sabato 22 novembre 2025

Non c'è gusto in Italia a essere intelligenti

"Il basket è uno sport logico per gente intelligente. Se non ci arrivi, lascia perdere". La famosa frase di Sergio Tavcar è un evergreen. Ancor di più per chi oggi si lamenta delle tirare d'orecchi impartite da chi qualcosina capisce. Sarebbe sufficiente fermarsi e ammettere di non aver capito nulla di quel gioco chiamato pallacanestro. Siccome repetita iuvant, prima che passiate al solito ritornello "vedo basket da 30-40-50 anni", vi ricordo come assistere per lungo tempo a uno spettacolo non renda automaticamente degli esperti. Lo disse in tempi non sospetti Zare Markovski scomodando sia Nonno Simpson che i colleghi di Rocco Tano in arte Siffredi; lo ribadisco io, che non ho la pretesa di recitare in certe pellicole.

"Non c'è gusto in Italia a essere intelligenti - seguirà il dibattito" era il titolo di un bellissimo libretto scritto da quel genio di Roberto Freak Antoni. E che Freak fosse un genio era chiaro sin dal biglietto da visita. Siccome mi sembra chiaro che l'intelligenza dia fastidio alla massa che soffre il gap culturale e cerebrale, lasciamo perdere la disamina sull'intelligenza stessa e passiamo al dibattito. Che per stavolta non affronta il tema del basket giocato - mi sono stufato di spiegare concetti triti e ritriti - ma un qualcosa di affine: la statistica.

Treviso Basket gioca in LBA dal 2019. E qui voglio analizzare i risultati dei gironi d'andata: nel primo anno, quello poi interrotto causa pandemia, l'allora De' Longhi fece 6-10 in un campionato a numero dispari, portando a casa 12 punti. Un buon risultato, per una neopromossa che puntava a salvarsi e che aveva iniziato la stagione con qualche infortunato. L'anno dopo, con un budget sforbiciato del 30%, TvB si confermò a quota 12 giocando però due partite in meno stante anche l'esclusione in corsa della Virtus Roma: niente male per una squadra corretta in corsa, che in primavera avrebbe compiuto il piccolo miracolo dei playoff. Passiamo al 2021-22, l'anno della BCL: ancora 12 punti, risultato di un 6-9 che poteva essere migliore ma che scontava qualche problemuccio (sovraccarico d'impegno con la Coppa, infortuni alle uniche due ali in roster, presenza di un giocatore inutile se non dannoso); complice il Covid-19, quella Nutribullet implose nel girone di ritorno culminato con l'imbarazzante sconfitta casalinga con Napoli, l'esonero di Menetti e il ricorso a un extrabudget non preventivato per centrare la salvezza. Proprio quelle spese pazze condizionarono il 2022-23, iniziato con un 2-8 poi divenuto 5-8 per 10 punti al giro di boa: era la squadra dell'equivoco Sokolowski, ricostruita dopo l'addio del polacco e salvatasi in extremis grazie alla congiuzione planetaria composta da tripla di Zanelli-canestro e fallo di Banks-tecnico a Faggian non convertito-SDENG! di Belinelli sulla sirena, il tutto in nemmeno 60 secondi. Il peggior risultato nel girone d'andata, quello del 2023-24 da 8 punti sommati dalla decima alla tredicesima giornata, venne seguito dal miglior risultato assoluto, i 14 punti (bilancio 7-8) del 2024-25: un traguardo quest'ultimo raccolto con una squadra in larga parte figlia dell'anno precedente e che, senza gli infortuni di Mascolo e Olisevicius arrivati sul più bello e senza l'incazzatura iniziale di Paulicap, forse sarebbe stato migliore e utile per le Final Eight.

Oggi TvB è 1-8. Che non è lo 0-9 di due anni fa ma ci somiglia parecchio. La prospettiva di giungere al giro di boa in ultima posizione, con forse sei punti in saccoccia, è piuttosto verosimile. Ma se nel 2022-23 la scusante delle ristrettezze economiche era valida e se nel 2023-24 un paio di errori di valutazione furono determinanti in negativo venendo corretti, stavolta non si può parlare di budget striminzito o di scommesse su debuttanti in Italia o giocatori da recuperare dall'alcolismo. Questa Nutribullet costa più di quella dell'anno scorso in cui, con buona pace della platea e della gradinata di professionisti del fischio e dell'ululata, non solo l'obiettivo salvezza venne centrato ma fu ottenuto spendendo meno di una delle retrocesse e molto meno di chi i playoff li ha visti in poltrona (Tortona) o ci è entrata per il rotto della cuffia (Venezia) scontando doppia bastonata, andata e ritorno, da parte di "quegli straccioni di Treviso", per dirla con le parole di un certo capitano d'industria.

Spendere di più non significa automaticamente spendere meglio. Prendere giocatori che conoscono il campionato non equivale ad assemblare una squadra vincente. Questi due concetti basilari hanno trovato nuova validità negli ultimi giorni. La vicenda di Joe Ragland ha dimostrato come l'aver voluto investire una bella fetta del monte ingaggi su un giocatore trasformatosi in uno specialista da piccoli ruoli in grandi club sia stato un errore marchiano. Così come aver preso un centro comprimario che non ha mai brillato in Italia per intimidazione e capacità difensive, o aver costruito una panchina italiana deboluccia. O non aver capito che l'exploit della prima giornata contro Brescia era solo frutto di ulteriori combinazioni uniche, dalla voglia di stupire al debutto sino allo sforzo extra profuso da chi doveva giocare 25 minuti e si è ritrovato a sciropparsene più di 35 a ritmi indiavolati e gambe cedevoli.

Chiudo con un'altra grande chicca del povero Freak. Che era un disilluso, un diabetico, un eroinomane, un folle ma non era una pornostar (cit. o quasi). La Storia non solo insegna ma dà ragione a chi merita di averla. E siccome dallo scorso aprile a oggi ne ho viste già di situazioni assurde, di gente che dovrebbe solo ringraziare e invece denigra, di personaggi che utilizzano Facebook e Whatsapp per agguati morali, di soggetti che non capiscono quando è il momento di tacere, di situazioni in cui i mal di pancia di pochi valgono più della competenza di chi sa e fa, allora preferisco prendere a prestito il cartello di Freak e restare seduto sulla riva del fiume in attesa. Ci rileggeremo più avanti. Forse. 

sabato 1 novembre 2025

Sarvate Mandra'!

