lato. Con Robinson (e Olisevicius) si sono visti adeguamenti di cui si era quasi persa memoria, si è assistito al ritorno di una pallacanestro autentica, si è riscoperto Bowman come agente speciale offensivo. E di tutto ciò Paulicap ha beneficiato alla grande. Alla faccia di qualche assai presunto esperto che si è incaponito da settimane nel mantra "serve un pivot", senza sapere evidentemente che il suddetto centrone se privo di rifornimenti di palloni in post è utile quanto il due di Coppe quando a briscola c'è l'asso di Bastoni.

Per chiudere, due considerazioni su Faggian e Camara, posto che Enrico Tadiotto merita solo applausi. Leo e Gora sono passati dal "non entrato" di Cremona a rispettivamente 28 minuti (con quintetto base) e 11 minuti. Sì, ok, potenza delle assenze. Ma se non sapete per quale motivo coach Vitucci li abbia in precedenza messi ai margini delle rotazioni, ve lo dico io: questione di impegno. La vecchia regola sempre in voga è che gioca chi si sbatte, chi si fa un mazzo gigante, chi non risparmia una goccia di sudore. Faggian e Camara sono giovani e hanno l'obbligo assoluto di non accontentarsi, di lavorare sodo per migliorare: il primo perché è patrimonio della società che gli ha aperto credito con un contratto pluriennale; il secondo perché la Virtus lo ha mandato in prestito proprio perché abbia la teorica possibilità di maturare. Ma se entrambi non si applicano abbastanza, non si può pretendere che il capoallenatore gli conceda minuti per questioni d'età o per formazione italiana. Quindi per entrambi vale il solito motto: culo basso e lavorare, ché la strada è ancora tanto lunga.


domenica 3 dicembre 2023

Lituania, terra di basket

Pierluigi Collina, noto ex arbitro di calcio con simpatie cestistiche nemmeno troppo segrete (è tifoso Fortitudo), lo ha rivelato in tempi non sospetti: in Lituania la vera religione laica è la pallacanestro. "Lì persino i ragazzi che praticano il calcio finiscono per giocare a basket nei tempi morti", disse una ventina d'anni fa in una intervista. In fondo è la classica scoperta dell'acqua calda: gli Stati baltici sono una delle terre felici per lo sport inventato da James Naismith e, salvo rare eccezioni, i giocatori provenienti da quell'area sono solitamente molto tosti, molto determinati, maniaci del lavoro in palestra e capaci di spendere ogni stilla d'energia senza lamentarsi di alcunché. Lo si sa bene anche a Treviso dove sono passati Siskauskas, Motiejunas, Sorokas, Jurkatamm (difensore eccellente, bisognoso solo di allenatori che credano in lui) e - vabbè! - pure un imberbe Ernsts Kalve ed un dimenticabile Tomas Dimsa. Quindi se qualcuno tra voi che leggete il blog oggi si stupisce del rendimento dell'ultimo della specie arrivato nella Marca, ossia Osvaldas Olisevicius, ebbene questo qualcuno è pregato di scendere al più presto dalla pianta e di aprire gli occhi.

Già a Pesaro una settimana fa l'ex Reggiana era risultato il meno peggio dei suoi, in una gara da marasma mentale prima che tecnico. Un caso? No. Perché un giocatore intelligente tende sempre ad emergere per la propria capacità di esaltare le doti di tutti, non solo le proprie. Lo ha ammesso anche coach Frank Vitucci: Olisevicius ha questo grande pregio, una dote da non sottovalutare perché si riverbera su tutto l'ensemble. E vi pare poco? Allora lasciate che vi riassuma la sua partita odierna: 15 punti, 5 rimbalzi difensivi, 6 assist (miglior dato di squadra), 17 di valutazione, +34(!) di plus/minus. Bastano queste cifre? No? E allora ecco il resto: capacità di giocare lontano dalla palla ad altissimo coefficiente di utilità, possibilità di evoluire da 4 tattico in quintetti piccolissimi, difesa eccellente su almeno tre se non quattro tipologie di avversari, fisico da lottatore vero. "Non è che in estate non avessimo pensato a lui", ha aggiunto Vitucci facendo capire tre cose: che un elemento così è preziosissimo; che in estate si è commesso un grosso errore di valutazione; che occorre un minimo di coraggio anche nello spendere cifre pesanti se si vogliono avere dei risultati.

Dove sarebbe la Nutribullet con un Olisevicius in più nel motore da inizio stagione regolare? E con un play vero, ancorché in ritardo di condizione quale Justin Robinson? Azzardo che con questi due al posto della coppia salutata mercoledì, la squadra oggi non avrebbe solo due punti in classifica ma almeno 6 o 8. Non tantissimi ma nemmeno da penultimo posto. Invece in estate sono state compiute altre scelte, tafazziane nel complesso. Perché Deishuan Booker non è un play da campionato italiano, è un giocatore che pensa prima a segnare e poi (forse, eventualmente) ad innescare i compagni. Perché James Young III è il clone più basso e molto sovrappeso di Dermarr Johnson, ossia il classico tiratore ex NBA con la testa mancante di materia grigia ed una paurosa tendenza a giocare solamente per sé. Sapete come ha approcciato quest'ultimo il bimestre varesino? Con 5 punti, 2/7 in azione, -3 di valutazione commettendo pure cinque falli in 18 minuti. Un buco nero insomma. O forse una polpetta avvelenata gentilmente servita da Treviso sul piatto di una prossima diretta concorrente per la lotta-salvezza.

