martedì 20 maggio 2014

Amarezza

E così è terminata la stagione 2013/'14 per TVB. Non un bell'epilogo, diciamolo. L'ultima partita dell'annata ha sciorinato e sintetizzato tutti i mali della squadra che la stessa si è trascinata per nove mesi, senza una reale cura, senza un vero cambio di rotta. Non si poteva salire, inutile ambire ad una promozione che si contenderanno - giustamente - quelle formazioni che hanno dimostrato di essere realmente squadra. Nella chimica prima ancora che nei nomi.

La De' Longhi 2013/'14 va in archivio come un meraviglioso album di figurine in cui però mancava sempre non tanto il campionissimo ma l'elemento raro, l'introvabile della situazione. Non si trattava di un giocatore. Bensì della logica. Squadra bella, quella trevigiana, scorrendo i nomi. Quasi tutti del territorio, molti con un passato importante anche in Serie A. Presi singolarmente, il meglio del mercato. Guardie veloci e con punti nelle mani o dalla spiccata fisicità. Ali dotate di tiro piazzato dall'arco. Lunghi dinamici. Addirittura un play purissimo, materiale insolito in B2 - scusate, non ce la faccio a chiamarla DNB. 
Tutto inutile. Non per sfortuna, anche se gli infortuni hanno colpito duro. Semplicemente si sono commessi errori marchiani a livello di progettazione e di costruzione.

Di chi la colpa? Di tanti. Sicuramente di chi ha scelto di mixare vecchi marpioni completamente digiuni della categoria con giovani di belle prospettive altrettanto inesperti. Il risultato è stata una formazione completamente illogica. In un campionato in cui tutti utilizzano tre guardie, Treviso è stata l'unica a proporre un'ala piccola di ruolo - anzi, anche Udine era caduta in errore, rimediando dopo qualche settimana inserendo Gueye, tagliando Miniussi e spostando Munini in 4 tattico. 
Poi, la decisione di partire con un'ala-centro, un centro adattabile a 4 ed un pivot imberbe da sgrezzare. Con il breve innesto in corsa di un altro 5, durato tre partite prima di salutare tutti e tornare più in alto. Alla fine, il migliore del lotto è stato il teorico cambio del 3, che invece si è rivelato più adatto a giocare nel pitturato. Forse perché era uno dei due soli biancocelesti ad aver già affrontato la B2. Vincendola, tra l'altro.

Quando si è deciso di intervenire sul mercato, lo si è fatto forse più in preda alla frenesia del momento, all'emozione, alla sensazione di dover fare qualcosa per cambiare verso alla stagione. Da qui, l'innesto di Svoboda: positivo ma tardivo. Ed inutile, alla fine, ma solo perché l'argentino ha un credito aperto con la forma fisica ideale (prima il ginocchio, ora la schiena). Ed a seguire il cambio tecnico: fuori uno degli architetti estivi, peraltro costretto spesso e volentieri a mediare tra le ambizioni societarie e la necessità di far crescere sia il gruppo che i giovani; dentro un allenatore più energico. In ambo i casi, risultati pratici raccolti assai effimeri. A dimostrazione che l'errore era nelle fondamenta della casa, non nella scelta delle tegole o delle piastrelle. 

Stagione strana. Da possibile ammazza-campionato a prima vittima dei playoff. Speculare alla solita rivale, la Fortitudo, anche lei decisa a cambiare in corsa (almeno, il coach) ed uscita subito dalla contesa per mano di Cento. Suona quasi buffo, ora, che la Federazione abbia stravolto i gironi in estate per tener separate due realtà che, fossero state messe in un unico gruppo, avrebbero potuto calamitare l'intera attenzione della B2 lasciando le briciole agli altri. I felsinei hanno già fatto capire che ripartiranno da dove sono per tentare la scalata l'anno prossimo. E Treviso, cosa farà? Andrà a caccia di un titolo come la scorsa estate, quando dopo tre assalti andati a vuoto si preferì attendere la decisione della FIP? Si spererà in un ripescaggio (prospettiva azzardata)? Ci si rimboccherà le maniche per costruire una squadra meno trevigiana ma più adatta al contesto di fondo? Bisogna solo attendere.

Nel frattempo ci si può consolare con l'ottimo lavoro svolto a livello societario, il Consorzio che cresce, gli sponsor che aumentano, il settore giovanile che finalmente diventa tale grazie al sacrificio della Trevigiana. Note liete che mitigano l'amarezza per aver visto lo scempio di gara3. Sperando che sia servita di lezione.  

giovedì 8 maggio 2014

Tra polizia e pulizia

Verrebbe voglia, ad essere al contempo religiosi e sarcastici, di intitolare d'ora in avanti la giornata dell'8 maggio a Santa Manetta. Non sfogliate gli almanacchi cattolici: non c'è. Si tratta solo della concomitanza, nel giro di poche ore, di arresti più o meno "eccellenti", come si suol dire. L'ex ministro Scajola, il gruppo dell'Expo (tra volti più o meno noti). E Ferdinando Minucci, divinità decaduta della pallalcesto nostrana. 