Soddisfo oggi, 2 novembre, il desiderio espressomi da un collega pochi giorni fa ossia tornare ad animare il blog con un intervento. Di analisi, di critica, anche di goliardia perché non so rinunciare alla mia vena satirica. Quindi ricomincio da un anniversario, quello della morte di Gigi Proietti avvenuta cinque anni fa nel giorno del suo ottantesimo compleanno. Ripartendo anche da uno dei suoi personaggi più famosi, Bruno Fioretti in arte Mandrake, attore mediocre che si ricicla in pose pubblicitarie pur di raggranellare soldi non per sbarcare il lunario ma per alimentare la propria insana passione per le scommesse ippiche. Da solo o in società con vari soggetti da sottobosco degli ippodromi e delle sale corsa - il più noto è Armandino Pellicci detto Er Pomata, ma ci sono anche il posteggiatore abusivo Felice, l'indossatrice/meretrice Mafalda, il finto avvocato De Marchis, il pigro Micione, il fuoricorso Ingegnere, Santarelli Aurelia e lo sfigatissimo Antonio Fajella. Mandrake è un guitto che si arrangia come può, che non ha un centesimo per la benzina e resta a piedi, che frega i soldi a un macellaro borgataro assai burino (e a suo figlio) ma non sa davvero farli fruttare, che potrebbe sfondare ma non ci riesce per vanagloria. Vorrebbe, Mandrake. Vorrebbe fortissimamente. Ma, poveretto, non può mai. E finisce col rovinarsi con le proprie mani.

Un po' come questa Treviso Basket 2025-26. Che vorrebbe tanto vincere una partita ma per motivi sempre diversi (o simili?) non ci riesce. L'incoraggiante debutto contro Brescia ha illuso tutti: quella domenica sarebbero bastati 60 secondi in meno da giocare o un minimo di lucidità in più nell'ultimo minuto per avere almeno il contentino di due punti in classifica. Quelli che vantano oggi (in attesa di giocare tra qualche ora) Varese e Cantù, che tecnicamente non sono messe meglio di TvB ma almeno non sono ultime a quota zero. Dopo l'amaro ma apparentemente incoraggiante debutto con la Germani si è visto il vero volto della Nutribullet. Disastrosa in difesa, dove a turno almeno un giocatore dichiara sciopero bianco. In attacco, legata mani e piedi alle paturnie di Joe Ragland. Che se vuol giocare è ancora oggi un bel playmaker, almeno per le statistiche. Ragland è attualmente miglior assistman della LBA ma quel dato è falso quanto una moneta da 7 euro. E no, non è una questione di rilevatori statistici infedeli e di scommettitori nemmeno troppo clandestini, come avvenuto altrove nella scorsa stagione. Semplicemente il veterano è una tassa multipla da pagare: per ogni assist smazzato o canestro fatto, ne concede a pioggia dall'altro lato. O perché esagera a cercare gli alley-oop di Stephens, o perché vede linee di passaggio inesistenti, o perché gigioneggia col pallone come un Lionel Chalmers, o perché perde il possesso e si disinteressa di rientrare, quasi infastidito. 

Ragland è oggi una scommessa persa che non vale il lauto stipendio investito - inferiore alle sue abitudini ma comunque importante per un club piccolo come Treviso. E la portata di questo errore è maggiorata dall'assenza perdurante di Brianté Weber, vera alternativa in cabina di regia nonché unico difensore vero nel pacchetto esterni. Weber ha fatto una sciocchezza in amichevole riportando un infortunio unico nel suo genere ma per nulla semplice. Il suo forfait ha toccato quota 47 giorni, numero infausto per chi crede alla Smorfia napoletana - e nel giorno dei defunti, oltretutto. La società ha ammesso di volerlo aspettare senza accorgersi forse che quella canotta numero 2 ormai sul retro non porta il cognome "Weber" ma "Godot", mentre la squadra non ne azzecca una nemmeno quando offre una prestazione quasi accettabile come contro Trieste.

A cosa serve lottare e dimostrare di restare aggrappati alla partita, anche recuperando dal -15 sino al potenziale -3, se poi non si concretizza nulla? Domanda pleonastica che comunque va posta. Così come ha poco senso aver compiuto la scelta estiva di Ragland, non aver pensato a un gettonaro per coprire il vuoto di Weber (che se tutto andrà per il verso giusto si rivedrà in campo contro la Virtus ma non si sa in quali condizioni), continuare a spremere Olisevicius in due ruoli. Tutte questioni che trascinano con loro un aspetto negativo iniziale e che vedono nel prosieguo e nello svolgimento l'immancabile emergere dei problemi. Così oggi Treviso è ultima assieme a Sassari in un curioso intreccio di destini paralleli. Alla Dinamo ci sono due ex TvB, Ale Zanelli e Andrea Mezzanotte, ma c'è anche quel Mauro Sartori contattato due volte la scorsa primavera dalla Nutribullet per un ruolo dirigenziale e poi nemmeno avvisato della decisione di virare su Federico Pasquini. Che era a Sassari e da lì (o dalle precedenti esperienze con le controllate Cagliari e Torino) si è portato appresso Weber, Stephens e Pinkins in un'operazione "usato/trapianto sicuro" che si era già vista a queste latitudini quando due anni fa si scelse l'accoppiata Vitucci-Giofrè.

Una coppia accolta in grande stile, criticata e osteggiata nel giro di pochi mesi, poi affossata da una rumorosa minoranza che oggi si aggrappa a qualunque pretesto per non ammettere una semplice constatazione. Ossia che il problema non era Frank Vitucci né Simone Giofrè. Il problema era la gestione di un club che a parole vorrebbe imitare Trento ma che nella pratica non sa nemmeno da dove iniziare a copiare i successi altrui. Ho detto Trento perché più volte è stato additato come club virtuoso (ed è vero, al netto del robusto aiuto economico garantito dalla Provincia Autonoma), capace di investire le giuste risorse in maniera oculata, senza strapparsi i capelli di fronte a una mancata qualificazione alla post season nazionale o di Eurocup o alle Final Eight di Coppa Italia. A proposito: conservo ancora l'audio di una intervista rilasciatami un mese fa in cui si parla proprio di Final Eight e di playoff LBA come obiettivi figli dell'ambizione di TvB. Cominciamo allora col dire che, salvo miracoli impronosticabili, la Nutribullet guarderà in poltrona la Coppa Italia per il settimo anno di fila: è un record, spiacevole ma pur sempre un record. Nessun'altra società di LBA è rimasta fuori dal gran ballo di febbraio così a lungo e c'è stato persino chi come Cremona, con risorse modeste, ha vinto il trofeo. Sul medio-lungo periodo, anche l'approdo ai playoff diventa una chimera giacché quota 30 punti da raggiungere comporta vincere 15 partite dunque un bilancio 15-10 nelle prossime 25 giornate. Utopistico a voler essere buoni.

