martedì 2 marzo 2021

Dal Titano alla gloria

Vulcanico. Era questo l'aggettivo più usato per definire carattere e persona di Luciano Capicchioni, colui che per anni fu dominus incontrastato della pallacanestro vissuta lontano dalla panchina o dal parquet, quella costruita dietro le scrivanie, ai tavoli delle trattative, sorseggiando una limonata fresca nelle calde giornate estive delle Summer League o intavolando lunghe discussioni per giungere ad accordi a volte impensabili. Luciano si è spento nella notte a 75 anni dopo una vita da vero combattente.

Non era una persona semplice con cui intavolare una trattiva. Cittadino di San Marino con un piede ben piantato nella capitale indiscussa della Riviera, Capicchioni era diventato un personaggio dominante negli anni '80 iniziando a rappresentare diversi campioni provenienti dall'Est. Merito anche di una partnership poi bruscamente interrotta, quella con Mira Poljo, la donna d'acciaio che gli aveva portato in dote tra gli altri Toni Kukoc. In una pallacanestro italiana che muoveva decine di miliardi alla volta, pompati dai Ferruzzi, dai Benetton, da Scavolini, poi dalle guerre stellari bolognesi tra Cazzola e Seragnoli, Capicchioni era lo squalo abituato a nuotare in un mare che conosceva meglio di molti altri. Chi più e chi meno, tutti coloro i quali si sono dedicati alla procura di cestisti hanno dovuto prima o poi confrontarsi con la sua storia imprenditoriale, con i suoi metodi, con i suoi successi e con le sue politiche.

Anche se col tempo la sua agenzia Interperformances aveva subito la sempre più dura concorrenza prima dell'ex socia Poljo e poi di tanti altri professionisti, Capicchioni aveva sempre voce in capitolo. Quando nel 2000 l'ULEB dichiarò guerra a FIBA Europe, per completare il quadro delle partecipanti alla nuova Eurolega arrivò proprio Capicchioni con un'invenzione machiavellica, i S. Petersburg Lions: una franchigia fantasma, composta da giocatori Interperformances senza contratto che si allenavano a Varese per giocare una volta a settimana in Russia - il miglior prodotto era Derek Hamilton che difatti poi trovò posto proprio a Varese ed a fine carriera a Rimini, ma c'erano anche Verginella, Bazarevich e l'ex Benetton Stazic. Si mormorava di una presenza-ombra di Capicchioni anche negli allora Lugano Snakes, altra cenerentola continentale inserita a forza per colmare le defezioni verso la Suproleague. Insomma, il manager sanmarinese era una vera potenza.

L'apice della sua carriera arrivò nei primi anni 2000 quando con Interperformances era talmente potente da poter costruire quasi da solo intere squadre di Serie A. L'esperimento dei Lions lo replicò poi in casa, rilevando i Crabs da Sberlati in Legadue e inserendo di volta in volta giocatori da lui seguiti, in parcheggio temporaneo per prestito (Giovannoni, Barycz) oppure come vetrina in attesa di una chiamata. La Federazione dovette addirittura intervenire per inserire una norma che vietava esplicitamente ai procuratori di possedere quote di maggioranza di club professionistici: il timore era rappresentato dalla possibilità che si potesse alterare l'equità competitiva favorendo la carriera di un giocatore a suon di statistiche gonfiate.

Rimini però divenne anche lo specchio della sempre maggiore debolezza di Capicchioni. Tra farseschi tentativi di sponsorizzazioni o fantasiosi ingressi di soci fantasma, i Crabs affondarono nei debiti tanto da indurre il loro proprietario ad una operazione mai tentata prima, quella dello scioglimento con immediata ricostituzione per consentire un doppio salto all'indietro, dalla non più sostenibile Legadue professionistica alla B2 dilettantistica. La triste parabola di Rimini fu specularmente quella di Capicchioni, sempre più identificato come responsabile dei guai del club - in realtà provò in ogni modo ad evitarne il fallimento - e sempre meno potente sul fronte del mercato. Si arrivò addirittura alla contestazione da cui nacque una bella realtà che oggi si chiama Rinascita Basket Rimini e che dopo un periodo di ostilità ha riunificato le tante anime della pallacanestro locale. Capicchioni, dimenticati i vecchi rancori, aveva lasciato la presa consentendo il matrimonio tra tradizione ed innovazione con una lunga lettera di commiato.

Una lettera che oggi suona quasi come un testamento ed un epitaffio. Per lui, per il basket ricco che fu e che oggi a parte poche eccezioni mendica, per i campioni che non torneranno, per la piccola Repubblica di San Marino che perde un personaggio magari chiacchierato, antipatico, duro, ma di sicuro impatto e che finché ha potuto ha sempre combattuto. Ciao Luciano.

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