Ce l'ha fatta. Treviso Basket ha mantenuto la categoria. Incurante dello 0-9 iniziale, degli errori commessi in fase di assemblaggio della nuova squadra, della scelta sbagliata di Camara, del mostruoso ritardo di forma di Harrison, delle batoste prese prima e durante. Il merito non è del singolo - stesso discorso di un anno fa, perché al di là del 2+1 di Banks contro Bologna ci volle del gran lavoro di squadra per arrivare a quel punto. Semmai, come sottolineato da Morea e Consoli nell'ultimo post partita di stagione, è una questione da suddividere in tantissime parti, tra pacche sulle spalle e responsabilità anche negative. Se c'è qualcosa che davvero non ha funzionato, quella è stata la comunicazione in preseason: nessuna colpa di Simone Fregonese, che poi ha salutato la compagnia per dedicarsi al 100% all'Imoco fresca campionessa europea; piuttosto si è sbagliato a parlare anche solo di sfuggita di playoff, rendendo quell'avvio difficoltoso ancor più deludente e amaro. E qui evito di soffermarmi su altre uscite infelici cammin facendo.
Preferisco fissare il focus di questo intervento su alcune facce, alcune situazioni, alcuni momenti salienti. Mi pare chiaro che uno dei motivi di fondo di questa salvezza abbia la faccia molto baltica e i movimenti felpati di Osvaldas Olisevicius. L'uomo che Reggio Emilia non voleva più, al punto da pagargli qualche mensilità e un robusto conguaglio di stipendio pur di liberarsene, ha svoltato la stagione della Nutribullet. Non che ci volesse granché, almeno a guardare il suo predecessore, una ex prima scelta (per caso...) della NBA che da tempo si è perse per strada, incapace di trovare uno stato di forma accettabile e un minimo di equilibrio mentale e comportamentale. James Young III doveva essere la spalla ideale di Harrison e Bowman, il realizzatore di razza col tiro apriscatole mixato a una fisicità importante per il ruolo. A Treviso di tutto ciò non si è visto quasi nulla - eccezione l'exploit contro Scafati dello scorso 5 novembre all'interno comunque di un ko - e a Varese ancor meno. Ecco, forse il miglior colpo di mercato del diesse Giofrè è stato convincere i lombardi ad accollarsi un paio di mensilità della peggior ala piccola mai vista nella Marca, un peso massimo che ha quasi fatto rimpiangere DeCosey, Cooke III e Carroll, giusto per restare nel ruolo.
Ma Young III non era stato l'unico abbaglio estivo. C'era stato anche Deishuan Booker, un imberbe esterno che non ha capito in cosa consista giocare da playmaker. L'abbaglio era risultato colossale in preseason, compresa una partita a Jesolo in cui la squadra aveva collezionato un solo assist complessivo(!), dato che venne minimizzato come un errore dei rilevatori statistici. In realtà l'assenza di una cabina di regia affidabile era un qualcosa di evidente a chiunque e solo mascherato dal buon debutto in campionato al Forum: contro una Milano anch'essa vittima di scelte sballate tra i playmaker (e corrette soltanto dal ritorno di Napier a bocce in movimento), la doppia-doppia di Booker aveva illuso tutti. Salvo essere riportati sulla terra neanche una settimana dopo con la stoppata subita dal treccioluto ragazzino del Nevada che nei minuti iniziali del match interno contro Brescia aveva ricevuto un deciso "benvenuto!" da parte di Semaj Christon. Da quel momento in avanti, Booker si era perso senza più ritrovarsi, col doppio capolavoro al contrario di farsi espellere nel derby prima dell'intervallo, contribuendo così a perdere una gara sin lì controllata, e di uscire per falli una settimana dopo a Reggio Emilia nel culmine di un match delicatissimo.
Booker e Young III non erano le persone giuste. Lo si sono rivelate, pur con qualche comprensibile problema, Olisevicius e Scoop Robinson. Il merito del secondo è di aver dato un minimo di ordine alla manovra offensiva all'interno di una banda con due solisti (Harrison e Bowman) e tanti ottimi gregari capaci di diventare protagonisti per tornare poi dietro le quinte. Dopo lo 0-8 dei due disgraziati di cui sopra, con i loro rimpiazzi la squadra ha raccolto un 12-10 che somiglia molto al ruolino di chi lotta per i playoff. E qui un applauso va alla società, che ha saputo far quadrato quando l'opzione più semplice avrebbe virato verso un esonero, e a Frank Vitucci. Che non credo avesse preventivato una stagione così tribolata, eppure è riuscito a tenere dritta la barra incurante delle tempeste, delle imbarcate, delle "voci" e di chi quelle "voci" le cavalcava a dispetto del ruolo ricoperto. Frank ha tenuto il gruppo unito, ha esaltato le doti migliori cercando di coprire le falle che si aprivano. E alla fine ha applicato il più vecchio trucco del mondo ossia accorciare le rotazioni ricorrendo allo smallball più atipico che si sia visto.
