domenica 5 maggio 2024

Missione compiuta

Ce l'ha fatta. Treviso Basket ha mantenuto la categoria. Incurante dello 0-9 iniziale, degli errori commessi in fase di assemblaggio della nuova squadra, della scelta sbagliata di Camara, del mostruoso ritardo di forma di Harrison, delle batoste prese prima e durante. Il merito non è del singolo - stesso discorso di un anno fa, perché al di là del 2+1 di Banks contro Bologna ci volle del gran lavoro di squadra per arrivare a quel punto. Semmai, come sottolineato da Morea e Consoli nell'ultimo post partita di stagione, è una questione da suddividere in tantissime parti, tra pacche sulle spalle e responsabilità anche negative. Se c'è qualcosa che davvero non ha funzionato, quella è stata la comunicazione in preseason: nessuna colpa di Simone Fregonese, che poi ha salutato la compagnia per dedicarsi al 100% all'Imoco fresca campionessa europea; piuttosto si è sbagliato a parlare anche solo di sfuggita di playoff, rendendo quell'avvio difficoltoso ancor più deludente e amaro. E qui evito di soffermarmi su altre uscite infelici cammin facendo.

Preferisco fissare il focus di questo intervento su alcune facce, alcune situazioni, alcuni momenti salienti. Mi pare chiaro che uno dei motivi di fondo di questa salvezza abbia la faccia molto baltica e i movimenti felpati di Osvaldas Olisevicius. L'uomo che Reggio Emilia non voleva più, al punto da pagargli qualche mensilità e un robusto conguaglio di stipendio pur di liberarsene, ha svoltato la stagione della Nutribullet. Non che ci volesse granché, almeno a guardare il suo predecessore, una ex prima scelta (per caso...) della NBA che da tempo si è perse per strada, incapace di trovare uno stato di forma accettabile e un minimo di equilibrio mentale e comportamentale. James Young III doveva essere la spalla ideale di Harrison e Bowman, il realizzatore di razza col tiro apriscatole mixato a una fisicità importante per il ruolo. A Treviso di tutto ciò non si è visto quasi nulla - eccezione l'exploit contro Scafati dello scorso 5 novembre all'interno comunque di un ko - e a Varese ancor meno. Ecco, forse il miglior colpo di mercato del diesse Giofrè è stato convincere i lombardi ad accollarsi un paio di mensilità della peggior ala piccola mai vista nella Marca, un peso massimo che ha quasi fatto rimpiangere DeCosey, Cooke III e Carroll, giusto per restare nel ruolo. 

Ma Young III non era stato l'unico abbaglio estivo. C'era stato anche Deishuan Booker, un imberbe esterno che non ha capito in cosa consista giocare da playmaker. L'abbaglio era risultato colossale in preseason, compresa una partita a Jesolo in cui la squadra aveva collezionato un solo assist complessivo(!), dato che venne minimizzato come un errore dei rilevatori statistici. In realtà l'assenza di una cabina di regia affidabile era un qualcosa di evidente a chiunque e solo mascherato dal buon debutto in campionato al Forum: contro una Milano anch'essa vittima di scelte sballate tra i playmaker (e corrette soltanto dal ritorno di Napier a bocce in movimento), la doppia-doppia di Booker aveva illuso tutti. Salvo essere riportati sulla terra neanche una settimana dopo con la stoppata subita dal treccioluto ragazzino del Nevada che nei minuti iniziali del match interno contro Brescia aveva ricevuto un deciso "benvenuto!" da parte di Semaj Christon. Da quel momento in avanti, Booker si era perso senza più ritrovarsi, col doppio capolavoro al contrario di farsi espellere nel derby prima dell'intervallo, contribuendo così a perdere una gara sin lì controllata, e di uscire per falli una settimana dopo a Reggio Emilia nel culmine di un match delicatissimo.

Booker e Young III non erano le persone giuste. Lo si sono rivelate, pur con qualche comprensibile problema, Olisevicius e Scoop Robinson. Il merito del secondo è di aver dato un minimo di ordine alla manovra offensiva all'interno di una banda con due solisti (Harrison e Bowman) e tanti ottimi gregari capaci di diventare protagonisti per tornare poi dietro le quinte. Dopo lo 0-8 dei due disgraziati di cui sopra, con i loro rimpiazzi la squadra ha raccolto un 12-10 che somiglia molto al ruolino di chi lotta per i playoff. E qui un applauso va alla società, che ha saputo far quadrato quando l'opzione più semplice avrebbe virato verso un esonero, e a Frank Vitucci. Che non credo avesse preventivato una stagione così tribolata, eppure è riuscito a tenere dritta la barra incurante delle tempeste, delle imbarcate, delle "voci" e di chi quelle "voci" le cavalcava a dispetto del ruolo ricoperto. Frank ha tenuto il gruppo unito, ha esaltato le doti migliori cercando di coprire le falle che si aprivano. E alla fine ha applicato il più vecchio trucco del mondo ossia accorciare le rotazioni ricorrendo allo smallball più atipico che si sia visto.

Temo che il pubblico del Palaverde non rivedrà più diversi protagonisti di questa annata così assurda. O almeno, non li rivedrà con la propria maglia addosso. Pauly Paulicap ad esempio è la nota più lieta: una storia da favola la sua, tra l'infanzia difficilissima a New York, la tardiva scoperta del basket, un anno da rookie a Cipro (che è un'isola bellissima ma anche sede di uno dei campionati nazionali FIBA di valore più basso) e l'arrivo a Treviso con l'etichetta di scommessa a basso costo. Con buona pace dei suoi pochi e ben noti detrattori, c'è molto di Paulicap nella salvezza di TvB 2023-24, dalla mostruosa prestazione di dicembre contro Trento alla partita di Pistoia passando per una crescita personale certificata dai miglioramenti in lunetta e nelle letture del gioco. Poi c'è Terry Allen, un tuttofare che si è adattato persino a giocare da 5 (ruolo a lui sgradito) per aiutare la squadra. Su di lui più di un club ha già preso informazioni, quindi è difficile che possa restare a Treviso.

La salvezza ovviamente è passata per le mani di Bowman e Harrison. Il primo ha suonato la carica a dicembre, poi ha avuto diversi passaggi a vuoto compensati da esplosioni realizzative e atletiche qua e là (che dire delle sue stoppate impossibili?) e da canestri decisivi - ricordate la bomba finale a Varese? - e da un maggior inserimento nei giochi. Il secondo si è destato nel girone di ritorno, a cominciare dalle partite con Sassari e a Scafati per poi convincere Vitucci a riportarlo in quintetto base. Anche nel caso di D'Angelo si è vista una trasformazione in corso d'opera, è sparito il pericoloso nervosismo dei primi tre mesi per lasciar spazio a un esterno più calato nella parte, capace di caricarsi la squadra sulle spalle nel momento critico ma senza incappare in trappole comportamentali. Per lui il flash è una delle giocate conclusive contro Tortona quando rinuncia a un canestro per servire l'assist a Bowman. C'è solo da chiedersi che campionato sarebbe stato se da ottobre a inizio gennaio non si fosse vista la brutta copia indolente, scazzata, litigiosa, isolata di Harrison.

