venerdì 5 febbraio 2021

Quando il Destino gioca a dadi

In un gruppo social ho visto oggi una foto che mi riporta indietro di oltre vent'anni e che somma due talenti purissimi della pallacanestro anni '90 (ed anche oltre) che divisero a metà una città appassionata. D'altronde la storia sportiva è stata scritta anche dalle spaccature del tifo: chi preferivate, Coppi o Bartali, Rivera o Mazzola, Biaggi o Rossi, Lauda o Hunt? Non si può negare che Bologna, la Basket City italiana che per alcuni anni visse quelle che furono chiamate "Guerre Stellari" a suon di ingaggi miliardari, si è retta sulla dicotomia non solo tra Virtus e Fortitudo quanto su Sasha Danilovic contro Carlton Myers.

La foto cui accennavo riporta appunto i due ex rivali in posa per un brindisi, oggi, a oltre vent'anni dal ritiro del serbo che smise a causa di un fisico segnato dai troppi infortuni e ad un decennio circa dalle ultime apparizioni sul parquet dell'ex portabandiera olimpico. Un sorriso, una bottiglia di birra in mano, anni luce distanti dalle tensioni dell'Euroderby di fine millennio e dalle polemiche dell'epoca. Oggi Sasha è un dirigente, presidente della Federbasket serba, Carlton ha una sua agenzia di atleti: diversi sempre, nell'interpretazione del ruolo così come nelle scelte, mentre De Pol e Andrea Meneghin tanto per citare altri protagonisti sul parquet del medesimo periodo sono diventati commentatori televisivi.

Danilovic, Myers, Andrea Meneghin vent'anni fa, dov'erano? Il primo era in disparte, gli altri due in campo a raddrizzare quella che doveva essere una corazzata inaffondabile ma che si sarebbe rivelata la declinazione cestistica dello "Hood": nave possente alla vista, fragile e scarsamente solida alla prova dei fatti. Torniamo indietro all'estate 2000, quella che ridisegna tanti destini, quella delle Sliding Doors rese in precedenza famose da un film con Gwyneth Paltrow. Cosa accade, in quella benedetta estate olimpica sul fronte del basket nostrano? Abbastanza da poter scrivere un libro di ipotesi o congetture, le famose ucronie storiche che in Dick e Harris hanno trovato grandi autori e fragorosi successi di pubblico.

Facciamo una bella panoramica del momento, partendo dalla Virtus Bologna. Che nel 2000 ha cambiato padrone, passando dal self-made-man Cazzola al (presunto) magnate dei videogiochi Madrigali. E proprio il nuovo padrone decide non solo di confermare la linea politica degli anni precedenti ma di scommettere in materia pesante per riportare la Vu Nera, reduce da due anni affatto brillanti, sul tetto sia nazionale che continentale. Il passaggio di consegne d'altronde comprende uno zoccolo duro su cui costruire o ricostruire - sono i contratti di Rigaudeau, Sconochini, Bonora, Abbio, David Andersen e dello stesso Danilovic, oltre allo staff tecnico capitanato da Ettore Messina - e tanti contatti avviati in sede di mercato per riempire le caselle mancanti. Sul fronte opposto del Reno la gioia dello scudetto a lungo inseguito e finalmente centrato non si è ancora spenta tanto che in via San Felice si pensa alla cosiddetta FortItalia, una Fortitudo a trazione quasi completamente azzurra: via quasi tutti gli stranieri, qualche ritocco qua e là (ad esempio cambio della guardia tra i perticoni, con il lituano E. Zukauskas a sostituire il sempre più logoro Vrankovic) e fiducia ampia a coach Recalcati. Per entrambe le bolognesi però si apre il dilemma dell'ala piccola, un ruolo e forse pure un nervo scoperto. La Virtus ha fatto un mezzo disastro affidandosi al pessimo Darnell Mee, la Fortitudo non ha più voglia di tenere Karnisovas e pur avendo già preso Sandro De Pol (che si rivelerà un 4) preferisce esplorare le alternative.

Entrambe le contendenti si fissano su un nome e cognome, quello di Andrea Meneghin. Che è in uscita da Varese, che è un punto fermo in Nazionale, che ha talento e può garantire quel mix di imprevedibilità e di capacità di attaccare il ferro che tutte e due le squadre cercano. Nella miglior tradizione di Basket City per settimane l'asta a distanza è serrata a suon di rilanci: quello decisivo è della Fortitudo che convince il figlio d'arte con un pluriennale principesco. La Virtus quindi vira sul Piano B, prendendo un argentino cercato in precedenza anche dalla Benetton che però anch'essa ha cambiato idee e piani tattici. Il nome diverso è quello di Emanuel Ginobili, un ragazzo che ha prima riportato Reggio Calabria in Serie A1 e poi l'ha condotta ai playoff con sufficiente autorità. Ginobili è pure seconda scelta del Draft, quindi malaccio non dev'essere, anche se la prima scelta era Meneghin ritenuto a lui superiore.

