Odio dire "ve l'avevo detto". Odio ancor di più riscontrare la fondatezza delle mie convinzioni. Chi mi conosce di persona sa quanto preferirei essere smentito anche nettamente, piuttosto di dover incassare la classica ragione che non raddrizza un torto né un errore marchiano. Così quando un mese e mezzo fa confidavo i miei timori per la cabina di regia della Nutribullet, acuiti da un precampionato in cui la circolazione di palla e la costruzione dei giochi mi avevano fatto inarcare ambo le sopracciglia, speravo in cuor mio di aver preso il metaforico e classico granchio. Che non è quello blu di cui non si parla più, assodato che l'opinione pubblica ormai è presa da ben altri argomenti di distrazione tra il ciuffo dell'ex First (play)Boy, le promesse elettorali puntualmente rimangiate e risputate, il maltempo che torna a far danni, le chiacchiere sul presidenzialismo e la spaventosa crisi in Medio Oriente - quest'ultimo, il più serio tra i temi di discussione quotidiana.
Non avevo preso alcun granchio nel retino. Quindi mi devo accontentare di un baccalà riscaldato per cena, cercando di dimenticare le ultime prestazioni da incubo di Deishuan Booker, il play meno play mai visto in maglia TvB dai tempi di Maalik Wayns. Con un distinguo: Wayns era fisicamente all'ammazzacaffè persino in un campionato meno fisico e rapido come l'A2, Max Menetti lo scelse incurante delle informazioni negative che piovevano sul suo conto (persino da parte dell'agente del giocatore, pensate voi!) e tirò un enorme sospiro di sollievo quando l'americano capì di aver oltrepassato la data di scadenza salutando la compagnia di propria volontà. La storia racconta poi di un mese e mezzo difficile con la pesca miracolosa di David Logan che cambiò radicalmente una stagione di grandi aspettative che virava verso il peggio. Ma a volte serve anche una botta del posteriore invocato dal Gran Maestro dell'Ufficio Raccomandazioni Conte Diego Catellani - sì, quello della partita a stecca - per salvare capra, cavoli, faccia e reputazione.
Il guaio di questa nuova TvB, assemblata in estate con propositi neanche nascosti di playoff e desolatamente ultima con zero vittorie dopo sei turni, è forse l'aver commesso un errore similare. Booker non ha le articolazioni distrutte ed il fisico appesantito di Wayns (per i chili in eccesso, preoccupava molto di più James Young che però si è dato una bella raddrizzata); piuttosto ha una testa perennemente scollegata, alla ricerca della giocata ad effetto o dell'eccessiva rapidità a scapito degli interessi di squadra. E da quando Ky Bowman è stato eletto dalla malasorte a candidato numero uno della stagione 2023-24, il problema è divenuto evidente a chiunque. Nel derby è stata la somma tra il tecnico per flopping e l'antisportivo sacrosanto a sbattere fuori Booker con mezza partita da giocare, invertendo una tendenza fin lì favorevole ai suoi colori; a Reggio Emilia, senza play di scorta, l'americano ha pensato bene di protestare contro una terna dal tecnico facile per farsi riaccomodare in panca con 5 minuti da giocare ed una partita ancora in discussione; contro Scafati, giocando con la testa sul ceppo della ghigliottina, non ci sono state espulsioni o uscite per falli ma la consueta amnesia difensiva, l'abituale non-regia, l'inevitabile gioco a sfavore dei compagni ed a favore degli avversari.
Lo ha ammesso lo stesso Frank Vitucci, il guaio è lì. E se Pauly Paulicap è scomparso dal radar è anche a causa di ciò che sta accadendo in cabina di regia: il piccolo, leggero ma dinamico pivot ha bisogno come l'ossigeno di palloni giocabili rapidi in post basso per potersi far valere contro avversari mediamente più grossi e/o più alti di lui; se però la palla sotto non arriva mai, se il play ferma l'azione come il peggior Lionel Chalmers degli incubi di Mahmuti, se il gioco da dinamico diventa statico ed affidato agli uno contro il mondo di Harrison o alla sagra del tiro al piccione, ci sono solo due speranze di poter vincere. La prima passa per percentuali incredibili da lontano, così da aprire la scatola difensiva e mandare in tilt ogni marcatura; la seconda richiede un suicidio collettivo dell'altra formazione in campo. Contro Scafati era sciocco pensare che la seconda ipotesi si concretizzasse, stante l'intelligenza di Robinson, Strelnieks, Logan e Pinkins. Finché Young ha potuto martellare da lontano un minimo di vantaggio si è visto, tuttavia sono bastate 3 palle perse in due minuti (dopo che nei primi due quarti se ne erano perse altrettante in totale) per rimettere in partita la Givova e regalare l'ennesima amarezza al Palaverde.