Non essendo questo un blog politico, sorvolo sui primi due fatti di cronaca giudiziaria e mi focalizzo sul terzo. Accuse ed ipotesi d'indagine sono pesanti. Si parla apertamente di associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale. Si mormora di ipotesi di bancarotta fraudolenta. Questioni serie, non bagatelle. In mezzo, lui. C'è chi lo ha chiamato genio, chi Nosferatu il Vampiro - forse per una vaga somiglianza con Bela Lugosi (che però fu Dracula) o forse per l'abitudine di azzannare avversari alla giugulare lasciandoli esanimi sul parquet. Poco importa.

Di Minucci ricordo alcuni episodi non esattamente edificanti o piacevoli. Quando diede in escandescenze in una partita di Eurolega contro un arbitro. Quando apostrofò in maniera volgare rimanendo composto il pubblico avversario che lo contestava - mai un Gherardini, un Crovetti, un Lefebre, un Arrigoni o un Sarti si sarebbe permesso tanto, e questo forse dice molto della differenza di spessore. Quando, vietatogli dai fischietti l'abituale seggiolino a fondo panchina, si accomodò con moglie e scorta al seguito prima nel tunnel degli spogliatoi (e Facchini a fare "no no" con il ditino), poi in tribuna stampa (e lì, contestazione sonora a pioggia dai tifosi soprastanti), infine in un salottino - episodio che fu rimarcato in maniera esagerata e vittimistica da una parte della stampa senese.

Di Minucci ricordo anche altro. Ricordo che la figlia aveva avviato, parecchi anni fa, una agenzia di marketing in società con la rampolla dell'allora presidente virtussino Madrigali (brutta storia anche quella). Ricordo che in alcuni annuari della Legabasket la consorte figurava come "responsabile del sito ufficiale e della rilevazione statistica"(!). Ricordo che a febbraio 2007, dopo una incredibile beffa ai danni della sua lanciatissima squadra nelle F8 di Coppa Italia che si fece rimontare sedici punti di vantaggio e superare sulla sirena da una tripla di Teo Soragna, si presentò a sporgere denuncia per il reato di frode sportiva presso la stazione dei Carabinieri di Casalecchio di Reno. Un atto, quest'ultimo, che avrebbe avviato la stagione dei grandi scandali nel basket: firme false, bilanci rimaneggiati, fidejussioni non valide, clamorosi crack societari.

Personaggio curioso, Ferdinando Minucci. Osannato da alcuni, detestato da altri. Sicuramente influente, per almeno una quindicina d'anni, da quando ristrutturò una Mens Sana sino ad allora abituata a sopravvivere con le briciole e le croste di pane che cadevano dalla tovaglia del tessuto economico italiano, portandola ad essere bandiera della terza banca nazionale. Anche nella sua Siena c'era e c'è qualcuno che non ha mai lesinato feroci critiche, sempre nel merito, e sollevato qualche dubbio. Quando la Mens Sana era una potenza inattaccabile, queste poche  voci fuori dal coro erano bollate come pessimistiche, disinformatrici, diffamatorie, invidiose. Oggi vengono riscoperte.

Bisogna dirlo: vedere l'ex uomo più potente del basket italiano dell'ultimo decennio (con buona pace dei vari Petrucci, Meneghin, Maifredi, Renzi) entrare ed uscire in manette dal Comando della Guardia di Finanza fa un certo effetto. Al di là della giacca gettata sui polsi a coprire le manette, dello sguardo fisso ma non triste, del sorriso abbozzato di fronte alle poche domande della stampa prima di entrare nella vettura di servizio. Soprattutto, quel che stupisce è che appena due mesi fa quattordici delle sedici società di Serie A avessero scelto questa persona come futuro presidente del collettivo, carica che ora diventa vacante e per la quale si fanno nomi di ogni tipo, da Stefano Domenicali a Claudio Coldebella passando per Maurizio Gherardini. E qui meritano un giusto applauso gli unici due presidenti che si opposero, Villalta e Toti: forse per antipatia personale, forse per lungimiranza. In ogni caso, fuori dal coro. E bisogna riconoscerglielo.

L'arresto di Minucci chiude un'epoca. Si spera, almeno. E l'altro augurio è che sia l'evento non conclusivo ma iniziale per un sano repulisti all'interno del basket italiano, in coma farmacologico da un bel po' di tempo. Viceversa, potrebbe essere solo l'ennesima occasione sprecata, con un singolo a pagare un po' per tutti. Chi sicuramente resta scottato è il tifoso. Anzi, distinguiamo. I sostenitori delle squadre bastonate sul campo da Siena dal 2006 ad oggi già sono in tumulto, e si capisce perché. Quelli della Mens Sana sono uniti nell'incazzatura ma divisi tra chi sospettava da tempo, chi incensava ed ora cade dal pero e chi propende alla via di mezzo. Si parla di revoca di titoli vinti, di cancellazione del club, di ripartenza dal basso. Brutto per chi si vede scippare una passione di alto livello, ma ci sono passati in tanti negli ultimi anni. Giusto, almeno per quanto riguarda la necessità di resettare e rifare tutto, valutando che in situazioni simili o differenti non si è avuto pietà né eccessivo occhio di riguardo. In ogni caso, serve pulizia e non solo polizia. Altrimenti, come spesso accade, dell'iceberg si guarderà solo la punta senza accorgersi della massa sommersa.