Non sapete come contrastare quella terribile noia (non ho detto gioia, per citare il Califfo) che vi pervade tra una serata con sole repliche in televisione, il ritrovamento da parte di vostra moglie della collezione intera di Rakam che speravate avesse perso nell'ultimo trasloco e il vicino appassionato di Tenco che rispolvera tutta la discografia del suo idolo? Provate con la Fortitudo, difficilmente resterete delusi. Già perché dopo l'allenatore ed i giocatori, se n'è andato anche il presidente con l'ennesimo colpo di teatro dell'assurdo della società forse più schizofrenica della palla a spicchi nostrana.
Diceva di avvertire un buon odore, Christian Pavani, nei giorni del ritiro estivo a Lizzano in Belvedere. Chissà, forse si riferiva alle colazioni di Aradori che sono divenute un vero tormentone sui social. Oppure aveva annusato l'ultimo deodorante alla moda utilizzato da uno dei giocatori spediti a svolgere una presunta preparazione atletica sull'Appennino - dico presunta perché in quei giorni il bollettino dell'infermeria biancoblu pareva un resoconto di guerra. O ancora aveva forse avvertito un pungente sentore rispolverando dall'armadio dei ricordi e delle memorabilia il vecchissimo stemma societario da appiccicare sulle divise da prestagione, un'operazione che ancora oggi viene gabellata come nostalgica e non come un tentativo di bypassare la questione commerciale di un logo a pagamento. Curiosità a parte, chissà qual era veramente il messaggio che Pavani voleva trasmettere all'ambiente. Quel che è certo è che, dopo quella tragicomica dichiarazione olfattiva, non ne è andata una per il verso giusto alla Fortitudo.
La Supercoppa delle continue sconfitte, la trattativa grottesca con Kigili, il mistero Fantinelli, coach Repesa che alla prima occasione sbotta e se ne va sbattendo la porta, il richiamo in corsa di Martino, la telenovela Langford, il taglio di giocatori prima imprescindibili e poi zavorre, la fuga di Ashley, la ricostruzione che inizia con un greco di assai dubbio talento appena silurato da Venezia dove aveva giocato poco e male. Questa è stata la Fortitudo da settembre a dicembre, con qualche vittoria occasionale a punteggiare un'annata balbettante e con mille interrogativi. A cominciare dalla solidità della società: dopo l'iscrizione al campionato per il rotto della cuffia e gli enormi debiti ereditati dalle ultime due stagioni, gli ultimi (ovviamente costosi) stravolgimenti non hanno lasciato indifferente nessuno, anzi qualcuno inizia a porsi delle giustificate domande sullo stato di salute del club.
Pavani lascia con la squadra penultima in compagnia di Cremona, alle spalle c'è la sola Varese (altra realtà in chiara difficoltà anche gestionale) che comunque ha qualche partita da recuperare e dunque potrebbe anche rimontare. Ma lascia dopo anni di questioni aperte, di dubbi, di problemi, di situazioni al limite. Tutti paiono ricordare la manfrina di Metano Nord, la sponsorizzazione annunciata con tanto di nuove maglie griffate e poi sparita in seguito alle proteste dell'azienda che nulla sapeva del presunto contratto con la Fortitudo. Anche all'epoca Pavani si prese la piena responsabilità della vicenda dichiarandosi disponibile a farsi da parte: la proprietà (ma quale? Anche qui bisognerebbe dire qualcosa, prima o poi) respinse al mittente confermando la fiducia.
Ma Pavani era stato anche altro. Non solo l'uomo di fiducia di Gianluca Muratori, ex presidente del club e direttore di quel Consorzio Innova il cui marchio campeggia ancora oggi sulle maglie da gara. Era stato il soggetto individuato per avviare il progetto immobiliare che doveva fornire respiro ad una Fortitudo rinata nel 2013 ma presto afflitta dai vecchi mali: l'idea del nuovo palasport per sostituire il fascinoso ma limitato PalaDozza è finita in un cassetto, ben prima della pandemia, una volta analizzati costi e tempistiche; non è andata meglio al centro multifunzione a Borgo Panigale, campi da basket e da paddle da realizzare in un vecchio capannone industriale: la sede oggi c'è, del relativo business però non vi è traccia. Mistero.
Pavani era stato anche tra i protagonisti di quella serata di follia al Palaverde, fine maggio 2016. Sì, la sera del controsoffitto, dei seggiolini divelti, della gazzarra, dello schiaffo al questore. C'era anche Pavani là in mezzo, almeno finché un dirigente della Questura non gli disse senza mezzi termini di non intromettersi e di sgombrare. Anche di quella storia non si è più saputo nulla, se non per un Daspo poi rientrato. Eppure tutto fa parte del ritratto di un personaggio che verrà ricordato per aver riportato la Fortitudo in A dopo dieci anni dal pomeriggio orribile di Teramo ma anche per aver condotto campagne acquisti da album delle figurine, per ingaggi ed esoneri di allenatori come se si fosse dentro ad un frullatore, per aver avuto idee un po' bizzarre quanto al marketing scatenando l'ilarità del tifo avverso, quello virtussino, che si è visto servire su un piatto d'argento talmente tante occasioni di sfottò da non dover far altro che ringraziare e passare all'incasso.
La domanda che ora in molti si pongono è "E adesso?". Già. Adesso che succede? Prima di tutto bisognerà capire se la proprietà (ridajela...) accoglierà o respingerà nuovamente le dimissioni. E se vi sarà conferma, chi prenderà il posto di Pavani, con che mansioni, con quali incarichi, con che tipo di limiti e di obiettivi. Giova ricordare che nemmeno un anno fa la Fortitudo ha salutato Valentino Renzi che della società doveva essere una sorta di nume tutelare a livello amministrativo: nemmeno in quel caso si sono chiarite le condizioni dell'addio, che ai più è parso legato non tanto all'annata sportiva da incubo, con la salvezza maturata nello scontro decisivo con Cantù, quanto alla situazione economica interna. Da allora la Effe ha lasciato scoperto il ruolo, incamerando piuttosto un direttore commerciale che però pare sia stato scavalcato da Pavani nella trattativa più importante, quella per il main sponsor stagionale garantito proprio da un viaggio settembrino dell'oramai ex presidente in Turchia. Il tifoso medio sogna un ritorno dei Seragnoli, magari identificati nella moglie di Stefano Mancinelli - d'altronde il connubio già garantisce un supporto a livello di sponsorizzazione. Oppure un cambio di ruolo in corsa proprio di Mancinelli, che come giocatore ha abbondantemente dato ed al quale i numerosi acciacchi consigliano oramai un addio alla dimensione agonistica. Ma così fosse, potrebbe un ex giocatore fungere da paracadute e parafulmine per un club finora preda della schizofrenia e vittima spesso di scelte incomprensibili per non dire assurde? Aspettiamo e vediamo.
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