Cosa fare? Vitucci ha iniziato ad ammettere delle responsabilità: d'altronde la scelta di Booker è stata sua e del DS Giofrè. Gli errori capitano a tutti, ci mancherebbe. Non è la prima volta per il duo che già un paio d'anni fa sbagliò a scegliere Josh Perkins come sostituto dell'ottimo Darius Thompson - una scelta che condannò Brindisi ad un campionato di retrovia dopo anni di vacche grasse. Booker, lo hanno capito tutti, è una tassa troppo alta da pagare: non fa girare la palla, non mette in ritmo i lunghi né gli esterni, non difende, soffre la pressione, si fa turlupinare da ogni avversario smaliziato. Non è l'unico guaio di questa Nutribullet ma è sicuramente quello più evidente e drammatico, ché senza regia non si può andare lontano né si può pensare di chiedere a Zanelli di sciropparsi 30 minuti restando lucido e con fiato in corpo. La volontà di affidarsi al 6+6 utilizzando quasi tutti i visti a disposizione riduce il margine di manovra sul mercato americano, quindi se taglio di Booker dev'essere è bene trovare un'alternativa di spessore. Ossia un play vero, ragionatore, che sappia spingere la transizione così come giocare a metà campo, che difenda non solo sulla palla, che non costringa a continui adeguamenti e che non si faccia soffiare la palla a metà campo.
Poi ci sarebbe la questione Harrison. Un giocatore che soffre la situazione, che dal precampionato denota segnali di nervosismo, che non infonde al gruppo la tranquillità di cui avrebbe bisogno ma aggiunge frenesia all'assenza di regia. Non è questa la guardia che lo staff tecnico cercava in estate, almeno come identikit. Poi è comprensibile che la scelta di investire l'ingaggio più oneroso proprio sull'ex St. John's sia stata ponderata in base alla reciproca conoscenza nel triangolo tra giocatore, allenatore e direttore sportivo, ma i risultati sono molto al di sotto dello standard. C'è qualcosa che non va nel linguaggio del corpo di un elemento che, in un sistema già privo di cervello pensante, si incaponisce a cercare soluzioni che tre volte su quattro provocano l'adeguamento della difesa e non la riapertura degli spazi. Pensare di tagliare anche lui, ora come ora, è impensabile anche se è chiaro che, come è avvenuto per Young, la società si aspetta un cambiamento pure da Harrison. Magari un segnale positivo in tal senso potrebbe essere una piccola multa dopo il teatrino post partita - per due sorrisi di troppo Sokolowski venne crocifisso lo scorso gennaio, anticamera della fine di un rapporto logorato.
A proposito di Sokolowski. Con buona pace di chi lo ritiene un ingrato o un traditore, a Napoli il polacco ha ritrovato serenità, stabilità, ruolo e rendimento abituale. Merito di un sistema semplice ma efficace, con due guardie che si spartiscono la regia e di un 4 che apre l'area ed i giochi come Zubcic. E merito di Igor Milicic, l'allenatore della Polonia che fece gridare al miracolo l'anno scorso agli Europei e che ora guida la più bella squadra del campionato assieme alla Virtus di Banchi ed alla Trento di Galbiati. Sokolowski ritornerà al Palaverde domenica 19 novembre e prevedo che i soliti cervelloni lo accoglieranno a fischi e ululati di contestazione. Mi auguro e gli auguro di zittire simili personaggi con talento ed intelligenza, senza badare alle bassezze di pochi. A TvB intanto auguro di agire in fretta per risolvere il buco nero in regia. A costo di presentarsi a Bologna sabato con Zanelli e Torresani come unici play, dimostrando che nessuno ha il posto garantito e che non è scritto in nessun manuale che uno USA con la testa da un'altra parte debba giocare in forza del passaporto. Per referenze, chiedere a Quenton DeCosey che nel gennaio 2017 si sorbì tre quarti di un Fortitudo-Treviso da netta vittoria emiliana come spettatore non pagante, entrando nell'ultimo ininfluente quarto come segnale di una separazione già in corso. Perché spesso più che le parole sono i gesti a chiarire molte cose.

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