E poi c'è capitan Zanelli. Un anno fa aveva marchiato a fuoco la salvezza con quella bomba assurda, tirata quasi per disperazione contro la Virtus. Anche stavolta una sua tripla ha svoltato la stagione, quella della vittoria a Trento a metà febbraio. Lo ha ribadito anche Mattia Consoli, lì la stagione di Treviso ha conosciuto una svolta. La scorsa estate si erano uditi degli spifferi sul conto del mottense, pareva sacrificabile per dei diversi equilibri di una formazione praticamente rifondata da zero. Invece è rimasto al suo posto, leader dello spogliatoio, cambio di intensità e di lucidità in diversi frangenti, prezioso in tante piccole cose. Chissà se ci sarà ancora spazio per lui... così come per Leo Faggian che ha passato una stagione più a guardare che a giocare. Demerito anche suo, dovrebbe lavorare sul tiro e sul primo passo per diventare davvero un giocatore da Serie A. Un anno fa a suo vantaggio giocò l'effetto sorpresa, nessuno lo conosceva e quindi ebbe ampi spazi e responsabilità. Ora la musica è cambiata e senza dei decisi miglioramenti dovrà decidere cosa fare. Chi invece ha il posto garantito è Andrea Mezzanotte il cui biennale lo mette al riparo dal rischio di dover salutare la compagnia. Il bergamasco è stato spesso croce e talvolta delizia, gli manca sempre l'agognata continuità di rendimento però si è adattato a situazioni tattiche meno congeniali dimostrando un pizzico di abnegazione. 

Questa salvezza è anche la prima per Matteo Contento nelle vesti di presidente. Il passaggio di poteri in corsa con Paolo Vazzoler, cui vanno i miei auguri, poteva essere scombussolante per l'ambiente. Invece Matteo si è calato in punta di piedi, ricordando che in fondo c'è sempre stato anche se con un ruolo quasi da ombra. Il bilancio sportivo per lui è in attivo (6 vittorie, 4 sconfitte, categoria mantenuta) e da qui si ripartirà ché il suo mandato scadrà a giugno 2025. Al suo fianco avrà una società sempre solida e che nel tempo ha introdotto alcune figure nuove ma che richiedere sempre di compiere quell'ultimo passo in avanti per completare la transizione in realtà consolidata. I rinnovi delle sponsorship della scorsa estate sono stati importanti, ora occorre pianificare con raziocinio. Gli exploit sono sempre possibili, in ambo le direzioni: con un budget inferiore Cremona si è salvata in scioltezza e Pistoia si è qualificata per Coppa Italia e playoff; con una maggiore capacità di spesa l'anno scorso è scesa Trieste e quest'anno ha rischiato Sassari mentre Tortona ha fallito l'aggancio alla Coppa Italia ed è entrata nel ballo-scudetto solo alla penultima giornata. Per spendere bene occorre capire come, dove, quando, perché e su chi o cosa investire. Ma non in maniera episodica, semmai con costanza. Il rovescio della medaglia è tramutarsi in Pesaro che prima della retrocessione odierna ha conosciuto sette tribolatissime stagioni con salvezze in extremis, qualche raro lampo (2021, finale di Coppa Italia) e il beneficio dello stop da Covid quando era ultima con una sola vittoria in carniere. L'esempio della Vuelle e di una gestione oculata nei costi ma poco programmatica deve essere da monito se Treviso ambisce a consolidarsi in LBA.

lunedì 19 febbraio 2024

Vedi Napoli e poi...

Per il secondo anno di fila riparto da Torino col sorriso. Dodici mesi fa ero contentissimo per la Brescia di coach Magro, per un sistema di gioco frizzante che esaltava gli esterni, per la consegna del trofeo nelle mani di una realtà desiderosa di elevare il livello competitivo. Oggi sono ancor più felice per la vittoria di Napoli. Che a dispetto dei desiderata del club partenopeo attuale non è esattamente la continuazione della defunta società che nel 2006 ottenne applausi a scena aperta a Forlì. Quella convenzione accettata da LBA ma respinta (è ovvio: codici diversi) da FIP porta a qualche equivoco pericoloso - per fortuna non si è scomodata la Partenope, vincitrice della prima coccarda della storia e oggi esistente anche se militante in basse categorie.

Ha vinto Napoli. Ha vinto il suo pubblico: bello, colorato, giustamente rumoroso, entusiasta, capace di riempire intere tribune del palasport olimpico che è un esempio di eccellenza e non la normalità italiana - e qui ha ragione Umberto Gandini, presidente di LBA, quando dice che occorre dimostrare con i numeri e i successi che le strutture esistenti e utilizzate sono nella larga maggioranza dei casi vecchie e inadeguate e che serve maggiore attenzione da parte delle amministrazioni regionali e locali. Gli fanno eco le parole del numero uno partenopeo Federico Grassi, una delle firme di questo fragoroso e meritatissimo successo: "Ci serve una nuova arena per fare l'effettivo salto di qualità. Ci stiamo provando".

Ecco, quel che a Napoli manca non è la passione. Nemmeno i soldi, per quanto lo stesso Grassi auspichi l'ingresso di nuovi soci nel club - il bilancio 2022-23 si è chiuso con un budget da 5 milioni di euro, in linea quindi con l'ampia area di realtà di media classifica. Manca l'impiantistica. E non da ieri. Il PalaBarbuto ha già compiuto vent'anni: doveva essere una struttura temporanea in attesa del completo rifacimento del "Mario Argento". Purtroppo quest'ultimo non esiste più, i ruderi delle sue gradinate principali sono il triste ricordo di ciò che era e che di ciò che non sarà più, azzerato dai rinvii burocratici e dagli errori di calcolo antisismico più che dalle ruspe. Di fronte c'è il prefabbricato innalzato sugli ex parcheggi dell'arena che fu teatro prima della Partenope e poi della creatura di Renzo De Piano. Il PalaBarbuto ha accompagnato un'altra Napoli, quella già ricordata di Mario Maione: era la vecchia Pozzuoli che aveva cambiato prima denominazione e poi sede, trasferendosi da Monteruscello. Una Napoli bella ma incapace di consolidarsi, tanto da morire appena due anni dopo quella Coppa Italia, assassinata dall'eccessiva voglia di crescere a dispetto di criticità evidenti. Dai costi di adeguamento del Barbuto alla cancellazione del nuovo Argento passando per un'Eurolega che da vetrina continentale si era trasformata in una voragine di conti in rosso da saldare.

Questa Napoli sembra diversa. Ha faticato molto nei suoi primi due anni di LBA. Ha cambiato forse anche troppo, tra il 2021 e il 2023. Ora con le persone giuste ha trovato la quadratura. Parlo di Alessandro Dalla Salda, che fu architetto della Reggio Emilia brillante e vincente di Max Menetti. E di Igor Milicic, il coach balcanico che sotto il Vesuvio ha portato un sorriso contagioso, una mimica in panchina da istrione, una voglia di fare pazzesca e idee belle, fresche, coinvolgenti. A lui si devono le scelte estive, da Tyler Ennis che di questa GeVi è il motore di spinta, il rimbalzista aggiunto, il metronomo, a Jacob Pullen che conosce bene il Piemonte (sbarcò a Biella, chiamato da Marco Atripaldi, subito dopo il college nel 2011) passando per Tomislav Zubcic, il veterano che varia il gioco con la sua capacità di agire da play occulto.