La realtà, amarissima, è che Treviso dovrebbe soltanto concorrere alla salvezza. Che quest'anno avrà una quota ben più alta rispetto al 2024-25 stante l'assenza di club zombie come la Pistoia dell'anno scorso o di centrifughe impazzite stile Scafati, Brindisi o Verona, giusto per citare gli ultimi tre campionati. Il tanto vituperato Vitucci, che a breve potrebbe salire sull'aereo in direzione Sardegna, iniziò 0-9 nel 2023-24 soprattutto a causa di due scelte errate, l'inadatto Booker e il fantasma Young, ma seppe recuperare alla grande. E l'anno scorso sempre Vitucci ha centrato il bersaglio nonostante Alston prima e Caroline dopo (più il polso rotto di Mascolo e il tendine di Olisevicius), togliendosi lo sfizio di battere due volte su due corazzate come Venezia e Tortona e stabilendo il record di punti della società Treviso Basket nel girone d'andata. Va detto però che Vitucci e Giofrè hanno anche vinto delle scommesse: la prima è Pauly Paulicap, pescato a bassissimo costo da quello schifo che è il campionato cipriota e reso un giocatore di basket che oggi disputa la BCL al Promitheas; la seconda è il recupero di JP Macura, un talento che pareva perso per la pallacanestro e che oggi fa compagnia a Paulicap in Grecia; la terza è stata Ky Bowman che, fosse rimasto Vitucci a Treviso, forse forse non sarebbe migrato in laguna; la quarta è stata Ciccio Pellegrino che l'anno scorso era un buon cambio del 5 e oggi fatica sempre in ogni situazione; la quinta è stata la difesa a oltranza di D'Angelo Harrison che, con tutte le sue bizze e le sue pecche, ha tenuto unito lo spogliatoio anche quando l'atmosfera al Palaverde era da guerra civile.

Giubilato Vitucci due giorni dopo l'ultima partita della scorsa stagione, ricostruita quasi da zero la squadra, varato un progetto che sarà pure ambizioso ma finora non ha prodotto nulla, quale scommessa è stata vinta da TvB? Nessuna. O al limite quella di Torresani, rimasto a Treviso per questioni che forse un giorno vi racconterò. Intanto ripenso al povero Gigi Proietti che anche nei momenti più bui riusciva a strappare una risata e a far vedere un barlume di positività. "Sarvate Mandra'!", gli diceva Er Pomata quando si avvicinava la signorina Giuliana Pellicci, volenterosa sorella dello sfaticato complice di scommesse azzardate e ingegnose truffe. La pestilenziale alitosi che valeva il soprannome di "Tornado, il vento che uccide" induceva Armando a consigliare tutti i suoi conoscenti di girare al largo. E se Mandrake, una volta cascatoci, non ha più ripetuto l'errore di accostarsi a Giuliana, tanto che quel "Sarvate Mandra'!"  è entrato nel linguaggio comune, non vedo come questa Nutribullet possa, nella sua situazione attuale, salvarsi dalla retrocessione in A2. Mi basta scorrere il calendario per vedere due trasferte ravvicinate tra Reggio Emilia e Milano, un monday night al Palaverde contro la Virtus, una trasferta di sabato a Trento (e con l'onore delle telecamere di Cielo!) più, dopo la sosta, la visita della creatura prediletta di Valerio Antonini. Due anni fa i fischi e le contestazioni si manifestarono sullo 0-9 in campionato; con la prospettiva di uno 0-10 o peggio, sono curioso di vedere se qualcuno avrà il coraggio di recitare un Mea Culpa.

martedì 17 giugno 2025

Chiedete scusa a Dusko

Scusarsi dovrebbe essere la prassi. Invece lo smisurato orgoglio e una dose di maleducazione inducono molte persone a non voler compiere un gesto che dovrebbe essere naturale. Dusko Ivanovic è un signor allenatore e, come tanti esponenti della sua categoria (Frank Vitucci incluso), merita delle scuse. Io c'ero, quel pomeriggio dello scorso febbraio all'Isozaki di Torino quando Ivanovic pronunciò quelle frasi. In molti tra i presenti sorrisero, quasi di compassione, come se si fossero trovati davanti un vecchietto afflitto da demenza senile che sproloquiava. Ivanovic invece pronunciò concetti chiave: quella pesante sconfitta contro Milano nel quarto di finale di Coppa Italia era il classico tipo di partita che avrebbe insegnato alla sua Virtus come vincere uno scudetto. Per chi non capisce i concetti elementari, traduco: prendere una sonora batosta da una squadra che si ritiene superiore abitua il gruppo a cementarsi, a lavorare più duramente, a voler dimostrare di poter dare sempre di più. Ciò che è esattamente avvenuto in questi playoff.

Ivanovic è montenegrino ma da giocatore è stato allo Jugoplastika Spalato, quella meravigliosa fucina di talenti che incantò l'Europa. C'era un giovanissimo Kukoc con lui ma anni prima, con quella casacca, si era visto e aveva vinto anche un certo Pero Skansi. Che in difesa aveva idee tattiche parecchio simili a quelle di Ivanovic e che sapeva non solo puntare sui giovani ma anche valorizzare quei veterani che avevano ancora molto da dare. Il simbolo di questa Virtus scudettata per la diciassettesima volta è Toko Shengelia, un georgiano sbarcato a Bologna a causa delle conseguenze della guerra in Ucraina. Se quel pazzo megalomane di Vladimir Putin non avesse pensato di giocare a Risiko con le vite di centinaia di migliaia di persone, Shengelia sarebbe rimasto a Mosca assieme a Daniel Hackett e a tanti altri campioni che invece hanno scelto di andarsene alla prima occasione. Ma lo Shengelia sbarcato al "Marconi" era tutto fuorché un ragazzino in rampa di lancio. Piuttosto era un elemento esperto che aveva già conosciuto la NBA e che giocava stabilmente in Eurolega. Si pensava che avesse già raggiunto la piena maturità sportiva e che nel giro di un paio di stagioni avrebbe imboccato la china discendente. Invece Toko ha stupito dimostrando maggiore freschezza, volontà di sacrificarsi nonostante una commozione cerebrale e una superiore capacità d'interpretare il gioco a dispetto delle trentacinque primavere.

Quel che non è riuscito a Marco Stefano Belinelli, il cui ultimo anno da giocatore professionista è stato un calvario. Tredici mesi fa l'ex ragazzo di San Giovanni in Persiceto (il paesello del fiero alleaten Galeazzo Musolesi, per citare il povero Bonvi) veniva incoronato MVP della LBA. Ora appare l'ombra di quel che è stato, ridotto a comparsa non più capace di pungere con i suoi movimenti di piedi, le uscite dai blocchi, le sospensioni fuori equilibrio. Per lui la cura-Ivanovic ha funzionato al contrario, spingendolo ai margini delle rotazioni. E chissà cosa sarebbe successo se Will Clyburn non si fosse infortunato. La carriera di Belinelli, partita nell'ultima derelitta Virtus di Marco Madrigali ventitré anni fa, è finita stasera. Da domani dovrà solo scegliere come approcciare la sua prossima vita, se passare a un ruolo dirigenziale, provare a diventare allenatore oppure lasciare il basket per fare altro.

