martedì 17 giugno 2025

Chiedete scusa a Dusko

Scusarsi dovrebbe essere la prassi. Invece lo smisurato orgoglio e una dose di maleducazione inducono molte persone a non voler compiere un gesto che dovrebbe essere naturale. Dusko Ivanovic è un signor allenatore e, come tanti esponenti della sua categoria (Frank Vitucci incluso), merita delle scuse. Io c'ero, quel pomeriggio dello scorso febbraio all'Isozaki di Torino quando Ivanovic pronunciò quelle frasi. In molti tra i presenti sorrisero, quasi di compassione, come se si fossero trovati davanti un vecchietto afflitto da demenza senile che sproloquiava. Ivanovic invece pronunciò concetti chiave: quella pesante sconfitta contro Milano nel quarto di finale di Coppa Italia era il classico tipo di partita che avrebbe insegnato alla sua Virtus come vincere uno scudetto. Per chi non capisce i concetti elementari, traduco: prendere una sonora batosta da una squadra che si ritiene superiore abitua il gruppo a cementarsi, a lavorare più duramente, a voler dimostrare di poter dare sempre di più. Ciò che è esattamente avvenuto in questi playoff.

Ivanovic è montenegrino ma da giocatore è stato allo Jugoplastika Spalato, quella meravigliosa fucina di talenti che incantò l'Europa. C'era un giovanissimo Kukoc con lui ma anni prima, con quella casacca, si era visto e aveva vinto anche un certo Pero Skansi. Che in difesa aveva idee tattiche parecchio simili a quelle di Ivanovic e che sapeva non solo puntare sui giovani ma anche valorizzare quei veterani che avevano ancora molto da dare. Il simbolo di questa Virtus scudettata per la diciassettesima volta è Toko Shengelia, un georgiano sbarcato a Bologna a causa delle conseguenze della guerra in Ucraina. Se quel pazzo megalomane di Vladimir Putin non avesse pensato di giocare a Risiko con le vite di centinaia di migliaia di persone, Shengelia sarebbe rimasto a Mosca assieme a Daniel Hackett e a tanti altri campioni che invece hanno scelto di andarsene alla prima occasione. Ma lo Shengelia sbarcato al "Marconi" era tutto fuorché un ragazzino in rampa di lancio. Piuttosto era un elemento esperto che aveva già conosciuto la NBA e che giocava stabilmente in Eurolega. Si pensava che avesse già raggiunto la piena maturità sportiva e che nel giro di un paio di stagioni avrebbe imboccato la china discendente. Invece Toko ha stupito dimostrando maggiore freschezza, volontà di sacrificarsi nonostante una commozione cerebrale e una superiore capacità d'interpretare il gioco a dispetto delle trentacinque primavere.

Quel che non è riuscito a Marco Stefano Belinelli, il cui ultimo anno da giocatore professionista è stato un calvario. Tredici mesi fa l'ex ragazzo di San Giovanni in Persiceto (il paesello del fiero alleaten Galeazzo Musolesi, per citare il povero Bonvi) veniva incoronato MVP della LBA. Ora appare l'ombra di quel che è stato, ridotto a comparsa non più capace di pungere con i suoi movimenti di piedi, le uscite dai blocchi, le sospensioni fuori equilibrio. Per lui la cura-Ivanovic ha funzionato al contrario, spingendolo ai margini delle rotazioni. E chissà cosa sarebbe successo se Will Clyburn non si fosse infortunato. La carriera di Belinelli, partita nell'ultima derelitta Virtus di Marco Madrigali ventitré anni fa, è finita stasera. Da domani dovrà solo scegliere come approcciare la sua prossima vita, se passare a un ruolo dirigenziale, provare a diventare allenatore oppure lasciare il basket per fare altro.

Ci sono altre tre storie che meritano di essere raccontate in questo scudetto virtussino. Quella di Achille Polonara la conoscono tutti ma va ribadito il coraggio di un ragazzo che in due anni si è visto piovere addosso due asteroidi da Armageddon personale. Superato il tumore al testicolo, ora Achi deve fronteggiare la leucemia mieloide, un male subdolo. Ha fatto benissimo Mario Castelli a ricordarlo in cronaca: queste situazioni di dolore servono a promuovere la sensibilizzazione nei confronti delle malattie e l'importanza della donazione. Chi può, contribuisca con il proprio midollo osseo. Achi forse non giocherà più ma a trentatré anni e con una meravigliosa famiglia attorno ha tutto il diritto di vivere ancora a lungo. Gli serve solo il giusto supporto per farlo.

Poi c'è Brandon Taylor, in play tascabile pescato in ACB da una squadra retrocessa. Altra magata di Ivanovic, che porta un giocatore simile a vincere lo scudetto? No. Taylor lo conoscevo da quando giocava (benissimo) in A2 a Bergamo ma in pochi gli avevano offerto delle chances ad alto livello. Per abnegazione, spirito positivo, voglia di fare, Taylor è il giocatore che chiunque vorrebbe. Calatosi in punta di piedi, è stato fondamentale in un sistema tattico che privilegiava la circolazione di palla per imbeccare al meglio il talento di Shengelia e che sfruttava le riaperture del georgiano sul perimetro per i tanti giocatori liberati dai raddoppi sistematici prima di Milano e poi di Brescia. Se Bologna non dovesse confermarlo (e probabilmente non lo farà per tanti motivi), chi lo prenderà farà un affare.

Infine ci sono i lunghi italiani, specie definitiva in via d'estinzione. Sarà, ma ho visto giocate solide, concrete e puntuali di Momo Diouf, il ragazzone scoperto da Pillastrini a Reggio, e di Nicola Akele, il montebellunese giramondo. Il CT Pozzecco sicuramente ha gradito, ora tocca a lui credere in questi elementi e a loro confermare quanto di buono fatto - Diouf sontuoso contro Bilan, Akele eccellente in difesa su Mirotic in semifinale - per ricostruire il reparto in azzurro. A proposito, messaggio per Willy Caruso: molla immediatamente la panchina triste di Milano, accetta un robusto taglio d'ingaggio e vai a giocare in qualche squadra che ti accordi fiducia. A ventisei anni non c'è tempo da perdere.

martedì 22 aprile 2025

"Vergogna buffoni!"

A scanso di equivoci e a beneficio di analfabeti funzionali e ignoranti culturali, il titolo volutamente in virgolettato del presente post è un omaggio a un famoso editoriale del giornalista Mino Pecorelli. Che nell'edizione del 16 gennaio 1979 della rivista da lui diretta ("OP - Osservatorio Politico"), sotto il titolo "Vergogna buffoni!" elencava le tante, troppe distorsioni del caso Moro, comprese alcune informazioni riservate in suo possesso che presumevano la possibilità di salvare il presidente della Democrazia Cristiana. Purtroppo il povero Aldo fu sacrificato sull'altare della ragion di Stato, o meglio di Jalta. E pure il povero Mino di lì a poco avrebbe pagato con la vita il proprio attivismo e la volontà di informare a prescindere dai giochi politici e dalle amicizie pericolose.

