Tre a zero. Che altro vi aspettavate? Un accoglimento anche solo parziale del ricorso? Una ammissione d'errore? Un "scusate, avete ragione, voi i soldi li avete e vi abbiamo sbattuto fuori mentre abbiamo ammesso anche chi presumibilmente faticherà a pagare i primi stipendi"?
Beata ingenuità. C'è chi dice che nella vita sia meglio essere ottimisti piuttosto che pessimisti. Io preferisco il bieco realismo. Magari fa male come un cazzottone sferrato da un peso massimo, ma almeno non mi illuderà riguardo al futuro.
Bocciatura doveva essere e bocciatura è stata. C'è chi dice per documentazione incompleta, chi per confermare una tradizione di autoreferenzialità, chi ricordando i pasticci federali del Lorbek-Cuccarolo che a solo nominarlo deve agitare i sonni di qualcuno che in certe stanze si muove da una vita.
Com'è, come non è, così è andata. Fine corsa? Chi lo sa, magari i soci di Treviso Basket si stuferanno e molleranno il colpo. Nessuno potrebbe biasimarli, vista la quantità industriale di fango ingurgitato e di tranvate facciali rimediate. Non certo per masochismo, ma per senso di responsabilità, per amore dello sport e per possibilità di riavviare un piccolo modello economico. Ma in fin dei conti, per alcuni, i cognomi Bottari, Bordini, Fabbrini e Tramet, o il simulacro di Paolo "Piranha" Vazzoler sono nulla. O poco più che piccoli fastidi. Magari c'è chi li potrebbe considerare punture di zanzara: stagionali, quindi da sopportare fino a quando il caldo non cede il passo ai colori d'autunno.
Per me no. Non è una moda. Queste persone hanno creduto in un progetto al punto da investire denaro (parecchio, per questi tempi), tempo ed energie. Qualcuno ha detto loro di no. In un'aula di un tribunale sportivo. All'interno di un consesso di consiglieri. Magari anche con una telefonata. Questo miracolo non s'aveva da fare.
Treviso deve sparire. Come doveva sparire la Virtus nel 2003 - ma si creò prontamente una scialuppa in B1 e non si ostacolò l'operazione FuturVirtus-Castelmaggiore. Come doveva sparire Messina, sempre nel 2003 - ma fu premiata con la promozione d'ufficio, paradosso dei paradossi. Come doveva sparire la Fortitudo nel 2009 - invece ancora B1, con girone dispari, e poi altri due anni di alchimie per tenere in piedi un baraccone pieno solo di debiti. Come doveva sparire la Nuova Sebastiani Basket di Papalia - altro giro, altra regalia, vedi deroghe ai regolamenti per autorizzare un trasloco impossibile. E Montecatini, cui fu concessa una seconda occasione nel giro di poche settimane, poi sprecata ma almeno non incassò un "no" secco subito. O la Viola, un disastro dietro l'altro. I debiti di Teramo, il mercato bloccato di Avellino, le continue attenzioni a Napoli per recuperare una metropoli che da quindici anni non ha più un palasport degno di tal nome. Per tutte, un piccolo favore qua, un occhio di riguardo là. Insomma, una soluzione. Treviso no. Neanche in Promozione.
I tifosi e qualche politico parlano di Lega Adriatica. Costosa e non preventivata, ma bella ed affascinante. Soprattutto, lontano da una Federazione che negli ultimi anni non ha saputo rinnovare, innovare e raccogliere risultati ma solo beghe e procedimenti giudiziari. E da una Lega che ha perso da troppo tempo l'occasione per essere demolita e ricostruita su un modello vincente.
Tuffo nel passato. 1987. In Italia arrivano due signori spagnoli. Si chiamano Jordi Bertomeu ed Eduardo Portela. Piccoli manager, avvocati: vogliono studiare il basket italiano per replicarne il successo organizzativo in patria. Cinque lustri dopo, la ACB è leader continentale e da essa (e dagli stessi personaggi) è nata l'ULEB, che ha rivoluzionato l'Europa dei canestri. Nella penisola iberica il basket è fenomeno di costume e di marketing, gli impianti sono nuovi e possono andar esauriti in abbonamento(!) mentre da noi si sopravvive tra strutture fatiscenti e tendoni imbarazzanti. E soprattutto, il calo di pubblico e di interesse nel Belpaese è verticale. Neppure un argento olimpico, roba di otto anni fa, viene sfruttato a dovere per promuovere lo sport. Ci si appoggia a pochi mecenati. Ma quando questi, uno dopo l'altro, dicono "basta" (alcuni con somma signorilità, altri meno), nulla di concreto si muove. A parte le presenze alle partite, alle riunioni, ai meeting. Giusto per poter dire di essere stati presenti. Un gettone, neanche per l'americano tappabuchi in attesa che la propria stella torni a brillare dopo un infortunio.
Volevamo essere l'America. Siamo inferiori anche alla Germania, dove fino a pochi anni fa si giocava in palestrine vergognose, o alla Francia, in cui il dilettantismo inteso come rifiuto della possibilità di business sportivo è quasi un Moloch. Nemmeno la Nazionale ottiene risultati. Dal 2005, illusorio oro ai Giochi del Mediterraneo, è un susseguirsi di flop. Di chi la colpa? La FIP accusa la Lega, i club se la prendono con la Federazione, i giocatori italiani chiedono e ottengono garanzie che alla fine portano loro benefici economici ma non di crescita tecnica mentre gli allenatori non vengono incentivati ad investire su sé stessi - tanto, bravi o mediocri, nessuno li paga a formazione ma solo a risultato agonistico - e degli arbitri è meglio non parlare. In questa situazione, Treviso rischia di sparire dalla mappa. Prima di lei, è già accaduto ad Udine e Gorizia, altre piazze di tradizione tanto nei pro quanto tra gli juniores. Ma quali peana sono stati intonati? Non se ne ode traccia alcuna. Piuttosto, meglio togliersi dalle scatole un "possibile pericoloso precedente normativo", per dirla in burocratese. Cosa importa se il già citato Bertomeu, adesso potentissimo e riverito, si scomoda per chiedere di preservare una tradizione che funge anche da veicolo pubblicitario? Meglio, per molti, pensare ai parametri NAS, che ridendo e scherzando alla fine sono un incasso abbastanza garantito.
Treviso muore. Da sola, senza filistei. Ed il suo sacrificio, così, risulta ancor più illogico.
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