E poi c'è lui. Michal Sokolowski, il Techno Vichingo, l'uomo venuto dal freddo che si dimostra glaciale nei momenti caldi. Come per la bomba in transizione che spedisce al supplementare il confronto con la Reggiana in semifinale, una gara trascorsa ad inseguire sino all'apoteosi del prolungamento. O come in finale, quando per 35 minuti annulla Shavon Shields, il barometro di Milano che difatti impazzisce e per quasi tutta la partita non trova una soluzione efficace. Il tutto nonostante la fasciatura al gomito per proteggere quattro punti di sutura che volano via, complici i contatti duri. La macchia di sangue che si allarga sutto i bendaggi, lo staff medico che lo fascia nuovamente, Soko che incurante di tutto torna in campo perché il lavoro non è finito finché l'ultima sirena non è suonata. Vi regalo una chicca: giovedì sera, finita la partita contro Brescia, chiedo a Michal se sia stanco dopo aver giocato 37 minuti di pazzesca intensità contro una delle corazzate del nostro campionato. "Stanco? Per nulla. Ho altre due gare da giocare. Ci vediamo domenica". Quelle parole potevano suonare come una sparata un po' guascona, invece sono state profetiche.

Sokolowski non è mai cambiato. Era così anche a Treviso prima che accadessero certe cose, prima che un sistema collaudato saltasse per la presenza di elementi di instabilità, prima che certe promesse venissero disattese, prima che una squadra costruita sull'intelligenza (lui, Imbrò, Chillo) venisse smantellata pezzo dopo pezzo in nome e per conto di un allenatore che aveva altre idee. Tutti purtroppo ricordano il Sokolowski scazzato, nervoso, scostante del suo ultimo periodo trevigiano. Pochi si domandano i motivi della metamorfosi di un giocatore intelligente e freddo, reduce tra l'altro da un Europeo da protagonista, in un elemento quasi di disturbo. Sarebbe bastato cogliere i segnali giusti al tempo giusto, evitare di mobbizzare il polacco per forzarlo ad uscire dal contratto - se non lo sapete, nell'estate 2022 TvB provò a cederlo proprio a Napoli a sua insaputa, ma l'affare saltò. 

Sarebbe bastato pochissimo per evitare la frattura insanabile. Sarebbe stato sufficiente non giubilare Francesco Tabellini, che in questi giorni ha riportato Nymburk a vincere la Coppa della Repubblica Ceca. Sarebbe bastato affidarsi ad un capoallenatore un po' più attento alla tattica e alla gestione di alcuni giocatori. E con queste premesse non solo Sokolowski non avrebbe litigato col mondo, agenzia inclusa, ma anche Imbrò e Chillo (quest'ultimo vero motivo del vantaggio reggiano in semifinale fino alla propria uscita per 5 falli) sarebbero rimasti. Come detto, non occorreva rivoluzionare tutto e ripartire ogni volta dal classico foglio bianco. Napoli l'ha fatto in estate per una questione di ciclo tecnico da riavviare. Treviso lo ha fatto due volte negli ultimi due anni, prima per questioni di budget e poi per dare carta bianca ad un nuovo corso condizionato purtroppo da troppi errori di valutazione. Conoscendo Milicic e Sokolowski so che stanno già pensando alla finestra FIBA, prossimo impegno della comune militanza con la Nazionale polacca.. Non gliene frega nulla, almeno dell'immediato, del prossimo impegno casalingo di campionato, a mezzogiorno e mezzo di domenica 3 marzo. Quando al PalaBarbuto arriverà Treviso per l'ennesimo incrocio tra destini opposti, filosofie diverse e conduzioni parallele.

lunedì 5 febbraio 2024

SOS spurghi

Non scommetto un euro dal 1999, ossia da quando un libero di Alessandro Abbio in una partita di Eurolega mi fece perdere un pronostico a quattro sulle Coppe in cui puntando diecimila lire ne avrei vinto duecentomila. Da allora ho detto basta, neanche un cent. Però se dovessi rompere il proponimento che ha appena compiuto un quarto di secolo, scommetterei sicuro su un qualcosa che mi farebbe vincere facile. Ad esempio sul fatto che nessuno ha colto l'essenza delle parole pronunciate da Matteo Boniciolli dopo la vittoria casalinga di domenica contro Pesaro. Il tecnico triestino è verace, sanguigno, iperteso come il sottoscritto (e forse per questo provo empatia nei suoi confronti) ma prima di tutto è una persona dall'intelligenza superiore. E lo ha dimostrato utilizzando le giuste parole quando ha definito il world wide web come una vera e propria "fogna". Da cui emerge di tutto e di più, soprattutto il peggio. Così nel dopopartita al PalaMangano l'allenatore della Givova ha voluto rimarcare l'idiozia imperante oramai da anni, alimentata dai sempre più invadenti social che hanno dato diritto d'espressione anche al più ignorante, al più analfabeta, al più impresentabile dei tifosi. Che si sente autorizzato a commentare qualunque cosa, ovviamente a sproposito.

Su Logan e Scafati se ne sono lette di tutti i colori. Che David avrebbe litigato nello spogliatoio o addirittura col coach. Che c'erano problemi di stipendi non pagati. Che mancava chiarezza sulla sua decisione di ritirarsi. Boniciolli ha sgombrato il campo, non fossero bastate le parole di Nello Longobardi: nessuna dietrologia pelosa, nessun complotto, nessuna lite né morosità. Semplicemente il giocatore ha sentito che era giunto il momento di smettere. Per carità, si può discutere dei modi e delle tempistiche con cui questa decisione è maturata e su quali effetti immediati ha prodotto. Tuttavia la vicenda si mantiene limpida nella sua sostanzialità. Al contrario delle schifezze che si leggono online partorite da presunti esperti, tuttologi emersi non si sa da dove, profani della materia che pensano di poter criticare tutto con la pretesa di essere ascoltati e ritenuti credibili.

Le parole di Boniciolli, a cominciare da quella "fogna" invocata per descrivere il web, si adattano a meraviglia al post partita di Treviso-Virtus in cui Frank Vitucci si è giustamente arrabbiato per l'ultima idiozia piovuta dal mondo dei social. Se è vero che chiedere è lecito e rispondere cortesia, è altrettanto vero che chi compie il mestiere di giornalista (e lo dico a ragion veduta) dovrebbe saper distinguere tra questioni rilevanti e chiacchiericcio da bar. Non ha senso domandare ad un allenatore cosa pensi delle stupidate scritte sul mercato o su presunte dimissioni invocate da Tizio o Caio o Sempronio in un sito o in un forum. Se durante la partita ci fossero state delle contestazioni, sonore o con striscioni, la domanda avrebbe avuto un fondamento. Così invece significa solo stuzzicare. Ed il nostro mestiere non è quello di far arrabbiare chi intervistiamo ma di ricavare notizie.