Lungi da me paragonarmi a Mino Pecorelli, sia mai! Ma c'è qualcosa che non digerisco da settimane. E no, non è lo sformato di bigoli ai porcini di un'ottima gastronomia trevigiana, cui ho rinunciato per motivi di dieta. Non riesco ancora a digerire l'orripilante trattamento riservato da alcune teste fini a Frank Vitucci e ad un paio di giocatori della Nutribullet, persone che avranno anche colpe e difetti come tutti ma che non meritano di ricevere piogge di fischi appena lo speaker Roberto Focarelli ne annuncia il nome nei prepartita. I signori (e anche le signore, non facciamone una distinzione di sesso) che si dilettano in tale ignobile attività, vergognosa e indegna perfino dei buffoni di corte, pensano di essere legittimati in ciò dal biglietto o dall'abbonamento pagato. O, peggio, si ritengono autorizzati in tali trivialità da zone basse semplicemente dall'aver visto per anni o decenni un basket diverso, composto da campioni pagati fior di miliardi di vecchie lire. Tali personaggi devono aver dimenticato i tanti discorsi fatti dal 2012 a oggi sulla necessità di dimenticare il passato, sulla ripartenza dal basso, sul passaggio dal mecenatismo a un modello differente di gestione economica di un club professionistico. Simili figuri, che si attribuiscono patenti a loro estranee di finissimi conoscitori della pallacanestro quando in realtà faticano a distinguere una difesa a zona classica da una match-up, da un mese e mezzo si esibiscono in uno spettacolo indecoroso, convinti forse che questo atteggiamento possa aiutare in qualche modo il club e la squadra o che un allenatore o dei giocatori possano essere indotti alle dimissioni o all'esonero da parte della proprietà soltanto in base al volume dei disturbi acustici prodotti dal pubblico.

Alcuni di questi simpatici soggetti hanno avuto anche la brillante idea di prendere di mira altri spettatori che non condividevano le loro posizioni di contestazione aprioristica, provocando proteste queste sì sacrosante nei confronti della società. Perché se l'articolo 21 della Costituzione consente ampia libertà d'espressione, quest'ultima non si traduce nella possibilità di insultare o minacciare chicchessia né di indurre persone di differente opinione ad abbandonare il proprio posto al Palaverde a causa di qualche contestatore che non intende ragionare col cervello, preferendo utilizzare la propaggine del fischietto. Altri brillanti pensatori si sono spinti oltre, riempiendo i social di nefandezze nei confronti di chiunque reputino un "nemico" delle loro assurde posizioni. Cominciando con coach Frank Vitucci per proseguire con giocatori, membri della società, altri tifosi e ovviamente giornalisti. Perché si sa, è comodo prendersela con la stampa che riporta la verità dei fatti, soprattutto quelli sgraditi, mentre una profonda disamina critica del proprio comportamento è troppo pesante per essere anche solo considerata.

Confesso di aver risposto in privata sede a qualcuno di questi personaggi che si attribuiscono un'eccessiva importanza, accomunati da una formula riassumibile in "Vedo basket da 30-40 anni, quindi...". Eh no signori, "quindi" un beneamato. Come insegnava diciotto anni fa un coach preparato e indubbiamente spiritoso come Zare Markovski, guardare è un conto e fare è ben altra cosa. Che si tratti di sport o di altre attività fisiche o lavorative, poco importa. Dovreste semmai ringraziare la pazienza e la signorilità di Frank Vitucci, che avrebbe potuto benissimo tutelarsi in sede giudiziaria facendovi piangere amare lacrime e impartendovi una memorabile lezione e che invece ha sopportato i vostri fischi e i vostri insulti.

Ora vi rivelo un piccolo retroscena. Non lo meritereste, ma stante lo spirito di festa del periodo pasquale ho deciso di mostrarmi generoso. Lo scorso 5 aprile era il compleanno di Frank Vitucci, eppure la società Treviso Basket non ha pubblicato nei canali social il consueto post di auguri. Non è stata una dimenticanza né una mancanza di rispetto: è stato lo stesso Vitucci a chiedere giorni prima che nulla venisse pubblicato in merito per non guastare l'atmosfera di un giorno speciale. In compenso, sabato sera lo stesso coach Vitucci mi ha voluto fare un regalo di compleanno (sì, il 19 aprile è il mio compleanno), donandomi una soddisfazione immensa. Che va ben oltre la mera vittoria contro Tortona. Quel che mi ha schiuso un sorriso mefistofelico degno del Joker è l'aver visto diversi fischiatori e contestatori incitare, applaudire e accompagnare la squadra in una gara che Vitucci ha condotto in maniera esemplare. Come? Asciugando le rotazioni, escludendo gli elementi in crisi (Harrison) o dannosi (Caroline, un mangiapalloni), accettando lo scotto del calo di rendimento dopo trenta minuti a pieno regime ma trasmettendo ai suoi ragazzi la tranquillità per condurre in porto una gara delicatissima.

Dettaglio da non sottovalutare: sabato sera TvB non ha toccato il +26 per debolezza dell'avversaria, per congiunzione astrale o per culo (perché si dice culo)... ma per oggettiva qualità del gioco. E al netto dell'ennesima serata complicata di Mascolo in cabina di regia. Tutto ciò è frutto del lavoro dello staff tecnico, non certo dell'improvvisazione del momento, dell'autogestione di quattro o cinque elementi o di una impronosticabile follia collettiva. Quando il Derthona, rianimato dalle triple in serie ad altissimo tasso di difficoltà del duo Baldasso-Denegri, si è rifatto sotto e ha addirittura sorpassato, qualunque altra squadra in confusione si sarebbe sciolta come neve al sole. Il fatto che TvB abbia mantenuto i nervi saldi rispondendo colpo su colpo e giocando una difesa magistrale sull'ultimo tiro dei piemontesi è consegueza diretta di quanto organizzato da chi siede in panchina. Con buona pace dei signori e delle signore da "Vedo basket da 30-40 anni".

Tutti sabato sera hanno visto la prova da 31 punti di Ky Bowman, tutti hanno applaudito il giocatore che a suon di bombe ha siglato il successo numero dieci in stagione. Pochi ricordano che la scorsa estate Bowman poteva andarsene da Treviso, non aveva contratto, non c'erano vincoli, anzi almeno due società di altre leghe lo avevano contattato sottoponendogli proposte economicamente più vantaggiose. Bowman è rimasto a Treviso per Vitucci, perché dal suo primo giorno in Europa si è trovato a meraviglia con lui, perché percepisce la fiducia del coach, perché sa che anche nel momento peggiore il suo allenatore non gli addosserà mai le colpe. Vitucci avrebbe potuto farlo lo scorso 22 dicembre quando a Sassari proprio Bowman spese il quinto fallo su Bibbins a 10 secondi dalla fine e col punteggio in parità: Ky aveva sbagliato, pensava erroneamente che la sua squadra fosse in ritardo di un punto e aveva ignorato le urla del suo coach che non voleva assolutamente mandare in lunetta gli avversari. Un altro allenatore avrebbe crocifisso Bowman pubblicamente, lo avrebbe additato, sarebbe stato semplice dire che la squadra aveva perso per colpa sua. Vitucci ha ingoiato il rospo e ha abbracciato il giocatore che, resosi conto dell'errore, ha chiesto scusa. Allenare è anche questo ossia dimostrare umanità ed empatia.

