lunedì 27 settembre 2021

Altro che fake!

Non ci si può proprio annoiare. Pronti, via... e la prima panchina di LBA salta subito. E non tanto (o solamente) per una sconfitta casalinga che brucia contro una diretta rivale per la salvezza. La decisione palesata in conferenza stampa di Jasmin Repesa di abbandonare la Fortitudo che aveva riabbracciato dopo 15 anni di lontananza fa e farà discutere. Per i modi, i tempi e le proporzioni della vicenda, il saluto del tecnico croato non può essere ricondotto al classico fulmine a ciel sereno. C'è qualcosa che non va, nella metà biancoblu di Basket City. Ed è da tempo che quel qualcosa non sta andando.

Repesa era tornato a Bologna, sponda F, con entusiasmo e sulla spinta di due fattori. Il primo, una bella annata con Pesaro che gli aveva tolto ruggine e scorie di derivazione milanese, masticato e sputato come altri prima e dopo di lui dal perverso giochino dell'Olimpia condannata a vincere ma troppo ansiosa e poco equilibrata nelle eccessive missioni al proprio interno. Alla Vuelle Repesa aveva condotto sino alla finale di Coppa Italia una squadra con un solo centro, un budget medio-basso, un vecchietto da rilanciare e qualche giovane da valorizzare; poi i tanti limiti della formazione marchigiana erano emersi in un girone di ritorno assai complicato, chiuso con una salvezza non del tutto agevole ma sicuramente meno tribolata rispetto al recente passato. Dal mare di Pesaro, Jasmin era tornato ai colli felsinei attirato dal secondo fattore, il progetto di rilancio della Fortitudo basato su alcuni giovani (Toté, Baldasso e la possibilità di prendere Procida) irrobustito da un legame di pancia mai dimenticato. Ai fortitudini quell'allenatore un po' burbero ma decisionista, compagnone fuori dal campo e aggressivo in panchina, piaceva e piace ancor oggi. E non solo perché ha regalato loro il secondo nonché ultimo scudetto della loro storia ma perché ha saputo, con gioco e metodo, far dimenticare il grande amore incompreso Matteo Boniciolli, un altro che è passato per le forche caudine biancoblu rimettendoci prima un incarico e poi la salute.

Pare davvero curioso il parallelismo tra il triestino e il nativo dell'Erzegovina. Boniciolli arrivò a Bologna nel 2001 dopo che in estate sembrava che il posto di Recalcati dovesse essere preso proprio da Repesa e se ne andò a novembre 2002, cacciato dalla coppia Savic-Lefebre per ordine dell'Emiro Seragnoli: la colpa di coach Matteo era stata quella di aver ridicolizzato con un gesto semplice il temuto e volubile patron dopo un derby vinto. Dopo Boniciolli venne Repesa, visto inizialmente con sospetto, poi autore di quattro finali scudetto (una vinta), della finale di Eurolega 2004 (quella del Grande Freddo col Maccabi), del lancio della coppia Belinelli-Mancinelli. Insomma, del periodo più luminoso dell'Aquila subito prima del brusco ridimensionamento. E bisogna ricordare che Repesa se ne andò dall'Emilia quando Seragnoli, pressato dalla famiglia e dai debiti, fu costretto a dire basta. Da lì iniziò il rapidissimo declino della Fortitudo, in tre anni retrocessione e poco dopo pure sparizione. Dalle macerie venne costruita una nuova società che, scontati i peccati di gioventù, si affidò a Boniciolli: il vecchio amore non si scorda mai ed anche lì ci furono buoni risultati (promozione in A2, finale per la A persa 2-3 con Brescia) misti però a periodi di crisi.

Boniciolli lasciò per problemi di salute, si disse di guai al cuore o di ipertensione. Repesa ieri ha accusato (parole sue) una tachicardia. Sono segnali da non sottovalutare, lo scrive chi commettendo l'errore opposto finì a suo tempo ospite dell'Unità Coronarica in Terapia Intensiva. Il parallelo tra i due si ripropone: il triestino mollò in A2, in una posizione di vertice ma senza prospettive di salto di categoria e con la squadra che si sfaldava perché costruita male; il croato se ne va dopo poche partite, zero vittorie ed una crisi tecnica evidente. Oggi come nel 2018, sotto i riflettori c'è la cabina di regia, tecnica e societaria: manca un play in campo e manca una dirigenza affidabile dietro le scrivanie. Il primo problema è risolvibile solo ricorrendo al mercato, il secondo mutando radicalmente buona parte di un club che dopo tanti anni si regge sempre sulle stesse persone che hanno commesso troppi errori.