Ci sono altre tre storie che meritano di essere raccontate in questo scudetto virtussino. Quella di Achille Polonara la conoscono tutti ma va ribadito il coraggio di un ragazzo che in due anni si è visto piovere addosso due asteroidi da Armageddon personale. Superato il tumore al testicolo, ora Achi deve fronteggiare la leucemia mieloide, un male subdolo. Ha fatto benissimo Mario Castelli a ricordarlo in cronaca: queste situazioni di dolore servono a promuovere la sensibilizzazione nei confronti delle malattie e l'importanza della donazione. Chi può, contribuisca con il proprio midollo osseo. Achi forse non giocherà più ma a trentatré anni e con una meravigliosa famiglia attorno ha tutto il diritto di vivere ancora a lungo. Gli serve solo il giusto supporto per farlo.

Poi c'è Brandon Taylor, in play tascabile pescato in ACB da una squadra retrocessa. Altra magata di Ivanovic, che porta un giocatore simile a vincere lo scudetto? No. Taylor lo conoscevo da quando giocava (benissimo) in A2 a Bergamo ma in pochi gli avevano offerto delle chances ad alto livello. Per abnegazione, spirito positivo, voglia di fare, Taylor è il giocatore che chiunque vorrebbe. Calatosi in punta di piedi, è stato fondamentale in un sistema tattico che privilegiava la circolazione di palla per imbeccare al meglio il talento di Shengelia e che sfruttava le riaperture del georgiano sul perimetro per i tanti giocatori liberati dai raddoppi sistematici prima di Milano e poi di Brescia. Se Bologna non dovesse confermarlo (e probabilmente non lo farà per tanti motivi), chi lo prenderà farà un affare.

Infine ci sono i lunghi italiani, specie definitiva in via d'estinzione. Sarà, ma ho visto giocate solide, concrete e puntuali di Momo Diouf, il ragazzone scoperto da Pillastrini a Reggio, e di Nicola Akele, il montebellunese giramondo. Il CT Pozzecco sicuramente ha gradito, ora tocca a lui credere in questi elementi e a loro confermare quanto di buono fatto - Diouf sontuoso contro Bilan, Akele eccellente in difesa su Mirotic in semifinale - per ricostruire il reparto in azzurro. A proposito, messaggio per Willy Caruso: molla immediatamente la panchina triste di Milano, accetta un robusto taglio d'ingaggio e vai a giocare in qualche squadra che ti accordi fiducia. A ventisei anni non c'è tempo da perdere.

martedì 22 aprile 2025

"Vergogna buffoni!"

A scanso di equivoci e a beneficio di analfabeti funzionali e ignoranti culturali, il titolo volutamente in virgolettato del presente post è un omaggio a un famoso editoriale del giornalista Mino Pecorelli. Che nell'edizione del 16 gennaio 1979 della rivista da lui diretta ("OP - Osservatorio Politico"), sotto il titolo "Vergogna buffoni!" elencava le tante, troppe distorsioni del caso Moro, comprese alcune informazioni riservate in suo possesso che presumevano la possibilità di salvare il presidente della Democrazia Cristiana. Purtroppo il povero Aldo fu sacrificato sull'altare della ragion di Stato, o meglio di Jalta. E pure il povero Mino di lì a poco avrebbe pagato con la vita il proprio attivismo e la volontà di informare a prescindere dai giochi politici e dalle amicizie pericolose.

Lungi da me paragonarmi a Mino Pecorelli, sia mai! Ma c'è qualcosa che non digerisco da settimane. E no, non è lo sformato di bigoli ai porcini di un'ottima gastronomia trevigiana, cui ho rinunciato per motivi di dieta. Non riesco ancora a digerire l'orripilante trattamento riservato da alcune teste fini a Frank Vitucci e ad un paio di giocatori della Nutribullet, persone che avranno anche colpe e difetti come tutti ma che non meritano di ricevere piogge di fischi appena lo speaker Roberto Focarelli ne annuncia il nome nei prepartita. I signori (e anche le signore, non facciamone una distinzione di sesso) che si dilettano in tale ignobile attività, vergognosa e indegna perfino dei buffoni di corte, pensano di essere legittimati in ciò dal biglietto o dall'abbonamento pagato. O, peggio, si ritengono autorizzati in tali trivialità da zone basse semplicemente dall'aver visto per anni o decenni un basket diverso, composto da campioni pagati fior di miliardi di vecchie lire. Tali personaggi devono aver dimenticato i tanti discorsi fatti dal 2012 a oggi sulla necessità di dimenticare il passato, sulla ripartenza dal basso, sul passaggio dal mecenatismo a un modello differente di gestione economica di un club professionistico. Simili figuri, che si attribuiscono patenti a loro estranee di finissimi conoscitori della pallacanestro quando in realtà faticano a distinguere una difesa a zona classica da una match-up, da un mese e mezzo si esibiscono in uno spettacolo indecoroso, convinti forse che questo atteggiamento possa aiutare in qualche modo il club e la squadra o che un allenatore o dei giocatori possano essere indotti alle dimissioni o all'esonero da parte della proprietà soltanto in base al volume dei disturbi acustici prodotti dal pubblico.

Alcuni di questi simpatici soggetti hanno avuto anche la brillante idea di prendere di mira altri spettatori che non condividevano le loro posizioni di contestazione aprioristica, provocando proteste queste sì sacrosante nei confronti della società. Perché se l'articolo 21 della Costituzione consente ampia libertà d'espressione, quest'ultima non si traduce nella possibilità di insultare o minacciare chicchessia né di indurre persone di differente opinione ad abbandonare il proprio posto al Palaverde a causa di qualche contestatore che non intende ragionare col cervello, preferendo utilizzare la propaggine del fischietto. Altri brillanti pensatori si sono spinti oltre, riempiendo i social di nefandezze nei confronti di chiunque reputino un "nemico" delle loro assurde posizioni. Cominciando con coach Frank Vitucci per proseguire con giocatori, membri della società, altri tifosi e ovviamente giornalisti. Perché si sa, è comodo prendersela con la stampa che riporta la verità dei fatti, soprattutto quelli sgraditi, mentre una profonda disamina critica del proprio comportamento è troppo pesante per essere anche solo considerata.

Confesso di aver risposto in privata sede a qualcuno di questi personaggi che si attribuiscono un'eccessiva importanza, accomunati da una formula riassumibile in "Vedo basket da 30-40 anni, quindi...". Eh no signori, "quindi" un beneamato. Come insegnava diciotto anni fa un coach preparato e indubbiamente spiritoso come Zare Markovski, guardare è un conto e fare è ben altra cosa. Che si tratti di sport o di altre attività fisiche o lavorative, poco importa. Dovreste semmai ringraziare la pazienza e la signorilità di Frank Vitucci, che avrebbe potuto benissimo tutelarsi in sede giudiziaria facendovi piangere amare lacrime e impartendovi una memorabile lezione e che invece ha sopportato i vostri fischi e i vostri insulti.