Quindi a chi continua a lamentarsi di Frank Vitucci, a insultarlo, a chiederne le dimissioni, a ricoprirlo di fischi ingenerosi e stupidi durante la presentazione delle squadre. A chi intimidisce, offende e minaccia i tifosi che non si piegano né si accodano a questo clima avvelenato. A chi da settimane invoca misure draconiane, licenziamenti, allontanamenti, epurazioni, liste di proscrizione che Silla spostati. A chi pensa che gli si debba consentire le peggiori rimostranze solo in forza di un biglietto o di un abbonamento pagato. A tutti questi personaggi riservo il titolo di quell'editoriale di Mino Pecorelli. Non si deve vergognare Frank Vitucci, che il suo lavoro l'ha compiuto fino in fondo rispettando quanto aveva promesso a inizio campionato - ve lo ricordo: una salvezza più tranquilla e agevole, senza aspettare l'ultima giornata. Non si deve vergognare chi si è impegnato dal primo giorno per raggiungere un risultato affatto scontato. Non si deve vergognare chi evidenzia il becerume di una parte del pubblico. Quel "vergogna buffoni!" va indirizzato solo a chi ancora oggi non ha capito e si ostina a non voler capire di aver commesso una serie continua di fesserie. Ma come si dice al mio paese, "Al è dibant cirî di insegnâ al mus..."

martedì 25 marzo 2025

Un dolce, dolcissimo ricordo

Se ne è appena andato, eppure mi manca già. Giuseppe Vicenzi, per tutti l'uomo del savoiardo, ha chiuso gli occhi per sempre dopo una vita spesa su due binari. Quello dell'azienda di famiglia, trasformata da semplice laboratorio semi-artigianale in colosso dolciario. E quello della pallacanestro, sport che ha amato visceralmente al punto da spendere soldi (tanti), passione (altrettanta) e tempo (non parliamone neppure) per aiutare la realtà veronese a salire dall'anonimato delle serie inferiori sino alle zone nobili della Serie A. Giuseppe Vicenzi apparteneva alla categoria speciale dei mecenati, i capitani d'industria che colsero l'importante messaggio che si poteva veicolare attraverso lo sport: da strumento ludico e ricreativo a perfetto modulo di trasmissione aziendale. Vicenzi era ragione e sentimento, lucidità e positiva follia. Una via di mezzo tra Gilberto Benetton e Giorgio Seragnoli, tra il pragmatismo dei Colori Uniti e l'amore autodistruttivo (per la Effe) dell'Emiro felsineo.

Conservo tre ricordi particolari di Giuseppe Vicenzi. Il più bello è la foto in cui abbraccia coach Andrea Mazzon all'arrivo all'aeroporto, entrambi con la Coppa Korac 1998 in mano, quel trofeo vinto nella tana del lupo ossia al Pionir di Belgrado. Uno dei punti più alti della parabola gialloblu che già aveva messo in bacheca l'incredibile Coppa Italia 1991 - unica squadra dell'A2 capace di imporsi contro le corazzate del piano superiore - e la Supercoppa 1996. Era la Verona di Andrea Fadini, intuitivo manager friulano trapiantato in riva all'Adige che aveva saputo pescare autentiche perle. La scoperta di Galanda e Frosini, il potente rilancio di un ancor giovane Bonora e dei vecchi guerrieri Dalla Vecchia e Boni, il dinamismo di David Londero, l'intuizione delle potenzialità di Rombaldoni sul fronte italiano; le pescate di Henry Williams, Sweet Lou Bullock, Mike Iuzzolino in America; l'esplorazione europea con Jerichow, Gnad, Albano, Beric. Quella Korac era stata l'apogeo della Scaligera che di lì a poco avrebbe imboccato una ripidissima parabola discendente.


Il secondo ricordo risale all'estate del 2000. Verona qualificata in Eurolega, un fatto storico. Ma ancor più storico è il passaggio di consegne tra Vicenzi ed Eduardo Fiorillo, all'epoca patron dell'emittente Match Music. Il patron appariva stanco, anche isolato in una città in cui sembrava impossibile fare rete - se ne lamentava anche Pastorello, all'epoca presidente dell'Hellas. Fiorillo al contrario era giovane ed entusiasta, traboccante di idee rivoluzionarie, stimolato dalla vetrina della nuova Eurolega a marchio ULEB e con la volontà di incidere in maniera decisiva sul panorama italiano e continentale. Vicenzi non appariva del tutto tranquillo, forse aveva intuito qualcosa. La storia racconta di un declino rapidissimo: un solo anno di gestione Fiorillo porta a notevoli errori accompagnati da spese folli, il mancato ingresso ai playoff italiani e l'uscita al primo turno al barrage di Eurolega dopo i gironi, la girandola dei giocatori, la volontà del nuovo proprietario di vendere ma senza trovare acquirenti. Nel 2002 la Scaligera, da società modello, era divenuta uno zombie. Vicenzi non poteva salvarla, almeno non alle condizioni che erano maturate.

E qui si innesta l'ultimo ricordo, quello del vero atto d'amore di Vicenzi verso la pallacanestro e la sua città. Fallita la Scaligera, fu il vecchio patron a lanciare la ciambella di salvataggio del San Zeno Basket, il club minor che funse da base di ripartenza. I primi soldi per quella che sarebbe stata la nuova Scaligera li mise lui. Fu il suo ultimo contributo alla pallacanestro veronese e non solo, insegnando che anche di fronte ai disastri altrui c'è sempre un vincolo morale da rispettare. La lezione di Vicenzi venne recepita qualche anno più tardi da Valter Scavolini, anche lui pentito di aver lasciato la sua adorata Vuelle in mano a chi non amava lo sport ma cercava solo appalti. Questa è la migliore eredità possibile di Giuseppe Vicenzi: la dolcezza. Dei suoi biscotti così come del suo sguardo verso la pallacanestro in cui ritrovava i valori semplici e umani di un territorio che gli deve molto. 

domenica 16 febbraio 2025

L'aria dolce e frizzante delle Dolomiti

Chi mi conosce bene sa quanto io ami recarmi in montagna. La mia meta preferita è la Val Pusteria, una verde lingua di terra che confina a sud con i Monti Pallidi ossia le Dolomiti, a nord con le Alpi Tauriche, a ovest con la valle dell'Isarco e a est con le Alpi Carniche. Tra i monti si sta bene: aria pulita, natura poco contaminata, alta qualità della vita, zero confusione, gente discreta, ottimo cibo, panorami favolosi. E tanta, tanta pazienza, quasi un retaggio atavico delle genti montanare che sanno quanto sia difficile ottenere qualcosa e che nulla possa arrivare in fretta e furia. Lo ha capito anche un milanese tradizionalmente frenetico come Paolo Galbiati che ha portato una bella e concreta Trento a vincere la Coppa Italia LBA.

Per l'Aquila Basket non si tratta di una prima volta assoluta. Nel suo passato abbastanza recente trovano posto due finali scudetto, un paio di Coppe di Lega LNP (A2 e C1) e un paio di campionati dilettanti (B1 e A2). Testimonianze di anni di crescita, a volte persino repentina - dalla promozione in LBA alla prima finale per il tricolore passarono tre anni e senza budget faraonici ma con una semifinale europea nel mezzo. In undici campionati di massima serie Trento è diventata un piccolo modello di gestione: quasi sempre ai playoff, spesso e volentieri nelle prime otto già al giro di boa, presenza fissa in Eurocup. E se per tanto tempo si è pensato che ciò fosse merito esclusivamente della coppia Trainotti-Buscaglia, i recenti sviluppi hanno dimostrato il contrario. Trento funziona perché ha adottato un metodo di gestione che è virtuoso e che sceglie prima di tutto le persone dietro le scrivanie e nei posti più delicati. Il resto viene a cascata.