Per il tifoso medio, la colpa è tutta di Christian Pavani. Il presidente-manager, l'uomo venuto dal marketing, il personaggio di fiducia della proprietà - ma quale? Ancora oggi c'è qualcosa di nebbioso al riguardo - è spesso al centro delle polemiche. Ci finì nel settembre 2018 con la farsa della sponsorizzazione fantasma Metano Nord, una vicenda grottesca. Ci è tornato la stagione scorsa, tra i troppi correttivi in corsa, le maglie metrosexual del derby e soprattutto le problematiche economiche di un club che ha rischiato di non iscriversi per un indebitamento fuori norma - ed anche di questo aspetto, prima o poi bisognerebbe parlare. Ora è nuovamente sotto i riflettori della critica per la manfrina del logo (qualcuno crede alla sua teoria del vintage? Io no), per le trattative con uno sponsor turco decollate solo all'ultimo (e l'ufficio marketing che ci sta a fare?) e per le liti sotterranee con lo stesso Repesa.

Quando una settimana fa l'allenatore partì per tornare a Zagabria e l'ottimo collega Walter Fuochi scrisse di una frattura netta tra lui e la dirigenza, tutta la storia fu bollata come fake news. Ma no, ma cosa ci si inventa, Repesa andava solo ad un funerale, non c'è nulla, sicuramente non ci sono liti, eccetera. Invece la spaccatura c'era e lo si è capito anche ieri, anche se infilata tra le critiche all'arbitro Mazzoni e la morale paternalistica ed un po' sessista all'altro fischietto Silvia Marziali, che invece meriterebbe rispetto come direttore di gara prima che come donna. C'è una frase che Repesa ha pronunciato ieri sera: "Dal primo giorno sto soffrendo come un cane per sistemare questa società...". Solo uno sciocco non capirebbe il significato di quelle parole. Repesa ha mostrato le carte in tavola: il club ha dei problemi, grossi. E risolverli non sarà una bazzecola.

Il guaio più evidente è in campo. La squadra è stata costruita malissimo e senza tener conto della realtà e delle condizioni fisiche dei giocatori. Fantinelli non è pronto oggi e non lo sarà per un bel po', e si tratta dell'unico vero play; Gudmundsson oltre a non essere un regista (idem Baldasso) manca di personalità e di talento come guardia; Richardson non può far tutto da solo; Groselle senza un play che lo inneschi è deleterio; Benzing è un buco nero. Poi ci sono i casini in società, tra sospesi ereditati (quanto chiama il contratto residuo di Meo Sacchetti?), asfissia da mancanza di botteghino, debiti pregressi e molto altro. Sarebbe quasi curioso chiedere in quale cassetto sia finito il progetto del nuovo palasport che nei piani di Pavani doveva rappresentare il futuro della Fortitudo anche a livello finanziario, ma mi rendo conto che non sia affatto igienico farlo ora.

Intanto si è aperta la ricerca di un successore per Repesa. Per quanto Pavani & c. possano insistere, difficilmente Jasmin tornerà sui propri passi ed accetterà di affondare con una barca che non è la corazzata promessa ma una bagnarola che fa acqua da tutte le parti. Sotto contratto c'è sempre Sacchetti, anche lui non intenzionato a tornare ma a godersi i soldi lontano dalla baraonda biancoblu. Luca Dalmonte, defenestrato a giugno per far spazio all'ingombrante cavallo di ritorno, potrebbe anche optare per un signorile "no grazie" mentre è da escludere che un altro separato a forza, Antimo Martino, possa ricucire un rapporto logorato da chi lo ha cacciato con scuse abbastanza puerili. Tra i nomi grossi nostrani restano Bucchi, che oltre ad essere un ex Vu Nera non entusiasma nessuno visto il curriculum recente, Pancotto, Esposito e Luca Banchi, che è vice a Long Island in G-League ma si può liberare. Chissà se il grossetano avrebbe voglia di raccogliere una sfida impossibile, salvare due volte la Fortitudo, col rischio di vedersi licenziare a lavoro compiuto per far spazio ad un'altra scelta di pancia, per compiacere la piazza ma senza progettualità.

domenica 19 settembre 2021

La Salute? Frazione di Santo Stino!

Possiamo dire senza scandalo alcuno che il famosissimo motto di Giannino er Laziale, cioè che il basket italiano godrebbe di ottima salute, è definitivamente archiviato. Con buona pace di chi ancora vive nella torre d'avorio di via Vitorchiano a Roma, è bastato vedere cosa è accaduto e sta accadendo a Bologna, tra ieri ed oggi, per capire che l'unico adagio in voga è quello del pesce abitualmente che puzza dalla testa. Dimenticate pure le gioie di Belgrado, l'orgoglio di Tokyo, i meritati complimenti ad Azzurra e a chi ne faceva parte: quello è un capitolo marginale, anche se bellissimo. No, l'italica pallacanestro sta davvero malissimo e lo si capisce da pochi, evidenti, clamorosi indizi.

