martedì 17 giugno 2025

Chiedete scusa a Dusko

Scusarsi dovrebbe essere la prassi. Invece lo smisurato orgoglio e una dose di maleducazione inducono molte persone a non voler compiere un gesto che dovrebbe essere naturale. Dusko Ivanovic è un signor allenatore e, come tanti esponenti della sua categoria (Frank Vitucci incluso), merita delle scuse. Io c'ero, quel pomeriggio dello scorso febbraio all'Isozaki di Torino quando Ivanovic pronunciò quelle frasi. In molti tra i presenti sorrisero, quasi di compassione, come se si fossero trovati davanti un vecchietto afflitto da demenza senile che sproloquiava. Ivanovic invece pronunciò concetti chiave: quella pesante sconfitta contro Milano nel quarto di finale di Coppa Italia era il classico tipo di partita che avrebbe insegnato alla sua Virtus come vincere uno scudetto. Per chi non capisce i concetti elementari, traduco: prendere una sonora batosta da una squadra che si ritiene superiore abitua il gruppo a cementarsi, a lavorare più duramente, a voler dimostrare di poter dare sempre di più. Ciò che è esattamente avvenuto in questi playoff.

Ivanovic è montenegrino ma da giocatore è stato allo Jugoplastika Spalato, quella meravigliosa fucina di talenti che incantò l'Europa. C'era un giovanissimo Kukoc con lui ma anni prima, con quella casacca, si era visto e aveva vinto anche un certo Pero Skansi. Che in difesa aveva idee tattiche parecchio simili a quelle di Ivanovic e che sapeva non solo puntare sui giovani ma anche valorizzare quei veterani che avevano ancora molto da dare. Il simbolo di questa Virtus scudettata per la diciassettesima volta è Toko Shengelia, un georgiano sbarcato a Bologna a causa delle conseguenze della guerra in Ucraina. Se quel pazzo megalomane di Vladimir Putin non avesse pensato di giocare a Risiko con le vite di centinaia di migliaia di persone, Shengelia sarebbe rimasto a Mosca assieme a Daniel Hackett e a tanti altri campioni che invece hanno scelto di andarsene alla prima occasione. Ma lo Shengelia sbarcato al "Marconi" era tutto fuorché un ragazzino in rampa di lancio. Piuttosto era un elemento esperto che aveva già conosciuto la NBA e che giocava stabilmente in Eurolega. Si pensava che avesse già raggiunto la piena maturità sportiva e che nel giro di un paio di stagioni avrebbe imboccato la china discendente. Invece Toko ha stupito dimostrando maggiore freschezza, volontà di sacrificarsi nonostante una commozione cerebrale e una superiore capacità d'interpretare il gioco a dispetto delle trentacinque primavere.

Quel che non è riuscito a Marco Stefano Belinelli, il cui ultimo anno da giocatore professionista è stato un calvario. Tredici mesi fa l'ex ragazzo di San Giovanni in Persiceto (il paesello del fiero alleaten Galeazzo Musolesi, per citare il povero Bonvi) veniva incoronato MVP della LBA. Ora appare l'ombra di quel che è stato, ridotto a comparsa non più capace di pungere con i suoi movimenti di piedi, le uscite dai blocchi, le sospensioni fuori equilibrio. Per lui la cura-Ivanovic ha funzionato al contrario, spingendolo ai margini delle rotazioni. E chissà cosa sarebbe successo se Will Clyburn non si fosse infortunato. La carriera di Belinelli, partita nell'ultima derelitta Virtus di Marco Madrigali ventitré anni fa, è finita stasera. Da domani dovrà solo scegliere come approcciare la sua prossima vita, se passare a un ruolo dirigenziale, provare a diventare allenatore oppure lasciare il basket per fare altro.

