Considerazione sul derby veneto e dintorni.
Lasciamo stare per un momento la cabala che pare non voler lasciare un vero padrone regionale in A2 - otto confronti in quattro stagioni, 4 vittorie a testa con fattore campo quasi sempre rispettato. La De' Longhi vista a Verona è stretta parente di quella sciagurata che fece una figura barbina due settimane fa al PalaDozza. Senza una mente pensante alternativa ad Imbrò, con un buco nero in ala forte e con qualche problema di fronte a difese che raddoppiano in maniera fisica su Tessitori. Se in estate coach Menetti ha dovuto rivedere parte del playbook per rendere più semplici le idee tattiche, puntando moltissimo sulla capacità del suo pivot pisano di dominare nei pressi del canestro, è lapalissiano che ormai quasi tutte le avversarie abbiano capito come azzoppare il gioco offensivo di TVB.
Verona ha impiegato cinque minuti a capirlo. Il tempo di panchinare l'indolente Dieng - a proposito, ma è vera la voce del contratto che prevede la partenza obbligatoria in quintetto base? Allucinante! - e di schierare in sua vece il ruvido ma efficacissimo Ikangi ed il lavoro è stato compiuto. Per quindici minuti Treviso non ha saputo che fare, affidandosi ai personalismi (brutto segnale quando si perdono due possessi per infrazioni di 24") o abusando di un tiro da 3 che è rimasto orfano di uno dei suoi specialisti, ovvero Davide Alviti, involuto in dieci giorni da cecchino quasi infallibile a spadellatore folle - per lo spatolatore, citofonare Batacchi a Santarcangelo di Romagna. Poi si è visto qualcosa... che a dire il vero sarebbe anche elementare: come battere i raddoppi in post? Stesso approccio ad una zona fronte pari cioè pivot in lunetta o paraggi per appoggi e riaperture o tagli del piccolo. Tutto bene, tutto bello fino al terzo fallo di Tex, una craniata nello sterno all'avversario. E lì partita finita del pivot.
Menetti parla di scelta tecnica nell'esclusione di Tessitori. Ci può stare visto che Chillo, bontà sua, qualcosina di positivo ha fatto, specie in appoggio agli esterni come testimoniano gli assist. Restano però insoluti due interrogativi, il primo legato alla cabina di regia ed il secondo al ruolo di ala forte. In settimana sbarcherà David Logan, un nome pesante, un tiratore di striscia, un potenziale crack per l'A2. Quanto ci si attendeva da Maalik Wayns. Ma non un play, né un difensore (almeno sull'uomo). Lecito attendersi dal prossimo innesto la capacità di variare il gioco di Burnett in penetrazione e di rendere meno evidente la solitudine di Imbrò come specialista del tiro pesante. Uglietti invece continuerà a doversi dividere tra marcatura asfissiante dell'avversario più pericoloso e stampella del playmaking. Difficile dire ora se la soluzione funzionerà. Anche perché si aspettano le famose visite mediche per capire se il problema muscolare denunciato in Corea fosse di natura diplomatica, di turnover o dannatamente reale - si propende per la prima ipotesi.
Per l'ala forte invece difficilmente si cambierà qualcosa. Perché Barbante è acerbo. Perché Alviti non gradisce il ruolo e comunque ha altri problemi da risolvere. Perché Lombardi è tanto effervescente in attacco quanto sbadato in retroguardia - a proposito, Poletti e Severini ancora ringraziano. E soprattutto perché c'è sempre quel contrattone di mezzo tra Antonutti ed un suo auspicabile taglio. Anche a Verona il numero 9 è stato indolente: tredici minuti di vuoto pneumatico. C'è da chiedersi se non sia almeno il caso di revocargli la fascia di capitano per darla ad Imbrò, sicuramente più presente e determinato, anche quando commette degli sbagli. Senza ricordare che Antonutti fu allontanato nel 2014 da Reggio Emilia da capitano, con scelta precisa proprio di Menetti, occorre compiere una riflessione sull'utilizzo in campo di un giocatore troppo condizionante tatticamente e che sta dimostrando limiti anche caratteriali. Se Wayns non riusciva a dare al gruppo quanto era lecito attendersi, bisogna dire che con somma signorilità il primo a rendersene conto è stato lo stesso americano togliendo il disturbo e sgombrando il campo dagli alibi. Qui invece non si sa cosa fare, ché il giocatore pare a tratti irrecuperabile a livello mentale, figuriamoci di incastro tattico.
Parliamo poi del contorno. Derby umido, a tratti maschio, piuttosto combattuto. Non ci si è annoiati di certo. Vuoi per l'esito, comunque abbastanza interessante. Vuoi per l'evidente differenza di approccio del pubblico: ondivago quello veronese, esaltato in pochi ristretti frangenti, e continuo quello trevigiano, con i tifosi biancocelesti encomiabili per la capacità di cantare e sostenere i propri colori anche sul -8. Un sopracciglio inarcato sul dato spettatori, oltre 4mila dichiarati nonostante ampie porzioni di palasport desolatamente vuote - e non parliamo di un'arena da NBA. Due note di merito però per i padroni di casa. La prima va ai progressi della bionda Massimilla, lontana dai boati sonori di qualche anno fa ed in evidente crescita quanto a speakering: l'esperienza aiuta, l'entusiasmo c'è, la gentilezza non manca, quindi buona fortuna a lei. La seconda per la scelta organizzativa della presentazione della squadra: gli schermi a bordo campo aiutano, ovvio, ma in Serie A2 è simpatico notare un tentativo ben riuscito di introdurre la formazione con brevi schede video che riprendano espressioni facciali o corporee dei singoli giocatori. L'atmosfera a volte si crea anche così.
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