L'ho capito in realtà due anni fa quando, grazie all'amico Piergiorgio Paladin, sono andato a Bruxelles. In nostra compagnia c'era anche il presidente del CAST ossia il consorzio trentino che sostiene l'Aquila Basket. Che è un club complesso, la cui proprietà è frazionata tra soci, Fondazione, Trust e appunto Consorzio. Ho ritrovato Roberto Locatelli, numero uno del CAST, al B2B organizzato da Infront lo scorso giovedì all'Allianz Stadium e abbiamo fatto una gran bella chiacchierata. Cosa è emerso? Una crescita potente spinta da passione, progettualità, espansione territoriale e forza attrattiva. Grazie a ciò CAST è cresciuto nei numeri e non solo, divenendo un motore propulsivo che parte dal basso e portando il contributo economico a livello di un bel main sponsor. Perché Trento è indubbiamente una realtà solida ma non può e non deve essere scambiata per una società finanziata a fondo perduto da un magnate che va avanti finché vince e/o si diverte o che butta soldi a volte suoi e a volte di altri per puro passatempo ludico. Per fare un piccolo esempio, l'anno scorso Trento ha speso 5 milioni e 750mila euro per disputare LBA (7^, 16-14, uscita ai quarti 1-3 contro Milano), Coppa Italia (sconfitta subito, ancora contro Milano) e Eurocup (regular season); con quasi il triplo dei soldi spesi, Derthona non si è qualificato alla Coppa Italia, è entrato ai playoff da ottavo venendo subito eliminato e in BCL si è fermato ai play-in. O, se preferite, c'è Sassari che spendendo 7,4 milioni ha guardato playoff e Coppa Italia in televisione giocando la pessima FIBA Europe Cup senza nemmeno fare tanta strada. Insomma, non è detto che spendere tanto significhi avere una minima garanzia di successo.

Trento invece ha speso il giusto, ha speso bene e, cosa più importante fra tutte, ha capito come programmare le spese. Prima di tutto affidandosi a un tecnico come Paolo Galbiati che a qualcuno in laguna sta tanto antipatico ma che è un maghetto nella valorizzazione dei giovani. Difatti la scorsa estate è stato Galbiati a imporre la linea verdissima rivoluzionando una squadra che come abbiamo visto non era poi malvagia. Di quella Dolomiti Energia si sono salvati, con l'eterno capitano Toto Forray, soltanto Quinn Ellis e Saliou Niang, due ragazzi arrivati in Italia in maniere diverse ma che oggi sono i protagonisti della vittoria in Coppa Italia. Ellis, portato nel Belpaese da Capo d'Orlando, è il miglior play della sua generazione in LBA; Niang, scaricato dalla Fortitudo per una presunta fragilità fisica, è un diamante solo in parte sgrezzato che può riservare ancora molte dolcissime sorprese. La frizzante aria del Trentino ha fatto bene ad entrambi... o forse sono state le amorevoli cure del programma di sviluppo dell'Aquila Basket che, con Marco Crespi, ha creato una piccola eccellenza. Attenzione: non tutti i (buoni) prodotti di Trento vengono mantenuti in squadra, per referenze chiedere a Luca Conti e Max Ladurner. In un progetto di costante miglioramento, il club bianconero sceglie i ragazzi da valorizzare mentre quelli ritenuti sì buoni ma non più funzionali vengono rilasciati affinché possano compiere altrove il loro percorso. Senza troppi rimpianti nemmeno da parte del pubblico, che sarà anche meno abituato ai campionissimi del passato rispetto ad altre piazze ma non mugugna troppo se un Conti o un Ladurner riceve il consiglio di recarsi in altri lidi per giocare. Mentre altrove si innalzano i peana per un (nome a caso ma non troppo) Leo Faggian, che Treviso ha spedito in A2 stante gli zero progressi tecnici, gli zero allenamenti supplementari al tiro, la poca voglia dimostrata, nell'isola felice tra le montagne si accettano le decisioni prese da chi il basket lo capisce davvero.

Chiudo questo post con le immancabili pagelle della Coppa Italia 2025

VOTO 10 CON LODE a Paolino Galbiati che sa trovare un modo per scherzare anche quando descrive la drammaticità di dover organizzare alle undici di mattina una improvvisata sessione video+tattica in uno stanzino. Ma dove lo trovate un allenatore così, che non sbraita per una qualsiasi situazione negativa ma coglie sempre lo spirito giusto per criticare quando serve e per strappare un sorriso sdrammatizzante?

VOTO 10 a Jamion Christian che porta Trieste senza Colbey Ross (lui dice per almeno un mese, chissà quanto è verità e quanto pretattica) a cinque minuti dal sogno di una finale da neopromossa. E dopo aver fatto fuori l'altra finta matricola, ma questa è un'altra storia...

VOTO 9 a Maurizio Bezzecchi che è un mago della diplomazia. No, come lui non c'è davvero nessuno. In LBA dovrebbero pensarci mille volte prima di lasciarlo andare in pensione senza aver trovato qualcuno che sia abile come lui nel trattare sia i giornalisti che le informazioni raccolte.

VOTO 8 a Torino. Due anni fa era un deserto di promozione, ora la Final Eight ha manifesti, vele pubblicitarie, stendardi, persino la visita di una squadra al Museo Egizio. Che non ha bisogno di pubblicità ma che fa da volano chissà quanto involontario alle stesse Final Eight. Le quali resteranno in Piemonte almeno un altro anno. Forse due, se si troverà l'accordo economico.

VOTO 7 a Peppe Poeta e alla sua Brescia. Cui mancano sempre un play vero dietro Ivanovic e un lungo autentico di supporto per non spremere Bilan e le occasionali fiammate di Ndour. Patron Ferrari ha speso tanto, non tutte le scelte sono state azzeccate ma visto quanto sta facendo la squadra biancoblu non ci si può davvero lamentare.

VOTO 6 a Reggio Emilia, che ha reso la vita difficile a Trento nei quarti mostrando però qualche limite. Nello specifico in ala piccola. Ma il progetto di Claudio Coldebella è di ampio respiro e merita la stessa pazienza concessa a Trento.

VOTO 5 all'Olimpia Milano. Chi pensava che potesse essere una Final Eight in carrozza per la Messina Band ha dovuto rivedere il proprio metro di giudizio. L'approccio è stato sin troppo semplice, merito di un'avversaria in piena confusione. La semifinale si è risolta per oggettivi limiti di Brescia, come detto. In finale, i meneghini quasi non hanno capito da che parte iniziare a giocare, limitandosi alle individualità e tirando con un 1/21 da 3 che nemmeno nei peggiori campi del CSI. Ettore Messina era abbastanza incacchiato dopo la finale e ha tutte le ragioni per esserlo, specie pensando al fatto che sono tre anni che la Coppa Italia sfugge di mano.

VOTO 4 al Derthona. Patron Gavio diserta la poltroncina e già non è un bel segnale. Il mercato è fermo per mille motivi. La teorica squadra di casa porta appena una trentina di supporter all'Inalpi Arena che dista da Tortona un'oretta e venti di viaggio in automobile. Sono tutti segnali infausti. E se il giocattolo si fosse rotto peggio del ginocchio di Strautins?

VOTO 3 alle dichiarazioni post partita di Dusko Ivanovic. Io spero davvero che il santone col codino chiamato al capezzale di una Virtus in plurima crisi d'identità, tecnica e societaria, volesse scherzare quando ha affermato di aver detto ai suoi, reduci dalla scoppola rimediata contro Milano, che hanno possibilità di vincere lo scudetto. Questa Bologna non ha capo né coda e merita solo di preservare Ale Pajola e Momo Diouf, buttando il resto tra giocatori ormai ombre di sé stessi e stranieri inadeguati al sistema.

VOTO 2 a Valerio Antonini che rilascia dei commenti privi di logica dopo la sconfitta in extremis del suo Squalo contro Trieste. Dice che non gli piacciono i risultati, come giocano i suoi strapagati atleti e persino come lavora l'allenatore, ma subito dopo si contraddice confermando fiducia a coach Repesa. Che intanto ha chiesto e ottenuto la testa di Tibor Pleiss. Mi domando però chi a Trapani la scorsa estate abbia trattato proprio Pleiss: non sapeva che l'Efes voleva liberarsi di un costoso peso morto?