Ci sono altre tre storie che meritano di essere raccontate in questo scudetto virtussino. Quella di Achille Polonara la conoscono tutti ma va ribadito il coraggio di un ragazzo che in due anni si è visto piovere addosso due asteroidi da Armageddon personale. Superato il tumore al testicolo, ora Achi deve fronteggiare la leucemia mieloide, un male subdolo. Ha fatto benissimo Mario Castelli a ricordarlo in cronaca: queste situazioni di dolore servono a promuovere la sensibilizzazione nei confronti delle malattie e l'importanza della donazione. Chi può, contribuisca con il proprio midollo osseo. Achi forse non giocherà più ma a trentatré anni e con una meravigliosa famiglia attorno ha tutto il diritto di vivere ancora a lungo. Gli serve solo il giusto supporto per farlo.

Poi c'è Brandon Taylor, in play tascabile pescato in ACB da una squadra retrocessa. Altra magata di Ivanovic, che porta un giocatore simile a vincere lo scudetto? No. Taylor lo conoscevo da quando giocava (benissimo) in A2 a Bergamo ma in pochi gli avevano offerto delle chances ad alto livello. Per abnegazione, spirito positivo, voglia di fare, Taylor è il giocatore che chiunque vorrebbe. Calatosi in punta di piedi, è stato fondamentale in un sistema tattico che privilegiava la circolazione di palla per imbeccare al meglio il talento di Shengelia e che sfruttava le riaperture del georgiano sul perimetro per i tanti giocatori liberati dai raddoppi sistematici prima di Milano e poi di Brescia. Se Bologna non dovesse confermarlo (e probabilmente non lo farà per tanti motivi), chi lo prenderà farà un affare.

Infine ci sono i lunghi italiani, specie definitiva in via d'estinzione. Sarà, ma ho visto giocate solide, concrete e puntuali di Momo Diouf, il ragazzone scoperto da Pillastrini a Reggio, e di Nicola Akele, il montebellunese giramondo. Il CT Pozzecco sicuramente ha gradito, ora tocca a lui credere in questi elementi e a loro confermare quanto di buono fatto - Diouf sontuoso contro Bilan, Akele eccellente in difesa su Mirotic in semifinale - per ricostruire il reparto in azzurro. A proposito, messaggio per Willy Caruso: molla immediatamente la panchina triste di Milano, accetta un robusto taglio d'ingaggio e vai a giocare in qualche squadra che ti accordi fiducia. A ventisei anni non c'è tempo da perdere.

martedì 22 aprile 2025

"Vergogna buffoni!"

A scanso di equivoci e a beneficio di analfabeti funzionali e ignoranti culturali, il titolo volutamente in virgolettato del presente post è un omaggio a un famoso editoriale del giornalista Mino Pecorelli. Che nell'edizione del 16 gennaio 1979 della rivista da lui diretta ("OP - Osservatorio Politico"), sotto il titolo "Vergogna buffoni!" elencava le tante, troppe distorsioni del caso Moro, comprese alcune informazioni riservate in suo possesso che presumevano la possibilità di salvare il presidente della Democrazia Cristiana. Purtroppo il povero Aldo fu sacrificato sull'altare della ragion di Stato, o meglio di Jalta. E pure il povero Mino di lì a poco avrebbe pagato con la vita il proprio attivismo e la volontà di informare a prescindere dai giochi politici e dalle amicizie pericolose.

