martedì 25 marzo 2025

Un dolce, dolcissimo ricordo

Se ne è appena andato, eppure mi manca già. Giuseppe Vicenzi, per tutti l'uomo del savoiardo, ha chiuso gli occhi per sempre dopo una vita spesa su due binari. Quello dell'azienda di famiglia, trasformata da semplice laboratorio semi-artigianale in colosso dolciario. E quello della pallacanestro, sport che ha amato visceralmente al punto da spendere soldi (tanti), passione (altrettanta) e tempo (non parliamone neppure) per aiutare la realtà veronese a salire dall'anonimato delle serie inferiori sino alle zone nobili della Serie A. Giuseppe Vicenzi apparteneva alla categoria speciale dei mecenati, i capitani d'industria che colsero l'importante messaggio che si poteva veicolare attraverso lo sport: da strumento ludico e ricreativo a perfetto modulo di trasmissione aziendale. Vicenzi era ragione e sentimento, lucidità e positiva follia. Una via di mezzo tra Gilberto Benetton e Giorgio Seragnoli, tra il pragmatismo dei Colori Uniti e l'amore autodistruttivo (per la Effe) dell'Emiro felsineo.

Conservo tre ricordi particolari di Giuseppe Vicenzi. Il più bello è la foto in cui abbraccia coach Andrea Mazzon all'arrivo all'aeroporto, entrambi con la Coppa Korac 1998 in mano, quel trofeo vinto nella tana del lupo ossia al Pionir di Belgrado. Uno dei punti più alti della parabola gialloblu che già aveva messo in bacheca l'incredibile Coppa Italia 1991 - unica squadra dell'A2 capace di imporsi contro le corazzate del piano superiore - e la Supercoppa 1996. Era la Verona di Andrea Fadini, intuitivo manager friulano trapiantato in riva all'Adige che aveva saputo pescare autentiche perle. La scoperta di Galanda e Frosini, il potente rilancio di un ancor giovane Bonora e dei vecchi guerrieri Dalla Vecchia e Boni, il dinamismo di David Londero, l'intuizione delle potenzialità di Rombaldoni sul fronte italiano; le pescate di Henry Williams, Sweet Lou Bullock, Mike Iuzzolino in America; l'esplorazione europea con Jerichow, Gnad, Albano, Beric. Quella Korac era stata l'apogeo della Scaligera che di lì a poco avrebbe imboccato una ripidissima parabola discendente.


Il secondo ricordo risale all'estate del 2000. Verona qualificata in Eurolega, un fatto storico. Ma ancor più storico è il passaggio di consegne tra Vicenzi ed Eduardo Fiorillo, all'epoca patron dell'emittente Match Music. Il patron appariva stanco, anche isolato in una città in cui sembrava impossibile fare rete - se ne lamentava anche Pastorello, all'epoca presidente dell'Hellas. Fiorillo al contrario era giovane ed entusiasta, traboccante di idee rivoluzionarie, stimolato dalla vetrina della nuova Eurolega a marchio ULEB e con la volontà di incidere in maniera decisiva sul panorama italiano e continentale. Vicenzi non appariva del tutto tranquillo, forse aveva intuito qualcosa. La storia racconta di un declino rapidissimo: un solo anno di gestione Fiorillo porta a notevoli errori accompagnati da spese folli, il mancato ingresso ai playoff italiani e l'uscita al primo turno al barrage di Eurolega dopo i gironi, la girandola dei giocatori, la volontà del nuovo proprietario di vendere ma senza trovare acquirenti. Nel 2002 la Scaligera, da società modello, era divenuta uno zombie. Vicenzi non poteva salvarla, almeno non alle condizioni che erano maturate.

E qui si innesta l'ultimo ricordo, quello del vero atto d'amore di Vicenzi verso la pallacanestro e la sua città. Fallita la Scaligera, fu il vecchio patron a lanciare la ciambella di salvataggio del San Zeno Basket, il club minor che funse da base di ripartenza. I primi soldi per quella che sarebbe stata la nuova Scaligera li mise lui. Fu il suo ultimo contributo alla pallacanestro veronese e non solo, insegnando che anche di fronte ai disastri altrui c'è sempre un vincolo morale da rispettare. La lezione di Vicenzi venne recepita qualche anno più tardi da Valter Scavolini, anche lui pentito di aver lasciato la sua adorata Vuelle in mano a chi non amava lo sport ma cercava solo appalti. Questa è la migliore eredità possibile di Giuseppe Vicenzi: la dolcezza. Dei suoi biscotti così come del suo sguardo verso la pallacanestro in cui ritrovava i valori semplici e umani di un territorio che gli deve molto. 

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