Occorre tuttavia sottolineare come il malvezzo del gossip e della cazzata spacciata per notizia abbia preso il sopravvento. Sono molte le testate giornalistiche (o i blog che fanno informazione) che puntano sul sensazionalismo solleticando gli appetiti peggiori del pubblico. Il clickbaiting è la morte del giornalismo, con colleghi che vendono la dignità della professione per un titolone inutilmente clamoroso. O per domande assurde che in altri tempi sarebbero costate un richiamo dalla Disciplinare. La reazione umana di Frank Vitucci è stata dura e censurabile nei toni, ma comprensibile e giustificabile. Da uomo di cultura e conoscitore del giornalismo - suo fratello Alberto è una colonna di un noto quotidiano regionale - Frank ha ribadito una ovvietà: le chiacchiere da bar non sono giornalismo. E mi dà fastidio non solo che una conferenza stampa sia sfociata in tutt'altro per una dabbenaggine di un collega, ma anche che altri colleghi abbiano rilanciato la vicenda col solo intento di cavalcare la tigre dell'arrabbiatura pubblica e delle successive reazioni dell'utenza media. Che, ribadisco, dimostra di non aver capito una sillaba delle parole pronunciate appena 24 ore fa da Matteo Boniciolli.

Ad essere cinici verrebbe da citare quel vecchio adagio: "chi è causa del suo mal, pianga sé stesso". Treviso Basket nacque sui social e attraverso i social. Prima i video del marzo 2012, poi la pagina Facebook per l'azionariato popolare. Iniziative sane e degne che restituirono il senso di appartenenza alla comunità. Da allora però si è esagerato, trasformando qualunque occasione pubblica in uno show a beneficio del pubblico perennemente collegato dagli smartphone. Pubblico che, allargando in maniera eccessiva il concetto di proprietà morale del progetto TvB, ha iniziato a commentare sempre più invocando un diritto che non possiede. Ossia quello di pretendere qualcosa. Che siano delle "spiegazioni" per decisioni societarie o per movimenti di mercato, poco importa. Quella pretesa rappresenta il passaggio del Rubicone, da lì non si è più tornati indietro. I risultati si vedono oggi, con una pletora di commenti sdegnati per una censura magari antipatica ma necessaria, una volta oltrepassato il segno.

Lasciatemi dire ancora qualcosa. Innanzitutto che è ora di finirla con le pretese dei signori nessuno che nel web si arrogano diritti che non hanno. Il diritto di critica è sacrosanto ma non deve travalicare i limiti indotti dalle differenze di preparazione e di condizione lavorativa. Altrimenti si torna alla massima di Zare Markovski illustrata poco tempo fa in queste pagine sulla distanza esistente tra spettatori e attori. Poi sarebbe utile rileggere con maggiore attenzione le parole di Boniciolli sull'insussistenza di importanza dei social: lo dovrebbero fare tutti, da chi scrive sproloqui ai colleghi che vi attingono neanche fosse la Sentenza Decalogo sino agli addetti ai lavori che (seppur con un fastidio che comprendo) si lasciano trasportare dalla rabbia nel rispondere a domande che andrebbero lasciate cadere nel dimenticatoio. Visto che si è parlato di fogne, l'extrema ratio è chiamare il servizio spurghi: nulla di meglio contro scarichi intasati, residui maleodoranti e situazioni imbarazzanti. 

sabato 27 gennaio 2024

Rocco e i suoi fratelli

Dopo la sconfitta al fotofinish di Treviso Basket al PalaMangano di Scafati leggo che i soliti espertoni da bar dello sport si arroccano sull'unica questione pseudo-tattica che riescono ad invocare: la presunta assenza di un pivot nelle fila della Nutribullet. Fa ancor più sorridere, questo sfoggio di insistito analfabetismo cestistico, analizzando proprio la partita giocata da TvB in Campania. In particolare la clamorosa rimonta dell'ultimo quarto, dal -19 (ed era -21 prima del canestro di Mezzanotte per il 79-60) sino a 93 pari. L'ABC della pallacanestro insegna che nei momenti di difficoltà si deve abbassare il quintetto. Traduzione per chi fatica a capire: niente lunghi di ruolo, 4 esterni e un'ala grande per favorire il movimento di palla, sbilanciare la difesa avversaria, palla in mano ai piccoli per attaccare dal palleggio e tirare da 3; sul fronte opposto, sporcare i giochi con show, raddoppi, recuperi, intercetti. Esattamente quel che ha fatto Treviso che in 9 minuti e 48 secondi è passata dal già ricordato -19 al 93-93, giocando quasi sempre con Olisevicius da ala grande tattica, sfruttando Torresani come appoggio a Zanelli, usando Allen da unico lungo più che Mezzanotte o Paulicap.

Persino un volpone come Matteo Boniciolli ci è cascato. Il tecnico triestino ha visto la sua squadra passare dalla prospettiva di controllare agevolmente un match ormai vinto al rischio di un supplementare. E per controbilanciare una situazione che stava diventando sempre più rischiosa ha accettato di seguire la filosofia del collega Vitucci ossia rinunciare al centro - Gamble, che ha fatto davvero pochino, e l'invisibile Pini - giocando prima con Nunge (neanche parente di quello visto all'andata) e poi con Pinkins, unico a fare qualcosa di davvero positivo. Ora vorrei chiedere, agli assai presunti conoscitori di questo sport: se compito del lungo in attacco in un sistema perimetrale è fare tagliafuori per raccogliere il rimbalzo offensivo, chi ha preso quel pallone decisivo? Un centrone? Un pivottone? Un settepiedi con stabili radici nel pitturato? Nossignori.

Con Pinkins 5, Boniciolli ha spostato Ale Gentile da numero 4. Ed è toccato a lui sfruttare l'arma della fisicità per lucrare su un clamoroso errore difensivo di Harrison, prendere palla e segnare da sotto. Se D'Angelo avesse preso correttamente posizione, forse Gentile non avrebbe fatto il canestro più semplice della sua serata. Quello decisivo. Peccato che con i se e con i ma non si vada da nessuna parte. Ancora una volta semmai si è visto come una squadra costruita per il gioco degli esterni dipenda da una corretta impostazione del play. E va ribadito: tra i due Robinson, quello scafatese ha fatto quel che ha voluto per tre quarti; quello trevigiano si è fatto prendere a pallonate sino a quella, dolorosa, che l'ha rimandato in panchina.

Che la partita sia girata in quel frangente, con l'ingresso di Torresani, non è casuale. Più imprevedibilità, più fluidità, più velocità. Tutto quello che era mancato in precedenza, compresa l'aggressività in retroguardia ché concedere 30 punti in un quarto con canestri in fotocopia da un solo lato sarebbe abbastanza per condannare alla panchina perenne un bel po' di giocatori. Forse con maggiore lucidità da parte di Olisevicius e Allen negli ultimi due minuti, il finale sarebbe stato meno caotico e meno traumatico. Ma ancora una volta occorre ricordare che la partita non sarebbe cambiata con il tanto richiesto (ed inutile) centrone. Sarebbe cambiata con un approccio iniziale differente, con una regia lucida nei primi trenta minuti, con una difesa vera per tre quarti di gara. E con un tagliafuori difensivo ben eseguito su quell'ultima azione. In cui in campo, per precisa scelta tecnica, non c'erano centri né da una parte né dall'altra.