VOTO 1 all'assenza del presidente federale Gianni Petrucci che salta tanto la premiazione del Famila Schio quanto quella di Trento. Che senso ha presiedere una Federazione se poi agli appuntamenti per i club si manda il vicario?

VOTO 0 alla scelta di "Cuoricini" dei Coma_Cose e di una versione riadattata di "Felicità" di Al Bano come musiche ricorrenti negli stacchi pubblicitari. Non c'era nulla di meglio?

domenica 22 dicembre 2024

Buon Natale, carristi!

Dedico questo post del blog, che torna ad animarsi dopo tre mesi (abbiate pazienza, ho una vita e un lavoro anch'io!), a coloro i quali dimostrano una capacità tutta italiana. Ossia saltare al momento giusto sul famoso e metaforico carro dei vincitori. Sempre con le gambe penzoloni però, pronti a scendere al primo scossone per poi riarrampicarsi non appena giungano buone notizie. A tutti voi, cari i miei carristi, buon Natale! Per il regalo, se non volete attendere il 25 dicembre, potete scorrere direttamente sino al video in fondo al post.

Per tutti gli altri, ossia per chi ha le idee chiare e conosce l'argomento pallacanestro, i miei auguri sono invece sinceri e sentiti. Anzi, è probabile che ci si senta al telefono nei prossimi giorni. Se la coerenza non si compra al mercato al pari della licenza di carrista, allora è giusto ricordare che la striscia vincente di TvB chiusasi a Sassari non è stata frutto né del caso, né dell'autogestione che tanto doveva piacere alle vedove di Marcelo Nicola. E se la salvezza di Treviso Basket nella stagione 2022-23 è stata frutto di un allineamento planetario inedito e non più ripetibile (Banks che sfonda ma trova Partenicò che fischia a favore, tecnico a Faggian non convertito da Belinelli che poi sbaglia anche il tiro-vittoria allo scadere), l'attuale posizionamento in classifica LBA della Nutribullet è al contrario la somma del lavoro svolto in mezzo a mille difficoltà. Per chi non lo sapesse, Frank Vitucci non riesce a svolgere degli allenamenti a pieno regime ossia con 10 titolari da inizio ottobre: i guai muscolari delle guardie, Macura che ancora non ha ripreso il pieno ritmo-partita, i problemi iniziali di Paulicap compreso un infortunio, la schiena a pezzi di Mazzola, gli adduttori di Harrison, la tendinite di Olisevicius... più che il bollettino medico di una squadra LBA pare il resoconto dell'infermeria da campo, col povero Frank che è costretto ogni giorno a sfogliare la lista dei chiedenti visita per sapere su chi contare e per cosa. Provate voi ad allenare in queste condizioni, se ci riuscite. Ricordo agli smemorati che la partita è sempre e solo il frutto del lavoro svolto in settimana, per cui ottenere cinque vittorie consecutive (e non solo contro avversarie imbarazzanti come la Scafati che era di Nicola o Napoli prima del ritorno di Pullen e Zubcic) è una autentica impresa.

Certo, mancava solo un'altra affermazione per pareggiare il record societario che resta ancorato alla primavera 2021, quel 6-0 che portò la Menetti Band dalla zona salvezza direttamente al sesto posto e ai playoff. Il segreto di quel risultato? Settimane di lavoro a pieno regime e ranghi completi, mentre altre squadre si sfaldavano per il Covid o gli infortuni. Quindi se quanto ottenuto da Menetti fu a suo modo storico, si può tributare almeno un applauso a Vitucci per quanto fatto in condizioni un pochino più difficili. Con buona pace dei simpaticoni che hanno passato il mese di ottobre a insozzare i social con quel #Vitucciout che era talmente stupido da risultare fastidioso nella sua ridondanza. Anche perché chi digitava l'hashtag lo faceva senza conoscere le motivazioni di alcune sconfitte.

Ora, al netto delle note difficoltà di Alston e di Macura e dell'assenza di Mazzola che è surrogato da un Pellegrino da applausi ma ben diverso dal ferrarese per caratteristiche fisiche e tecniche, voglio ricordare che a tre turni dal giro di boa TvB ha colto 6 vittorie per un totale di 12 punti. Ossia lo stesso risultato prodotto nel medesimo periodo da Menetti negli anni migliori. Quella dozzina di punti rappresenta poi l'esatta metà del bottino necessario in stagione per garantirsi la permanenza nel massimo campionato che resta l'obiettivo societario. Sì, l'exploit del 2021 aveva illuso un po' l'ambiente ma va ricordato che fino al 2026, cioè fino a quando non sarà completata la ristrutturazione societaria compresi gli strascichi di qualche debituccio del passato, Treviso Basket dovrà evitare i voli pindarici. Per cui direi di godersi i bei risultati sinora raccolti, magari ricordandosi che un anno fa si era a quota 8 punti dopo uno 0-9 iniziale. E che nella passata stagione con un girone di ritorno da 8-7 la Nutribullet si è comunque salvata mentre qualcun altro che al giro di boa se la passava meglio è sceso di categoria ed ora dispera di poter risalire. 

Siccome sono una persona di parola, chiudo il post con i miei auguri, rigorosamente personalizzati.

  • Auguro a Frank Vitucci delle Feste tranquille, godendosi il panettone che qualcuno sperava non mangiasse, potendo preparare con calma e (si spera) a ranghi completi quei quattro mesi inaugurali del 2025 che saranno fondamentali
  • Auguro ai presidenti Matteo Contento e Marco Fabbrini di continuare a convogliare lo stesso entusiasmo che ho visto alla Padel Cup. TvB è nata con lo spirito della condivisione e trasmettendo una sana voglia di partecipare a chi era estraneo alla pallacanestro o se ne era allontanato schifato da certi meccanismi antiquati
  • Auguro a Claudio Pea altri cent'anni di vita, senza mai cambiare di una virgola. Anzi, spero che possa deliziarci sempre più con le sue chicche rigorosamente senza peli sulla lingua
  • Auguro a Gianni Petrucci, immarcescibile presidente federale capace di resistere a tutto, di comprendere la necessità di lavorare sul movimento. Magari slegandosi dai satrapi che lo accompagnano da tempo immemore, ascoltando piuttosto le istanze che arrivano dal basso
  • Auguro a Sasha Djordjevic e Goran Bjedov di tornare prestissimo ad allenare. Magari in Italia. Magari la Nazionale italiana. Che ha un gran bisogno di uno staff full time capace di coltivare il talento nello stesso modo in cui il duo ha fatto sbocciare a Bologna Alessandro Pajola
  • Auguro a Claudio Coldebella di dimostrare ancora la valenza della progettualità in quel di Reggio Emilia. Giusto per ricordare a un po' di gente che non servono soltanto i soldi per fare sport ad alto livello: prima di tutto contano le idee e la pianificazione a medio-lungo termine
Infine, i carristi. Cui voglio bene, in fondo. Se non altro perché mi strappano sempre un sorriso. Quindi a tutti voi auguro di accomodarvi sul carro senza scendere e risalire. Per accompagnarvi durante queste festività, invece delle solite canzoncine natalizie, vi regalo il sempre bellissimo Panzerlied che fa capire nelle sue strofe le difficoltà quotidiane di essere un carrista vero e non metaforico. Uno di quelli con la tuta sporca di olio, che soffre il caldo sotto le piastre d'acciaio d'estate e il gelido inverno all'interno di un veicolo da combattimento. Senza aria condizionata, senza comodità, senza social su cui scrivere le proprie spacconate basate spesso su una conoscenza assai superficiale tanto della pallacanestro quanto dei suoi protagonisti diretti.



