
Pubblico sì, pubblico no, pubblico forse, pubblico domani, pubblico mai più. La prima incognita per tutti è proprio la presenza o meno degli spettatori alle partite. Fatico a comprendere ancor oggi il significato della riproposizione, a vent'anni esatti di distanza dall'ultimo tentativo, di una maxi-Supercoppa. La formula non piacque nel 2000, quando non c'erano pandemie in mezzo e le società erano quasi tutte in salute, probabilmente non piacerà oggi. Ancor di più perché l'avvio sarà certamente a porte chiuse - per il Girone D si sono inventati un'apposita "bolla" ad Olbia (potenza del solito cardinal Sardara) - e forse solo per le Final Four bolognesi nel baraccone della Fiera si potrà vedere qualcuno sugli spalti. Sperando ovviamente che non si replichi il deserto di Siena 2000, quando in un PalaSclavo ancor più brutto perché vuoto la Virtus Roma alzò quello che finora resta l'unico trofeo del ventennio a marchio Toti.
La crisi economica che ha accompagnato e contraddistinto la pandemia sta mietendo vittime in silenzio anche nel mondo della pallacanestro. Cremona e la solita Roma si sono salvate per il rotto della cuffia, quando tutto faceva presagire una fine ingloriosa; Treviso ha fatto mercato al ribasso preferendo mettere in sicurezza la società (scelta saggia) ma forse sbagliando qualche calcolo sulla reale forza del prossimo campionato LBA; Pistoia dopo due anni spesi ad arrancare sul fondo ha capito di non poter insistere e ha chiesto con coraggio ed onestà di tornare indietro; le offerte di ripescaggio sono state quasi tutte respinte, ché se già in tempi di normalità ordinaria è difficile raddoppiare il budget con appena una settimana di preavviso, figuriamoci in un periodo difficilissimo in cui prima di tutto vengono salute e difesa del posto di lavoro e poi, forse, lo sport. C'è stato anche il caso-Torino, che non mi è piaciuto nella gestione, nei modi ed anche nei personaggi, ma ne parlerò più avanti.
Notizia fresca degli ultimi giorni è l'arrivo del tanto auspicato credito d'imposta sulle sponsorizzazioni. Un palliativo in realtà, perché se sarà utile per alcune società di medio-grande levatura, non inciderà granché su tutto quello sport di base che costituisce le radici che ancorano al terreno della società e del quotidiano le eccellenze superiori. Chiariamoci: il Comitato 4.0 ha svolto il lavoro di moral suasion cui era deputato e va bene così, ma non si può far finta di non vedere che scendendo di categoria e spostandoci nei meandri più oscuri ma non per questo inesistenti la pallacanestro italica soffre una cronica mancanza di risorse acuita dalla mancanza del substrato economico dei furbetti. Perché parliamoci francamente, se non vi fossero stati dei vantaggi fiscali e la possibilità di riciclare o di produrre voci di bilancio farlocche, non ci sarebbero state grosse convenienze da quarant'anni in qua a sponsorizzare il club minore, la scuola basket di quartiere, una Serie D o C ed a volte persino B.
