lunedì 31 gennaio 2022

La FIP ci deve delle spiegazioni

Prendo a prestito il titolo dell'ultimo album di studio degli Skiantos, quel "Dio ci deve delle spiegazioni" che vedeva ancora il compianto Freak Antoni al microfono, per aprire questo mio intervento. Che sì, è di natura fortemente polemica verso vari soggetti. E no, non intendo essere diplomatico stavolta. Nemmeno un pochino. Neanche per accalappiare qualche fugace simpatia. Voglio essere sincero, anche brutale, scorretto se serve, pur di affermare ciò che è palese ma che pochi hanno il coraggio di affermare.

Punto primo, questo campionato è tutto fuorché regolare. Paradossalmente aveva una maggiore pretesa di regolarità la scorsa stagione, cominciata con l'incertezza, proseguita con le soste improvvise, i rinvii, le calendarizzazioni riviste, i recuperi, il calendario dei playoff pasticciato all'ultimo. Almeno un anno fa si avevano le scusanti dei vaccini inizialmente non disponibili e poi in lenta somministrazione, dei palasport chiusi al pubblico, dei protocolli stabiliti solo dalle autorità sanitarie. Ora invece siamo allo sbando totale, tanto che gli organi di governo sportivo sono dovuti intervenire dopo che la squadra X e il club Y avevano sventolato un divieto della ASL che bloccava la trasferta, anche se i positivi erano pochi, anche se le normali rotazioni non avrebbero risentito granché, anche se in fondo non esisteva rischio concretamente riscontrabile di diffusione del virus e peggio ancora di ospedalizzazione.

Ma cosa ha prodotto, questo intervento? Il solito topolino all'italiana, una normativa cervellotica che si contraddice da sola. Il famigerato documento dice che si può giocare se il parco giocatori professionisti presenta meno del 35% di positivi, vale a dire, 7 sani su un roster a 10 o 8 su una rosa di 12. Però un conto è autorizzare una partita, ben altra questione è il return to play, cioè quegli accorgimenti varati dal CONI per restituire la certificazione medico-sportiva agonistica agli atleti risultati positivi al tampone. Già perché se la FIP stabilisce che si possa giocare se la percentuale di negativi è pari o superiore al 65% tra gli atleti professionisti (esclusi dunque i giovani di formazione), il CONI prevede che senza superamento dei controlli ECG, Doppler a contrasto ed ergometria con elettrocardiogramma non si possa riottenere l'abilitazione. Quindi in linea teorica un club può anche riscontrare la negativizzazione di tutto il gruppo squadra ma rischia di essere obbligato a giocare con una Under18 più pochi senior se i referti dei tamponi arrivano troppo tardi per prenotare le visite specialistiche richieste. E se il problema è stato evidente per Treviso in una regular season che continua a procedere zoppa a causa dei recuperi e con lo spettro di ulteriori rinvii, cosa potrebbe accadere nei playoff in cui di norma si gioca ogni 48 ore (o ogni 24, come accaduto lo scorso anno)? Vedremo forse una Milano o una Virtus costrette a inserire in fretta e furia i ragazzini in rosa perché i senior sono sì negativi ma privi delle visite mediche necessarie? Follia.

Se la Federazione deve dunque delle corpose spiegazioni a tutti i club e magari pure un riassetto delle norme per la disputa delle partite in epoca Covid, c'è chi deve delle belle scuse ad Aaron Jones. Che una volta di più ha dimostrato di essere forse lo straniero col miglior rapporto qualità-prezzo del triennio di Treviso in Serie A. Non sarà appariscente, non avrà statistiche da top scorer o da re delle stoppate, ma a differenza del collega di reparto e connazionale Henry Sims l'ex Merlins (il cui contratto è davvero un affare quanto ad economicità) ha un pregio innegabile: la costanza. Difficilmente Jones stecca più partite in fila, assai di rado si concede pause di concentrazione, mai rifiuta di difendere anche sui cambi più insidiosi. Nel basket la difesa è tutto, almeno se si vuole vincere qualche partita - sì, la dimensione offensiva è accattivante a livello estetico, ma se il proprio avversario segna di più si è spacciati: lo aveva capito persino un offensivista convinto come Mike D'Antoni che vent'anni fa prese Charlie Bell per coprire le amnesie di Chikalkin e Stojic. Nelle due partite consecutive giocate senza Sims in post basso, al Pireo contro il Lavrio e a Pesaro, l'area della Nutribullet è stata difesa con maggiore efficacia anche senza movimenti atletici eclatanti: merito di un giocatore che ha un senso della posizione molto buono e che non ha paura di piegare le gambe e di usare le maniere forti. Un lottatore.

