venerdì 4 dicembre 2020

Un problema chiamato ala piccola

Storicamente e tatticamente, quello del numero 3 nella pallacanestro moderna è il ruolo più delicato. Ciò non solo perché lo sviluppo dei giocatori ha reso le ali piccole autentiche merce rarissima - oggi nel ruolo vengono impiegati spesso dei 2 di stazza o dei 4 perimetrali adattati - ma a causa talvolta delle peculiarità richieste dal playbook. L'ala piccola è molto di più di un esterno in più o di un occasionale aiuto a rimbalzo: può attaccare il ferro, aiutare a portar palla, difendere su più ruoli. E' dunque il vero segreto di un team di successo, a patto che la sua scelta sul mercato sia stata oculata (non mi riferisco solo al budget, eh...) e che l'allenatore preveda dei giochi specifici in cui esaltarne le doti in campo. Viceversa, ci si ritrova di fronte ad equivoci o a situazioni imbarazzanti.

Per informazioni sulle ultime ipotesi, citofonare Treviso Basket. Che sia per sfortuna, per calcoli errati o per questioni caratteriali, TVB non azzecca una scelta nel ruolo da tempo immemore. Persino in Serie B l'ingaggio di Matteo Maestrello si rivelò un errore: in un campionato in cui si gioca moltissimo con le guardie ed in cui le uniche ali davvero utili sono i 4 che spesso e volentieri giostrano da 5 tattico, un 3 puro con stimmate di tiratore e zero propensione al rimbalzo come lo jesolano era pressoché inutile se non dannoso. Ed i risultati furono lo specchio di tale e di altre scelte (Parente su tutti). In A2 si è visto un acerbo Quenton DeCosey, assurto suo malgrado al non invidiabile ruolo platonico di peggior straniero visto in biancoceleste (almeno prima della fugace avventura di Tyler Cheese): non era malvagio, anzi, e le sue doti stanno emergendo anno dopo anno ma all'epoca non aveva specializzazioni, non sapeva cosa fare e doveva dannarsi l'anima per difendere anche per Davide Moretti al fine di lasciare che il ragazzo prodigio potesse liberare tutto il suo talento offensivo. Al posto del vituperato americano si pescò l'ungherese Perl che malaccio non era ma che sarebbe stato sacrificato in una visione strategica azzardata cioè iniziare una stagione ad alto livello senza uno straniero da inserire in corsa, a primavera.

Ma fin qui abbiamo parlato di passato, senza neppure rispolverare le ammuffite memorie del triste La Torre e dell'equivoco Musso. Ma da quando Max Menetti si è insediato sulla panchina trevigiana il problema nel ruolo è diventato una paurosa costante. Giocatori scelti e poi scartati, promossi e poco dopo bocciati, accolti e respinti, osannati e poco dopo ripudiati. Un frullatore. Ecco una panoramica.