A proposito di Draft, pure oltre Atlantico il Destino si diverte a giocare a dadi. Nella Lotteria c'è un altro ragazzo che arriva da Bologna, è serbo anche se viaggia volentieri con un passaporto greco che è utilissimo in regime di Bosman. Si chiama Marko Jaric, ha passato due anni a studiare da playmaker dopo un passato non brillantissimo da guardia e si ritiene pronto per il grande salto. La Fortitudo da cui proviene lo ha già salutato pensando che sarà materiale da primo giro, quindi inutile investire soldi per un rinnovo impossibile. Invece nella notte di Minneapolis succede l'imprevisto, accade che i 76ers chiamino Speedy Claxton alla 20 e che l'altra point guard in lizza assieme a Jaric ovvero Erick Barkley finisca a Portland con la 29. Il serbo è il primo selezionato del secondo giro, vale a dire contratto biennale non garantito e nulla più, non abbastanza (almeno all'epoca, oggi le regole sono diverse) da indurre un 22enne a fare la traversata e a tentare il salto. Difatti Jaric in America ci andrà più avanti e su di lui, lesta, si muove la Virtus che lo inchiostra con un bel biennale mentre i fortitudini sorridono pensando di aver rifilato un mezzo bidone ai cugini.

Non paga di aver scompaginato parecchio le carte, la Sorte continua a divertirsi in quell'estate pazzerella e nei mesi a seguire. E cosa fa? Prima di tutto, fulmine a ciel sereno: Danilovic si ritira. Davvero un qualcosa di inaspettato per la stessa dirigenza bianconera che aveva inseguito Meneghin e poi firmato Ginobili per consentire a Sasha di tornare a giocare in pianta stabile da guardia tiratrice. Invece no, il Ragno non ce la fa più, è tormentato dagli infortuni e decide di smette. A trent'anni. E il virtussino medio si dispera domandandosi se non sia una disgrazia all'inizio della stagione del rilancio. Sempre a proposito di virtussini, un altro che però siede in panchina e fa l'allenatore opta per una scelta che farà discutere: è Piero Bucchi, al secondo anno a Treviso dove ha vinto la Coppa Italia e ha portato una Benetton tradita da uno dei suoi americani in finale scudetto. Bucchi prima era a Rimini dove aveva costruito buona parte delle sue fortune su un centro irlandese letteralmente "di peso". E per portare nella Marca tutta quella massa corporea che risponde all'identità di Alan Tomidy, Bucchi è disposto a tutto, anche a dare a Rimini un italo-americano fresco di passaporto nostrano ed ancora misconosciuto ai più a dispetto di un buon background in Germania.

Non è finita qui, ovviamente. Abbiamo parlato di Virtus, di Fortitudo, di Benetton. C'è pure una seconda Virtus, quella romana, che sta vivendo una transizione dal ticket Corbelli-D'Antoni (Sergio) al futuro proprietario unico Toti via Malagò. La Virtus giallorossa si è presentata al gran ballo con meno lustrini del passato ma con un bel biglietto da visita che è la Supercoppa vinta dopo la pessima formula allargata, in finale a Siena contro la Kinder di Messina mentre le finaliste scudetto si sono fermate poco prima. A metà dicembre arriva un altro regalino della Sorte beffarda che lancia nuovamente i dadi ed elimina un elemento tra le fila della Vu Nera: Hugo Sconochini è risultato positivo all'antidoping, la notizia si conosce dieci giorni prima di Natale ma riguarda un match giocato due mesi prima. L'argentino è sospeso, poi squalificato e licenziato, coach Messina si ritrova privo di una pedina utile sul perimetro ed al suo posto arriva Fabrizio Ambrassa, non esattamente un nome di peso ma un onesto giocatore di sistema.

Il risultato di tutte queste marachelle del Destino infido le conosciamo. Senza gli ingombranti (caratterialmente ed anche tecnicamente parlando) Danilovic e Sconochini la Virtus vincerà tutto, dal derby di Natale al triplete coccarda-scudetto-Eurolega. Con la formula italiana, con lo strapagato Meneghin che però non è determinante, richiamando anche Vrankovic la Fortitudo farà cilecca e Myers la lascerà tra mille lacrime aprendo una nuova fase, sua e per il club. La Virtus romana, illusa dalla Supercoppa in bacheca, si lancerà negli anni successivi in una frenetica corsa al vertice senza raccogliere gioie ma solo tante amarezze. La Benetton, regalato Joey Beard a Rimini dove avrebbe fatto tre triple-doppie di cui una in faccia a Fucka, sarebbe stata appesantita dall'impresentabile controfigura sovrappeso di Tomidy e si sarebbe pure azzoppata da sola rinunciando a Isma Santos prima dei playoff, lasciando ad ammuffire in panchina i talenti in rampa di lancio ma ancora incompresi Boki Nachbar e Massimo Bulleri.

Volete sbizzarrirvi con le ipotesi? Ed allora provate ad immaginare una Virtus che non rinuncia a Meneghin ma rilancia e che lascia andare Ginobili a Treviso o all'estero, convincendo Danilovic a non ritirarsi e salvando Sconochini dal collirio allo steroide. Oppure pensate ad una Fortitudo che prova ugualmente a tenere Jaric, che non lascia libero Karnisovas e che evita le suggestioni azzurre investendo su un centro utile e non sulla macchinosità di Zukauskas o sulla ciccia di Damiao. O ancora idealizzate un passato alternativo in cui Treviso si tiene stretta Beard, valorizza i suoi giovani e non si ostina a riprendere un Naumoski reduce da un anno di vacanza pagata dall'Efes. Cosa sarebbe accaduto? Non lo sapremo mai, però a volte è bello domandarselo.

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