Lungi da me paragonarmi a Mino Pecorelli, sia mai! Ma c'è qualcosa che non digerisco da settimane. E no, non è lo sformato di bigoli ai porcini di un'ottima gastronomia trevigiana, cui ho rinunciato per motivi di dieta. Non riesco ancora a digerire l'orripilante trattamento riservato da alcune teste fini a Frank Vitucci e ad un paio di giocatori della Nutribullet, persone che avranno anche colpe e difetti come tutti ma che non meritano di ricevere piogge di fischi appena lo speaker Roberto Focarelli ne annuncia il nome nei prepartita. I signori (e anche le signore, non facciamone una distinzione di sesso) che si dilettano in tale ignobile attività, vergognosa e indegna perfino dei buffoni di corte, pensano di essere legittimati in ciò dal biglietto o dall'abbonamento pagato. O, peggio, si ritengono autorizzati in tali trivialità da zone basse semplicemente dall'aver visto per anni o decenni un basket diverso, composto da campioni pagati fior di miliardi di vecchie lire. Tali personaggi devono aver dimenticato i tanti discorsi fatti dal 2012 a oggi sulla necessità di dimenticare il passato, sulla ripartenza dal basso, sul passaggio dal mecenatismo a un modello differente di gestione economica di un club professionistico. Simili figuri, che si attribuiscono patenti a loro estranee di finissimi conoscitori della pallacanestro quando in realtà faticano a distinguere una difesa a zona classica da una match-up, da un mese e mezzo si esibiscono in uno spettacolo indecoroso, convinti forse che questo atteggiamento possa aiutare in qualche modo il club e la squadra o che un allenatore o dei giocatori possano essere indotti alle dimissioni o all'esonero da parte della proprietà soltanto in base al volume dei disturbi acustici prodotti dal pubblico.

Alcuni di questi simpatici soggetti hanno avuto anche la brillante idea di prendere di mira altri spettatori che non condividevano le loro posizioni di contestazione aprioristica, provocando proteste queste sì sacrosante nei confronti della società. Perché se l'articolo 21 della Costituzione consente ampia libertà d'espressione, quest'ultima non si traduce nella possibilità di insultare o minacciare chicchessia né di indurre persone di differente opinione ad abbandonare il proprio posto al Palaverde a causa di qualche contestatore che non intende ragionare col cervello, preferendo utilizzare la propaggine del fischietto. Altri brillanti pensatori si sono spinti oltre, riempiendo i social di nefandezze nei confronti di chiunque reputino un "nemico" delle loro assurde posizioni. Cominciando con coach Frank Vitucci per proseguire con giocatori, membri della società, altri tifosi e ovviamente giornalisti. Perché si sa, è comodo prendersela con la stampa che riporta la verità dei fatti, soprattutto quelli sgraditi, mentre una profonda disamina critica del proprio comportamento è troppo pesante per essere anche solo considerata.

Confesso di aver risposto in privata sede a qualcuno di questi personaggi che si attribuiscono un'eccessiva importanza, accomunati da una formula riassumibile in "Vedo basket da 30-40 anni, quindi...". Eh no signori, "quindi" un beneamato. Come insegnava diciotto anni fa un coach preparato e indubbiamente spiritoso come Zare Markovski, guardare è un conto e fare è ben altra cosa. Che si tratti di sport o di altre attività fisiche o lavorative, poco importa. Dovreste semmai ringraziare la pazienza e la signorilità di Frank Vitucci, che avrebbe potuto benissimo tutelarsi in sede giudiziaria facendovi piangere amare lacrime e impartendovi una memorabile lezione e che invece ha sopportato i vostri fischi e i vostri insulti.

Ora vi rivelo un piccolo retroscena. Non lo meritereste, ma stante lo spirito di festa del periodo pasquale ho deciso di mostrarmi generoso. Lo scorso 5 aprile era il compleanno di Frank Vitucci, eppure la società Treviso Basket non ha pubblicato nei canali social il consueto post di auguri. Non è stata una dimenticanza né una mancanza di rispetto: è stato lo stesso Vitucci a chiedere giorni prima che nulla venisse pubblicato in merito per non guastare l'atmosfera di un giorno speciale. In compenso, sabato sera lo stesso coach Vitucci mi ha voluto fare un regalo di compleanno (sì, il 19 aprile è il mio compleanno), donandomi una soddisfazione immensa. Che va ben oltre la mera vittoria contro Tortona. Quel che mi ha schiuso un sorriso mefistofelico degno del Joker è l'aver visto diversi fischiatori e contestatori incitare, applaudire e accompagnare la squadra in una gara che Vitucci ha condotto in maniera esemplare. Come? Asciugando le rotazioni, escludendo gli elementi in crisi (Harrison) o dannosi (Caroline, un mangiapalloni), accettando lo scotto del calo di rendimento dopo trenta minuti a pieno regime ma trasmettendo ai suoi ragazzi la tranquillità per condurre in porto una gara delicatissima.