Basta così? Verrebbe voglia di non infierire, magari ricordando che a novembre Scafati sbancò il Palaverde grazie a Janis Strelnieks (out stavolta per turnover degli stranieri) che pivot non è. Il lettone anzi è un play puro, cervello sopraffino, e nel precedente incrocio tra Nutribullet e Givova ridicolizzò l'impresentabile Booker. A dimostrazione di come nel basket attuale idee e lucidità servano più di centimetri, muscoli e intimidazione d'area. Col senno di poi, Boniciolli avrebbe volentieri escluso dai 12 un Nunge da vuoto pneumatico in favore proprio di Strelnieks, ma le circostanze sono state differenti. Treviso non si permette il lusso dello straniero da spedire in tribuna, quindi manda a referto sempre gli stessi. Tuttavia è indubbio che, se avesse potuto scegliere tra Justin Robinson in crisi e Strelnieks lucido, coach Vitucci avrebbe dato carta bianca al baltico.

Lasciando perdere le dietrologie, chiudo il post con una citazione che è una chicca per pochi. Se i famosi presunti esperti, quelli che blaterano di centroni e che affermano di vedere basket da 40 anni, si ricordassero di Zare Markovski, forse avrebbero il pudore di tacere. Siccome la memoria deve difettargli parecchio, gliela rinfresco io. Il coach macedone, che da qualche anno non lavora più nelle prime squadre ma ha scelto di concentrarsi sul mondo delle juniores (a Varese, per la precisione), si fece notare diversi lustri fa per una pepata risposta nel corso di una conferenza stampa. Dopo aver ribattuto a una critica, l'allenatore sentì il suo interlocutore affermare di "aver visto basket per oltre vent'anni". La replica fu da antologia: "Anch'io guardo film porno da vent'anni - disse Markovski - Ma non credo che ciò faccia di me una star del porno così come aver visto basket per vent'anni non fa di lei un allenatore". Game, set and match. Ogni tanto è utile ricordarlo a tutti quelli che pensano di saperne di più dei professionisti del mestiere. A prescindere dal fatto che si tratti di Zare Markovski, di Francesco Vitucci, di Matteo Boniciolli o di Rocco Tano in arte Siffredi.

domenica 14 gennaio 2024

Neanche in CSI

Dedico questo post del blog ad un nickname. No, non sto scherzando: nei giorni scorsi mi sono imbattuto in un anonimo utente all'interno di una piattaforma di discussione di un noto sito informativo a tema cestistico. E cosa faceva questo anonimo utente? Si dedicava a quello che, sbirciando tra i suoi messaggi, dev'essere il suo passatempo preferito ossia diffamare Frank Vitucci. Siccome ogni tanto è bene ristabilire la verità dei fatti, rompendo un piccolo proponimento personale sono intervenuto nella discussione (con nome e cognome, a differenza del nostro amico) dando una piena ricostruzione di quanto distorto dal soggetto in questione. Che, adeguatamente riportato ai suoi modesti confini di chiacchiera senza fondamento, ha pensato di reagire con l'insulto persino verso questo spazio. Salvo poi cancellare tutto, si sa mai che venga voglia di approfondire in altre sedi. Vi lascio il nickname del soggetto ossia un paradossale "Siamoseri": buffo nome, per chi sceglie di raccontare falsità in rete con la pretesa di essere creduto.

Finito il preambolo, passiamo al tema centrale. Anzi, al titolo scelto: il 3 aprile 2022 il ko casalingo di Treviso Basket contro Napoli spalancava la prospettiva di retrocessione ed in tale occasione evidenziai in sala interviste un dato eloquente. Il parziale di 3-20 (sì, tre punti segnati a fronte di venti subiti) nel secondo quarto di quella partita era qualcosa di mai visto in tanti anni di giornalismo sportivo in A e A2. A Max Menetti, che aveva già perso la bussola e stava per essere esonerato, lo dissi chiaramente: "Neanche in CSI". Usai quelle parole conscio del loro peso, ben sapendo che potevano anche risultare sgradite. Ma era la pura verità, toccata con mano negli anni in cui ho concluso la mia indegna carriera di cestista calcando i parquet del campionato CSI. Ebbene, nemmeno nella categoria più amatoriale che ci sia avevo mai visto scempi del genere. Quella sera sperai di non dover mai assistere ad un bis.

Invece dopo quasi due anni, eccoci di nuovo qui. Per carità, questa Brescia è ben più forte di quella Napoli. Ciò che fa davvero rumore non è tanto il 3-27 poi divenuto 9-33 di un quarto di gioco con un solo padrone. Piuttosto è il linguaggio silente ed al contempo urlante di una squadra in assoluta crisi d'identità. Fosse stata una partita nata male e dunque destinata a finire peggio, pazienza. Quel che non è digeribile nemmeno con una doppia dose di Brioschi è il fatto che il famoso parzialone sia arrivato dopo l'intervallo, a seguito di due quarti comunque positivi nel punteggio e caratterizzati qua e là da sprazzi incoraggianti nel gioco e nelle individualità. Ci si chiede dunque cosa sia successo negli spogliatoi. Facile capire come abbia reagito l'ottimo Alessandro Magro vedendo i suoi giocatori presi a pallonate dal piccolo Scoop Robinson: al rientro in campo il play di TvB non ha più avuto mezzo angolo di passaggio verso l'area, mentre agli altri esterni venivano tolte le opzioni del taglio a ricciolo e della penetrazione centrale e laterale, obbligando dunque a battere la difficile strada del tiro da 3 fuori dai giochi. La scommessa bresciana ha pagato, giacché la sola possibilità per Treviso di non soccombere era legata a percentuali bulgare dall'arco anche senza schemi e tirando da fermo. Si tratta della classica variabile dell'1%, che se si verifica sono dolori per chi difende, ma in caso contrario...

Appunto, il caso contrario. Una sequela di SDENG! che nemmeno Belinelli nel periodo spadellatore folle. Senza rimbalzista offensivo piazzato, senza possibilità di recupero. Quindi transizione rapida e tiro da 3 della Germani. Che in condizioni di velocità e non di staticità come avvenuto nei precedenti 20 minuti, ha iniziato ad entrare con regolarità. Fine dei giochi, fine della partita. E forse anche fine della permanenza a Treviso di qualcuno. Sono in tanti ad evocare il rotolare di teste, manco in piazza dei Signori fosse stata issata la ghigliottina. Prima ancora del parziale da record, si era già visto qualcosa che non funzionava e che aveva condizionato parte del secondo quarto. Un qualcosa che è basato su un quintetto offensivamente debole e caratterialmente inadatto. Il cui perno, ancora una volta, è D'Angelo Harrison.