Lotta salvezza che, a proposito, è appena cominciata. E che sarà dura, durissima. Perché le due neopromosse sono quadrate, toste, cazzute, determinate. Pistoia batte Napoli giocando senza Varnado, con Hawkins che si scaviglia e con la riscossa guidata da Gianluca Della Rosa, capitano locale, guardia-play di 1.80m che gioca di puro agonismo e che dà l'esempio. "Lui è il nostro punto di riferimento già in allenamento, anche per gli americani che lo vedono tuffarsi su ogni pallone", dice coach Brienza. E se poi in partita piazza una serie di triple assurde, compresa una da metà campo, sfido chiunque a dire che Pistoia non abbia carattere. Cremona poi è ancora una volta l'esempio di come i budget faraonici servano a pochino se non si sa come spendere quei soldi. Una squadra fatta da esordienti assoluti in LBA (Denegri e Piccoli tra gli italiani), bocciati eccellenti (Eboua, Adrian), condotta da un allenatore due volte trombato in carriera nei precedenti al massimo livello - Cavina fu esonerato a Roseto e Sassari. Eppure la Vanoli è lì, a metà classifica, e si gode un basket concreto ed a tratti pure bello. Altro che la Milano di Ettore Messina che è sempre più il caso negativo dell'anno e che rischia seriamente di mancare l'approdo alle Finali di Coppa Italia. Ma questa è un'altra storia ed un giorno magari ne parleremo.

Chiudo con qualche riflessione:

  1. Coach Dragan Sakota ha accettato la missione quasi impossibile di salvare sul campo una Brindisi costruita male, pensata peggio e pure bersagliata dagli infortuni. Magari la vittoria di una settimana fa contro una Virtus in debito d'ossigeno dopo le fatiche d'Eurolega poteva aver illuso qualcuno in Puglia. Mi dispiace invece che il tecnico serbo non abbia capito qualcosa di semplicissimo ossia che, se è vero che l'allenatore ospite ha diritto di parola per primo in conferenza post partita, tale diritto non equivalga ad un privilegio. Dopo oltre dieci minuti d'attesa e con giocatori desiderosi di farsi una doccia calda per evitare anche dei malanni, Sakota ancora non si era presentato ai microfoni. E quando l'ha fatto, per prima cosa ha invocato un "rispetto" che gli è sicuramente dovuto per il ruolo ma che non può essere preteso come garanzia assoluta. Perché in fondo anche un allenatore che tarda alle interviste manca di rispetto verso qualcuno ossia la stampa, che è in attesa di poter compiere il proprio lavoro.
  2. Rivedere in campo Achille Polonara, anche se calvo e con la fascetta, è un qualcosa di meraviglioso. Compresa la tripla infilata negli ultimi minuti di Virtus-Derthona. Sarà pure colpa della memoria di un passato che non vuole andarsene dalla mia mente, ma non sono ancora riuscito a dimenticare quanto avvenne al dolce e sfortunato Paolone Barlera, che vestì la stessa maglia e fu portato via ancora ragazzo da quella bastarda della malattia. Achille è tornato dall'abisso del male, dalla paura di non farcela, dai dubbi legati all'operazione oltre che ai tempi ed alle modalità di recupero. Riaverlo sul parquet è una vittoria per tutta l'Italia del basket.
  3. Siccome c'è chi continua a ripetere pappagallescamente che Treviso ha bisogno di un centro, vorrei spendere due parole su Derek Cooke. Sì, lui, il centro puro che più puro non ce n'è, che un anno fa era abbonato al peggior voto in pagella in una Nutribullet che viveva e moriva dell'estro del singolo e non del gioco collettivo. A Trento Cooke agisce da 5 difensivo, con compiti di protezione dell'area e con zero giochi offensivi. Se segna, è per occasionali scarichi nel pitturato o su rimbalzo offensivo. Però con Cooke a coprire le spalle ad un pivot offensivo come Paul Biligha (e senza ali piccole stante il forfait di Alviti e Stephens), l'Aquila vola e ha triturato una Venezia sempre più brutta e sempre meno solida. Dimostrazione di come un pivot da solo non risolva nulla e di come sia necessario avere delle guardie capaci di trattare la palla - Prentiss Hubb ad esempio - per ottenere risultati dai lunghi.
  4. E visto che ci siamo, due paroline su certi presunti esperti e soloni. Gente che capisce pochino di basket (altrimenti non si spiegherebbe il tormentone "serve un centro!") e che non perde occasione per sfruttare l'ampio accesso alla rete internet per sparare sentenze a casaccio. Compreso quanto scritto in questo blog, talvolta definito come "sbrodolate". A lorsignori ricordo come l'esercizio della lettura non sia obbligatorio ma facoltativo, per cui se non gli comoda quanto viene espresso qua dentro possono benissimo fare a meno di leggere e poi di commentare. D'altronde, se non capiscono concetti basilari quali l'importanza della circolazione di palla o dell'aiuto delle guardie tanto in difesa quanto nella costruzione del gioco, come possono permettersi di disquisire dei contenuti di questo spazio virtuale? Per loro vale sempre la massima di Sergio Tavcar: "Il basket è uno sport logico per gente intelligente. Se non ci arrivi, lascia perdere".

(photo credit: Gregolin per Treviso Basket)