I critici hanno imputato per settimane e mesi ad Aaron Jones una abulia offensiva prolungata, come se un americano in un roster 5+5 debba solamente produrre punti (o rimbalzi, dipende da ruolo). Forse sono gli stessi presunti esperti che non hanno mai capito come potesse la terza TvB di Pillastrini permettersi un telepass difensivo come Davide Moretti in quintetto - a proposito: Imbrò ancora ringrazia per ieri. O forse sono quelli che piangevano per Antonutti quando coach Menetti volle dare un giro di vite, proteggendo Tessitori con l'atletismo di Lombardi e la silenziosa concretezza di Severini. Chi lo sa. Io intanto mi godo un Aaron Jones che difende l'area, che accetta i cambi, abbassa il sedere, fa a sportellate e, se richiesto, sa anche colpire frontalmente o con l'amato alley oop. Ai critici professionisti lascio volentieri il piacere relativo di chiedere invano la testa di ora questo, ora quel giocatore. Per fortuna non siedono in panchina ma su una seggiola del Palaverde o sul divano di casa, pontificando a casaccio con lo smartphone in mano. Buon per loro ma soprattutto per Treviso Basket.

martedì 25 gennaio 2022

Caro basket, quanto mi costi! (E con la pandemia, poi...)

Beato sia chi ancora oggi, nel 2022, può contare sul mecenate col portafogli a fisarmonica! Da mezza Italia cestistica si levano ormai grida di dolore o di aiuto o anche semplici lamentele da non sottovalutare legate a questioni di mera pecunia. Il basket è sempre costato caro, anche quando l'economia correva e i vari presidenti, sponsor e proprietari sfoggiavano sorrisi a 32 denti e fatturazioni a pioggia. Oggi, con 12 club su 16 che devono barcamenarsi con equilibri costanti di budget ed una pandemia che dimezza o azzera la voce di incassi al botteghino che vale una percentuale oscillante tra il 30 ed il 45% di entrate per ciascuna realtà, chi non ha le spalle coperte da un Armani o da un Zanetti o da un Brugnaro o da un Gavio, trema. Ed a ragione.

Prendete la solita, schizofrenica Fortitudo. I colleghi del "Carlino" riportano oggi di un tentativo in extremis di salvare la baracca con un'operazione spalma-debito. Già perché, fatti due conti, la Effe è sotto. Ma non solo in classifica, dove è penultima: all'appello mancano tre milioni di euro più interessi ed oneri accessori (quindi facciamo anche tre milioni e mezzo) di mancati versamenti all'Agenzia delle Entrate. In pratica, una cifra pari al contratto di Belinelli con la Virtus, con la differenza sostanziale dell'assenza in casa biancoblu di un mecenate quale il re trevigiano del caffè che possa risolvere tutto in pochi minuti semplicemente staccando un assegno. Quindi, come si risolve la questione? Spalmando il debito. O almeno, preparando tutte le carte necessarie per la domanda di ridefinizione dell'esposizione debitoria, sperando poi che l'Erario accetti e conceda i famosi dieci anni di tempo per rientrare. Sempre che nel frattempo non accada qualcosa di traumatico, come ben sanno dalle parti di Bologna dove ancora oggi si ricorda il buco milionario del mutuo del PalaDozza.