Ora vi rivelo un piccolo retroscena. Non lo meritereste, ma stante lo spirito di festa del periodo pasquale ho deciso di mostrarmi generoso. Lo scorso 5 aprile era il compleanno di Frank Vitucci, eppure la società Treviso Basket non ha pubblicato nei canali social il consueto post di auguri. Non è stata una dimenticanza né una mancanza di rispetto: è stato lo stesso Vitucci a chiedere giorni prima che nulla venisse pubblicato in merito per non guastare l'atmosfera di un giorno speciale. In compenso, sabato sera lo stesso coach Vitucci mi ha voluto fare un regalo di compleanno (sì, il 19 aprile è il mio compleanno), donandomi una soddisfazione immensa. Che va ben oltre la mera vittoria contro Tortona. Quel che mi ha schiuso un sorriso mefistofelico degno del Joker è l'aver visto diversi fischiatori e contestatori incitare, applaudire e accompagnare la squadra in una gara che Vitucci ha condotto in maniera esemplare. Come? Asciugando le rotazioni, escludendo gli elementi in crisi (Harrison) o dannosi (Caroline, un mangiapalloni), accettando lo scotto del calo di rendimento dopo trenta minuti a pieno regime ma trasmettendo ai suoi ragazzi la tranquillità per condurre in porto una gara delicatissima.

Dettaglio da non sottovalutare: sabato sera TvB non ha toccato il +26 per debolezza dell'avversaria, per congiunzione astrale o per culo (perché si dice culo)... ma per oggettiva qualità del gioco. E al netto dell'ennesima serata complicata di Mascolo in cabina di regia. Tutto ciò è frutto del lavoro dello staff tecnico, non certo dell'improvvisazione del momento, dell'autogestione di quattro o cinque elementi o di una impronosticabile follia collettiva. Quando il Derthona, rianimato dalle triple in serie ad altissimo tasso di difficoltà del duo Baldasso-Denegri, si è rifatto sotto e ha addirittura sorpassato, qualunque altra squadra in confusione si sarebbe sciolta come neve al sole. Il fatto che TvB abbia mantenuto i nervi saldi rispondendo colpo su colpo e giocando una difesa magistrale sull'ultimo tiro dei piemontesi è consegueza diretta di quanto organizzato da chi siede in panchina. Con buona pace dei signori e delle signore da "Vedo basket da 30-40 anni".

Tutti sabato sera hanno visto la prova da 31 punti di Ky Bowman, tutti hanno applaudito il giocatore che a suon di bombe ha siglato il successo numero dieci in stagione. Pochi ricordano che la scorsa estate Bowman poteva andarsene da Treviso, non aveva contratto, non c'erano vincoli, anzi almeno due società di altre leghe lo avevano contattato sottoponendogli proposte economicamente più vantaggiose. Bowman è rimasto a Treviso per Vitucci, perché dal suo primo giorno in Europa si è trovato a meraviglia con lui, perché percepisce la fiducia del coach, perché sa che anche nel momento peggiore il suo allenatore non gli addosserà mai le colpe. Vitucci avrebbe potuto farlo lo scorso 22 dicembre quando a Sassari proprio Bowman spese il quinto fallo su Bibbins a 10 secondi dalla fine e col punteggio in parità: Ky aveva sbagliato, pensava erroneamente che la sua squadra fosse in ritardo di un punto e aveva ignorato le urla del suo coach che non voleva assolutamente mandare in lunetta gli avversari. Un altro allenatore avrebbe crocifisso Bowman pubblicamente, lo avrebbe additato, sarebbe stato semplice dire che la squadra aveva perso per colpa sua. Vitucci ha ingoiato il rospo e ha abbracciato il giocatore che, resosi conto dell'errore, ha chiesto scusa. Allenare è anche questo ossia dimostrare umanità ed empatia.

Quindi a chi continua a lamentarsi di Frank Vitucci, a insultarlo, a chiederne le dimissioni, a ricoprirlo di fischi ingenerosi e stupidi durante la presentazione delle squadre. A chi intimidisce, offende e minaccia i tifosi che non si piegano né si accodano a questo clima avvelenato. A chi da settimane invoca misure draconiane, licenziamenti, allontanamenti, epurazioni, liste di proscrizione che Silla spostati. A chi pensa che gli si debba consentire le peggiori rimostranze solo in forza di un biglietto o di un abbonamento pagato. A tutti questi personaggi riservo il titolo di quell'editoriale di Mino Pecorelli. Non si deve vergognare Frank Vitucci, che il suo lavoro l'ha compiuto fino in fondo rispettando quanto aveva promesso a inizio campionato - ve lo ricordo: una salvezza più tranquilla e agevole, senza aspettare l'ultima giornata. Non si deve vergognare chi si è impegnato dal primo giorno per raggiungere un risultato affatto scontato. Non si deve vergognare chi evidenzia il becerume di una parte del pubblico. Quel "vergogna buffoni!" va indirizzato solo a chi ancora oggi non ha capito e si ostina a non voler capire di aver commesso una serie continua di fesserie. Ma come si dice al mio paese, "Al è dibant cirî di insegnâ al mus..."

martedì 25 marzo 2025

Un dolce, dolcissimo ricordo

Se ne è appena andato, eppure mi manca già. Giuseppe Vicenzi, per tutti l'uomo del savoiardo, ha chiuso gli occhi per sempre dopo una vita spesa su due binari. Quello dell'azienda di famiglia, trasformata da semplice laboratorio semi-artigianale in colosso dolciario. E quello della pallacanestro, sport che ha amato visceralmente al punto da spendere soldi (tanti), passione (altrettanta) e tempo (non parliamone neppure) per aiutare la realtà veronese a salire dall'anonimato delle serie inferiori sino alle zone nobili della Serie A. Giuseppe Vicenzi apparteneva alla categoria speciale dei mecenati, i capitani d'industria che colsero l'importante messaggio che si poteva veicolare attraverso lo sport: da strumento ludico e ricreativo a perfetto modulo di trasmissione aziendale. Vicenzi era ragione e sentimento, lucidità e positiva follia. Una via di mezzo tra Gilberto Benetton e Giorgio Seragnoli, tra il pragmatismo dei Colori Uniti e l'amore autodistruttivo (per la Effe) dell'Emiro felsineo.

Conservo tre ricordi particolari di Giuseppe Vicenzi. Il più bello è la foto in cui abbraccia coach Andrea Mazzon all'arrivo all'aeroporto, entrambi con la Coppa Korac 1998 in mano, quel trofeo vinto nella tana del lupo ossia al Pionir di Belgrado. Uno dei punti più alti della parabola gialloblu che già aveva messo in bacheca l'incredibile Coppa Italia 1991 - unica squadra dell'A2 capace di imporsi contro le corazzate del piano superiore - e la Supercoppa 1996. Era la Verona di Andrea Fadini, intuitivo manager friulano trapiantato in riva all'Adige che aveva saputo pescare autentiche perle. La scoperta di Galanda e Frosini, il potente rilancio di un ancor giovane Bonora e dei vecchi guerrieri Dalla Vecchia e Boni, il dinamismo di David Londero, l'intuizione delle potenzialità di Rombaldoni sul fronte italiano; le pescate di Henry Williams, Sweet Lou Bullock, Mike Iuzzolino in America; l'esplorazione europea con Jerichow, Gnad, Albano, Beric. Quella Korac era stata l'apogeo della Scaligera che di lì a poco avrebbe imboccato una ripidissima parabola discendente.