Dettaglio da non sottovalutare: sabato sera TvB non ha toccato il +26 per debolezza dell'avversaria, per congiunzione astrale o per culo (perché si dice culo)... ma per oggettiva qualità del gioco. E al netto dell'ennesima serata complicata di Mascolo in cabina di regia. Tutto ciò è frutto del lavoro dello staff tecnico, non certo dell'improvvisazione del momento, dell'autogestione di quattro o cinque elementi o di una impronosticabile follia collettiva. Quando il Derthona, rianimato dalle triple in serie ad altissimo tasso di difficoltà del duo Baldasso-Denegri, si è rifatto sotto e ha addirittura sorpassato, qualunque altra squadra in confusione si sarebbe sciolta come neve al sole. Il fatto che TvB abbia mantenuto i nervi saldi rispondendo colpo su colpo e giocando una difesa magistrale sull'ultimo tiro dei piemontesi è consegueza diretta di quanto organizzato da chi siede in panchina. Con buona pace dei signori e delle signore da "Vedo basket da 30-40 anni".

Tutti sabato sera hanno visto la prova da 31 punti di Ky Bowman, tutti hanno applaudito il giocatore che a suon di bombe ha siglato il successo numero dieci in stagione. Pochi ricordano che la scorsa estate Bowman poteva andarsene da Treviso, non aveva contratto, non c'erano vincoli, anzi almeno due società di altre leghe lo avevano contattato sottoponendogli proposte economicamente più vantaggiose. Bowman è rimasto a Treviso per Vitucci, perché dal suo primo giorno in Europa si è trovato a meraviglia con lui, perché percepisce la fiducia del coach, perché sa che anche nel momento peggiore il suo allenatore non gli addosserà mai le colpe. Vitucci avrebbe potuto farlo lo scorso 22 dicembre quando a Sassari proprio Bowman spese il quinto fallo su Bibbins a 10 secondi dalla fine e col punteggio in parità: Ky aveva sbagliato, pensava erroneamente che la sua squadra fosse in ritardo di un punto e aveva ignorato le urla del suo coach che non voleva assolutamente mandare in lunetta gli avversari. Un altro allenatore avrebbe crocifisso Bowman pubblicamente, lo avrebbe additato, sarebbe stato semplice dire che la squadra aveva perso per colpa sua. Vitucci ha ingoiato il rospo e ha abbracciato il giocatore che, resosi conto dell'errore, ha chiesto scusa. Allenare è anche questo ossia dimostrare umanità ed empatia.

Quindi a chi continua a lamentarsi di Frank Vitucci, a insultarlo, a chiederne le dimissioni, a ricoprirlo di fischi ingenerosi e stupidi durante la presentazione delle squadre. A chi intimidisce, offende e minaccia i tifosi che non si piegano né si accodano a questo clima avvelenato. A chi da settimane invoca misure draconiane, licenziamenti, allontanamenti, epurazioni, liste di proscrizione che Silla spostati. A chi pensa che gli si debba consentire le peggiori rimostranze solo in forza di un biglietto o di un abbonamento pagato. A tutti questi personaggi riservo il titolo di quell'editoriale di Mino Pecorelli. Non si deve vergognare Frank Vitucci, che il suo lavoro l'ha compiuto fino in fondo rispettando quanto aveva promesso a inizio campionato - ve lo ricordo: una salvezza più tranquilla e agevole, senza aspettare l'ultima giornata. Non si deve vergognare chi si è impegnato dal primo giorno per raggiungere un risultato affatto scontato. Non si deve vergognare chi evidenzia il becerume di una parte del pubblico. Quel "vergogna buffoni!" va indirizzato solo a chi ancora oggi non ha capito e si ostina a non voler capire di aver commesso una serie continua di fesserie. Ma come si dice al mio paese, "Al è dibant cirî di insegnâ al mus..."