Buon Natale!


domenica 29 settembre 2024

A mio rischio e pericolo

Vi rivelo in apertura un segreto di Pulcinella. Sì, perché ormai lo conoscono anche i sassi. Ma forse voi che mi leggete appartenente alla categoria del torrente che passa veloce sopra quei sassi, bagnandoli a malapena e senza ricevere nulla in cambio, quindi potreste non conoscere questo infinitesimale dettaglio. E allora, eccovi serviti. L'ultima volta che ho osato dare un voto a un certo giocatore di LBA ho ricevuto una assai poco simpatica telefonata seguita, qualche mese dopo, da un ancor meno piacevole scambio di opinioni con un certo dirigente. Ritengo chiuso quello che all'epoca ho archiviato come incidente collaterale che può capitare ad ogni giornalista - anche se sarebbe piacevole se simili incidenti collaterali non si verificassero - e scrivendo quanto segue mi auguro che nelle prossime ore non debba esserci un bis.

Dopo il derby veneto che in Metropolitania ha da oltre trent'anni preso il posto del derby del Ponte - quello tra Mestre, uccisa nel trasferimento a Desio del giocattolo di Celada, e la Reyer originale - leggo entusiasmi da un lato e scoramento dall'altro. In entrambi i casi, con notevoli picchi contrapposti. In fondo è normale che sia così, con equa ripartizione tra chi è più razionale e chi ragiona invece di pancia. Però il match del Taliercio lascia in eredità degli appunti preziosi. Quindi, prima di passare alle pagelle che potranno far piacere a qualcuno e forse imbufalire qualcun altro, proviamo a capire perché la Treviso Basket che dalla sua nascita mai aveva ottenuto il referto rosa sul parquet mestrino è riuscita a vincere e (a tratti) convincere. E perché Venezia che troppi esperti o presunti tali avevano già definito quale terza forza del campionato, davanti a Tortona che mi appare molto più solida e razionale e alla neo-potenza Trapani, ha accusato uno sbandamento mai visto prima in un derby. Figurarsi a Mestre.

Partiamo da Treviso. E dalla scommessa, vinta stavolta, dal duo Giofrè-Vitucci. Che un anno fa puntarono sul presunto estro di Booker e sulla teorica voglia di riscatto di Young. Le persone sbagliate nel posto sbagliato e nel contesto tecnico peggiore possibile. Booker, una guardia in un corpo da play, non si è più ripreso dopo la stoppata in recupero su tiro da 3 subita da Semaj Christon al secondo minuto della seconda giornata di campionato dell'anno scorso. Quanto a Young... talento sopravvalutato dalla stessa NBA che si è ricreduta, scaraventato al di qua dell'Atlantico con una pletora di fantasmi personali a inseguirlo e a condizionarlo, tant'è vero che dopo il taglio subito a Varese lo scorso 31 gennaio è ancora senza squadra. Lo 0-9 di TvB un anno fa cominciò da loro due. Stavolta invece la Nutribullet ha dato fiducia a quasi tutti gli stranieri dell'anno scorso, sostituendo il play straniero con un regista italiano che dà maggiori garanzie difensive (Bruno Mascolo) e cambiando un 4 dinamico con un 4-5 grosso, potente, con mano educata e che va con costanza a rimbalzo (Justin Alston, nella foto Gregolin). E col visto extra risparmiato in regia, ecco il capolavoro del recupero fisico e agonistico di JP Macura. Che non è (ancora) il bombardiere folle di Tortona ma che dalla panchina porta un'addizione potente in termini offensivi. Macura e Alston sono le carte vincenti di un basket che si è evoluto in quello che il Maestro Sergio Tavčar chiama "atletica con la palla". Piaccia o non piaccia, non è più la pallacanestro iper-tattica anni '80 o quella muscoli&talento anni '90. Oggi si punta forte su corsa, elevazione, tiro da tre. In due parole, Ky Bowman. Che al Taliercio ha spiegato ancora una volta cosa abbia imparato alla corte degli Splash Brothers di San Francisco. E come ormai si debba giocare anche alle nostre latitudini.

L'esatto contrario della Reyer di Neven Spahija. Che predica un basket rimasto fermo al 2010, al predominio dell'area, all'asse play-pivot come soluzione principale su cui costruire una squadra di successo. Quando Venezia esonerò De Raffaele con colpevole ritardo, tra l'altro dopo che Vitucci si era tolto la scimmia dalla spalla vincendo con la sua ultima Brindisi proprio al Taliercio, mai avrei pensato che al posto dell'uomo dell'Ovosodo si sarebbe rivolta al profeta croato delle olive. Ricordavo lo Spahija di Roseto che giocava un basket un po' più frizzante, ma probabilmente il merito era della coppia Woodward-Abdul Rauf. Ma da allora sono passati vent'anni e il coach balcanico non ha adattato le sue filosofie all'evoluzione tattica del gioco. Ha semplicemente insistito con le sue idee. Che da un po' di tempo risultano non al passo con le esigenze contemporanee. Lo si è visto anche stavolta: sì, Kabengele è un mostro di potenza e giocando contro finti lunghi leggeri non fa difficoltà a catturare rimbalzi e a segnare anche dopo aver catturato un pallone in area. Ma Ennis è un playmaker che tira poco e nemmeno troppo bene da fuori, Munford (che si è fatto male) sta comunque facendo rimpiangere un egoista come Tucker che pure entrò in crisi all'arrivo di Kabengele, Fernandez è fermo da più tempo rispetto a Macura e Moretti resta sempre una guardia leggera adattata al ruolo di play. A questa Venezia mancano degli apriscatole specialisti come Bramos e se il piano tattico è di alzare il quintetto davanti ad avversari che giocano con tre piccoletti e a volte un 3 adattato a 4, allora c'è qualcosa che non va. Non è un caso che la rimonta dell'Umana sia arrivata rinunciando ai mantra di Spahija per prediligere corsa, velocità e tiro da fuori. Peccato che non potesse bastare, a dispetto di una Treviso che ha gigioneggiato per quattro minuti rischiando parecchio. Ma passiamo alle promesse pagelle:

MUNFORD - Dieci minuti prima di farsi male, mostrando qualcosa di buono (i recuperi e la capacità di attaccare dal palleggio) e altro di rivedibile (scelte di tiro). Pur tentato dal "non giudicabile" gli do un 6 di stima con l'augurio di uscire prestissimo dall'infermeria.

CASARIN - Esaltato dal telecronista per le capacità difensive, ancora oggi non si capisce che ruolo abbia. Un anno fa giocava da 3 tattico sfruttando il tonnellaggio; ora si alterna tra la regia, dove mantiene delle lacune, e la posizione di guardia in cui il tiro resta sempre episodico (1/5, compreso uno 0/3 dall'arco). L'impressione è che la scelta di ingrossare il fisico non lo faccia progredire granché. Sul piano comportamentale tende sempre ad avere un atteggiamento oltre il limite, sempre alla ricerca dello scontro. Lo si era visto anche a Jesolo, dove aveva promesso di regolare i conti con Harrison alla prima di campionato. A giudicare dal risultato finale, dev'essere rimasto deluso. Tra l'altro il suo quinto fallo, speso su Olisevicius in un maldestro tentativo di rubata, porta in lunetta il lituano per i liberi della vittoria trevigiana. L'insufficienza è ampiamente motivata. E se non basta, prego guardare la valutazione in cui è il peggiore di squadra (-5).