Non è la prima volta che l'ex Brindisi non riesca ad esprimere il proprio potenziale. E non è la prima volta che venga beccato dai tifosi, con successive storie tese tra panchina e spalti. In settimana il suo allenatore l'ha difeso, ha chiesto ancora pazienza dicendo che occorre attendere che la guardia si sblocchi. Ed in quelle parole ci sono diverse chiavi di lettura. La principale è caratteriale: Harrison è nervoso, lo si vede da settembre; appena non gli entra un tiro comodo o non gli fischiano un fallo a favore parte per la tangente. Inoltre non difende, nemmeno sulla palla. E non aiuta. Se Zanelli fatica, Faggian paga il mancato lavoro estivo sul tiro, Mezzanotte scompare e Camara resta incollato alla seggiolina, è chiaro che tocchi a lui prendere responsabilità offensive. Ma se non produce e sul fronte opposto si conferma buco nero, allora il problema è grande. E diviene enorme nelle serate in cui Ky Bowman accusa difficoltà offensive, ché a quel punto non si sa che pesci pigliare per il ruolo di guardia.

Il guaio è più grave di quel che si pensi. Perché il girone d'andata è appena cominciato e la squadra è sempre penultima. Perché progressi nel gioco non se ne vedono (più). Perché l'effetto benefico Robinson-Olisevicius sembra attenuato. Perché la panchina è debolissima. Perché Harrison è stato finora protetto da Vitucci e Giofrè. Perché sempre Harrison vanta un contratto a cifre importanti che non è semplice da sbolognare altrove né da risolvere. Perché c'è sempre meno tempo a disposizione per correggere la rotta, incamerare punti e sperare nella salvezza. In questo senso, domenica contro Sassari sarà già un match da dentro o fuori. Non solo per Harrison, ché i sussurri alle spalle di Frank Vitucci stanno aumentando e non solo da parte dei nickname anonimi. Quattordici anni fa, proprio in questi giorni, l'attuale tecnico biancoceleste veniva esonerato dalla Benetton a favore di Jasmin Repesa al culmine di una manovra così sporca da destare lo scandalo della stampa. Non fu, quello del 2010, un licenziamento per scarsi risultati come ha scritto il famoso anonimo, ma una carognata in piena regola. Dopo una vittoria casalinga e con la squadra ancora in corsa per la Coppa Italia, la Benetton Basket sollevò dall'incarico Vitucci perché la prima scelta, quel Repesa che qualche mese prima aveva rifiutato per questioni di impegni di Nazionale e di soldi, si era finalmente reso disponibile alle condizioni desiderate. Quindi via lo "scaldaposto" Vitucci e dentro il "titolare croato". Fu una porcata, maldigerita da molti e dimenticata da altri. Questi ultimi sono gli stessi che oggi vorrebbero la testa del coach sul ceppo. Potrebbero essere accontentati nel giro di una settimana. Anche se spero che stavolta la storia prenda un'altra piega.

POST SCRIPTUM: siccome la persona che utilizza quel nickname anonimo legge questo blog, sappia che non esistono prescrizioni mediche che obblighino appunto alla lettura. Se non gradisce, può sorvolare e dedicarsi ad altro. Possibilmente, a qualcosa di diverso dalla denigrazione anonima di un professionista. Personalmente vivo benissimo anche con un lettore in meno, specie se si tratta di una persona che sfrutta la rete per infangare la reputazione di chi lavora. E visto che ha rifiutato il mio invito a conoscersi di persona, spero che un giorno l'anonimo denigratore avrà la cortesia di presentarsi a Frank Vitucci rivelandosi e spiegando i motivi del proprio livore. Anche se dubito che lo farà mai.

domenica 7 gennaio 2024

Un lungo elenco di scelte. Sbagliate

"Dicono che toccato il fondo non si possa far altro che risalire. A me spesso capita di iniziare a grattare": così scriveva il compianto Roberto Freak Antoni - i cui biglietti da visita, alla voce "professione", recavano la parola "genio" - in quella summa di chicche, nonsense, esperimenti logico-linguistici e provocazioni che porta il titolo di "Non c'è gusto in Italia ad essere dementi (ma noi continuiamo a provarci lo stesso)", libro che è come il buon vino. Più passa il tempo, più lo si apprezza. Sono passati 33 anni dalla sua uscita - era il 1991, l'anno del golpe d'agosto e della dissoluzione dell'URSS, dell'esplosione della Jugoslavia, della guerra del Golfo... altro che nostalgia! - e quelle frasi trovano sempre maggiori aderenze con l'attualità che viviamo. Alla faccia della tecnologia, del progresso, dei social, dell'intelligenza artificiale. Forse è vero che viviamo l'illusione di un miglioramento a fronte in realtà di una continua regressione. Ed a leggerla con la chiave filosofica, probabilmente non aveva tutti i torti Arthur Koestler che nel 1967 nel pieno della Guerra dei Sei Giorni e con il solito incubo nucleare sulle nostre teste dava alle stampe il suo saggio "Ghost in the Machine". Cosa teorizzava Koestler? Che la tendenza autodistruttiva dell'uomo è insita nella sua natura, un concetto apodittico che trova riscontri in ciò che vediamo ogni giorno.

Ok, la finisco col pippone morale-esoterico-filosofico, ché poi qualche intelligentone se la prende poiché non comprende la bellezza di leggere qualche libro ogni tanto, spaziando tra la psicanalisi e l'anti-logica. E mi dedico all'argomento centrale ossia la situazione terrificante di Treviso Basket. Uso questo aggettivo non a caso: a terrorizzare non è tanto il gioco espresso o le sconfitte recenti contro dirette avversarie per la salvezza, quanto piuttosto la lunga sequela di errori compiuti da giugno in poi dalla società e da tanti suoi addetti. Perché come era sciocco pensare che fino a qualche mese fa il colpevole di ogni male fosse il bistrattato Andrea Gracis, la cui dose di sopportazione pare oltrepassare l'autocontrollo dei bonzi, altrettanto è ritenere uno tra Simone Giofrè o Frank Vitucci unico o principale responsabile della situazione attuale. Il male, purtroppo, è diffuso. Eradicarlo è difficile se non impossibile. Curarlo con pazienza e con medicine amare pare sia l'unica soluzione.

Da dove cominciamo questo famoso elenco? Da quella non-conferenza stampa al Palazzo Della Luce, uno show che avrei evitato, architettato a beneficio dei maledettissimi social che paiono imperare ovunque affinché legioni di spettatori possano assistere. Ma a quel punto tutto diventa spettacolo, in cui gli attori sul palco recitano una parte e la stampa (che in realtà dovrebbe essere l'unico interlocutore e fruitore dell'evento in sé) è chiamata solo a rivestire un ruolo, talvolta senza quella dignità che ogni lavoro dovrebbe vedersi riconosciuta. In quell'occasione di lustrini e paillettes, si decise di annunciare la rivoluzione di TvB, la chiusura di un capitolo di vacche magre e di programmazione striminzita in favore di un qualcosa a respiro maggiore. E quindi, di converso, l'apertura di un'era di ambizioni: parole pesanti come "consolidamento", "stabilizzazione" ed addirittura "playoff" vennero pronunciate quel pomeriggio estivo con l'aria condizionata a palla. Poi venne il resto della rappresentazione con momenti di puro imbarazzo su cui preferisco sorvolare.