martedì 25 marzo 2025

Un dolce, dolcissimo ricordo

Se ne è appena andato, eppure mi manca già. Giuseppe Vicenzi, per tutti l'uomo del savoiardo, ha chiuso gli occhi per sempre dopo una vita spesa su due binari. Quello dell'azienda di famiglia, trasformata da semplice laboratorio semi-artigianale in colosso dolciario. E quello della pallacanestro, sport che ha amato visceralmente al punto da spendere soldi (tanti), passione (altrettanta) e tempo (non parliamone neppure) per aiutare la realtà veronese a salire dall'anonimato delle serie inferiori sino alle zone nobili della Serie A. Giuseppe Vicenzi apparteneva alla categoria speciale dei mecenati, i capitani d'industria che colsero l'importante messaggio che si poteva veicolare attraverso lo sport: da strumento ludico e ricreativo a perfetto modulo di trasmissione aziendale. Vicenzi era ragione e sentimento, lucidità e positiva follia. Una via di mezzo tra Gilberto Benetton e Giorgio Seragnoli, tra il pragmatismo dei Colori Uniti e l'amore autodistruttivo (per la Effe) dell'Emiro felsineo.

Conservo tre ricordi particolari di Giuseppe Vicenzi. Il più bello è la foto in cui abbraccia coach Andrea Mazzon all'arrivo all'aeroporto, entrambi con la Coppa Korac 1998 in mano, quel trofeo vinto nella tana del lupo ossia al Pionir di Belgrado. Uno dei punti più alti della parabola gialloblu che già aveva messo in bacheca l'incredibile Coppa Italia 1991 - unica squadra dell'A2 capace di imporsi contro le corazzate del piano superiore - e la Supercoppa 1996. Era la Verona di Andrea Fadini, intuitivo manager friulano trapiantato in riva all'Adige che aveva saputo pescare autentiche perle. La scoperta di Galanda e Frosini, il potente rilancio di un ancor giovane Bonora e dei vecchi guerrieri Dalla Vecchia e Boni, il dinamismo di David Londero, l'intuizione delle potenzialità di Rombaldoni sul fronte italiano; le pescate di Henry Williams, Sweet Lou Bullock, Mike Iuzzolino in America; l'esplorazione europea con Jerichow, Gnad, Albano, Beric. Quella Korac era stata l'apogeo della Scaligera che di lì a poco avrebbe imboccato una ripidissima parabola discendente.


Il secondo ricordo risale all'estate del 2000. Verona qualificata in Eurolega, un fatto storico. Ma ancor più storico è il passaggio di consegne tra Vicenzi ed Eduardo Fiorillo, all'epoca patron dell'emittente Match Music. Il patron appariva stanco, anche isolato in una città in cui sembrava impossibile fare rete - se ne lamentava anche Pastorello, all'epoca presidente dell'Hellas. Fiorillo al contrario era giovane ed entusiasta, traboccante di idee rivoluzionarie, stimolato dalla vetrina della nuova Eurolega a marchio ULEB e con la volontà di incidere in maniera decisiva sul panorama italiano e continentale. Vicenzi non appariva del tutto tranquillo, forse aveva intuito qualcosa. La storia racconta di un declino rapidissimo: un solo anno di gestione Fiorillo porta a notevoli errori accompagnati da spese folli, il mancato ingresso ai playoff italiani e l'uscita al primo turno al barrage di Eurolega dopo i gironi, la girandola dei giocatori, la volontà del nuovo proprietario di vendere ma senza trovare acquirenti. Nel 2002 la Scaligera, da società modello, era divenuta uno zombie. Vicenzi non poteva salvarla, almeno non alle condizioni che erano maturate.

