Mentre Napoli piange la scomparsa di Diego Armando Maradona e si prepara ad intitolargli lo stadio, una notizia giunge come fulmine a ciel sereno qualche centinaio di chilometri più a nord, nella mai sonnacchiosa Bologna. Il suo figliol prodigo per eccellenza sta per tornare a casa: Marco Belinelli ha deciso di rientrare nella città che l'ha visto nascere, crescere, maturare ed esplodere come talento della pallacanestro del nuovo Millennio.
Sorpresa (ma anche no): il contratto è l'ultima trovata della Virtus di patron Zanetti. Non della Fortitudo che Belinelli ha sempre dichiarato di amare, ricambiato dai tifosi. Ma è comprensibile quello che a qualcuno potrebbe sembrare un voltafaccia. Da quando il re del caffè ha scelto il basket come veicolo pubblicitario del suo impero e come strumento di business laterale, la Vu Nera è tornata a splendere ed a spendere. L'esatto contrario di una F scudata che dopo aver dilapidato discrete risorse in A2 e prima ancora in B ed aver nuovamente dovuto confrontarsi col tribunale FIBA di Ginevra, ha dovuto riporre in un cassetto ben prima della pandemia il progetto del nuovo palasport e della cittadella e tornare a spulciare la contabilità per capire se sia possibile correggere in corsa un progetto attualmente sbagliato e sballato.
Gongolano i virtussini e ne hanno pieno diritto. A 34 anni suonati Belinelli è ancora un gran bel giocatore per l'Europa. Non più per la NBA dove ormai era relegato al ruolo di specialista e dove nessuno sembra più disposto ad offrirgli un contratto importante. Ma da questo lato dell'Atlantico Belinelli ha estimatori e capacità di riscoprire doti diverse dal semplice tiro in uscita dai blocchi. Abbastanza per ingolosire chi può ancora spendere parecchi soldi alla ricerca di un elemento che faccia compiere un piccolo salto di qualità alla propria squadra. Nel sistema di Djordjevic che prevede tante guardie capaci di portar palla e di assecondare il dinamismo dei lunghi e la vena artistica di Teodosic, più che Abass o Adams si sentiva la necessità di un giocatore simile.
La carriera americana di Belinelli, iniziata 13 anni fa col Draft e proseguita tra tanti cambi di casacche - a S. Antonio le parentesi più felici - ripartirà dalle sue origini. Pochi forse lo ricordano ma lui fu uno degli ultimissimi prodotti validi del vivaio virtussino (l'altro era Michele Vitali) prima del crack di Madrigali. A 16 anni Belinelli era già in prima squadra anche se quella Virtus era qualcosa di inguardabile: Tanjevic aveva pensato ad una cabina di regia diffusa con Becirovic e Rigaudeau più Mladen Sekularac ma il serio infortunio estivo dello sloveno determinò una valanga in anticipo. Lo swingman serbo appena scelto dai Mavs era acerbo ed inadatto al ruolo di point forward, il supporting cast era rivedibile per non dire di basso livello e tra cambi di allenatore in corsa e porte girevoli nel roster - persino Le Roi ne ebbe abbastanza migrando a Dallas a stagione in corso - la formazione felsinea disputò una delle stagioni peggiori della sua storia buscandole persino da Fabriano dove non pagavano gli stipendi nemmeno al custode del palasport. In quel casino biblico l'unica nota lieta era un giovanissimo Belinelli che nell'estate successiva fu preso al volo da Enzino Lefebre per la Fortitudo nell'ambito del gentlemen's agreement che vide Gheradini prelevare Bargnani dalla Stella Azzurra e Minucci inchiostrare un giovanissimo Datome in uscita da Olbia.
Altri tempi, altre storie. Belinelli è maturato alla Fortitudo e doveva esserne il perno dopo i primi due anni d'apprendistato. Fece in tempo a vincere lo scudetto dell'instant replay ed una Supercoppa. Poi vide l'anticamera di un altro fallimento, quello della F post-Seragnoli, e seppur con un anno di ritardo sulla tabella di marcia fece le valigie. Ora ritorna, ma alla sua alma mater. E chissà cosa penseranno i tifosi dell'Aquila più oltranzisti, quelli che obbligarono Lestini a far le valigie per una vecchia ruggine o che infamarono Jaric dopo che rimandò lo sbarco in NBA per passare in Virtus e portare l'allora Kinder al Grande Slam.
A proposito di Fortitudo. Il conto presentato da Strawberry era pesante e rischiava di di gravare sulle casse del club già azzoppato dalla mancanza di entrate dal botteghino, consueto polmone finanziario. La campagna acquisti estiva e gli innesti di riparazione sono costati un bel po', quindi a dispetto dei mugugni per l'ultimo posto in graduatoria e del desiderio di buona parte della tifoseria di dare il benservito a Meo Sacchetti il front office dovrà continuare ancora un po' ad ingoiare bocconi amari facendo finta che siano dolci prelibatezze. Certo, a meno che la Fondazione non tiri fuori il cappello dal cilindro o che lo sponsor personale portato dal capitano sempre meno giocatore non decida di aumentare la propria contribuzione. Per amore, solo per amore? No, per evitare di ripetere quanto avvenne nel 2008/09.
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