  • Davide Alviti: uno dei primi acquisti dell'estate 2018, in realtà prenotato mesi prima assieme a Tessitori. Ragazzo in rampa di lancio, un due metri vero che da appena un anno e mezzo era stato spostato nel ruolo di 3 dopo essere stato impiegato con scarsi risultati da 4. Doveva essere l'ala piccola del quintetto titolare con un play italiano ed un'ala forte americana, si ritrovò ad occupare medesimo ruolo dovendo però patire i problemi fisici di Wayns in regia e le incomprensioni (eufemismo) di Antonutti nell'altro ruolo di ala. Finì la prima annata, quella della promozione, come quinto esterno per scivolare in rotazione a sesto in Serie A. Perché inadeguato? No. Semplicemente perché si pensava che fosse solo un tiratore sugli scarichi e nulla più. Giubilato in maniera poco elegante in un'estate che sarà difficilmente dimenticabile, sta dimostrando tra Trieste e la chiamata in azzurro di non essere soltanto un terminale da ricezione e tiro.
  • Lorenzo Uglietti: doveva essere il backup di Alviti in A2, si ritrovò a giocare da play d'emergenza. E senza nemmeno sfigurare neanche al piano di sopra. Pure lui salutato in maniera fin troppo frettolosa senza ricordarsi che una guardia versatile, con ottima attitudine difensiva, portata al gioco di squadra e dallo stipendio contenuto non andrebbe mai salutata a cuor leggero. E' tornato di A2 dove nel sistema di Sacripanti a Napoli funge da equilibratore.
  • Dominez Burnett: discorso simile a quello di Uglietti, a parte ovviamente nazionalità, stipendio e capacità offensive. Aveva dimostrato di essere un ottimo giocatore a livello europeo già prima di arrivare a Treviso, nella Marca si era confermato swingman di talento e meritava una chances ai piani alti. Bruciato per un calcolo di budget: occorreva recuperare parte del suo stipendio per investirlo sul prestito di Aleksej Nikolic. Migrato a Minsk ha ripreso ha giocare come sa.
  • Jordan Parks: preso perché si alternasse tra i due ruoli di ala, si è capito solo dopo tre mesi di arrabbiature, sconfitte ed equivoci che in fondo era efficace soprattutto da 4. Resta una scommessa parzialmente vinta perché prima della cancellazione della stagione per pandemia aveva dimostrato di poter reggere il livello. Ha pagato la sciocchezza della fuga in America (a differenza di Logan però...) e la scelta della società di puntare su un pariruolo italiano come Akele. Pure lui è oggi a Napoli in A2 dove sprigiona tutto il suo atletismo in una squadra costruita per la promozione.
  • Elston Turner: pochi se ne ricorderanno ma doveva essere lui il 3 titolare della De' Longhi 2019/20. Una vera scommessa, non sul talento che è noto ma sulla testa del giocatore. Quotata pochissimo dai bookmakers, il motivo lo si è capito ad agosto: due voli per l'Italia persi con scuse che variavano dal matrimonio al mal di pancia, al suo arrivo si è capito che era in forma-Tomidy ed impresentabile a breve-medio termine. Rispedito al mittente in tutta fretta e con un mezzo sospiro di sollievo.
  • Charles Cooke III: al posto dell'impresentabile Turner, ecco un connazionale teoricamente simile, almeno sul piano tecnico. Peccato che la testa non fosse quella giusta. Tagliato in preseason dopo neanche dieci giorni dalla squadra tedesca che l'aveva inizialmente scelto, a Treviso si vede un Cooke spesso deconcentrato, autore di giocate paradossali (vedi il piccione viaggiatore a Cremona che poteva valere una clamorosa vittoria in rimonta) e di pochissime partite decenti. In rottura prolungata da metà dicembre in avanti, viene tagliato ad inizio gennaio per manifesta dannosità.
  • Ivan Almeida: pescato a sorpresa nella stagione dei saldi, il capoverdiano salta la prima partita per un pasticcio burocratico di tesseramento con rimpallo di colpe tra club, agenti, funzionari e forse pure doganieri. Gioca due partite facendosi notare per l'insofferenza al clima atmosferico (si copre costantemente con maglie pesanti) e per la volontà di agire da point forward grazie anche alla piena licenza concessagli da Menetti. Poi arriva la pandemia e si chiude in casa con l'apprezzabile dichiarazione di non voler rischiare di portare il virus in patria azzardando un eventuale volo. Rimarrebbe volentieri ma a maggio gli fanno capire che non ci saranno soldi per lui, quindi fa fagotto e si sposta in Israele. Resta il rammarico di non averlo potuto testare più a fondo. Intanto è tornato a Wloklawek dove evidentemente si trova bene, visto che è alla terza firma in tre anni.
  • Jeffrey Carroll: arriviamo al presente. Curriculum corposo, è pur sempre un giocatore che è stato in orbita Lakers e già testato in Italia. Ma in A2, in una squadra di basso livello (Bergamo) dove poteva fare bello e brutto tempo a piacimento. Affidabilità? Tutta da verificare. Si presenta in Supercoppa bombardando senza troppi pensieri, approfittando anche di avversari imballati a livello fisico o che non ne conoscono doti e difetti. Appena si fa sul serio cioè con la stagione regolare avviata, ecco l'involuzione. Mirino sempre più storto, incursioni in area sempre più rare a dispetto di gambe piuttosto buone, difesa zero. E quando arriva Sokolowski la sua crisi si acuisce tanto da dimostrare mancanza di fiducia nei propri mezzi, nonostante continui a partire in quintetto base.
  • Michal Sokolowski: arrivato all'ultimo al posto dell'impresentabile Formaggino alias Tyler Cheese che passerà alla storia come il bidone sportivo più clamoroso di sempre - spacciato per un all around di 196cm, si rivela una guardia mancina di 187 centimetri che non tira, non va a rimbalzo, non difende sull'uomo e sa giusto palleggiare e passare il pallone... un visto sprecato. Il polacco è indubbiamente più solido, più stazzato e ha maggiori doti sui due lati del campo. Ma non può sempre coprire tutti i lati del letto a fronte di una coperta corta.
L'elenco si ferma qui. Ma a fronte di nove giocatori alternatisi in un ruolo in due anni e mezzo è lecito domandarsi se tutta questa frenesia, queste sliding doors continue in un ruolo così delicato non siano frutto di un singolare allineamento planetario foriero di somma sfortuna oppure di equivoci tecnici e tattici continui, tra valutazioni affrettate e questioni caratteriali o comportamentali. O ancora, il fatto che da fine 2018 in poi gli schemi per il 3 nella De' Longhi si siano assottigliati sempre più riducendosi a due opzioni: tiro sullo scarico oppure "inventa tu, ché a me va bene tutto". Io l'ho ribattezzato lo "schema Kaukenas-Logan" e credo che non serva chiedere spiegazioni riguardo al nome. 

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