E qui si innesta l'ultimo ricordo, quello del vero atto d'amore di Vicenzi verso la pallacanestro e la sua città. Fallita la Scaligera, fu il vecchio patron a lanciare la ciambella di salvataggio del San Zeno Basket, il club minor che funse da base di ripartenza. I primi soldi per quella che sarebbe stata la nuova Scaligera li mise lui. Fu il suo ultimo contributo alla pallacanestro veronese e non solo, insegnando che anche di fronte ai disastri altrui c'è sempre un vincolo morale da rispettare. La lezione di Vicenzi venne recepita qualche anno più tardi da Valter Scavolini, anche lui pentito di aver lasciato la sua adorata Vuelle in mano a chi non amava lo sport ma cercava solo appalti. Questa è la migliore eredità possibile di Giuseppe Vicenzi: la dolcezza. Dei suoi biscotti così come del suo sguardo verso la pallacanestro in cui ritrovava i valori semplici e umani di un territorio che gli deve molto. 

domenica 16 febbraio 2025

L'aria dolce e frizzante delle Dolomiti

Chi mi conosce bene sa quanto io ami recarmi in montagna. La mia meta preferita è la Val Pusteria, una verde lingua di terra che confina a sud con i Monti Pallidi ossia le Dolomiti, a nord con le Alpi Tauriche, a ovest con la valle dell'Isarco e a est con le Alpi Carniche. Tra i monti si sta bene: aria pulita, natura poco contaminata, alta qualità della vita, zero confusione, gente discreta, ottimo cibo, panorami favolosi. E tanta, tanta pazienza, quasi un retaggio atavico delle genti montanare che sanno quanto sia difficile ottenere qualcosa e che nulla possa arrivare in fretta e furia. Lo ha capito anche un milanese tradizionalmente frenetico come Paolo Galbiati che ha portato una bella e concreta Trento a vincere la Coppa Italia LBA.

Per l'Aquila Basket non si tratta di una prima volta assoluta. Nel suo passato abbastanza recente trovano posto due finali scudetto, un paio di Coppe di Lega LNP (A2 e C1) e un paio di campionati dilettanti (B1 e A2). Testimonianze di anni di crescita, a volte persino repentina - dalla promozione in LBA alla prima finale per il tricolore passarono tre anni e senza budget faraonici ma con una semifinale europea nel mezzo. In undici campionati di massima serie Trento è diventata un piccolo modello di gestione: quasi sempre ai playoff, spesso e volentieri nelle prime otto già al giro di boa, presenza fissa in Eurocup. E se per tanto tempo si è pensato che ciò fosse merito esclusivamente della coppia Trainotti-Buscaglia, i recenti sviluppi hanno dimostrato il contrario. Trento funziona perché ha adottato un metodo di gestione che è virtuoso e che sceglie prima di tutto le persone dietro le scrivanie e nei posti più delicati. Il resto viene a cascata.

L'ho capito in realtà due anni fa quando, grazie all'amico Piergiorgio Paladin, sono andato a Bruxelles. In nostra compagnia c'era anche il presidente del CAST ossia il consorzio trentino che sostiene l'Aquila Basket. Che è un club complesso, la cui proprietà è frazionata tra soci, Fondazione, Trust e appunto Consorzio. Ho ritrovato Roberto Locatelli, numero uno del CAST, al B2B organizzato da Infront lo scorso giovedì all'Allianz Stadium e abbiamo fatto una gran bella chiacchierata. Cosa è emerso? Una crescita potente spinta da passione, progettualità, espansione territoriale e forza attrattiva. Grazie a ciò CAST è cresciuto nei numeri e non solo, divenendo un motore propulsivo che parte dal basso e portando il contributo economico a livello di un bel main sponsor. Perché Trento è indubbiamente una realtà solida ma non può e non deve essere scambiata per una società finanziata a fondo perduto da un magnate che va avanti finché vince e/o si diverte o che butta soldi a volte suoi e a volte di altri per puro passatempo ludico. Per fare un piccolo esempio, l'anno scorso Trento ha speso 5 milioni e 750mila euro per disputare LBA (7^, 16-14, uscita ai quarti 1-3 contro Milano), Coppa Italia (sconfitta subito, ancora contro Milano) e Eurocup (regular season); con quasi il triplo dei soldi spesi, Derthona non si è qualificato alla Coppa Italia, è entrato ai playoff da ottavo venendo subito eliminato e in BCL si è fermato ai play-in. O, se preferite, c'è Sassari che spendendo 7,4 milioni ha guardato playoff e Coppa Italia in televisione giocando la pessima FIBA Europe Cup senza nemmeno fare tanta strada. Insomma, non è detto che spendere tanto significhi avere una minima garanzia di successo.