MORETTI - Bravo ragazzo che però nei momenti decisivi a volte sbaglia troppo. Lo dimostra l'1/7 da 3, lo ribadisce l'errore in lunetta dopo il fallo ingenuo di Harrison. Continua ad essere un ibrido tra il play e la guardia, senza incantare in nessuno dei due ruoli. Qualche merito ce l'ha, però per rendere dovrebbe giocare in un sistema tattico differente da quello di Venezia. Direi un 6-.

ENNIS - A Napoli era un profeta ascoltato da tutti. Qui deve inventare di tutto, persino prendendo tiri fuori dalle sue corde. All'inizio si esalta su Mascolo, poi Torresani lo stupisce e Bowman gli rifila qualche bomba pesantuccia. Avrebbe bisogno anche lui di un sistema differente. Intanto il responso balla tra l'ottima prova contro il derelitto Aris e le difficoltà del derby. Facciamo un 5,5 per stavolta.

KABENGELE - 17 punti, 21 rimbalzi di cui 9 offensivi, 2 stoppate date, 40 di valutazione. Numeri da MVP che però sono soltanto un losing effort. Il motivo? Semplice: il basket si è evoluto e se gli avversari tirano molto bene da 3 e corrono a perdifiato, il pivottone che fa il vuoto in area serve solo in determinati momenti. Ossia quando gli altri decidono di provare ad attaccare il ferro. Voto? Bello ma inutile, il 7 è anche troppo.

PARKS - L'ha visto qualcuno? A parte la schiacciata al volo a inizio ripresa, cercasi Picasso disperatamente. Un fantasma da 4 in pagella.

WHEATLE - A Pistoia era l'agente speciale difensivo che usciva dalla panchina, copriva due ruoli, faceva il possibile e anche qualcosa di più. Qui lo fanno giocare anche da guardia sperando di sfruttarne il tiro in relazione alla stazza. Gli esiti sono deludenti. Un 5,5 è meritato.

SIMMS - A differenza di Parks, lui si nota un pochino di più. Ma poco. Soltanto nel primo tempo. Poi sparisce del tutto. Mi sono stupito della sua conferma in estate, non credevo che Venezia fosse disposta a tenere un giocatore così umorale, ondivago, tendente a deconcentrarsi e condizionante in difesa. Il voto è basso, ovviamente, ed è un 4,5.

WILTJER - Lungo moderno che tira da fuori con naturalezza. Ma che, a differenza di Alston, va poco o nulla a rimbalzo. Certo, se i risultati parlano di un 4/6 da 3 con triple scagliate dopo pregevoli movimenti sul perimetro a sbilanciare gli avversari, giù il cappello. Un 7 per lui va più che bene.

TESSITORI - 9 punti in altrettanti minuti sono un bel bottino. Ma da lungo tecnico si è trasformato nel semplice back-up di Kabengele, in tutto e per tutto: gioco solo in area, utilizzo della stazza a rimbalzo offensivo e stop. I movimenti offensivi frontali sono spariti, non ne parliamo di mettere palla a terra. Involuto, da 5.

SPAHIJA - Oltre trenta minuti senza capire che per vincere certe partite occorre cambiare in corsa. Anni fa De Raffaele vinse un derby inventando Brooks da finto centro; il croato insiste con il suo mantra e solo alla fine, per disperazione, prova il quintetto piccolo. Che a momenti ce la fa, ma più per demeriti altrui che per altro. La sufficienza? Un miraggio.


BOWMAN - L'hanno riportato in regia e lui gradisce. Ma se lo spostano nuovamente a fare il 2 o il 3 tattico, mica si offende. Razzente e imprevedibile, come le sue bombe. E gli avversari ancora non hanno capito come sia riuscito a piazzare quella stoppata al tabellone in recupero. Il voto è alto, siamo al 7,5, che non diventa 8 solo per quell'errore in lunetta che poteva costare caro.

HARRISON - Gli ci vuole un po' per carburare, poi il diesel diventa inarrestabile. Almeno finché ci sono fiato e lucidità, doti che negli ultimi cinque minuti paiono mancare all'appello. Si prende un 6,5 perché l'ingenuità su Moretti da 3 non è condonabile.

TORRESANI - Non tira, ma si applica in maniera costante. Dieci minuti di sostanza in regia, alla faccia di chi preconizzava per lui un campionato passato da spettatore non pagante. Se acquisisce confidenza col canestro può diventare assai interessante. 6,5 anche per lui.

MASCOLO - Meno realizzatore rispetto al precampionato e più al servizio della squadra. Contro Ennis all'inizio non è facile, col passare dei minuti cresce. Playmaking buono, quei rimbalzi difensivi soprattutto negli ultimi due minuti gli fanno guadagnare un 6,5.

MAZZOLA - Lui invece prosegue a faticare. Si alterna da 4 e da 5 senza grandi risultati, il tiro non entra e in difesa subisce parecchio. Qualcuno dice che fosse emozionato, d'altronde quei quattro anni a Mestre dovrebbe ricordarli ancora. Però ora dovrebbe capire che la militanza lagunare è finita, quindi voto 5.

MEZZANOTTE - Sei punti frutto di due bombe preziose come non mai. Specie la seconda, sulla sirena del terzo quarto. Flash negativo invece per quel contropiede sprecato. Voto 6 come i punti prodotti.

OLISEVICIUS - Per due quarti abbondanti si gioca con Parks, Simms e Paulicap la palma del peggiore in campo. Poi combina qualcosa: una bomba, qualche bella giocata e i liberi della sicurezza. Diciamo che per stavolta se la cava con un 6-.

ALSTON - Quando Treviso ha deciso di non rilanciare per Terry Allen, si è capito subito il motivo. Si voleva un secondo lungo diverso, maggiormente spendibile come 5 in determinate situazioni ma senza rinunciare alla pericolosità offensiva. Alston è esattamente questo tipo di giocatore: grosso ma duttile, pesante ma mobile, rimbalzista e al contempo tiratore. Il suo derby inizia con un tiro dal gomito al tabellone e prosegue con 11 rimbalzi catturati, un paio di bombe chirurgiche, tanta sostanza e poca appariscenza. A parte i capelli afro, quelli sì ben riconoscibili. Migliore in campo, 8 meritato.

PAULICAP - Lo si è capito dopo due minuti che non sarebbe stata la sua partita. Gioca poco causa falli spesi, fatica moltissimo contro avversari più stazzati ma non è un problema per la squadra perché Alston basta e avanza. Un flash: la partenza in palleggio da ala piccola per il reverse che vale il suo secondo e ultimo canestro. L'impegno non si discute, quindi 5,5.

MACURA - Si presenta con una bomba in transizione a fil di sirena. Prosegue diventando un bersaglio per i difensori avversari che ricorrono alle maniere forti pur di fermarlo. La condizione è ancora deficitaria, l'impegno invece è costante e la voglia di aiutare il gruppo non si discute. Un 6 è il minimo per lui.