Ma sono parecchie le realtà che non se la passano bene. Pensate a Treviso, che ha proposto ai soci del Consorzio un aumento della quota annua per coprire il passivo lasciato da un anno di Palaverde chiuso al pubblico. Già l'impianto di Villorba è uno dei palasport più cari d'Italia come costo da sostenere a singola partita; se a questo affatto trascurabile dettaglio si somma un prolungato periodo di azzeramento del botteghino, è chiaro che il gioco si faccia sin troppo oneroso. E così si spiegano (soprattutto per chi ancora oggi si lamenta di ingaggi di medio profilo) la formula 5+5, la sostituzione dell'immaturo Casarin con l'invisibile Jurkatamm, la scelta di non inseguire le rivali che spendono senza ritegno preoccupandosi di pagare forse domani, forse dopodomani, forse chissà quando. E dire che la somma da coprire in casa TvB è di un decimo rispetto al debito della Fortitudo: bazzecole, in proporzione. Ma si sa, in Veneto si bada alla sostanza prima di inseguire qualunque chimera.

Chissà quando si tornerà ad una normalità. Intanto però mi domando cosa stia succedendo in certe piazze e dentro certi club. Perché se Treviso non spende, se Trento che pure ha l'appoggio tangibile di una ricca Provincia Autonoma ha tirato la cinghia già a luglio (difatti oggi dà spazio a quegli italiani che prima facevano numero a referto), se Trieste si guarda attorno per capire come tamponare il prossimo addio di Allianz, se Pesaro ha smesso di cercare un 4 per sostituire l'impresentabile Demetrio, se la pur ricca Brescia non sostituisce il pessimo Lee Moore perché deve ancora pagare il residuo di Luca Vitali e di Esposito, mi domando dove trovino i soldi altre realtà che pure non contano su bacini enormi o su industriali disposti ad aprire la borsa in continuazione. Mi chiedo come faccia Brindisi, che ha sì fatto qualche scommessa (sbagliata) al ribasso tipo Myles Carter ma che ora si è iscritta alla corsa per Alessandro Gentile, un giocatore difficile da imbrigliare e soprattutto con un costo notevole per chi, come la NBB, abitualmente denuncia un monte-stipendi modesto. Mi domando cosa stia avvenendo a Sassari, che sinora ha cambiato tecnico, manico in regia e un esterno, nell'anno dell'annunciato disimpegno del Cardinal Sardara e senza garanzie assolute di prosecuzione dell'attività. Vorrei sapere cosa sia successo a Reggio Emilia, che un mese e mezzo fa scontentava Artiglio Caja che chiedeva a gran voce la sostituzione di Johnson con Vene (che costa assai di più) e che oggi torna sul mercato per trovare un'alternativa al suo numero 4 titolare. E chissà quanti nuovi sponsor deve aver trovato patron Aldo Vanoli per aver regalato non uno ma due nuovi giocatori a Paolino Galbiati per provare la seconda missione impossibile di una salvezza da ultimi in graduatoria - giova ricordare che la stessa Cremona dovrebbe essere viva per miracolo, dopo il "liberi tutti" del giugno 2020 e l'iscrizione al successivo campionato formalizzata appena dodici ore prima della deadline grazie all'ingresso in società di forze fresche ma non preponderanti.

Poi magari qualcuno mi spiegherà pure le mosse di Varese che sinora ha attentato seriamente al primato della schizofrenia fortitudina facendo e disfacendo in spogliatoio, sulla panchina e dietro le scrivanie. L'apertura della compagine societaria a favore del General Scola e dello sponsor non sono bei segnali, almeno per un club che aveva puntato tutto una dozzina d'anni fa sul Consorzio e che ora vede lo stesso Consorzio ridurre la propria presenza in nome di altre questioni. Peggio ancora è il quasi totale rinnegamento del progetto tecnico estivo, col solo Beane reduce dello starting five: Egbunu e prossimamente Gentile salutati dopo delle liti, Jones che alla prima occasione se ne è andato in una squadra di Eurocup, Kell ceduto in tutta fretta a Milano contornano il licenziamento di Adriano Vertemati che aveva chiesto solo tempo e pazienza. Merce rara, troppo preziosa o forse, al contrario, valutata non sufficiente per giustificare una ricostruzione faticosa.