Trento invece ha speso il giusto, ha speso bene e, cosa più importante fra tutte, ha capito come programmare le spese. Prima di tutto affidandosi a un tecnico come Paolo Galbiati che a qualcuno in laguna sta tanto antipatico ma che è un maghetto nella valorizzazione dei giovani. Difatti la scorsa estate è stato Galbiati a imporre la linea verdissima rivoluzionando una squadra che come abbiamo visto non era poi malvagia. Di quella Dolomiti Energia si sono salvati, con l'eterno capitano Toto Forray, soltanto Quinn Ellis e Saliou Niang, due ragazzi arrivati in Italia in maniere diverse ma che oggi sono i protagonisti della vittoria in Coppa Italia. Ellis, portato nel Belpaese da Capo d'Orlando, è il miglior play della sua generazione in LBA; Niang, scaricato dalla Fortitudo per una presunta fragilità fisica, è un diamante solo in parte sgrezzato che può riservare ancora molte dolcissime sorprese. La frizzante aria del Trentino ha fatto bene ad entrambi... o forse sono state le amorevoli cure del programma di sviluppo dell'Aquila Basket che, con Marco Crespi, ha creato una piccola eccellenza. Attenzione: non tutti i (buoni) prodotti di Trento vengono mantenuti in squadra, per referenze chiedere a Luca Conti e Max Ladurner. In un progetto di costante miglioramento, il club bianconero sceglie i ragazzi da valorizzare mentre quelli ritenuti sì buoni ma non più funzionali vengono rilasciati affinché possano compiere altrove il loro percorso. Senza troppi rimpianti nemmeno da parte del pubblico, che sarà anche meno abituato ai campionissimi del passato rispetto ad altre piazze ma non mugugna troppo se un Conti o un Ladurner riceve il consiglio di recarsi in altri lidi per giocare. Mentre altrove si innalzano i peana per un (nome a caso ma non troppo) Leo Faggian, che Treviso ha spedito in A2 stante gli zero progressi tecnici, gli zero allenamenti supplementari al tiro, la poca voglia dimostrata, nell'isola felice tra le montagne si accettano le decisioni prese da chi il basket lo capisce davvero.

Chiudo questo post con le immancabili pagelle della Coppa Italia 2025

VOTO 10 CON LODE a Paolino Galbiati che sa trovare un modo per scherzare anche quando descrive la drammaticità di dover organizzare alle undici di mattina una improvvisata sessione video+tattica in uno stanzino. Ma dove lo trovate un allenatore così, che non sbraita per una qualsiasi situazione negativa ma coglie sempre lo spirito giusto per criticare quando serve e per strappare un sorriso sdrammatizzante?

VOTO 10 a Jamion Christian che porta Trieste senza Colbey Ross (lui dice per almeno un mese, chissà quanto è verità e quanto pretattica) a cinque minuti dal sogno di una finale da neopromossa. E dopo aver fatto fuori l'altra finta matricola, ma questa è un'altra storia...