Il secondo ricordo risale all'estate del 2000. Verona qualificata in Eurolega, un fatto storico. Ma ancor più storico è il passaggio di consegne tra Vicenzi ed Eduardo Fiorillo, all'epoca patron dell'emittente Match Music. Il patron appariva stanco, anche isolato in una città in cui sembrava impossibile fare rete - se ne lamentava anche Pastorello, all'epoca presidente dell'Hellas. Fiorillo al contrario era giovane ed entusiasta, traboccante di idee rivoluzionarie, stimolato dalla vetrina della nuova Eurolega a marchio ULEB e con la volontà di incidere in maniera decisiva sul panorama italiano e continentale. Vicenzi non appariva del tutto tranquillo, forse aveva intuito qualcosa. La storia racconta di un declino rapidissimo: un solo anno di gestione Fiorillo porta a notevoli errori accompagnati da spese folli, il mancato ingresso ai playoff italiani e l'uscita al primo turno al barrage di Eurolega dopo i gironi, la girandola dei giocatori, la volontà del nuovo proprietario di vendere ma senza trovare acquirenti. Nel 2002 la Scaligera, da società modello, era divenuta uno zombie. Vicenzi non poteva salvarla, almeno non alle condizioni che erano maturate.

E qui si innesta l'ultimo ricordo, quello del vero atto d'amore di Vicenzi verso la pallacanestro e la sua città. Fallita la Scaligera, fu il vecchio patron a lanciare la ciambella di salvataggio del San Zeno Basket, il club minor che funse da base di ripartenza. I primi soldi per quella che sarebbe stata la nuova Scaligera li mise lui. Fu il suo ultimo contributo alla pallacanestro veronese e non solo, insegnando che anche di fronte ai disastri altrui c'è sempre un vincolo morale da rispettare. La lezione di Vicenzi venne recepita qualche anno più tardi da Valter Scavolini, anche lui pentito di aver lasciato la sua adorata Vuelle in mano a chi non amava lo sport ma cercava solo appalti. Questa è la migliore eredità possibile di Giuseppe Vicenzi: la dolcezza. Dei suoi biscotti così come del suo sguardo verso la pallacanestro in cui ritrovava i valori semplici e umani di un territorio che gli deve molto. 

domenica 16 febbraio 2025

L'aria dolce e frizzante delle Dolomiti

Chi mi conosce bene sa quanto io ami recarmi in montagna. La mia meta preferita è la Val Pusteria, una verde lingua di terra che confina a sud con i Monti Pallidi ossia le Dolomiti, a nord con le Alpi Tauriche, a ovest con la valle dell'Isarco e a est con le Alpi Carniche. Tra i monti si sta bene: aria pulita, natura poco contaminata, alta qualità della vita, zero confusione, gente discreta, ottimo cibo, panorami favolosi. E tanta, tanta pazienza, quasi un retaggio atavico delle genti montanare che sanno quanto sia difficile ottenere qualcosa e che nulla possa arrivare in fretta e furia. Lo ha capito anche un milanese tradizionalmente frenetico come Paolo Galbiati che ha portato una bella e concreta Trento a vincere la Coppa Italia LBA.

Per l'Aquila Basket non si tratta di una prima volta assoluta. Nel suo passato abbastanza recente trovano posto due finali scudetto, un paio di Coppe di Lega LNP (A2 e C1) e un paio di campionati dilettanti (B1 e A2). Testimonianze di anni di crescita, a volte persino repentina - dalla promozione in LBA alla prima finale per il tricolore passarono tre anni e senza budget faraonici ma con una semifinale europea nel mezzo. In undici campionati di massima serie Trento è diventata un piccolo modello di gestione: quasi sempre ai playoff, spesso e volentieri nelle prime otto già al giro di boa, presenza fissa in Eurocup. E se per tanto tempo si è pensato che ciò fosse merito esclusivamente della coppia Trainotti-Buscaglia, i recenti sviluppi hanno dimostrato il contrario. Trento funziona perché ha adottato un metodo di gestione che è virtuoso e che sceglie prima di tutto le persone dietro le scrivanie e nei posti più delicati. Il resto viene a cascata.

L'ho capito in realtà due anni fa quando, grazie all'amico Piergiorgio Paladin, sono andato a Bruxelles. In nostra compagnia c'era anche il presidente del CAST ossia il consorzio trentino che sostiene l'Aquila Basket. Che è un club complesso, la cui proprietà è frazionata tra soci, Fondazione, Trust e appunto Consorzio. Ho ritrovato Roberto Locatelli, numero uno del CAST, al B2B organizzato da Infront lo scorso giovedì all'Allianz Stadium e abbiamo fatto una gran bella chiacchierata. Cosa è emerso? Una crescita potente spinta da passione, progettualità, espansione territoriale e forza attrattiva. Grazie a ciò CAST è cresciuto nei numeri e non solo, divenendo un motore propulsivo che parte dal basso e portando il contributo economico a livello di un bel main sponsor. Perché Trento è indubbiamente una realtà solida ma non può e non deve essere scambiata per una società finanziata a fondo perduto da un magnate che va avanti finché vince e/o si diverte o che butta soldi a volte suoi e a volte di altri per puro passatempo ludico. Per fare un piccolo esempio, l'anno scorso Trento ha speso 5 milioni e 750mila euro per disputare LBA (7^, 16-14, uscita ai quarti 1-3 contro Milano), Coppa Italia (sconfitta subito, ancora contro Milano) e Eurocup (regular season); con quasi il triplo dei soldi spesi, Derthona non si è qualificato alla Coppa Italia, è entrato ai playoff da ottavo venendo subito eliminato e in BCL si è fermato ai play-in. O, se preferite, c'è Sassari che spendendo 7,4 milioni ha guardato playoff e Coppa Italia in televisione giocando la pessima FIBA Europe Cup senza nemmeno fare tanta strada. Insomma, non è detto che spendere tanto significhi avere una minima garanzia di successo.