Faticosa come un altro rifacimento quasi totale. Quello della Fortitudo, con cui ho aperto questo post e con cui chiudo. Le dimissioni di Pavani non sono ancora rientrate ma alla luce dell'operazione con l'Agenzia delle Entrate diventano una questione cruciale: è chiaro che in un frangente così delicato la proprietà, per quanto frammentata e fumosa, non abbia voglia di cercare un altro soggetto che si faccia carico della trattativa più difficile. Già dentro la pancia della balena biancoblu ci sono sin troppe problematiche (contratto residuo di Sacchetti, Fantinelli mai disponibile, botteghino di nuovo ridotto, tifoseria in subbuglio); se a ciò si aggiunge la definizione tutta da raggiungere di un complesso accordo di rateizzazione fiscale, allora sarà bene armarsi di pazienza e di parecchie pastiglie di antiacido per digerire bocconi amari. Sperando che tutto ciò serva e che a giugno non si debba piangere l'ennesima scomparsa.

domenica 23 gennaio 2022

Un addio annunciato, forse tardivo

Non sapete come contrastare quella terribile noia (non ho detto gioia, per citare il Califfo) che vi pervade tra una serata con sole repliche in televisione, il ritrovamento da parte di vostra moglie della collezione intera di Rakam che speravate avesse perso nell'ultimo trasloco e il vicino appassionato di Tenco che rispolvera tutta la discografia del suo idolo? Provate con la Fortitudo, difficilmente resterete delusi. Già perché dopo l'allenatore ed i giocatori, se n'è andato anche il presidente con l'ennesimo colpo di teatro dell'assurdo della società forse più schizofrenica della palla a spicchi nostrana.

Diceva di avvertire un buon odore, Christian Pavani, nei giorni del ritiro estivo a Lizzano in Belvedere. Chissà, forse si riferiva alle colazioni di Aradori che sono divenute un vero tormentone sui social. Oppure aveva annusato l'ultimo deodorante alla moda utilizzato da uno dei giocatori spediti a svolgere una presunta preparazione atletica sull'Appennino - dico presunta perché in quei giorni il bollettino dell'infermeria biancoblu pareva un resoconto di guerra. O ancora aveva forse avvertito un pungente sentore rispolverando dall'armadio dei ricordi e delle memorabilia il vecchissimo stemma societario da appiccicare sulle divise da prestagione, un'operazione che ancora oggi viene gabellata come nostalgica e non come un tentativo di bypassare la questione commerciale di un logo a pagamento. Curiosità a parte, chissà qual era veramente il messaggio che Pavani voleva trasmettere all'ambiente. Quel che è certo è che, dopo quella tragicomica dichiarazione olfattiva, non ne è andata una per il verso giusto alla Fortitudo.

La Supercoppa delle continue sconfitte, la trattativa grottesca con Kigili, il mistero Fantinelli, coach Repesa che alla prima occasione sbotta e se ne va sbattendo la porta, il richiamo in corsa di Martino, la telenovela Langford, il taglio di giocatori prima imprescindibili e poi zavorre, la fuga di Ashley, la ricostruzione che inizia con un greco di assai dubbio talento appena silurato da Venezia dove aveva giocato poco e male. Questa è stata la Fortitudo da settembre a dicembre, con qualche vittoria occasionale a punteggiare un'annata balbettante e con mille interrogativi. A cominciare dalla solidità della società: dopo l'iscrizione al campionato per il rotto della cuffia e gli enormi debiti ereditati dalle ultime due stagioni, gli ultimi (ovviamente costosi) stravolgimenti non hanno lasciato indifferente nessuno, anzi qualcuno inizia a porsi delle giustificate domande sullo stato di salute del club.