VOTO 9 a Maurizio Bezzecchi che è un mago della diplomazia. No, come lui non c'è davvero nessuno. In LBA dovrebbero pensarci mille volte prima di lasciarlo andare in pensione senza aver trovato qualcuno che sia abile come lui nel trattare sia i giornalisti che le informazioni raccolte.

VOTO 8 a Torino. Due anni fa era un deserto di promozione, ora la Final Eight ha manifesti, vele pubblicitarie, stendardi, persino la visita di una squadra al Museo Egizio. Che non ha bisogno di pubblicità ma che fa da volano chissà quanto involontario alle stesse Final Eight. Le quali resteranno in Piemonte almeno un altro anno. Forse due, se si troverà l'accordo economico.

VOTO 7 a Peppe Poeta e alla sua Brescia. Cui mancano sempre un play vero dietro Ivanovic e un lungo autentico di supporto per non spremere Bilan e le occasionali fiammate di Ndour. Patron Ferrari ha speso tanto, non tutte le scelte sono state azzeccate ma visto quanto sta facendo la squadra biancoblu non ci si può davvero lamentare.

VOTO 6 a Reggio Emilia, che ha reso la vita difficile a Trento nei quarti mostrando però qualche limite. Nello specifico in ala piccola. Ma il progetto di Claudio Coldebella è di ampio respiro e merita la stessa pazienza concessa a Trento.

VOTO 5 all'Olimpia Milano. Chi pensava che potesse essere una Final Eight in carrozza per la Messina Band ha dovuto rivedere il proprio metro di giudizio. L'approccio è stato sin troppo semplice, merito di un'avversaria in piena confusione. La semifinale si è risolta per oggettivi limiti di Brescia, come detto. In finale, i meneghini quasi non hanno capito da che parte iniziare a giocare, limitandosi alle individualità e tirando con un 1/21 da 3 che nemmeno nei peggiori campi del CSI. Ettore Messina era abbastanza incacchiato dopo la finale e ha tutte le ragioni per esserlo, specie pensando al fatto che sono tre anni che la Coppa Italia sfugge di mano.

VOTO 4 al Derthona. Patron Gavio diserta la poltroncina e già non è un bel segnale. Il mercato è fermo per mille motivi. La teorica squadra di casa porta appena una trentina di supporter all'Inalpi Arena che dista da Tortona un'oretta e venti di viaggio in automobile. Sono tutti segnali infausti. E se il giocattolo si fosse rotto peggio del ginocchio di Strautins?

VOTO 3 alle dichiarazioni post partita di Dusko Ivanovic. Io spero davvero che il santone col codino chiamato al capezzale di una Virtus in plurima crisi d'identità, tecnica e societaria, volesse scherzare quando ha affermato di aver detto ai suoi, reduci dalla scoppola rimediata contro Milano, che hanno possibilità di vincere lo scudetto. Questa Bologna non ha capo né coda e merita solo di preservare Ale Pajola e Momo Diouf, buttando il resto tra giocatori ormai ombre di sé stessi e stranieri inadeguati al sistema.

VOTO 2 a Valerio Antonini che rilascia dei commenti privi di logica dopo la sconfitta in extremis del suo Squalo contro Trieste. Dice che non gli piacciono i risultati, come giocano i suoi strapagati atleti e persino come lavora l'allenatore, ma subito dopo si contraddice confermando fiducia a coach Repesa. Che intanto ha chiesto e ottenuto la testa di Tibor Pleiss. Mi domando però chi a Trapani la scorsa estate abbia trattato proprio Pleiss: non sapeva che l'Efes voleva liberarsi di un costoso peso morto?

VOTO 1 all'assenza del presidente federale Gianni Petrucci che salta tanto la premiazione del Famila Schio quanto quella di Trento. Che senso ha presiedere una Federazione se poi agli appuntamenti per i club si manda il vicario?

VOTO 0 alla scelta di "Cuoricini" dei Coma_Cose e di una versione riadattata di "Felicità" di Al Bano come musiche ricorrenti negli stacchi pubblicitari. Non c'era nulla di meglio?