Trento invece ha speso il giusto, ha speso bene e, cosa più importante fra tutte, ha capito come programmare le spese. Prima di tutto affidandosi a un tecnico come Paolo Galbiati che a qualcuno in laguna sta tanto antipatico ma che è un maghetto nella valorizzazione dei giovani. Difatti la scorsa estate è stato Galbiati a imporre la linea verdissima rivoluzionando una squadra che come abbiamo visto non era poi malvagia. Di quella Dolomiti Energia si sono salvati, con l'eterno capitano Toto Forray, soltanto Quinn Ellis e Saliou Niang, due ragazzi arrivati in Italia in maniere diverse ma che oggi sono i protagonisti della vittoria in Coppa Italia. Ellis, portato nel Belpaese da Capo d'Orlando, è il miglior play della sua generazione in LBA; Niang, scaricato dalla Fortitudo per una presunta fragilità fisica, è un diamante solo in parte sgrezzato che può riservare ancora molte dolcissime sorprese. La frizzante aria del Trentino ha fatto bene ad entrambi... o forse sono state le amorevoli cure del programma di sviluppo dell'Aquila Basket che, con Marco Crespi, ha creato una piccola eccellenza. Attenzione: non tutti i (buoni) prodotti di Trento vengono mantenuti in squadra, per referenze chiedere a Luca Conti e Max Ladurner. In un progetto di costante miglioramento, il club bianconero sceglie i ragazzi da valorizzare mentre quelli ritenuti sì buoni ma non più funzionali vengono rilasciati affinché possano compiere altrove il loro percorso. Senza troppi rimpianti nemmeno da parte del pubblico, che sarà anche meno abituato ai campionissimi del passato rispetto ad altre piazze ma non mugugna troppo se un Conti o un Ladurner riceve il consiglio di recarsi in altri lidi per giocare. Mentre altrove si innalzano i peana per un (nome a caso ma non troppo) Leo Faggian, che Treviso ha spedito in A2 stante gli zero progressi tecnici, gli zero allenamenti supplementari al tiro, la poca voglia dimostrata, nell'isola felice tra le montagne si accettano le decisioni prese da chi il basket lo capisce davvero.

Chiudo questo post con le immancabili pagelle della Coppa Italia 2025

VOTO 10 CON LODE a Paolino Galbiati che sa trovare un modo per scherzare anche quando descrive la drammaticità di dover organizzare alle undici di mattina una improvvisata sessione video+tattica in uno stanzino. Ma dove lo trovate un allenatore così, che non sbraita per una qualsiasi situazione negativa ma coglie sempre lo spirito giusto per criticare quando serve e per strappare un sorriso sdrammatizzante?

VOTO 10 a Jamion Christian che porta Trieste senza Colbey Ross (lui dice per almeno un mese, chissà quanto è verità e quanto pretattica) a cinque minuti dal sogno di una finale da neopromossa. E dopo aver fatto fuori l'altra finta matricola, ma questa è un'altra storia...

VOTO 9 a Maurizio Bezzecchi che è un mago della diplomazia. No, come lui non c'è davvero nessuno. In LBA dovrebbero pensarci mille volte prima di lasciarlo andare in pensione senza aver trovato qualcuno che sia abile come lui nel trattare sia i giornalisti che le informazioni raccolte.

VOTO 8 a Torino. Due anni fa era un deserto di promozione, ora la Final Eight ha manifesti, vele pubblicitarie, stendardi, persino la visita di una squadra al Museo Egizio. Che non ha bisogno di pubblicità ma che fa da volano chissà quanto involontario alle stesse Final Eight. Le quali resteranno in Piemonte almeno un altro anno. Forse due, se si troverà l'accordo economico.

VOTO 7 a Peppe Poeta e alla sua Brescia. Cui mancano sempre un play vero dietro Ivanovic e un lungo autentico di supporto per non spremere Bilan e le occasionali fiammate di Ndour. Patron Ferrari ha speso tanto, non tutte le scelte sono state azzeccate ma visto quanto sta facendo la squadra biancoblu non ci si può davvero lamentare.

VOTO 6 a Reggio Emilia, che ha reso la vita difficile a Trento nei quarti mostrando però qualche limite. Nello specifico in ala piccola. Ma il progetto di Claudio Coldebella è di ampio respiro e merita la stessa pazienza concessa a Trento.

VOTO 5 all'Olimpia Milano. Chi pensava che potesse essere una Final Eight in carrozza per la Messina Band ha dovuto rivedere il proprio metro di giudizio. L'approccio è stato sin troppo semplice, merito di un'avversaria in piena confusione. La semifinale si è risolta per oggettivi limiti di Brescia, come detto. In finale, i meneghini quasi non hanno capito da che parte iniziare a giocare, limitandosi alle individualità e tirando con un 1/21 da 3 che nemmeno nei peggiori campi del CSI. Ettore Messina era abbastanza incacchiato dopo la finale e ha tutte le ragioni per esserlo, specie pensando al fatto che sono tre anni che la Coppa Italia sfugge di mano.

VOTO 4 al Derthona. Patron Gavio diserta la poltroncina e già non è un bel segnale. Il mercato è fermo per mille motivi. La teorica squadra di casa porta appena una trentina di supporter all'Inalpi Arena che dista da Tortona un'oretta e venti di viaggio in automobile. Sono tutti segnali infausti. E se il giocattolo si fosse rotto peggio del ginocchio di Strautins?

VOTO 3 alle dichiarazioni post partita di Dusko Ivanovic. Io spero davvero che il santone col codino chiamato al capezzale di una Virtus in plurima crisi d'identità, tecnica e societaria, volesse scherzare quando ha affermato di aver detto ai suoi, reduci dalla scoppola rimediata contro Milano, che hanno possibilità di vincere lo scudetto. Questa Bologna non ha capo né coda e merita solo di preservare Ale Pajola e Momo Diouf, buttando il resto tra giocatori ormai ombre di sé stessi e stranieri inadeguati al sistema.

VOTO 2 a Valerio Antonini che rilascia dei commenti privi di logica dopo la sconfitta in extremis del suo Squalo contro Trieste. Dice che non gli piacciono i risultati, come giocano i suoi strapagati atleti e persino come lavora l'allenatore, ma subito dopo si contraddice confermando fiducia a coach Repesa. Che intanto ha chiesto e ottenuto la testa di Tibor Pleiss. Mi domando però chi a Trapani la scorsa estate abbia trattato proprio Pleiss: non sapeva che l'Efes voleva liberarsi di un costoso peso morto?

VOTO 1 all'assenza del presidente federale Gianni Petrucci che salta tanto la premiazione del Famila Schio quanto quella di Trento. Che senso ha presiedere una Federazione se poi agli appuntamenti per i club si manda il vicario?

VOTO 0 alla scelta di "Cuoricini" dei Coma_Cose e di una versione riadattata di "Felicità" di Al Bano come musiche ricorrenti negli stacchi pubblicitari. Non c'era nulla di meglio?

domenica 22 dicembre 2024

Buon Natale, carristi!