Temo che il pubblico del Palaverde non rivedrà più diversi protagonisti di questa annata così assurda. O almeno, non li rivedrà con la propria maglia addosso. Pauly Paulicap ad esempio è la nota più lieta: una storia da favola la sua, tra l'infanzia difficilissima a New York, la tardiva scoperta del basket, un anno da rookie a Cipro (che è un'isola bellissima ma anche sede di uno dei campionati nazionali FIBA di valore più basso) e l'arrivo a Treviso con l'etichetta di scommessa a basso costo. Con buona pace dei suoi pochi e ben noti detrattori, c'è molto di Paulicap nella salvezza di TvB 2023-24, dalla mostruosa prestazione di dicembre contro Trento alla partita di Pistoia passando per una crescita personale certificata dai miglioramenti in lunetta e nelle letture del gioco. Poi c'è Terry Allen, un tuttofare che si è adattato persino a giocare da 5 (ruolo a lui sgradito) per aiutare la squadra. Su di lui più di un club ha già preso informazioni, quindi è difficile che possa restare a Treviso.
La salvezza ovviamente è passata per le mani di Bowman e Harrison. Il primo ha suonato la carica a dicembre, poi ha avuto diversi passaggi a vuoto compensati da esplosioni realizzative e atletiche qua e là (che dire delle sue stoppate impossibili?) e da canestri decisivi - ricordate la bomba finale a Varese? - e da un maggior inserimento nei giochi. Il secondo si è destato nel girone di ritorno, a cominciare dalle partite con Sassari e a Scafati per poi convincere Vitucci a riportarlo in quintetto base. Anche nel caso di D'Angelo si è vista una trasformazione in corso d'opera, è sparito il pericoloso nervosismo dei primi tre mesi per lasciar spazio a un esterno più calato nella parte, capace di caricarsi la squadra sulle spalle nel momento critico ma senza incappare in trappole comportamentali. Per lui il flash è una delle giocate conclusive contro Tortona quando rinuncia a un canestro per servire l'assist a Bowman. C'è solo da chiedersi che campionato sarebbe stato se da ottobre a inizio gennaio non si fosse vista la brutta copia indolente, scazzata, litigiosa, isolata di Harrison.
E poi c'è capitan Zanelli. Un anno fa aveva marchiato a fuoco la salvezza con quella bomba assurda, tirata quasi per disperazione contro la Virtus. Anche stavolta una sua tripla ha svoltato la stagione, quella della vittoria a Trento a metà febbraio. Lo ha ribadito anche Mattia Consoli, lì la stagione di Treviso ha conosciuto una svolta. La scorsa estate si erano uditi degli spifferi sul conto del mottense, pareva sacrificabile per dei diversi equilibri di una formazione praticamente rifondata da zero. Invece è rimasto al suo posto, leader dello spogliatoio, cambio di intensità e di lucidità in diversi frangenti, prezioso in tante piccole cose. Chissà se ci sarà ancora spazio per lui... così come per Leo Faggian che ha passato una stagione più a guardare che a giocare. Demerito anche suo, dovrebbe lavorare sul tiro e sul primo passo per diventare davvero un giocatore da Serie A. Un anno fa a suo vantaggio giocò l'effetto sorpresa, nessuno lo conosceva e quindi ebbe ampi spazi e responsabilità. Ora la musica è cambiata e senza dei decisi miglioramenti dovrà decidere cosa fare. Chi invece ha il posto garantito è Andrea Mezzanotte il cui biennale lo mette al riparo dal rischio di dover salutare la compagnia. Il bergamasco è stato spesso croce e talvolta delizia, gli manca sempre l'agognata continuità di rendimento però si è adattato a situazioni tattiche meno congeniali dimostrando un pizzico di abnegazione.
Questa salvezza è anche la prima per Matteo Contento nelle vesti di presidente. Il passaggio di poteri in corsa con Paolo Vazzoler, cui vanno i miei auguri, poteva essere scombussolante per l'ambiente. Invece Matteo si è calato in punta di piedi, ricordando che in fondo c'è sempre stato anche se con un ruolo quasi da ombra. Il bilancio sportivo per lui è in attivo (6 vittorie, 4 sconfitte, categoria mantenuta) e da qui si ripartirà ché il suo mandato scadrà a giugno 2025. Al suo fianco avrà una società sempre solida e che nel tempo ha introdotto alcune figure nuove ma che richiedere sempre di compiere quell'ultimo passo in avanti per completare la transizione in realtà consolidata. I rinnovi delle sponsorship della scorsa estate sono stati importanti, ora occorre pianificare con raziocinio. Gli exploit sono sempre possibili, in ambo le direzioni: con un budget inferiore Cremona si è salvata in scioltezza e Pistoia si è qualificata per Coppa Italia e playoff; con una maggiore capacità di spesa l'anno scorso è scesa Trieste e quest'anno ha rischiato Sassari mentre Tortona ha fallito l'aggancio alla Coppa Italia ed è entrata nel ballo-scudetto solo alla penultima giornata. Per spendere bene occorre capire come, dove, quando, perché e su chi o cosa investire. Ma non in maniera episodica, semmai con costanza. Il rovescio della medaglia è tramutarsi in Pesaro che prima della retrocessione odierna ha conosciuto sette tribolatissime stagioni con salvezze in extremis, qualche raro lampo (2021, finale di Coppa Italia) e il beneficio dello stop da Covid quando era ultima con una sola vittoria in carniere. L'esempio della Vuelle e di una gestione oculata nei costi ma poco programmatica deve essere da monito se Treviso ambisce a consolidarsi in LBA.