domenica 19 settembre 2021

La Salute? Frazione di Santo Stino!

Possiamo dire senza scandalo alcuno che il famosissimo motto di Giannino er Laziale, cioè che il basket italiano godrebbe di ottima salute, è definitivamente archiviato. Con buona pace di chi ancora vive nella torre d'avorio di via Vitorchiano a Roma, è bastato vedere cosa è accaduto e sta accadendo a Bologna, tra ieri ed oggi, per capire che l'unico adagio in voga è quello del pesce abitualmente che puzza dalla testa. Dimenticate pure le gioie di Belgrado, l'orgoglio di Tokyo, i meritati complimenti ad Azzurra e a chi ne faceva parte: quello è un capitolo marginale, anche se bellissimo. No, l'italica pallacanestro sta davvero malissimo e lo si capisce da pochi, evidenti, clamorosi indizi.

Il primo lo abbiamo colto tutti, noi che abbiamo deciso ieri pomeriggio di farci del gran male guardando l'immondo antispettacolo di Milano-Treviso su Eurosport. Non è colpa della squadre, né degli allenatori se invece di una partita si è assistito ad uno scrimmage di bassa levatura tra Eurolega (e dintorni) e Under18: la responsabilità va rintracciata nella pervicace idea di una Legabasket che sta centellinando l'ammazzacaffè senza volersi alzare da quel tavolo ammettendo il proprio fallimento. Seriamente, che bisogno c'era di un'altra maxi-Supercoppa settembrina? Era fallito il primo tentativo nel 2000, quando il basket nazionale viveva ancora di mecenatismo e di bilanci straricchi; il bis a distanza di vent'anni era stato accolto come un test utile, dopo lo stop per pandemia, per rivitalizzare il pubblico e consentire alle società di sperimentare i nuovi protocolli anti-Covid, prima che la seconda e terza ondata della malattia obbligassero a chiudere tutto di nuovo. Ma l'edizione 2021? A che serviva? Che senso ha scimmiottare l'A2, in cui tra l'altro da tempo c'è ampio dissenso, obbligando quasi tutte le iscritte a rimodellare il precampionato sulle basi di un calendario da infarto? E come se non bastasse, sull'immangiabile torta si è posta la ciliegina guasta di un match ingiocabile, frutto avvelenato della miopia dirigenziale, obbligando chi aveva appena concluso (vincendo, tra l'altro) una massacrante maratona a correre di nuovo, senza nemmeno il tempo per rifiatare ed assumere liquidi e zuccheri. Tafazzi al confronto era un dilettante.

Se al peggio non vi è mai fine, se "toccato il fondo si può iniziare a scavare" (copyright Moana's, 1992), se le teorie di Vico sulla ciclicità non vi paiono abbastanza, ecco servita la seconda schifezza. Cioè l'annunciata crisi della Fortitudo, una società sempre più sull'orlo del baratro, finanziario prima che tecnico ed agonistico. Appare evidente che ai signori che gestiscono l'italica palla a canestro non importa nulla di un movimento che perde i pezzi. Non era bastata la farsa di Roma dell'anno scorso? O di Avellino e Torino in precedenza? Evidentemente no. Così oggi troviamo un club senza main sponsor che boccheggia, tra debiti con l'erario spalmati in extremis, improbabili trattative in Turchia, consorzi con capitale sociale inferiore a quello di un qualsiasi panificio, disperate richieste di aprire subito al pubblico sperando che i soliti, ottusissimi tifosi salvino la barca che affonda a suon di soldi per abbonamenti e biglietti. Intanto l'allenatore tanto voluto alias Gelsomino dall'Erzegovina è rientrato in fretta a Zagabria, in via ufficiale per motivi famigliari ma in realtà per ben altre cause. Non è un mistero che Repesa si sia lamentato per la scarsa qualità del roster a disposizione (scelto anche da lui, però) e dei mancati correttivi sul mercato, impossibili da attuare visto che in cassa non c'è un centesimo, figurarsi le cifre folli che Luca Vitali chiede per pareggiare l'eventuale rinuncia all'ultimo anno di contratto con Brescia. Sul campo, la Effe è pietosa, disorganizzata, scoordinata, senza capo né coda. E nei conti societari non è che la prospettiva sia migliore, visto che a bilancio risulta ancora Meo Sacchetti che non ne ha voluto sapere di transare il ricco accordo firmato appena quattordici mesi fa.

Leggo in queste ore di Ataman, che rischia di diventare uno spauracchio alla pari di Gerasimenko, quale possibile salvatore della Bologna biancoblu. Leggo anche dei tifosi indignati, e non solo per le limitazioni al palasport: lo schifo di ieri pomeriggio non viene digerito nemmeno con robuste dosi di Effervescente Brioschi. Silenzio totale dal Grande Capo, che attenderà forse la consegna della Supercoppetta più inutile del mondo per parlare, mentre Umberto Gandini continua a dibattersi sperando di non far la fine del suo predecessore Egidio Bianchi, sempre che non stia pensando "ma chi me l'ha fatto fare?" in relazione alla sua nomina a presidente factotum di LBA. Quel che è certo, come la morte, le tasse e il silenzio dei mammasantissima, è che il basket italiano, ora più che mai, non è nemmeno in vista della Salute. Che in fondo resta una frazione del Comune di Santo Stino di Livenza.

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