Il denaro da sempre muove il mondo, ahinoi. A volte è vero, a volte è falso, a volte è virtuale. Talvolta è italianissimo, talvolta arriva da lontano. "Senza soldi non si cantano messe", ripeteva un conosciutissimo prelato lituan-americano di Cicero, Illinois. Come dargli torto? Però è anche vero che in nome del vil denaro se ne sono viste di tutti i colori, anche nel nostro piccolo infelice mondo a spicchi. Prendiamo Torino: società nuova di zecca con colori gialloblu a recuperare la tradizione, ma nulla a che vedere con l'Auxilium, già Auxilium CUS, già PMS. Ed ovviamente nulla da spartire con l'unica vera Auxilium, quella archiviata con qualche comprensibile lacrima una dozzina d'anni fa quando fu lanciato il progetto Moncalieri-SanMauro. Il deus ex machina dell'attuale soggetto è il noto Stefano Sardara, abilissimo manager che ha portato una Dinamo inizialmente senza sponsor in A a raggranellare fior di risorse, a vincere trofei e ad affermarsi come modello di business regionale correlato allo sport. Ma quando si sono spalancate le porte del ripescaggio sono emerse le magagne. Perché anche chiudendo gli occhi sul fatto che questo Basket Torino ha avuto una deroga per spostare sotto la Mole dopo meno di tre anni il diritto sportivo già di Cagliari e prima ancora acquistato dalla scomparsa Ferentino, resta pur sempre la creatura di un proprietario che è già titolare di altro club in Serie A. Mi ha un po' disgustato il teatrino di luglio sui soci-ombra che avrebbero dovuto rilevare parte del pacchetto azionario, forse tutto, magari dopo, chi lo sa. Quando è emerso il nome di Ergin Ataman ho avuto un sussulto, pensando ad una possibile proprietà turca: il marchio Beko non ha lasciato buoni ricordi, ECA inizia a soffrire la predominanza di sponsor turchi che chissà se pagano, il Fener ha appena ridimensionato dopo due anni di continui sussurri relativi a stipendi puntualmente in ritardo e la stessa economia anatolica è in crisi profonda da tre anni. Insomma, le premesse non mi suonano rassicuranti. Per il momento l'operazione ottomana è congelata, Torino resta in A2 in attesa di capire se potrà salire con le proprie forze e passare il tutto alle manone di Ataman. Un dato di fatto storico è sicuramente scoraggiante: dalla strana coppia Caputo-Bryant a Gerasimenko passando per gli improbabili Mr. Williams e Fortune di Caserta, le proprietà straniere non hanno mai portato liete novelle alla nostra pallacanestro.
Ho appena nominato Caserta e mi dispiace dover chiudere questo intervento parlando di nuovo dello SC JuveCaserta. Che non è lo storico Sporting Club Juventus, morto nel 1998, ma che stando alla FIBA ha una continuità evidente con la JuveCaserta Basket esclusa dalla Serie A tre anni fa. Un pasticcio davvero brutto quello inscenato all'ombra della Reggia. Ho ancora negli occhi e nelle orecchie la patetica conferenza stampa di fine luglio 2017 quando la proprietà bianconera cercò di addossare le proprie colpe a Federazione, Lega, ComTeC, Cremona, Bergamo, giornalisti, tifosi, Club Bilderberg, Trilateral, SPECTRE, Quantum e forse pure alla Banda Bassotti. L'acquisizione di Venafro, il coinvolgimento anche se marginale di un Maggiò ed una nuova ripartenza potevano costituire una pietra d'appoggio per una piazza troppo bistrattata ed abituata alle amarezze per poter mantenere sempre accesa la fiammella della passione. Invece è vero che il lupo perde il pelo ma non il vizio: basti pensare al caso di Isaiah Swann, funambolico americano ingaggiato dodici mesi fa ed infortunatosi gravemente in uno dei primi allenamenti, che non ha ricevuto un centesimo di quanto pattuito, nemmeno le cure mediche. Quando la moglie, esasperata, si sfogò nei social, si alzarono i peana dei talebani che pensavano di dover difendere a spada tratta una società davvero differente (soprattutto nei modi) dal passato. Invece non è cambiato nulla e Fedro ha avuto nuovamente ragione: "In principatu commutando saepius...". Ora Caserta è di nuovo al tappeto, con illusioni ed illusionisti pronti a vendere un qualcosa di irreale. La soluzione è una sola: capire che il sogno Juve è finito nel 1998 dopo l'apice dello scudetto e qualche difficile stagione in A2, che rimestare un fantasma non è salutare né consigliabile, che per fare sport occorrono solidità e trasparenza. Anche a costo di ripartire dalla Promozione, dalle palestre delle scuole, dalle partite tra amatori. Ma con un progetto chiaro e con grande senso di responsabilità.
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