Datemi pure del nostalgico. Oppure fatemi dei finti complimenti - possibilmente senza intimidazioni e minacce successive, ché lì avrei già dato. Potete anche dire che dovrei passare dall'oculista (vero, l'ultima visita è stata per il rinnovo della patente). Io però continuo a dire che il gioco della pallacanestro non può prescindere da quello che dovrebbe essere mente pensante e braccio esecutivo in campo dell'allenatore. Ossia il playmaker.
Senza il regista non ci può essere gioco. Almeno, non si può credere di organizzare una singola manovra efficace in attacco. Si può rinunciare al playmaker al campetto, dove in sostanza comanda il più talentuoso, anche il più pazzo, comunque chi sa segnare e non è timido nel tirare. In un campionato professionistico non è concepibile affidare la sfera a guardie adattate o a giocatori che non possono reggere il confronto sulle lunghe distanze. Il rischio è di vedere la propria squadra ferma in attacco, in impaziente attesa che accada qualcosa di utile. Quindi qualunque cosa che non sia la penetrazione frontale su pick'n'roll (prevedibile come lo zampone con le lenticchie a Capodanno) o il solito giochino di finti blocchi e consegnati sperando che qualcuno prima dello scoccare del 24° secondo decida di tentare la sorte al tiro da 3.
Lo dico? Ok, lo dico: era dai tempi nefasti delle Benetton di Chalmers e di Kus che non vedevo una Treviso dei canestri esprimersi in maniera così confusa, disordinata, senza capo né coda. E se in prestagione si poteva pensare che il punto debole di una formazione destinata a soffrire per inseguire la permanenza in categoria fosse la posizione di pivot - Cooke insufficiente già a Trieste tre anni fa, Simioni inadeguato per la categoria - già alla seconda giornata di campionato è evidente che non vi sia un'idea chiara su come eseguire uno schema a difesa schierata. Finché si può correre in transizione, tutto bene; appena ci si deve fermare e pensare, cominciano i guai. E qui troviamo le dolenti note, ossia la scelta della coppia di registi. Alessandro Zanelli voleva tornare a casa, rappresentava una scelta più conveniente rispetto al contrattone di Matteo Imbrò ed in un'ottica di riduzione dei costi il suo ingaggio poteva avere una logica; però Zanelli ha dimostrato in Serie A di poter essere un buon play di appoggio solo se può agire alle spalle di un fuoriclasse come Darius Thompson, mentre con onesti mestieranti (Wes Clark) o ibridi equivoci (Josh Perkins) ha sempre e solo faticato.
Accoppiare dunque Zanelli ad un Ike Iroegbu è stato un azzardo. Prima di tutto perché si è puntato su un titolare nel ruolo che sa esprimersi ad una sola velocità, quella supersonica; in secondo luogo, perché risulta più efficace quando viene spostato nella posizione di guardia tiratrice. Il risultato è che, se non può spingere la transizione, Iroegbu va in cortocircuito, non trova letture alternative al pick'n'roll e diventa tragicamente prevedibile; Zanelli, come suo backup, si trova a dover rimettere in carreggiata una squadra che sbanda e che dopo un po' vede i suoi solisti isolarsi. Aggiungiamo al quadro un Banks in evidente ritardo di condizione, uno Jantunen che si sta ancora adattando al livello di un campionato ben più fisico rispetto alle sue abitudini, i noti problemi nello spot 5 ed il disastro è servito. Non è un caso che Treviso sia in coda alla classifica di squadra degli assist (14 di media, peggio fanno solo Napoli, Trento e Brindisi) e che non vi siano punti di riferimento assoluti per la gestione dei palloni. Così come non è casuale che nelle sconfitte con Reggio Emilia ed a Trento i protagonisti tra gli avversari siano stati Andrea Cinciarini e Diego Flaccadori. In che ruolo? Avete indovinato: regista, seppure con enormi differenze per caratteristiche, storia personale e modalità d'interpretazione.
Come se ne esce? La soluzione drastica passa per dei tagli. Sempre se ci sono soldi da spendere, aspetto affatto marginale. La Nutribullet attuale è stata costruita in relativa economia rispetto a quella dell'anno scorso ma non vi è tutta questa abbondanza di denaro da reimpiegare sul mercato per dei correttivi. Col senno di poi si potrebbe dire che in estate si sarebbero dovute ponderare meglio certe scelte, magari valutando profili alternativi rispetto agli stranieri che per ora stanno deludendo - Iroegbu, Cooke ma anche Banks. Le alternative sono un cambio radicale del playbook oppure una suddivisione delle responsabilità. La prima Treviso di Menetti cambiò marcia sì con l'innesto di Logan al posto della zavorra Wayns ma prima ancora con l'idea tattica di sopperire ai problemi in regia tramite un playmaking diffuso che coinvolgeva quattro esterni (Imbrò, Logan, Burnett e Uglietti). L'attuale Nutribullet può chiedere uno sforzo in appoggio alla regia anche a Banks ed a Sokolowski, col polacco che ha già dimostrato di poter essere prezioso da point forward purché non gli venga chiesto anche di fare bottino e di difendere per tre. Se un suo sacrificio come portatore di palla potesse liberare l'estro dei colleghi di reparto sul perimetro, allora si potrebbe sperare in qualcosa di diverso rispetto allo spettacolo deprimente di queste prime due partite ufficiali. Viceversa la lotta per retrocedere si preannuncia già ora assai dura: Trieste (a proposito di squadre fatte in economia) è battagliera, Napoli non ha ancora ingranato e Scafati si affiderà ai tanti veterani. La scommessa per rimanere in Serie A è tutta qui.
PS: per chi si è domandato che fine avesse fatto, Maalik Wayns si è ritirato più di due anni fa dopo aver provato a giocare ancora tra Francia, Bielorussia e Iran. Come detto dal suo agente italiano, ben prima della firma con TvB la carriera del giocatore era finita: la combinazione tra caviglie fragili e tendenza cronica ad accumulare peso corporeo si era rivelata letale. Peccato che all'epoca lo staff tecnico e dirigenziale di Treviso ignorò tali problemi pensando di aver risolto tutto in regia con lui e con l'ingaggio in prospettiva del lungodegente Giovanni Tomassini. La storia andò altrimenti.

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