L'origine dei mali è lì, in quell'evento celebrativo il cui culmine fu rappresentato dai paroloni che eccitarono la folla, presente o collegata da casa. Invece di un sano low profile, sempre molto apprezzato perché evita voli pindarici che potrebbero concludersi con schianti al suolo, si preferì l'effetto-bomba. E ciò venne replicato qualche mese dopo nella serata sotto la Loggia dei Cavalieri. Nonostante un precampionato con tanti dubbi, a dispetto di una preparazione condotta senza alcuni giocatori e di qualche campanello d'allarme già abbondantemente risuonato, anche nella presentazione alla città l'atmosfera era sin troppo ottimista. Peggio: le aspettative erano altissime. Giustificate, per carità, dal pedigree e dal nome dei prescelti. Però con quel retrogusto non del tutto piacevole di eccesso di zucchero a cospargere qualcosa che non era poi così buono. Come lo si sarebbe visto nel giro dei due mesi successivi.

Quindi, prima degli errori di valutazione sulle capacità di playmaking di Booker e prima di capire quali fossero i reali problemi di Young, c'era dell'altro. C'era la voglia esagerata di stupire, di provocare in senso positivo, di voler a tutti i costi vivere dei momenti di esaltazione. Gli stessi che paiono tornare ciclicamente ad ogni successo di TvB, che sia in casa o in trasferta non fa differenza. E che vengono seguiti di volta in volta dagli immancabili buchi neri, i periodi di desolazione e di lutto che le sconfitte (specie quelle in serie) spargono sull'ambiente come un morbo contagioso. "In medio stat virtus", scrivevano Orazio e Cicerone, due soggetti che magari oggi verrebbero bollati come noiosi professoroni ma che non difettavano certo di acume. E se il latino proprio non lo digerite, allora vi propongo tre strumenti di facile comprensione utilizzati da millenni dai costruttori.

Il primo è il filo a piombo. Che simboleggia quello che viene chiamato aplomb ossia la calma, la sicurezza, la tranquillità per affrontare le difficoltà. Non si può dire che tutti in questa TvB 2023-24 posseggano un aplomb: non ce l'ha sicuramente D'Angelo Harrison che da quando è arrivato nella Marca non fa che battibeccare con tutti, arbitri, avversari, persino i tifosi locali. Ditemi pure che si tratta del caso, però quando Harrison ha avuto un ruolo molto minore o è stato assente giustificato per infortunio, si è verificato un crollo della tensione nervosa nei ranghi della Nutribullet con conseguenti benefici per tutti. Ad un giocatore esperto non si chiedono soltanto canestri ad alto tasso di difficoltà; piuttosto ci si attende da lui un contributo nella misura della fiducia da redistribuire anche quando le avversità paiono soverchianti. Harrison finora non ha fatto nulla di tutto ciò. Piuttosto si è dimostrato inquieto, bizzoso, scostante. Neanche la perdita del quintetto base sia stata per lui un'offesa capitale.

Il secondo strumento che cito è la livella. La bolla, ossia il raggiungimento dell'equilibrio, porta benefici ovunque poiché rende tutto più solido. Forse andrebbe spiegato tale valore a Ky Bowman che, rinfrancato dal posto da guardia titolare soffiato a Harrison, ha pensato che in fondo tutto gli può essere concesso. Anzi, che può sempre agire fuori dagli schemi, anche nei finali punto a punto in cui servirebbe maggiore equilibrio tra la voglia di vincere e la freddezza necessaria per gestire certi possessi. Lo si era visto già a Sassari, alla terza giornata: Bowman non ce la fa proprio a mantenere il controllo, ad essere equilibrato per il bene di tutti. Se la squadra è sotto di due punti a dieci secondi dal gong, invece di giocare col cronometro e di sbilanciare la difesa avversaria preferisce tirare da 10 metri senza nemmeno prendere il ferro. E se il gap è maggiore, diciamo di sei lunghezze ma con un minuto a disposizione, non vuole nemmeno pensare a trovare un buon canestro da due punti per ridurre il gap e poi giocarsi tutto in difesa: meglio tentare la bomba, anche a costo di farsi stoppare e di lasciare campo libero alla transizione avversaria. Un basket di eccessi dunque, in positivo quando va bene ma in negativo in troppe occasioni. E, ça va sans dire, senza equilibrio.

Il terzo ed ultimo strumento il tavolo da disegno. Si tratta del ripiano su cui viene steso il progetto. Che, qualora contenga errori, può essere rivisto e corretto proprio intervendo sui disegni originali. Qui qualcosa è stato fatto, anche se in ritardo, rimpiazzando un play immaturo ed un 3 mentalmente distante con due elementi di sistema. L'equazione, accompagnata da qualche modifica qua e là, ha funzionato per quattro partite. Poi basta. Ed allora c'è da domandarsi se i progettisti non abbiano dimenticato qualcosa. O se siano state fatte davvero tutte le valutazioni del caso, una volta esaminati gli elementi da costruzione scelti in precedenza. Pensare ad esempio che un Mezzanotte possa diventare puntello di questo reparto lunghi è puramente ottimistico. E se i giovani si allenano con poca voglia, è inutile punirli in partita relegandoli in fondo alla panchina: piuttosto andrebbero presi per il famoso bavero in palestra, redarguiti al momento giusto, indirizzati, catechizzati, responsabilizzati. Altrimenti si torna alle rotazioni ridotte all'osso dell'anno scorso, quando nelle sconfitte di venti e più punti i vari Jurkatamm, Faggian, Scandiuzzi restavano a guardare la nave che affondava. L'americano che doveva essere il leader è una palla al piede? O si prenda il coraggio di tagliarlo rimettendoci parecchi soldi, oppure gli si faccia capire che la nazionalità non conferisce minuti a prescindere - quindi, il coach deve spronare i giovani in allenamento e questi ultimi devono farsi il famoso e metaforico mazzo per dimostrare di meritare quei minuti. In tal modo il suddetto americano dovrà darsi una regolata oppure sarà lui stesso a voler rinunciare a parte dei soldi del contratto pur di migrare altrove, in campionati dove si difende meno o in squadre dove l'anarchia del singolo viene prima del benessere del gruppo.

Ricapitoliamo. Gli show estivi, le parole sbagliate, le aspettative eccessive, l'ingaggio di giocatori inutili o dannosi hanno portato Treviso Basket al peggior girone d'andata della sua storia in LBA. Max Menetti ha sempre raggiunto la boa con sei successi; l'anno scorso Marcelo Nicola col tris tra Natale e Capodanno toccò quota 10 punti ossia 5 referti rosa. Ora si è arrivati a quattro. Non è lo zero fatto da altre squadre in altri campionati, però non si può negare che alla faccia dei proclami di giugno di voler progredire vi sia una evidente regressione dei risultati. E con la quota salvezza che è fissata a 24 punti significa che nel girone di ritorno serviranno 8 successi in 15 incontri, magari raddrizzando qualche differenza canestri attualmente negativa. In teoria è un'impresa fattibile, ma sempre guardando all'anno scorso servirebbe un'affermazione in più. Con diversi, necessari accorgimenti, l'impresa potrebbe compiersi. Sempre che non sia tardi per capire che per voltare pagina non bastano belle feste, nomi altisonanti e ambizioni esagerate.