Dedico questo post del blog, che torna ad animarsi dopo tre mesi (abbiate pazienza, ho una vita e un lavoro anch'io!), a coloro i quali dimostrano una capacità tutta italiana. Ossia saltare al momento giusto sul famoso e metaforico carro dei vincitori. Sempre con le gambe penzoloni però, pronti a scendere al primo scossone per poi riarrampicarsi non appena giungano buone notizie. A tutti voi, cari i miei carristi, buon Natale! Per il regalo, se non volete attendere il 25 dicembre, potete scorrere direttamente sino al video in fondo al post.

Per tutti gli altri, ossia per chi ha le idee chiare e conosce l'argomento pallacanestro, i miei auguri sono invece sinceri e sentiti. Anzi, è probabile che ci si senta al telefono nei prossimi giorni. Se la coerenza non si compra al mercato al pari della licenza di carrista, allora è giusto ricordare che la striscia vincente di TvB chiusasi a Sassari non è stata frutto né del caso, né dell'autogestione che tanto doveva piacere alle vedove di Marcelo Nicola. E se la salvezza di Treviso Basket nella stagione 2022-23 è stata frutto di un allineamento planetario inedito e non più ripetibile (Banks che sfonda ma trova Partenicò che fischia a favore, tecnico a Faggian non convertito da Belinelli che poi sbaglia anche il tiro-vittoria allo scadere), l'attuale posizionamento in classifica LBA della Nutribullet è al contrario la somma del lavoro svolto in mezzo a mille difficoltà. Per chi non lo sapesse, Frank Vitucci non riesce a svolgere degli allenamenti a pieno regime ossia con 10 titolari da inizio ottobre: i guai muscolari delle guardie, Macura che ancora non ha ripreso il pieno ritmo-partita, i problemi iniziali di Paulicap compreso un infortunio, la schiena a pezzi di Mazzola, gli adduttori di Harrison, la tendinite di Olisevicius... più che il bollettino medico di una squadra LBA pare il resoconto dell'infermeria da campo, col povero Frank che è costretto ogni giorno a sfogliare la lista dei chiedenti visita per sapere su chi contare e per cosa. Provate voi ad allenare in queste condizioni, se ci riuscite. Ricordo agli smemorati che la partita è sempre e solo il frutto del lavoro svolto in settimana, per cui ottenere cinque vittorie consecutive (e non solo contro avversarie imbarazzanti come la Scafati che era di Nicola o Napoli prima del ritorno di Pullen e Zubcic) è una autentica impresa.

Certo, mancava solo un'altra affermazione per pareggiare il record societario che resta ancorato alla primavera 2021, quel 6-0 che portò la Menetti Band dalla zona salvezza direttamente al sesto posto e ai playoff. Il segreto di quel risultato? Settimane di lavoro a pieno regime e ranghi completi, mentre altre squadre si sfaldavano per il Covid o gli infortuni. Quindi se quanto ottenuto da Menetti fu a suo modo storico, si può tributare almeno un applauso a Vitucci per quanto fatto in condizioni un pochino più difficili. Con buona pace dei simpaticoni che hanno passato il mese di ottobre a insozzare i social con quel #Vitucciout che era talmente stupido da risultare fastidioso nella sua ridondanza. Anche perché chi digitava l'hashtag lo faceva senza conoscere le motivazioni di alcune sconfitte.

Ora, al netto delle note difficoltà di Alston e di Macura e dell'assenza di Mazzola che è surrogato da un Pellegrino da applausi ma ben diverso dal ferrarese per caratteristiche fisiche e tecniche, voglio ricordare che a tre turni dal giro di boa TvB ha colto 6 vittorie per un totale di 12 punti. Ossia lo stesso risultato prodotto nel medesimo periodo da Menetti negli anni migliori. Quella dozzina di punti rappresenta poi l'esatta metà del bottino necessario in stagione per garantirsi la permanenza nel massimo campionato che resta l'obiettivo societario. Sì, l'exploit del 2021 aveva illuso un po' l'ambiente ma va ricordato che fino al 2026, cioè fino a quando non sarà completata la ristrutturazione societaria compresi gli strascichi di qualche debituccio del passato, Treviso Basket dovrà evitare i voli pindarici. Per cui direi di godersi i bei risultati sinora raccolti, magari ricordandosi che un anno fa si era a quota 8 punti dopo uno 0-9 iniziale. E che nella passata stagione con un girone di ritorno da 8-7 la Nutribullet si è comunque salvata mentre qualcun altro che al giro di boa se la passava meglio è sceso di categoria ed ora dispera di poter risalire. 

Siccome sono una persona di parola, chiudo il post con i miei auguri, rigorosamente personalizzati.

  • Auguro a Frank Vitucci delle Feste tranquille, godendosi il panettone che qualcuno sperava non mangiasse, potendo preparare con calma e (si spera) a ranghi completi quei quattro mesi inaugurali del 2025 che saranno fondamentali
  • Auguro ai presidenti Matteo Contento e Marco Fabbrini di continuare a convogliare lo stesso entusiasmo che ho visto alla Padel Cup. TvB è nata con lo spirito della condivisione e trasmettendo una sana voglia di partecipare a chi era estraneo alla pallacanestro o se ne era allontanato schifato da certi meccanismi antiquati
  • Auguro a Claudio Pea altri cent'anni di vita, senza mai cambiare di una virgola. Anzi, spero che possa deliziarci sempre più con le sue chicche rigorosamente senza peli sulla lingua
  • Auguro a Gianni Petrucci, immarcescibile presidente federale capace di resistere a tutto, di comprendere la necessità di lavorare sul movimento. Magari slegandosi dai satrapi che lo accompagnano da tempo immemore, ascoltando piuttosto le istanze che arrivano dal basso
  • Auguro a Sasha Djordjevic e Goran Bjedov di tornare prestissimo ad allenare. Magari in Italia. Magari la Nazionale italiana. Che ha un gran bisogno di uno staff full time capace di coltivare il talento nello stesso modo in cui il duo ha fatto sbocciare a Bologna Alessandro Pajola
  • Auguro a Claudio Coldebella di dimostrare ancora la valenza della progettualità in quel di Reggio Emilia. Giusto per ricordare a un po' di gente che non servono soltanto i soldi per fare sport ad alto livello: prima di tutto contano le idee e la pianificazione a medio-lungo termine
Infine, i carristi. Cui voglio bene, in fondo. Se non altro perché mi strappano sempre un sorriso. Quindi a tutti voi auguro di accomodarvi sul carro senza scendere e risalire. Per accompagnarvi durante queste festività, invece delle solite canzoncine natalizie, vi regalo il sempre bellissimo Panzerlied che fa capire nelle sue strofe le difficoltà quotidiane di essere un carrista vero e non metaforico. Uno di quelli con la tuta sporca di olio, che soffre il caldo sotto le piastre d'acciaio d'estate e il gelido inverno all'interno di un veicolo da combattimento. Senza aria condizionata, senza comodità, senza social su cui scrivere le proprie spacconate basate spesso su una conoscenza assai superficiale tanto della pallacanestro quanto dei suoi protagonisti diretti.



Buon Natale!