Pavani lascia con la squadra penultima in compagnia di Cremona, alle spalle c'è la sola Varese (altra realtà in chiara difficoltà anche gestionale) che comunque ha qualche partita da recuperare e dunque potrebbe anche rimontare. Ma lascia dopo anni di questioni aperte, di dubbi, di problemi, di situazioni al limite. Tutti paiono ricordare la manfrina di Metano Nord, la sponsorizzazione annunciata con tanto di nuove maglie griffate e poi sparita in seguito alle proteste dell'azienda che nulla sapeva del presunto contratto con la Fortitudo. Anche all'epoca Pavani si prese la piena responsabilità della vicenda dichiarandosi disponibile a farsi da parte: la proprietà (ma quale? Anche qui bisognerebbe dire qualcosa, prima o poi) respinse al mittente confermando la fiducia.

Ma Pavani era stato anche altro. Non solo l'uomo di fiducia di Gianluca Muratori, ex presidente del club e direttore di quel Consorzio Innova il cui marchio campeggia ancora oggi sulle maglie da gara. Era stato il soggetto individuato per avviare il progetto immobiliare che doveva fornire respiro ad una Fortitudo rinata nel 2013 ma presto afflitta dai vecchi mali: l'idea del nuovo palasport per sostituire il fascinoso ma limitato PalaDozza è finita in un cassetto, ben prima della pandemia, una volta analizzati costi e tempistiche; non è andata meglio al centro multifunzione a Borgo Panigale, campi da basket e da paddle da realizzare in un vecchio capannone industriale: la sede oggi c'è, del relativo business però non vi è traccia. Mistero.

Pavani era stato anche tra i protagonisti di quella serata di follia al Palaverde, fine maggio 2016. Sì, la sera del controsoffitto, dei seggiolini divelti, della gazzarra, dello schiaffo al questore. C'era anche Pavani là in mezzo, almeno finché un dirigente della Questura non gli disse senza mezzi termini di non intromettersi e di sgombrare. Anche di quella storia non si è più saputo nulla, se non per un Daspo poi rientrato. Eppure tutto fa parte del ritratto di un personaggio che verrà ricordato per aver riportato la Fortitudo in A dopo dieci anni dal pomeriggio orribile di Teramo ma anche per aver condotto campagne acquisti da album delle figurine, per ingaggi ed esoneri di allenatori come se si fosse dentro ad un frullatore, per aver avuto idee un po' bizzarre quanto al marketing scatenando l'ilarità del tifo avverso, quello virtussino, che si è visto servire su un piatto d'argento talmente tante occasioni di sfottò da non dover far altro che ringraziare e passare all'incasso.

La domanda che ora in molti si pongono è "E adesso?". Già. Adesso che succede? Prima di tutto bisognerà capire se la proprietà (ridajela...) accoglierà o respingerà nuovamente le dimissioni. E se vi sarà conferma, chi prenderà il posto di Pavani, con che mansioni, con quali incarichi, con che tipo di limiti e di obiettivi. Giova ricordare che nemmeno un anno fa la Fortitudo ha salutato Valentino Renzi che della società doveva essere una sorta di nume tutelare a livello amministrativo: nemmeno in quel caso si sono chiarite le condizioni dell'addio, che ai più è parso legato non tanto all'annata sportiva da incubo, con la salvezza maturata nello scontro decisivo con Cantù, quanto alla situazione economica interna. Da allora la Effe ha lasciato scoperto il ruolo, incamerando piuttosto un direttore commerciale che però pare sia stato scavalcato da Pavani nella trattativa più importante, quella per il main sponsor stagionale garantito proprio da un viaggio settembrino dell'oramai ex presidente in Turchia. Il tifoso medio sogna un ritorno dei Seragnoli, magari identificati nella moglie di Stefano Mancinelli - d'altronde il connubio già garantisce un supporto a livello di sponsorizzazione. Oppure un cambio di ruolo in corsa proprio di Mancinelli, che come giocatore ha abbondantemente dato ed al quale i numerosi acciacchi consigliano oramai un addio alla dimensione agonistica. Ma così fosse, potrebbe un ex giocatore fungere da paracadute e parafulmine per un club finora preda della schizofrenia e vittima spesso di scelte incomprensibili per non dire assurde? Aspettiamo e vediamo.