In chiusura, visto che ho citato Freak Antoni e Koestler, vi regalo un doppio momento musicale. Se siete arrivati fino a qui, sopportando la mia prosa che alcuni definiscono pesantissima o indigeribile, meritate un premio. Quindi vi lascio due album da ascoltare assolutamente per riallineare le vostre energie col mondo e per ritornare a pensare con lucidità. Il primo è degli Skiantos che nel 1987 uscirono con "Non c'è gusto in Italia ad essere intelligenti". Sull'onda del loro Sconcerto ("Che peccato gettare le perle ai porci/Ma pensate che casino, gettare i porci alle perle"), questo disco oggi introvabile perché non più ristampato ci proietta in una prospettiva differente, in cui si può gioire per le piccole cose senza dimenticare che le botte di culo aiutano e che di fronte alle difficoltà è meglio prenderla con filosofia.
Se invece volete saperne di più su Koestler ma non avete voglia di cercare i suoi libri perché non conoscete l'inglese, perché siete pigri o semplicemente perché pensate che leggere sia da sfigati, allora vi consiglio il quarto album di studio dei disciolti Police. Nel 1981, mentre il filosofo già sa che lo attende una morte certa a causa di una terribile malattia (e per non vivere gli ultimi giorni come malato terminale e vedova inconsolabile, lui e la moglie nel 1983 si suicideranno), i tre sbirri della musica imprimono una svolta elettronica al loro punk-reggae da bianchi degli slums inglesi attingendo a piene mani dalla filosofia olonica. Il risultato è un disco godibilissimo e con un ritmo coinvolgente, tra incursioni di sax e testi che riprendono temi ecologisti, apocalittici e da film. Buon ascolto! E buon 2024 nel basket.



sabato 30 dicembre 2023

Un ragazzo e una maglia

Questa è la storia di una maglia numero 6. Tranquilli, non parlo di Franco Baresi, per quanto una piccola connessione tra il protagonista di questo racconto e l'AC Milan vi sia. Non mi sto riferendo nemmeno a Massimo Iacopini, che anzi quando ha visto a chi era intitolata quella maglia numero 6 ha reagito (bonariamente?) con un moto di comprensibile fastidio. Ma restiamo per un momento sulla maglia. Che poi è una canotta, ma vabbè. Un po' stropicciata, pazienza. Con un quarto di secolo alle spalle, scusate se vi pare poco. Una maglia dimenticata da molti, che alle giovani generazioni non dice nulla ma che a chi ha più di 40 anni strappa una lacrima di nostalgia. Quella canotta verde, con i bordi bianchi, il numero 6, il vecchio logo della Legabasket era in un cassetto di casa mia da tempo immemore e attendeva solo il giusto momento per tornare alla luce. Ossia per trovare un degno proprietario. Che non è (mi scuserà) il suo primo possessore, l'irlandese da battaglia Glenn Sekunda che la indossò all'inizio del suo terzo ed ultimo anno a Treviso, ma un ragazzo che oggi ha i capelli grigi e che dentro è rimasto lo stesso scappato di casa delle telecronache del 1991-92.

Per me Simone Fregonese è stato tante cose. Il bersaglio dei cori della curva negli anni belli della Benetton Basket, cui lui reagiva con un semplice sorriso. Il conduttore di trasmissioni televisive in un'epoca in cui l'ufficio stampa della Ghirada distribuiva lezioni di avanguardia sulle modalità lavorative nell'ambito della comunicazione. Uno dei miei primi approcci con la zona stampa del Palaverde assieme al suo ex socio Enrico Castorina. Compagno di squadra ai Marlins, forse la formazione più ingestibile e per questo più bella di cui abbia memoria. Esempio di multitasking ante litteram, capace di dividersi tra più attività. Emblema di sacrificio nei momenti peggiori, quelli che non vorremmo mai vivere ma che ogni tanto la vita ci riserva come sorpresa sgradita e prova da affrontare. 

Con Simone ho lavorato, ho giocato, ho scherzato. Ci siamo confrontati, abbiamo litigato, ci siamo mandati a quel paese. Ci siamo aiutati reciprocamente, senza mai negarci. Perché in fondo questo è il bello del nostro lavoro: qualunque cosa sia successa, chi se ne frega e mai mollare. Mai. Nemmeno di fronte al mondo che ti crolla sotto i piedi, al club che sparisce, alla sedia che traballa, alla prospettiva di restare in disparte, a braccia conserte, a guardare. Ecco, se ho imparato qualcosa da Simone in tanti lustri è che se ci si ferma è davvero la fine. E lui non ha accettato alcun destino presuntamente scritto, nemmeno quando Verdesport decise di smobilitare la branca professionistica. Treviso Basket è nata dai famosi Cavalieri Bianchi, da Paolo Vazzoler, dall'azionariato popolare (presente anche il sottoscritto), dalle campagne stampa. E da Simone Fregonese che accettò per mesi di lavorare gratis, senza sapere se ci sarebbe stato un domani, perché credeva in un futuro diverso.

Come dicevano gli Skiantos, la storia gli ha dato ragione. Quella TVB nata sotto la Loggia dei Trecento, poi nell'incubatrice del Natatorio, svezzata al PalaCicogna, si è presa il giusto posto anche grazie a lui. Che nel frattempo si era sdoppiato con Imoco Volley, una realtà nata in contemporanea con TVB e divenuta vincente in brevissimo tempo. Si sa, le società di vertice non raggiungono determinati risultati per semplice fortuna o per allineamento planetario: tutto è frutto di programmazione e di idee, soprattutto di persone giuste dietro determinate scrivanie e nei posti chiave. Qualche mese fa Imoco ha sottoposto a Simone Fregonese la classica offerta irrinunciabile. Una proposta che non poteva più prevedere un part time né una compresenza. E Simone ha scelto con consapevolezza, ben sapendo che si trattava di recidere un cordone ombelicale con quella che era una sua creatura. Un passo doloroso ma inevitabile in un percorso professionale.

Stasera Simone Fregonese ha salutato il suo basket. Certo, con una vittoria sarebbe stata tutta un'altra musica ma non ci sono stati musi lunghi nei brindisi a fine gara. Abbracciato da una moltitudine di amiche ed amici che hanno condiviso con lui tanta o poca strada, ha salutato un mondo che continuerà ad appartenergli. E lo ha fatto con quella canotta addosso, che cercava un padrone e finalmente l'ha trovato. "Non ho mai avuto una canotta ufficiale della Benetton in guardaroba", ha ammesso lui stesso a dispetto degli oltre vent'anni trascorsi in Ghirada. Ecco perché, incurante delle firme sul retro, ha deciso di indossarla con orgoglio prestandosi alle foto. Non se l'aspettava Simone, un regalo così. Quindi, missione compiuta. Per un ragazzo con i capelli grigi ma che dentro resta sempre un ventenne e per la canotta, che ha 25 anni sulle spalle e pare uscita da qualche varco temporale annidato nei corridoi interni del Palaverde.

PS: se ve lo state chiedendo, niente paura. Simone resterà per sempre uno del basket. Prestato al volley, perché così vogliono le contingenze. Ma sono sicuro che nei prossimi mesi lo vedremo ancora, qua e là, alle partite. Almeno per aiutare quel Bocia che ha preso il suo posto e che ha tantissimo da imparare. Ma con una guida così e con tanti colleghi anziani che gli vogliono bene, anche il più giovane degli apprendisti può star tranquillo.