Il primo lo abbiamo colto tutti, noi che abbiamo deciso ieri pomeriggio di farci del gran male guardando l'immondo antispettacolo di Milano-Treviso su Eurosport. Non è colpa della squadre, né degli allenatori se invece di una partita si è assistito ad uno scrimmage di bassa levatura tra Eurolega (e dintorni) e Under18: la responsabilità va rintracciata nella pervicace idea di una Legabasket che sta centellinando l'ammazzacaffè senza volersi alzare da quel tavolo ammettendo il proprio fallimento. Seriamente, che bisogno c'era di un'altra maxi-Supercoppa settembrina? Era fallito il primo tentativo nel 2000, quando il basket nazionale viveva ancora di mecenatismo e di bilanci straricchi; il bis a distanza di vent'anni era stato accolto come un test utile, dopo lo stop per pandemia, per rivitalizzare il pubblico e consentire alle società di sperimentare i nuovi protocolli anti-Covid, prima che la seconda e terza ondata della malattia obbligassero a chiudere tutto di nuovo. Ma l'edizione 2021? A che serviva? Che senso ha scimmiottare l'A2, in cui tra l'altro da tempo c'è ampio dissenso, obbligando quasi tutte le iscritte a rimodellare il precampionato sulle basi di un calendario da infarto? E come se non bastasse, sull'immangiabile torta si è posta la ciliegina guasta di un match ingiocabile, frutto avvelenato della miopia dirigenziale, obbligando chi aveva appena concluso (vincendo, tra l'altro) una massacrante maratona a correre di nuovo, senza nemmeno il tempo per rifiatare ed assumere liquidi e zuccheri. Tafazzi al confronto era un dilettante.

Se al peggio non vi è mai fine, se "toccato il fondo si può iniziare a scavare" (copyright Moana's, 1992), se le teorie di Vico sulla ciclicità non vi paiono abbastanza, ecco servita la seconda schifezza. Cioè l'annunciata crisi della Fortitudo, una società sempre più sull'orlo del baratro, finanziario prima che tecnico ed agonistico. Appare evidente che ai signori che gestiscono l'italica palla a canestro non importa nulla di un movimento che perde i pezzi. Non era bastata la farsa di Roma dell'anno scorso? O di Avellino e Torino in precedenza? Evidentemente no. Così oggi troviamo un club senza main sponsor che boccheggia, tra debiti con l'erario spalmati in extremis, improbabili trattative in Turchia, consorzi con capitale sociale inferiore a quello di un qualsiasi panificio, disperate richieste di aprire subito al pubblico sperando che i soliti, ottusissimi tifosi salvino la barca che affonda a suon di soldi per abbonamenti e biglietti. Intanto l'allenatore tanto voluto alias Gelsomino dall'Erzegovina è rientrato in fretta a Zagabria, in via ufficiale per motivi famigliari ma in realtà per ben altre cause. Non è un mistero che Repesa si sia lamentato per la scarsa qualità del roster a disposizione (scelto anche da lui, però) e dei mancati correttivi sul mercato, impossibili da attuare visto che in cassa non c'è un centesimo, figurarsi le cifre folli che Luca Vitali chiede per pareggiare l'eventuale rinuncia all'ultimo anno di contratto con Brescia. Sul campo, la Effe è pietosa, disorganizzata, scoordinata, senza capo né coda. E nei conti societari non è che la prospettiva sia migliore, visto che a bilancio risulta ancora Meo Sacchetti che non ne ha voluto sapere di transare il ricco accordo firmato appena quattordici mesi fa.

Leggo in queste ore di Ataman, che rischia di diventare uno spauracchio alla pari di Gerasimenko, quale possibile salvatore della Bologna biancoblu. Leggo anche dei tifosi indignati, e non solo per le limitazioni al palasport: lo schifo di ieri pomeriggio non viene digerito nemmeno con robuste dosi di Effervescente Brioschi. Silenzio totale dal Grande Capo, che attenderà forse la consegna della Supercoppetta più inutile del mondo per parlare, mentre Umberto Gandini continua a dibattersi sperando di non far la fine del suo predecessore Egidio Bianchi, sempre che non stia pensando "ma chi me l'ha fatto fare?" in relazione alla sua nomina a presidente factotum di LBA. Quel che è certo, come la morte, le tasse e il silenzio dei mammasantissima, è che il basket italiano, ora più che mai, non è nemmeno in vista della Salute. Che in fondo resta una frazione del Comune di Santo Stino di Livenza.