VITUCCI - Ruota a dieci, chiede pressione difensiva, ottiene alte percentuali da 3 come nei suoi desideri e nel complesso regge il confronto a rimbalzo. Il tutto, nel palasport in cui è maturato oltre trent'anni fa come allenatore e dove negli ultimi anni ha raccolto poche soddisfazioni e tanti bocconi amari da ingoiare. Stavolta però il taglio nobile nel piatto tocca a lui e se lo gode fino in fondo. 7, con merito.

martedì 16 luglio 2024

Il ritorno di Santa Manetta

Dieci anni, due mesi e otto giorni. Tanto tempo è passato dalla prima giornata di Santa Manetta. Santa particolare, che si manifesta in momenti speciali. L'8 maggio 2014 le celebrazioni si tennero tra Roma e Siena, tra la casa vista Colosseo all'insaputa di Claudio Scajola e gli uffici della Mens Sana Basket da cui il presidente in pectore di LBA Ferdinando Minucci uscì con i ferri ai polsi. Oggi Santa Manetta ha fatto capolino di nuovo tra la politica e la pallacanestro, giacché è finito in carcere l'ex assessore del Comune di Venezia Renato Boraso mentre diversi altri soggetti incluso il sindaco (nonché proprietario tramite blind trust della Reyer) Luigi Brugnaro sono indagati. Stavolta non ci sono latitanze mafiose da coprire o manipolazioni contabili da occultare. Nossignore: le accuse riguardano l'annosa vicenda dei Pili, quell'enorme appezzamento comprato a prezzi di saldo dal Brugnaro imprenditore quasi vent'anni fa e confluito nelle sue disponibilità, poi trasferite al blind trust dopo tanto clamore sui possibili intrecci d'interessi tra il Brugnaro sindaco e il Brugnaro imprenditore.

Voi vi e mi chiederete cosa c'entri la pallacanestro in tutto questo. Beh, l'aggancio c'è. Perché i Pili, rivalutati tramite un Piano Urbano di Mobilità Sostenibile, sono passati da zona inquinata invivibile e radioattiva ad area in cui si possono realizzare speculazioni edilizie. Il nuovo terminal intermodale, centro commerciale, darsena da diporto, palazzi, hotel. E il palazzetto dello sport di cui Venezia ha bisogno da quando l'Arsenale è stato rimodulato per motivi di sicurezza e da quando ci si è accorti che il Taliercio è inadeguato per mille e più motivi. Un palasport che in verità servirebbe prima di tutti alla Reyer di cui Brugnaro è proprietario, tifoso e di cui è stato presidente fino al 2015. Nonostante i tanti interventi di miglioria apportati dal 2012 ad oggi il Taliercio presenta troppi limiti per poter pensare di utilizzarlo ancora a lungo per campionato e Coppe europee. Dunque è comprensibile la volontà di realizzare una soluzione di maggior respiro e che consenta una maggiore progettualità a medio e lungo termine.

E i Pili parevano essere la soluzione ideale. Con un dubbio iniziale: la bonifica. Non si può costuire qualcosa su un terreno fortemente inquinato. Quei 5 milioni di euro pagati da Brugnaro per aggiudicarsi il lotto da 40 ettari erano ovviamente un prezzo ridotto in rapporto alla metratura a causa dei fosfogessi radioattivi che contaminano l'area. Una volta bonificato, il valore del terreno sarebbe assai superiore a quanto pagato da Brugnaro nell'asta pubblica del Demanio. E qui entrano in gioco il blind trust e Mister Kwong, il magnate cinese dell'edilizia che alcuni anni fa arrivò in laguna attirato dalla possibilità di poter espandere il suo business in una delle città più affascinanti del mondo. Kwong, va detto, è sparito da Venezia dopo aver concluso l'acquisto di un paio di palazzi storici alienati dal Comune, ma le inchieste (giudiziare e al contempo giornalistiche) hanno evidenziato una convergenza reciproca tra l'uomo d'affari orientale e la guida della municipalità in relazione proprio ai Pili. Un filmato, mandato in onda lo scorso dicembre dalla trasmissione "Report", mostrava il sindaco Brugnaro intento a illustrare a Kwong la mappa dei Pili: "Parlavo solo di cubature già approvate dal Consiglio comunale", si è difeso Brugnaro che ha negato ogni interesse diretto nella vicenda di compravendita dell'area. Ma di quel business non se ne è fatto nulla, i Pili sono rimasti terreno abbandonato ai margini del ponte autoferroviario che porta a Venezia e ancora oggi rientrano nel patrimonio gestito da un blind trust newyorchese.

Ma cosa c'è dentro quel blind trust? E soprattutto, come è gestito? I magistrati inquirenti ne vogliono sapere di più. Soprattutto vogliono capire se davvero il trust è "cieco", ossia se la sua gestione venga effettuata senza che la funzione pubblica del proprietario dei beni ad esso conferiti influisca sul valore e sui bilanci delle attività amministrate dal trustee, ossia dal soggetto individuato come gestore del trust. Il dubbio d'altronde c'è. E non solo per la vicenda di Mister Kwong e della compravendita di Palazzo Papadopoli, storia che ha scatenato una ridda di carte bollate tra vari soggetti e che ha condotto stamane in carcere l'assessore Boraso. Dentro il trust ci sono tutte le aziende di proprietà di Luigi Brugnaro che si sarebbe spogliato del possesso delle stesse per dimostrare la sua completa estraneità alla gestione privata nel corso della propria carriera politica. Tra queste proprietà c'è la Reyer. Che ha visto il proprio budget passare in dodici anni da tre milioni e mezzo circa a quasi tredici milioni di euro: potenza della raccolta pubblicitaria (da 2,9 milioni a 11,5 milioni) e anche dei risultati, con la nota dolente come detto di una cronica difficoltà al botteghino, restando sempre ben sotto il milione di euro di incassi stagionali. Motivo per cui si è resa imperativa la realizzazione di un nuovo palasport.

Tramontata la via dei Pili, la prossima fermata è il futuro Bosco dello Sport, zona Tessera. Qui non ci sono problemi di inquinamento tossico del terreno, per fortuna. Semmai ci si pongono altre domande. Ad esempio, perché siano stati richiesti fondi PNRR per un'area che non è degradata, non richiede bonifiche, non è da ricostruire ma è solo frutto di lottizzazione di un ex terreno agricolo - e perché, dopo il giusto diniego europeo, il Governo sia intervenuto con una elargizione straordinaria da 93 milioni di euro a coprire la falla. Oppure per quale motivo di tutto il progetto complessivo, l'unica opera in costruzione sia il palasport da 10mila posti, giacché per lo stadio e gli altri manufatti nemmeno hanno posato la prima pietra. O ancora, perché il bando di assegnazione d'uso paia fatto su misura per la Reyer visto che prevede che possano concorrere alla procedura soltanto società che negli anni precedenti abbiano gestito con continuità impianti pubblici con capacità minima di 3500 posti (guarda il caso, la capienza del Taliercio recita 3509). Sarebbe interessante trovare una risposta a queste domande. Magari gli inquirenti troveranno qualcosa analizzando il blind trust, un'operazione impossibile per i colleghi di "Report" che non hanno potuto visionare nulla. Il timore è che Santa Manetta possa manifestarsi ancora destando nuovi scandali in un'Italia della politica e del basket in cui pare impossibile scindere gli affari privati dall'interesse pubblico.
A proposito: oggi mi è giunta in casella e-mail la comunicazione dell'avvio della campagna elettorale per il rinnovo di FIP Veneto. Il candidato alternativo all'uscente Roberto Nardi è il veronese Fabio Crivellaro che ha presentato un programma accattivante e proiettato all'immediato futuro. Mi domando che posizione voglia assumere nella imminente guerra al vertice per la poltrona di presidente federale, dove Gianni Petrucci insegue l'ennesimo mandato tallonato dall'avvocato Guido Valori. Qualche mese fa apparvero delle dichiarazioni d'intenti da parte di alcuni aspiranti ribelli del sistema, anche dal Veneto, subito rintuzzate dalle truppe cammellate che in regione sono riassunte dai fedeli di Brugnaro. Chissà se nel frattempo qualcosa è cambiato e come si schiererà la lista Crivellaro: il rinnovamento sarà totale, localizzato o soltanto di facciata? "In principatu commutando saepius..."